I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Caro lettore
volevo raccontarti una storia, intessuta con parole e speranze che poi risultarono vane e furono trascinate via dal vento.
Quando ancora giovane mi affacciavo alla finestra della vita con entusiasmo e mille progetti, portavo in grembo il seme che sarebbe maturato tra sofferenze e tormenti.
La vita sa essere crudele e ci trascina inesorabile sui sentieri calpestati dagli anni, che faticosi si succedono senza darci tregua.
Essere piccoli e cercare l'amore come fosse acqua in arido deserto non è cosa semplice, e quando da fanciulli tendiamo la mano che resta implorante senza essere afferrata e stretta, allora diventa difficile farci una ragione del motivo di tanto dolore.
Il mondo procede, turbina veloce mentre noi rimaniamo indietro senza avere la forza di raggiungere quel sogno che ogni giorno si fa più lontano e remoto.
La solitidine di un indifferente universo teso alla proclamazione di diritti che non sono però i nostri.
Se poi oltre allo svantaggio di essere nati in un luogo lontano dalle luci della ribalta di un paese -civile-, aggiungi la nascita di un essere femminile, allora lo scoglio diventa una montagna e superarla diventa un miraggio.
Sei un peso da quando ti appresti a prendere aria al primo vagito, e mostrare devi il sesso mancato, sei solo un'altra bocca da sfamare e poi anche da accasare.
Kampala fu il nome che imposero a quel corpicino tutto ossa e vagiti, che presagivano solo altre lacrime e sofferenze.
Quando a due anni mia madre mi prese e allargandomi le cosce alla luce del sole espose il frutto di tanto peccato mai consumato, furono tagliati con fredda lama, pezzi di carne viva che urlava.
Febbre ed incubi a seguire, furono i miei compagni di viaggio per mesi di travaglio, per dare alla luce una femmina nuova pronta e cucita con spine appuntite.
Le mie sorelle non ne uscirono vive, e forse la loro sorte fu migliore della mia. Quel corpo mutilato sopravvisse allo scempio, ma non fu così per la mia mente infranta come uno specchio caduto.
A nulla valsero le cure di mia madre e mia nonna che mi consolavano con racconti di vita futura, con un uomo che avrebbe apprezzato la cucitura.
Infranto fu il sogno se mai ne avessi avuto uno, ed infine quella notte che il sangue iniziò a colare tra le mie gambe, presagio di commercio imminente del mio corpo, mi rifiutai di seguire il sentiero che era ben tracciato davanti ai miei occhi arsi dal pianto.
Sgattaiolai fuori dalla capanna, mentre il sonno alleato mi aiutava, corsi scalza veloce nel buio, ed una volta arrivata sul bordo del burrone scuro, volai senza indugio verso quel silenzioso baratro.
Caro lettore in questo momento storico in cui il mondo è alle prese con quella morte che tanto aborrite nel vostro presente, e che non riuscite più a vedere come naturale fine di un percorso di vita, in cui non vi soffermate a guardare e sentire oltre il profilo del vostro giardino.
Volevo solo ricordarvi che da sempre, ogni minuto migliaia di bambini muoiono di stenti, di guerra, di violenze, di infibulazioni.
Giovani, teneri germogli con le mani tese, ma nessuno o pochi stringeranno quelle dita per portarli fuori dall'inferno della loro vita.
Adesso volo in alto senza più dolore, e spero sempre di poter presto ammirare paesaggi migliori.