Era consuetudine, ai miei tempi, che gli insegnanti ci facessero studiare a memoria alcune liriche di autori tra i più importanti della letteratura italiana e tra questi non poteva mancare Dante Alighieri. Già a quel tempo il docente d'italiano della mia classe aveva preso l'abitudine di non chiamarmi con il mio nome anagrafico, ma conoscendo la mia predisposizione verso la scrittura e la composizione di poesie mi aveva affibbiato un nomignolo e quando decideva di farmi andare alla cattedra per le interrogazioni diceva: "Oggi venga il poeta"!
E quel giorno ci aveva imposto di studiare i primi versi del 1° Canto dell'Inferno.
Preso dalla foga di "strafare" io avevo imparato a memoria non solo tutto il primo canto, ma addirittura i primi 4 canti dell'opera dantesca.
Cominciai a declamare ma arrivato al verso 1.11 invece di ripetere quello che Dante aveva scritto declamai:
1. 10 Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
1. 11 tant'era pien di sonno "in su quel punto"
1. 12 che la verace via abbandonai.
Il professore si accorse che avevo "storpiato il verso di Dante, mi guardò fisso, ma non mi interruppe e mi fece proseguire.
Mi accorsi dello sguardo del professore e capii anche del perché mi aveva guardato.
In pratica io avevo "storpiato" volutamente il verso perché avevo intravisto nella forma utilizzata dal poeta un ipometro creato dalla sinalefe in ..sonnoˆa quel punto..." e, poiché mi sembrava che il ritmo perdesse un colpo e zoppettasse, introdussi quel "in su" che ripristinava l'endecasillabo e riportava la perfetta armonia ritmica al verso.
In effetti nel verso dantesco non c'era nessuna anomalia perché Dante aveva inserito lo stacco "tant'era pien di sonno // a quel punto" e, quindi, l'endecasillabo era perfetto per ragioni metriche, ma a me non piaceva quello stacco perché in effetti la declamazione veniva penalizzata nel ritmo proprio dalla strutturazione di quel verso.
Ma il mio professore mi guardò soltanto senza farmi alcuna osservazione ed io mi convinsi che anche lui forse fosse d'accordo con me e , se avesse potuto, avrebbe cambiato l'impostazione di quel verso secondo il metodo di lettura da me utilizzato.
Ed io continuai a declamare a memoria tutto il primo canto dell'Inferno e, finito il primo canto, cominciai a declamare il secondo.
A quel punto mi guardò fisso ed esclamò: "E allora?" e mi mandò al posto.
Non so se i miei compagni di classe si fossero accorti del cambiamento di verso da me operato, ma da quella volta continuai a ripetere la declamazione di quel verso sempre alla stessa maniera e, questa sera, mi sono di nuovo imbattuto sul primo canto della Divina Commedia ed io il versetto 1.11 ho continuato a declamarlo come lo avevo declamato più di sessant'anni prima.
Salvatore Armando Santoro
(Boccheggiano 12.02.2020)