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L’acronimo UFO in lingua nostrana perde molto del suo fascino, infatti, OVNI (Oggetto Volante Non Identificato) non evoca alcunché in nessuno di noi. Dalla sera in cui ho visto l’OVNI svolazzare sopra il mio condominio, anzi dalla mattina seguente, la mia vita è cambiata. In meglio. No, non mi hanno rapito e non mi hanno rivelato nessuna verità, assoluta o meno. Nessun buon consiglio, hanno solo svolazzato come turisti.
Non era notte fonda, non ero solo e nulla di strano aveva preceduto l’evento. La “cosa” si era infilata tra i due condominii che affacciano sul mio cortile, si era soffermata un istante all’altezza del mio balcone, poi un altro istante davanti al balcone del vicino, poi se n’era andata. Né io ne il mio vicino abbiamo potuto fornire una descrizione dell’oggetto luminoso, a parte il fatto che era, appunto, luminoso. Il fatto che altre persone, oltre a me, quella sera l’abbiano visto mi ha tranquillizzato circa la mia salute mentale.
Va da sé che la notte non ho dormito. Sono stato costretto a riflettere sui fatti della vita, la mia e quella dell’intero genere umano.
Poco avvezzo ai pensieri cosmici, mi sono documentato e sono partito da alcune considerazioni pratiche.
Supponendo che l’OMVI non svolazzasse per “istinto” ma che fosse guidato da una precisa volontà, sua o di qualcuno al suo interno, o di qualcuno chissà dove, sorge spontanea una casalinga analisi delle ipotesi in circolazione che, ho scoperto, essere sostanzialmente due.
Loro sono cattivi e noi buoni.
Che qualcuno venga dello spazio per distruggerci è escluso; ci riusciamo benissimo da soli. Al momento siamo una minaccia solo per noi stessi. Sempre supponendo che siano superdotati, non avrebbero la necessità di svolazzarci attorno, potrebbero far saltare il pianeta e fine della storia.
Che vogliano impadronirsi delle risorse che abbiamo così accuratamente dissipato, implica che loro abbiano fatto la stessa cosa a casa loro. Questo magari ce li rende meno estranei ma non ci rivela nulla di nuovo.
Che noi, e l’intero nostro sistema solare, si faccia parte di un esperimento scientifico l’ho pensato tante volte. Qualcosa di infinitamente piccolo e, proprio per questo, di nessuna importanza. In questo caso le luci che svolazzano sarebbero paragonabili alla nostra nanotecnologia. Non capita quasi mai di domandarsi quali siano le preoccupazioni di un batterio, quindi mi sono fatto l’idea che al nostro ricercatore extraterrestre interessi poco della pacifica convivenza fra i popoli, e anche della rata del mio mutuo.
Che alcuni di questi esseri si siano da tempo infiltrati tra gli uomini, occupando posizioni di potere è un’ipotesi molto “umana” che spiegherebbe, assolvendoci, il malfunzionamento dell’intero sistema Terra. L’influenza degli extraterrestri sulla mia vita non sarebbe nulla di diverso da quello che già è, salvo nuovi peggioramenti.
Loro sono buoni e noi cattivi.
Se, come sostiene qualcuno, gli ONVI sono manovrati da creature senzienti e molto più evolute di noi, che calcano la terra da tempo immemorabile, allora forse la loro titubanza nel manifestarsi ha qualche giustificazione di tipo storico. Se fossero buoni, potrebbero aver mandato diversi ambasciatori già in tempi antichi e noi potremmo, magari involontariamente, averli ammazzati. A quanto pare le ultime parole di Gesù di Nazareth furono: “Elì, Elì, lemà sabactàni?” [Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?]. Con tutto il rispetto; l’evangelista Matteo di lavoro faceva l’esattore delle tasse e l’Imperatore Costantino era un mago del "copia/incolla". Non è escluso che il Nazareno, scrutando il cielo, abbia detto qualcosa del tipo “Venitemi a prendere che qui mi fanno fuori”.
Nel 1977 abbiamo lanciato nello spazio Il “Voyager Golden Record”, un disco contenente le informazioni sulla terra e i saluti in tutte le lingue del pianeta, ma potremmo aver ammazzato qualche messia anche dopo il ‘77.
Cosa vuol dire essere buoni? Non sentire il desiderio di far del male, senz’altro, ma significa anche avere mirabolanti capacità extrasensoriali, tipo lettura del pensiero e via dicendo? L’essere buoni implica, anche per loro, desiderare di aiutare gli altri? In questo caso il patrocinio di questi esseri “superiori” nei confronti degli umani lascia un po’ a desiderare. Per certi versi siamo portati ad attribuire agli extraterrestri le stesse prerogative, puntualmente disattese, che attribuiamo a un Creatore. Il fatto che il Creatore si sottragga alle proprie responsabilità, giocandosi la carta del libero arbitrio, non ci scoraggia.
“C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio” diceva Primo Levi. C’è sempre un’Armenia, una Cambogia, un Ruanda, un Mali o una Siria a disposizione di qualsiasi essere superiore desideroso di mostrare la propria bontà al mondo. Se Hitler fosse stato rapito dagli alieni prima di progettare l’olocausto nessuno sulla Terra se ne sarebbe lamentato.
Sono “cazzari” come noi, solo che loro hanno il Suv spaziale
Se nel mondo dal quale questi esseri provengono fosse in atto una guerra, allora potremmo considerarli rifugiati politici. Nulla impedisce loro di parcheggiare l’astronave a Ginevra e presentare la loro istanza a chi di dovere.
Ultima ipotesi: vengono sulla Terra per turismo, infilandosi tra i condominii come il Suv del milanese tra le acque dell’area marina più protetta della Sardegna. Questo spiegherebbe perché non si mischiano con i nativi e anche perché calpestano i raccolti disegnando cerchi nel grano.
A questo punto il fatto di averne visto uno mi sembra poco importante. Non saranno gli OVNI a cambiarmi la vita e certamente non sarò io a cambiare la loro. Cattivi, buoni o dotati di supertecnologia, non vogliono comunicare con noi e quindi “vederli” non ci serve a nulla.
Avevo sperato in una grande rivelazione, ma il mio Ufo ha dato buca, come i Maya. Le cose che so sono le stesse che sapevo prima.
Il fatto è che quando bevo tutto cambia, in meglio, almeno per un po’. La visita dell’Ufo, ne sono certo, giustifica e autorizza una bevuta colossale. Il senso di onnipotenza che arriva giusto un momento prima della nausea dura poco ma mi eleva allo stato di essere senza limiti. Credo di avere dei poteri inespressi, e delle domande talmente annoiate che quasi non cercano più risposte.
Anche oggi leggo dell’Ilva di Taranto e subito ripenso a Seveso. Sono passati trentasei anni dal disastro e, dopo aver dato un’occhiata alla foto in bianco e nero di Stefania, mi gira di chiedere a mia madre dove eravamo noi quel giorno.
Non lo ricorda, e nemmeno io. Ricordo i giorni successivi, il filo spinato e le tute bianche sulla Milano-Meda. I quotidiani locali raccomandavano di non mangiare frutta e verdura coltivati ai bordi della superstrada, ma solo fino a Desio. Delle persone, dei bambini travolti dalla nube, non si parlava.
Nei primi giorni gli abitanti di Seveso erano apparsi in televisione a descrivere l’accaduto con una certa tranquillità. Nei giorni successivi qualcuno lamentava il fatto che le autorità non avessero avvisato in tempo della contaminazione di frutta e verdura.
A distanza di quindici giorni morivano gli animali e i bambini sembravano bruciati dal napalm.
Tutti noi giovani ci domandavamo come avesse fatto la diossina a non prendere la superstrada verso sud, nella nostra direzione. E come avesse fatto il fiume Seveso, che passando dall’Icmesa arrivava fino a noi, a non contaminare anche il nostro suolo. Come facevano i vagoni ferroviari delle Nord a passare da Meda e Seveso senza portare fino a noi il veleno?
Le risposte non arrivavano e quando i giornali di Milano avevano iniziato a parlare di nascite di “mostri” e di aborto, una specie di amnesia collettiva aveva colpito tutta l’area a sud di Seveso.
Nella laboriosa, cattolicissima e ignorantissima Valle del Seveso le preoccupazioni erano altre. In ogni cantina, in ogni garage c’era un piccolo laboratorio, dove si incollavano, verniciavano , serigrafavano o metallizzavano i prodotti delle grandi aziende. Era l’indotto dell’indotto; quello che stava dando ad alcuni la possibilità di farsi la casa e andare in vacanza, ad altri di pagare l’affitto e ad altri ancora semplicemente di sopravvivere.
Si era sparsa la voce che avrebbero fatto chiudere tutti.
La soluzione era arrivata immediatamente: i giornali stavano ingigantendo i fatti. Nelle parrocchie assicuravano che a Seveso nessun bambino era nato malato e che, a parte le precauzioni con i generi alimentari, non era necessario mettere in ulteriori difficoltà i cittadini alimentando voci di inquinamento che avrebbero provocato il controllo e la chiusura dei laboratori della zona.
Si era concluso che poteva andare peggio e che la “provvidenza” aveva risparmiato i paesi vicini.
I cittadini di Seveso avrebbero affrontando il loro inferno completamente soli.
Stefania, la ragazza della foto in bianco e nero col viso devastato dalla cloracne, adesso è una donna, una bella donna. Di recente è andata alla tv per spiegare quanto l’incidente le abbia distrutto la vita. In zona qualcuno l’ha trovato un gesto inutile, perché in fondo, ci sono voluti sì un certo numero di interventi chirurgici , ma adesso sta bene e di certo le operazioni non le ha dovute pagare di tasca propria.
La provvidenza continua a dispensare favori anche a distanza di anni.
Leggo che per l’Ilva si pensa a un intervento statale di alcune centinaia di milioni. Leggo anche che il tipo di lavorazione non consente una vera e propria ambientalizzazione. Certo è che questo denaro pubblico, oltre al corrispondente importo di un certo numero di F35, potrebbe essere impiegato per una vera riconversione degli impianti e per un diverso impiego della manodopera. Un progetto nuovo, per una nuova Taranto; qualcosa che duri.
La contropartita per gli azionisti Ilva dovrebbe essere, al massimo, uno sconto sui danni finora causati alla popolazione. Gli azionisti, invece, hanno intenzione di approfittare del momento contingente per rifarsi gratis ciò che altri imprenditori hanno dovuto pagare di tasca propria. Consiglio a costoro, soprattutto a quelli italiani, la visione integrale del documentario “La fabbrica dei profumi” di History Channel e una profonda riflessione sul valore economico che un certo tipo di impronta, alla lunga, comporta. Inutile, secondo il mio parere, suggerire riflessioni estranee alla logica economica.
Da disoccupata senza ammortizzatori di sorta e da ammalata, mi permetto di suggerire agli operai dell’Ilva un coraggioso cambiamento di rotta che, pur esigendo le minime sicurezze, apra ai nuovi progetti. Vorrei anche che sapessero quanto la loro situazione sia presente in ognuno di noi; da nord a sud, se ne parla, e molto. Il 1976 era trentasei anni fa.
A Stefania vorrei solo chiedere scusa.