I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Qualcosa che chiamo fine
Eravamo così uniti che abbiamo finito per perderci. Non è stata una scelta facile, la mia; né una scelta voluta. Tu non l’hai capito mai e non lo puoi ancora capire. Ti hanno finita, ma noi non siamo finiti; non ancora. Sono dovuto andare via, mi sono dovuto allontanare da quel marciume di persone che vili ti (e mi) hanno abbracciato in questi lunghi anni. È un anno e mezzo che non ti vedo; un anno e mezzo che ti penso e ti piango; ti sento e disperato afferro il tuo ricordo. Ed il tuo pensiero mi soffoca, mi intrica le ossa, mi permea l’anima. Non posso non pensarti, ma so che non posso più averti. Non mi do pace. Io non ho colpa: ora lo posso davvero affermare con sicurezza. Ma non basta, non può bastare! Tutto questo mi toglie il sonno, mi affatica il respiro, mi offusca la vista! E la rabbia si manifesta dirompente in tutta la sua stordente forza quando m’accorgo che loro s’addormentano la sera e si svegliano la mattina riposati e sereni. Sereni, sono sereni! Assassini, ignobili, riprovevoli esseri! Vivono sulla tua morte. S’innalzano fieri sulle tue macerie. Alzano gli occhi a Dio e lo ringraziano. E tu ringrazi loro della tua morte perché non sai di essere finita. Ed io scrivo.
Id: 1525 Data: 05/03/2015 18:54:53
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Sensate convinzioni
Io credo che la vita abbia un senso. Non sono ancora in grado di dire quale esso sia, né forse mai lo sarò, ma credo che tutto quello che mi circonda sia sottoposto a rigidi motivi d’esistenza. Non posso provare a credere all’amore, all’agonia, al perdono, alla musica, alla poesia, al successo, al fallimento presi così, ognuno separato dagli altri, svuotati ontologicamente di significato ed in vita esclusivamente per fornire un mero e illusorio equilibrio all’uomo. Non posso svegliarmi la mattina credendo che le emozioni che provo risulteranno un giorno essere state fini a se stesse; credendo all’inutilità della vita più che alla sua bellezza. Perché la vita è bella. Nonostante spesso, spessissimo, mi voglia far credere il contrario, io non mollo un solo sogno, non rinnego un solo attimo di dolore, non mi lamento d’aver ancora la forza di lottare; perché se ho ancora coraggio significa che posso ancora non cavarmela - quello è per i dilettanti, per i meschini qualunquisti e approfittatori -, ma trovare la bellezza che placherà la rabbia della mia anima. Sì, sono arrabbiato, sono incredibilmente furioso; ma allo stesso tempo sono infinitamente riconoscente verso quella nuvola di tutto che oggi mi circonda, mi fagocita, mi rinfresca, mi annebbia, mi chiama, mi insulta, mi odia, mi ama. Siamo legati. Come il vecchio contadino è assiduamente attratto al proprio campo di grano, che sia estate o inverno, che piova o risplenda il sole, io sono maniacalmente trasportato alla vita; e se per il momento tutto questo ha veramente poco senso, chi è in grado di chiudere il contadino in casa ad osservare i propri campi morire raccontandogli quanto sia inutile il sole che poi verrà la pioggia, quanto sia inutile la vita che poi verrà la morte?
Id: 1523 Data: 03/03/2015 17:59:08
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Estraneità
Tu non puoi capire. Nessuno può capire. Le persone che ci circondano credono d’aver agito bene, d’aver eseguito il copione alla perfezione; credono che tutto questo sia opera di Dio, sia stato scelto e voluto dall’Altissimo come situazione necessaria per la tua felicità. Quali livelli si raggiungono per evitare di trovarsi di fronte al mondo delle responsabilità e dei sensi di colpa. Nessuno ha colpa, perché la colpa non esiste; cos’é la colpa? È il rifugio del miscredente, dell’inetto, del superficiale, di colui che non vede altro che la sfera pragmatica e razionale delle cose, di chi non riesce ad soffiare via dalla coscienza pietre pesanti e ingombranti. Tu non puoi capire le scelte che ho fatto, né perché, testardo e troppo intelligente, continuo a mantenerle vive. Ci sono distese di campi e cieli azzurri; piazze, vie, monumenti, persone e sogni da percorrere e inseguire, ma ti hanno chiuso in questa bolla gigantesca dove farti perire nascondendoti il vero stato delle cose; dove farti immaginare di essere in colpa per ciò che sei e farti credere che tu, a differenza mia, ce la farai; perché io non ce l’ho fatta! Io malato, pazzo, eretico, disonesto, immaturo e debole non ho resistito e ho ceduto. Ho bisogno di aiuto, ti hanno detto. Cosa non sarebbero disposti a dire e a fare pur di distoglierti e soprattutto distogliersi dalla tua esistenza, ormai tragicamente compromessa. Ho bisogno di aiuto: non ti sembra strano? Certo che non ti sembra strano, non ti può sembrare strano: non sei tu che pensi, né tu che vedi, né tu che ascolti; non sono neanche i tuoi sogni, né i tuoi desideri; non il tuo futuro, né tantomeno il tuo presente: Sei soltanto una piccola bandiera appesa in cima all’albero di una barca a vela destinata a svanire alla successiva brusca tempesta; soltanto il sorriso appassionato della vita sul volto di chi ha scelto per te la morte. Tu non puoi capire. Non puoi capire cosa ti hanno fatto. Hanno sbagliato, han perseverato nello sbaglio, hanno fatto sì che io avessi le mani legate e non potessi aiutarti; e quando mi sono liberato era troppo tardi, perché le mani le ho trovate legate dalla natura, da un nodo troppo stretto anche per la più abile mano. E ti ho vista lentamente svanire, mentre negli occhi dei tuoi assassini ho visto brillare una luce. La luce di Dio, la chiamano; la luce del bene, della gioia, della felicità. Io lo chiamo il riflesso delle loro colpe, così manifeste all’occhio mio mestamente socchiuso e piangente il tuo corpo invisibile.
Id: 1522 Data: 02/03/2015 12:25:02
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Conoscenza infinita
Forse alla fine davvero si riduce tutto alla morte. Vuoto, nulla cosmico, non essere, non essere mai più. Spesso ci riempiamo l’esistenza di parole delle quali non conosciamo che una piccolissima parte di significato e su questa che noi crediamo ricchezza lessicale amministriamo i nostri desideri, le nostre relazioni, le nostre paure; insomma, un po’ tutto il nostro essere noi. Parole come mai, amore, morte, infinito, sempre: perché nutriamo questa presunzione a ergerci paladini del sentimento, dell’ignoto, del tutto? Perché sentiamo come corroderci l’anima se almeno una volta al giorno non pronunciamo una di queste parole? Perché siamo così legati ad avvenimenti, comportamenti e situazioni che non conosciamo e sappiamo di non poter conoscere mai, quantomeno in maniera dettagliata e approfondita? Forse alla fine davvero si riduce tutto alla vita. Pienezza, totalità celeste, essere e esserlo per sempre. Perché si tende sempre a voler vedere la fine per quello che superficialmente è, mai per quello che può forse celare, mai per quello che magari può raccontare. Sarebbe interessante scoprire che in realtà sarà veramente così: nel momento di minor splendore - anzi, nel momento in cui cessiamo di splendere - il nostro sapere che fino a quel momento risultava essere inappagato sarà venuto a trovarsi di fronte alla verità ineluttabile del cammino umano: la piccolezza ontologica e necessaria dell’uomo di fronte all’universo. Perché della morte, in fondo, sappiamo soltanto che arriva. Sappiamo soltanto che un giorno essa ci coglierà, in maniera sprovveduta o in maniera attesa poco conta ora; ma essa ci coglierà. Questo è tutto quello che sappiamo ed è particolare la differenza sulla conoscenza che abbiamo della nascita di noi stessi, dove sappiamo praticamente tutto. Non so, forse sta in questo il senso nascosto del timore e più in generale della nostra esistenza: la paura della morte vista come paura di troppa conoscenza; un sapere eccessivamente sconfinato, proibitivo per la capacità intellettuale e sentimentale di qualunque uomo sulla Terra.
Id: 1521 Data: 01/03/2015 17:57:41
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