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Fu la sillabazione delle ore
a riciclare tra tegami e piatti
i libri letti – costolature verdeoro -
e dieci sguardi famigliari
a condannare da un balcone il volo
della ragazza ch’era carta straccia.
La cucina una pista di rullaggio
in effetti ci volle per l’abbrivio
solo uno schiaffo dato in piena faccia
e l’asfalto fu un campo d’atterraggio.
Tanto ci volle a ricapitolare
diciott’anni per dire che la gente
viveva di conformità mortali.
Se avessero taciuto quelle bocche
di farisei
di sepolcri imbiancati__ disse un tale
che poi ci regalò questa cultura
di sproporzioni ignobili
(ne paghiamo ogni voce)
e l’assistenza che le fu negata.
E ancora adesso
cosa interessa a chi nel calderone
rimesta tutto ciò che cuoce?
Dicono taci, dicono sei viva
ma che ne sanno gli animi di pietra
di quanto sia ostinato quel momento
che sempre e sempre si ripete__che
ti sveglia da cent’anni in piena notte
e
malgrado accorgimenti d’ogni sorta
malgrado meraviglie
torna malefico e puntuale
ed ogni volta
vorresti essere uscita vittoriosa
come dal cancro e da tanti altri mali
mentre quel salto là,
quello strappo dai propri stessi piedi
non lo potranno mai capire i vivi.
Appollaiata alla tastiera
inerme nel sostantivo femminile
ego da svendere in lettere e simboli
la barra spaziatrice avanza i suoi diritti
altrimentiscrivereicosìchepoisarebbeancoraleggibile
temo una spaccatura singolare
singola linea ____corpo ____ carattere
il mio
di corpo
è quasi tutto incorsivo
non mi riposa necessaria mente andare a capo
di me
di me che rigo il vivere Arial 12
sono il testo di un giorno nel cestino
accartocciato da chissà che nume
intrinseca la sfida a eliminare
con me
tutti che andiamo di gennaio stesi sui margini
e ce ne stiamo in bilico ___attenti a quella virgola___
che
potrebbe spintonarci
giù
saremmo solo un numero
da indice
dopo aver conquistato lustri
in libertà di sangue e cartellini
cifre da disavanzi
avanzi da
ricucinare in maniera proponibile
ho risparmiato inesorabilmente
il fiato di accensioni
ho dato fondo agli anni cherubini
altre che andavano in carrozza, io no,
sempre appiedata.
e all’improvviso scalpita una voce
reclama l’attenzione
- noi che vestiamo nuvole d’inverno
e raggiere di sole nei capelli
dice
noi delle fisarmoniche francesi
noi?...
__sì proprio noi__
mi guardo intorno e vedo
l’ala della finestra a nord tremare un attimo
il lembo di una vita trattenuta
tendaggio approssimato
e dimmi, dimmi allora
si tratta dei conteggi usucapione
se l’hai dimenticato
siamo giunti agli sgoccioli, devi recuperare
ogni strappo ogni lingua ogni registrazione
((((sonora))))
e
non ti sembri strano, anche gli slip-triangoli
in quiescenza. Ma c’era poca cera
non feci in tempo a dare forma al cuore
che già vennero a prendermi le foglie
in veste di guerrieri
un autunno di neve precoce
__non hai occhi di verde, tu non hai
che gli occhi__ Infatti, chi se ne accorse mai?
restituisco tutto
ecco
riprendetevi il fondaco, il giardino
le masserizie e i davanzali a rose
loro fresche da dio
io che avvizzisco nottetempo e il giorno
mi spia dalle finestre
assassinandomi alle spalle
lentamente lentamente lentamente
ma poi chi siete voi?
sempre nei boulevards di foglie morte
a cantare d’incensi e di coriandoli, bautte
scontornate di visi_________ solo quelle
a me lontane come le piramidi
passavate nei vicoli festanti, voi che di voci
adesso sorprendete il mio silenzio
e vi pare che basti una promessa ancora
a farmi fessa. E no, basta con permute e riscatti
ho cicatrici fuori e dentro il corpo
e se non vi bastasse
ho fabbricato in anni taciturni la bandiera
del mio nulla a pretendere
bianca.