I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Intera
Da’ la tua Parola intera. Dalla senza paura (come un corpo che tutto ruggisce). Se non puoi darla, allora sognala. Ma sii sempre una farfalla ridente nel fuoco.
Id: 6763 Data: 19/01/2011 17:31:31
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A Mario Luzi
Sfavillano nello sfavillio le faville. Veloci fatue stelle di scintille sfolgoranti, dubbi del dubbio che si lubrica, sbrilla, snoda. Perpetua pace e pugnace pirosi di fiamma fiammante. Spazio non spazio tra il suo giallo e il suo blu, gemma di gelo. Quanto poco sei stato capito, quanto l’imo era tutto del nulla della nostra misura, della nostra pretesa. Siamo di luce negati alla luce, resta ancora la fiamma vindice dell’altura ma vince sfavillando la favilla della fine.
Id: 6723 Data: 17/01/2011 09:14:10
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Ho provato a guardare
Ho provato a guardare il colore della terra. Era marrone, come la sincerità del nulla, eppure fatto di carne, come l’amore e la foglia.
Id: 4935 Data: 26/07/2010 09:40:50
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In morte di Platone
IN MORTE DI PLATONE
Si dice che il corpo fosse ancora teso nell’ultimo spasmo, che il polso con tutte le fibre ancora accompagnasse con la solita pervicacia le dita sul papiro avido di subire e le sopracciglia aggrottate restassero intatte, ché la vita riverente e pudica in quell’incauto abbandono non si sentì di toccarle. Perché non era ella, dipartendosi, che poteva donargli quella pace cocciutamente e ciecamente rifiutata. E qual madre umiliata dalla saggezza dei più giovani, ristette lì, a contemplare quella fronte rugosa, quella rada chioma canuta, fino ad assorbirne parole che ormai uscivano lievi senza più contrazioni di tendini. Si dice che nessuno entrò nella stanza e così fu trovato fermo com’era l’eterno, con lo sguardo aperto e sorprendentemente lieto verso di lei. Che non voleva uscire. Non aveva più catene alle caviglie. La grande, l’antica era stata generata. Suo figlio le aveva teso l’occhio verso il sole.
Id: 4897 Data: 21/07/2010 19:44:53
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Ti inseguiamo ancora
Ti inseguiamo ancora. Con la corsa anelante e rotta dei mille cani randagi sull’asfalto spaccato da troppi soli. Le mascelle addentano il vuoto della nostra fatica. Abbiamo bave lente ai bordi delle bocche, l’abbaiare si è fatto sempre più un lamentoso addio che non vuole ascoltare le zampe che vorticano la disperazione per il padrone più in là, di quel passo sempre più in là. Dalle ossa invisibili si sono formate le colline e persino i monti più alti echeggiano spesso un sibilo che tanto piace al padrone che lo crede dell’aria o del sole. E quando si libra verso il cielo, sui nostri cadaveri neri poggia i piedi ignari e crudeli. E noi lì, sempre lì, più indietro, per la durata di tutte le lune senza mai uno sguardo rivolto all’affannoso inciampare. Nessuno fu più fedele di noi, nessuno con tanta costanza ti seguì per essere preso una sola volta da un suono. Non troverai più nessuno così, padrone, Parola.
Id: 4841 Data: 16/07/2010 08:06:45
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