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Raccolta di testi in prosa di Savino Del Giudice
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I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Un viaggio in Irlanda

UN VIAGGIO IN IRLANDA

 

                                                  

 

CAPITOLO 1

 

 

Il calore…

Quel calore soffuso e prolungato che in quei momenti di estrema solitudine, mi confortava e dava un’inesorabile speranza la quale avrei voluto assaporare per tutta la mia vita. Il lungo ed estenuante trascorrere all’interno di quella cella ormai era diventato mio malgrado, l’unico appiglio che mi rimase riguardo la speranza di un domani migliore, ma alquanto incerto e inaspettato. Non avrei mai creduto di cadere così in basso nonostante tutte quelle piccole vicissitudini della mia esistenza che mi fecero riflettere sul fatto che un giorno o l’altro, mi sarei trovato in quella assurda vicenda. Io…uomo d’affari al culmine delle mie conclusive soddisfazioni e di innumerevoli accadimenti che portarono la mia vita ad un punto che non mi sarei mai aspettato, umiliato e deriso da tutto ciò che costruii con tanto fervore e accanimento…con la disperazione che aumentava di giorno in giorno e con il capo chino seduto su un letto il quale mi sembrò ormai il mio unico confidente, mi strinsi i capelli con tanta rabbia in corpo da non riuscire a comprenderne il motivo.

La vita oltre la mia comprensione trascorreva inesorabile senza che me ne rendessi conto e in quel momento, ebbi il timore di cadere nel baratro della frustrazione quando in quell’istante, non udii altro che l’insistente gocciolare dell’acqua sul pavimento.

Erano giorni, mesi forse…anni che condividevo qualsiasi cosa trascorreva all’interno di quelle quattro mura con chi mi stava intorno; l’abitudine ormai fece il posto alla costante consapevolezza di permanere ed affrontare il mio peggiore incubo ancora per non so quanto tempo.

Intravidi sfrigolare tra le pareti l’ombra della fiamma danzare in un sinuoso movimento incostante come se quell’apparizione fosse il mio unico amico, quasi a consolarmi e rassicurarmi sulle mie paure e sui miei risentimenti.

Le umide ed ingiallite pareti si stagliavano davanti a me come un muro invalicabile, una barriera in cemento che tratteneva tutti i miei desideri e tutte le mie speranze di una continuità di vita che si sovrapponeva all’angoscia di una razionalità cui non avrei mai voluto condividere con nessun’altro.

«Adesso che cosa faccio?» Pensai.

Come una cantilena estenuante quella frase continuava a rimbombare nella mia testa ogni volta che aprivo gli occhi, quasi per scongiurare i miei pensieri ormai distorti dal lungo permanere in quella gabbia, ripensai a tutti miei anni trascorsi cercando in qualche modo assurdo di rimediare ai miei errori ma senza un vano scopo, un minimo barlume di ripensamento poiché non avevo nulla da biasimare per quello che non feci, per le accuse mosse a mio carico. Il mio sguardo vagò costantemente per tutto il perimetro della cella, ero solo con me stesso e con i miei demoni che facevano di tutto per farmi perdere quella minima speranza che il mio cuore e tutta la mia anima ambivano ormai da tempo.

L’unico letto a castello appoggiato sulla parete nord era accora avvolto dalle coperte disfatte del giorno prima, inesorabilmente con quell’odore acre di chi non può usufruire delle comodità di un giaciglio caldo e confortevole che spetterebbe di diritto ad ogni essere umano. Il materasso cigolante e instabile che mi fece rimpiangere la casa di un tempo, dove il sorriso era ancora disegnato sfavillante sul mio viso. Ma scrollai insistentemente il capo per non pensare, per non far riaffiorare i ricordi che avrebbero potuto portarmi all’esasperazione di una via di fuga che forse, non sarebbe mai avvenuta. Alzai lo sguardo davanti a me come un automa in cerca di un qualsiasi appiglio razionale, poggiai distrattamente il braccio sul lavabo viscido, ingiallito del tempo e dall’igiene che ormai ebbe trovato altre dimore. Non mi resi conto dell’ora che si fece, ormai ogni giorno per me era uguale a tutti gli altri, appurai solo che tutte quelle anime perse che ormai erano diventati i miei compagni si stavano risvegliando da un sonno agitato e incostante.

«James, ci sono visite!» La voce di una guardia giurata, perché secondo il mio punto di vista si trattava ormai di suoni tanto abituato a non udire più un discorso concreto tra tutti gli uomini che mi stavano vicino, irruppe nella cella come un sussurro che mi scivolò addosso, quasi a non dar pero alle attenzioni rivolte a me da quei fantasmi che gradivano la mia presenza. La gola riarsa dall’umidità di quella notte, gli occhi ancora annebbiati a causa dell’inesorabile intorpidimento del sonno mi fecero per un attimo rinsavire dai miei pensieri.

«Arrivo!» fu l’unico suono incorporeo che produssero le mie corde vocali. Osservai per un attimo le sbarre gelide e arrugginite della gabbia scrollando la testa per rendermi conto finalmente che avrei potuto ottenere qualche minuto di libertà grazie a colui mi venne a trovare; sarcasticamente pensai che mi sarebbe piaciuto che quelle occasioni si fossero ripetute più repentinamente non tanto dal fatto delle persone che sporadicamente volevano assicurarsi che stessi bene, ma quanto alla soddisfazione di oltrepassare le sbarre. Erano ormai quattro mesi che mi ritrovai lì dentro ricordandomi solo il fragoroso battere della porta principale del carcere chiudersi alle mie spalle, essendo sempre stato un uomo razionale e con la testa sulle spalle, mi misi l’anima in pace rendendomi conto che non vi era nessuna scappatoia plausibile. Mi alzai faticosamente con i muscoli delle gambe indolenziti, il mio soggiorno mi fece dimagrire di ben trenta chili e ormai ero diventato pelle e ossa; i pasti che quotidianamente, alla stessa ora consumavo con estrema riluttanza erano la cosa più abominevole che mi fosse mai capitata ed era forse anche per quello, che in quel momento istintivamente mi premetti il busto constatando che non avevo più il fisico di un tempo. Le sbarre erano gelide…arrugginite lungo tutto il loro contorno e avvicinatomi con l’unico pensiero che dopo pochi istanti avrei potuto varcarle, le mie mani le strinsero come a rendermi conto che razza di posto era quello.

«Dai muoviti, non abbiamo tanto tempo.» Il fragoroso cigolio della porta mi fece rizzare i peli dopo che la guardia carceraria si prodigò a tirare fuori dalla cinta un mazzo di ferrose chiavi. Il rumore meccanismo e inusuale della serratura era così cupo, così ovattato che percepii persino gli scatti del chiavistello, il mio udito si era talmente sviluppato a quegli innumerevoli suoni repentini, che ormai non ne feci più caso e con un’arcigna…quasi beffarda e soffusa risatina sollevai lo sguardo per osservare minuziosamente l’uomo che mi si prostrava davanti.

Il suo atteggiamento nei miei confronti era uguale a tutti gli altri, non fece eccezione nonostante le voci sul mio conto. All’interno della comunità già si era venuto a conoscenza dell’errore giudiziario che mi era capitato ma purtroppo, la burocrazia e la sordità di certi elementi non poterono aiutarmi in nessun modo. Una sfavillante divisa lustra e curata in ogni minimo particolare; di un verde tendente al grigio, stirata a puntino e con il suo cappello luccicante il quale ne andava fiero; e come aver letto nei miei pensieri, gli apparve in viso un sorriso sarcastico, egocentrico; si stava prendendo gioco di me, di tutti quelli che non appartenevano al suo mondo perfetto e di assoluta regolarità. Attendeva con impazienza mentre lo fissavo da capo a piedi cercando di capire dal suo sguardo se avrei potuto in qualche modo conoscere l’identità della persona che mi era venuta a visitare.

«Arrivo, mi sciacquo la faccia e sono subito da te!» gli pregai fissandolo, attendendo una sua risposta permissiva che avrebbe potuto farmi credere non fosse l’uomo scontroso e strafottente il quale pensavo fosse. Un cenno accondiscendente del suo capo mi fece per un attimo dilatare le pupille ormai abituate all’imperterrito quadro che mi si presentava davanti come un’incredula apparizione. Mi avviai verso il lavabo e lo abbracciai facendo scorrere l’acqua ghiacciata, chinai la testa e mi accinsi ad allungare le mani sotto di quel frivolo d’acqua. Ci volle qualche secondo per far si che il mio corpo si abituasse alla temperatura ma quell’inebriante sensazione di freschezza, era l’unico sollievo che assaporavo ogni volta che aprivo gli occhi. L’asciugamano logoro alla mia destra mi osservava come a farmi capire che era l’unico modo per asciugarmi il viso, voltai lo sguardo verso il letto a castello e presi la coperta sapendo che quel tessuto era l’unico pulito in tutta la cella, mi scrocchiai istintivamente le nocche e la schiena quasi a rendermi conto che era il momento di uscire e mi avvicinai alla guardia che ormai mi stava dando le spalle. La porta si chiuse dietro le mie spalle con un tremendo frastuono, per quale motivo l’uomo che stava precedendo il mio cammino non mi informò ancora di nulla? Che cosa significava quel lugubre silenzio? La vista si concentrò su tutto il perimetro della prigione; ero al secondo piano… (anello, come lo chiamavano lì) ed effettivamente il penitenziario era un immenso circondario a forma di anello che si delineava quasi a dismisura; una dopo l’altra le celle mi scorrevano davanti agli occhi come frammenti di una vita dissolta, facendomi rendere conto che quella ormai era diventata la mia famiglia, una comunità assai ristretta la quale condividere ogni momento della giornata…qualunque sogno, ogni sentimento che l’anima di ogni uomo all’interno di quelle mura, avrebbero potuto desiderare. Il pavimento di ferro che si stagliava lungo tutto il perimetro del piano rumoreggiò fragoroso sotto i miei passi con quel suono metallico che accentuò il brusio e le voci dei molti carcerati che mi passavano davanti; ogni cella che incrociai aveva la sensazione di un nuovo incontro, di uno sperato ed eventuale approccio con il mondo al di fuori della mia stanza. Come demoni che fuoriescono dall’ombra alla ricerca di uno spiraglio di luce, visi contorti dalla tristezza si appoggiavano incuriositi dalle sbarre per vedere quelle rare novità che accadevano di rado. Uno sguardo, un minimo accenno di sorriso il quale avrebbe potuto generare una reazione da parte dei carcerati che mi passavano davanti agli occhi. Chi giocava a carte, molti che si prodigavano a riassettare con scrupolosa dovizia l’interno delle proprie celle come se quel ristretto spazio fosse l’unico barlume di vita che a loro era concesso e con mille pensieri che mi turbinavano in testa, continuai imperterrito a seguire giù per le scale la guardia che mi precedeva in quello spazio assai ristretto. Il piano dove alloggiavo cominciò a dileguarsi alla mia vista lasciando il posto ad un corridoio che serpeggiava lungo tutto l’ingresso del carcere. Cancelli di ferro ovunque, guardie carcerarie che meticolosamente troneggiavano in ogni direzione osservando ogni minimo movimento; trascorrendo la loro inesorabile permanenza in quel luogo erano cambiati, le vicissitudini che ogni giorno apparivano ai loro occhi, avevano fatto sì che il loro carattere diventasse duro e intrattabile. Erano diventati come degli automi agli ordini del loro superiore, rinchiusi in un mondo il quale sarebbe sopravvissuto il più forte e loro dovevano essere più forti e spietati di chiunque altro in quelle condizioni. Lungo il mio cammino ogni porta venne aperta con istintiva solerzia per poi richiudersi alle spalle, scrupolosi e ligi al loro dovere. Quell’odore, l’odore di chiuso che ogni volta raggrinziva i miei sensi che con mio immenso rammarico dovevo attendere ogni volta l’ora di libertà per lasciarmelo alle spalle, i rumori soffusi e indistinti del brulicare di vita che mi scivolavano addosso quasi a voler poi nascondersi alle orecchie dei presenti.

«Il tuo avvocato ti aspetta!» disse noncurante la guardia davanti a me mentre udivo i suoi passi rallentare; non si era degnato neanche di voltarsi e guardarmi in faccia tanto abituato a non dar confidenza a nessuno.

L’ultima volta che il mio avvocato mi venne a trovare fu un mese prima; ogni volta che si prodigava ad alzarsi dalla sua sedia era per venire ad informarmi di qualsiasi novità che sarebbe potuta venire a galla. Ci fermammo davanti alla porta dove i carcerati avevano la possibilità di colloquiare con i loro parenti, amici, persone che avevano un minimo barlume di umanità affinché il loro altruismo potesse regalare una vana via di fuga dai pensieri di ogni giorno, qualche minuto della loro esistenza in compagnia delle persone care offrendo un sorriso piuttosto che un pizzico di speranza che avrebbe potuto rinsavire i nostri desideri. In quel momento non ero eccitato, non pensai alla minima cosa tranne che la curiosità si sentire ed ascoltare quello che il mio avvocato avesse da dirmi, una qualunque informazione che avrebbe potuto mettere in ginocchio il pensiero della mia prolungata permanenza all’interno di quell’insopportabile penitenziario. Senza dire una parola spalancò la porta davanti e all’improvviso mi investì una luce quasi accecante, normale per chi trascorreva la vita esterna ma di gran lunga estenuante per chi permaneva in quelle quattro mura. Immobilizzato con gli occhi che si dovettero abituare alla luminosità di quella stanza, per un attimo socchiusi gli occhi per intravedere cosa mi si sarebbe prospettato.

«Avanti, hai dieci minuti!» apostrofò la guardia dandomi un leggero colpo con il suo manganello dietro la schiena, segno che la sua pazienza non era delle migliori rispetto a quella dei suoi colleghi. Come un topo intrappolato in gabbia…questa era la sensazione che provai quando ricevetti quell’inusuale affronto. Varcai la stanza lentamente con il pensiero che forse, a causa il mio estremo pessimismo non si sarebbe risolto nulla di concreto…che mi sarei alzato dal mio letto solo per essere informato del lento ed inesorabile progredire della burocrazia la quale per le persone che nella società non riuscivano a farsi strada, era lenta ed agonizzante. I nostri sguardi si incrociarono, un falso ma disinvolto sorriso trapelò dal suo viso per quanto riuscii ad intravedere. Un uomo piuttosto impettito e con il solo obbiettivo di frugare nella mente dei propri clienti ed approfittare di essi. Oggetti inanimati, sotto il suo punto di vista…le persone non erano altro che oggetti quasi insignificanti le quali avrebbero potuto far raggiungere il suo scopo di avidità ed egocentrismo ma in fin dei conti, in un momento di razionalità pensai che in effetti era il suo mestiere e non lo biasimavo se anche lui si rendeva conto che era solo una pedina nelle mani della burocrazia che tendeva i fili su tutti noi.

Alla mia destra vi era una guardia che in piedi e quasi immobile scrutava con cagionevole scrupolosità tutto quello che succedeva all’interno della stanza che in quel momento, era piena di gente che attendeva di essere accolta per qualche minuto dai loro parenti o conoscenti; il suo viso impassibile e inespressivo, come se avesse eretto una barriera invalicabile contro ogni prepotenza e avversità che circondava gran parte della sua vita. A volte pensavo cosa mai si sarebbe potuto celare nella mente di quegli uomini così scrupolosi e diligenti. Davanti a me si eresse la vetrata impenetrabile che divideva il mondo civilizzato dallo spauracchio che si trovava oltre i loro pensieri e in qualche modo convinti nell’assoluta sicurezza e speranza, di non finire al posto nostro. Non era un carcere di massima sicurezza quindi, non vi era bisogno di comunicare attraverso quelle assurde cornette, d’altronde, essendoci guardie appostate per qualunque nefasta evenienza non c’era bisogno di apportare quella sicurezza così drastica. Il mio sguardo vagava sui presenti; i miei compagni di penitenziario che colloquiavano con i loro parenti, i loro volti impressi nello sconforto e nel dolore come se tutto per loro fosse perduto e ogni tanto si poteva scorgere nei loro occhi, un barlume di speranza ogni volta che appuravano una qualche ed evasiva lieta notizia. Le luci soffuse delle lampade al neon resero quel luogo piuttosto sconcertante e mentre mi avviavo alla mia postazione, il mio avvocato sollevò lo sguardo con un’improvvisa reazione gioviale nei miei confronti. Ma sapevo che la burocrazia non fece eccezioni e per quanto fossi a conoscenza dei fatti, ero convinto che sarei stato lì ancora per un po’ di tempo; le accuse a mio carico erano improrogabili, senza un minimo di prova che avrebbe potuto inchiodare i miei accusatori non vi era via di uscita.

«Salve James!» Fu l’unico suono indistinto che produsse. Era quasi se avesse timore di me, delle mie reazioni nei suoi confronti qualunque potesse essere l’esito della nostra chiacchierata. La sua espressione che fino ad un minuto fa era alquanto impassibile, si trasformò in riluttanza.

«Allora, sono appena tornato dal tribunale e il giudice ha deciso che l’udienza sarà rinviata a due mesi.» mi informò di soppiatto senza giri di parole. Sapeva che non mi piaceva girare intorno ai discorsi e preferì dirmi le cose subito come stavano. L’uomo davanti a me si accorse di come in quel momento avrei potuto reagire; notò che il mio volto inespressivo si stava colorando di rosso segno che da un momento all’altro sarei potuto inveire contro di lui. Cercai in qualche modo di calmarmi dato che il personale di guardia alle mie spalle non ci avrebbe messo tanto tempo a sbattermi di nuovo in cella dopo che avrei potuto creare un minimo scompiglio tra i presenti.

«Mi vuoi fare intendere che dovrò stare ancora due mesi qui dentro?» La mia risposta era scontata, si profuse dalle mie labbra ormai come una certezza che avrei scommesso si sarebbe potuta avverare. Non credevo che quell’avvocato, il difensore che mi consigliarono e garantirono, fosse così superficiale e secondo il mio punto di vista quasi menefreghista.

«Adesso stai calmo!» cambiò subito espressione, dura…aggressiva.

«Le accuse a tuo carico sono pesanti, James non hai rubato una mela!» aggiunse sarcasticamente. Cercai di pensare, di farmi venire in mente cosa avrei potuto aver tralasciato, una qualunque cosa che avrebbe potuto farmi scagionare. Ma più la mia mente era occupata a pensare e più mi pervase quella sensazione di offuscamento che intorpidì tutti i miei sensi.

«La Coronwhealt Industries ti ha accusato di furto aggravato e di occultamento di informazione riservate. Questo tu già lo sai, e sarà difficile provare la tua innocenza solo sul fatto di alcune tue congetture. Sei a conoscenza dei loro loschi affari, ti sei intrufolato illegalmente nel loro database. Sei solo tu a conoscenza dato che le informazioni che hai assimilato sono ormai perdute…cancellate. Hanno distrutto tutti i file, tutti i documenti cartacei e hanno fatto in modo di far tacere le poche persone a conoscenza dei loro movimenti.

«Allora tu che cosa consigli di fare?» chiesi nella mia assoluta disperazione. Abbassai il capo per stringermelo tra le mani; due mesi, ancora due mesi in quell’inferno! Come stralci di diapositive in quel momento mi passò davanti tutto il mio periodo di permanenza all’interno del penitenziario, cercando con ogni mezzo possibile di frammentare ogni minimo particolare per scovare la più insignificante prova che avrebbe potuto dare una svolta a quella assurda vicenda. Ritornai con la mente al passato, da quanto appresi la notizia del loro illecito traffico, mettendo a punto ogni particolare che disgraziatamente avrei potuto tralasciare.

«Devi metterti l’anima in pace. Adesso l’unica cosa che puoi fare è restare calmo e lasciare che proseguano le indagini.» cercò di rassicurarmi.

«La polizia e la guardia di finanza sta mettendo a setaccio tutta l’azienda in cerca di ogni prova possibile. La cosa che eventualmente possiamo fare, è assumere un investigatore privato ma non so fino a che punto sarà utile.» aggiunse scrollando il capo in senso di diniego.

Fino a trentasette anni la mia vita era sempre stata dedita al lavoro ed alla famiglia; trascorsi la mia infanzia come tutti gli adolescenti non curandomi di cosa mi sarebbe potuto capitare in un futuro prossimo se fossi uscire dalle righe. Ogni giorno cercai improrogabilmente di occuparmi riguardo quello che Coronwhealt Industries aveva in serbo per me; responsabile della sicurezza amministrativa dell’azienda…ero sempre e in ogni momento scrupolosamente devoto alla mia mansione. Ormai la mia carriera stava progredendo inesorabilmente dopo lunghi anni di estenuante lavoro, la gavetta di otto anni mi fece capire che le mie prerogative erano diventate ben altre; la famiglia, il mio futuro e tutte quelle considerazioni che ogni giorno vennero a galla, grazie al mio carattere puntiglioso e razionale. Ma qualcosa non mi quadrava…

I dirigenti dell’azienda con il progredire degli anni divennero avidi e assetati di tutti quegli ideali insensati i quali ambiscono tutti gli uomini d’affari. Un bel giorno, in quello stesso anno mi diedero una promozione: il presidente della Coronwhealt Industries…noto colosso il quale si occupava di consulenza finanziaria aveva bisogno di un assistente e quel ruolo, era capitato a me. Mi sentii al culmine della soddisfazione, tra i numerosi dipendenti assunti non avrei mai creduto che avessi potuto godere di quell’opportunità e ovviamente, non mi tirai indietro. Accettai di buon grado l’offerta che mi era stata proposta e cominciai a vedere il mondo sotto un altro aspetto.

Ero lì, seduto su uno sgabello di ferro ghiacciato che stavo osservando il mio difensore continuare a parlare, a fare in modo che non perdessi le staffe. Ormai ottemperato a pensare alle mie passate vicissitudini, la sua voce mi apparve un confuso suono ovattato che mi scivolò addosso.

I giorni, i mesi trascorsero con estrema enfasi al pensiero del mio nuovo incarico, mi occupai prevalentemente di tenere sott’occhio i movimenti finanziari dell’azienda riportando direttamente al presidente ogni minima cosa che lo potesse riguardare. Mi ricordai che un giorno mi trattenni oltre l’orario di lavoro per terminare di supervisionare i conti di un nostro autorevole cliente visto che il mio superiore, intendeva indagare più a fondo sulla sua situazione finanziaria. Sotto questo aspetto era piuttosto scrupoloso e non guardava in faccia a nessuno pur di perdere la stima dei suoi clienti.

Assorto e concentrato sui movimenti dell’azienda e confrontandoli sugli aspetti amministrativi qualcosa non mi quadrava, non tornavano i conti. Mi resi conto che L’azienda ebbe sottratto un’ingente quantità di denaro ad una società fittizia cui era appoggiata da più di dieci anni. A mio avviso la razionalità prese il sopravvento; il mio ruolo e di gran lunga il mio carattere non consistevano ad indagare sugli affari dell’azienda anche perché mi resi conto, che se le mie congetture fossero state vere mi sarei messo in grossi guai. Cercai in tutti i modi di convincermi che tutto era falso, magari fosse stato un mio sbaglio o una mia distrazione. Ma riguardando attentamente tutto una seconda volta non ebbi dubbi…stava accadendo quello che in un primo momento avevo arguito. Non seppi chi ne era coinvolto o se i miei superiori erano a conoscenza di una tale situazione ma restando con i piedi per terra e ragionando sulla moltitudine di conseguenze che avrebbero potuto evolversi una volta trapelata la notizia, cercai di non seguire il mio istinto e di tenere la bocca chiusa. Pensai che forse fossero stati i miei superiori a trafugare quegli enormi conti dalle tasche dei risparmiatori ragion per cui, dovevo tenere tutto a tacere. Quella sera non vi era nessuno in ufficio tranne che le mie congetture e il mio senso del dovere riguardo al ruolo che mi avevano concesso di intraprendere. Osservai scrupolosamente la tastiera sotto i miei occhi conscio del fatto, che me ne dovevo andare al più presto con il timore che in quel momento mi avrebbe sorpreso qualcuno frugare tra i documenti. Certo, non vi era nulla di sbagliato visto che tutto quello che stavo facendo era in assoluta regola ma ormai dovevo diffidare di chiunque, guardarmi alle spalle con estremo riservo visto che forse, ero l’unico a conoscenza di quei fatti.

«Io sono innocente e tu lo sai.» Sbottai scattando in piedi e battendo le mani sull’acciaio del banco proprio ad un metro dall’uomo che in quel momento stava facendo di tutto per farmi uscire, almeno in libertà vigilata fino a che non si sarebbe concluso il processo.

«Ehi!» la voce di una guardia irritata alle mie spalle mi intimò di stare tranquillo, a non perdere le staffe per non finire senza alcun ripensamento all’interno delle mie quattro mura. L’avvocato con un cenno della mano, fece capire al militare che tutto era sotto controllo quando con un’espressione di disappunto fece due passi indietro per rimettersi al suo posto.

«Devi cercare di stare calmo, sto facendo tutto il possibile. I loro avvocati come ben sai sono di gran lunga più tenaci e non mi stupirebbe se siano anche ben pagati. D’altronde come ben sai, ti stai mettendo contro un colosso e solo delle prove tangibili possono scioglierti da questa accusa.»

 



Id: 1381 Data: 20/02/2012 12:34:41

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Il regno nascosto di Scozia

SCOZIA, TERRA D’INCANTO

 

 

 

 

 

 

 

PREFAZIONE

 

 

Esistono nel mondo terre sconfinate, luoghi magici dove l’uomo non vi ha mai messo piede, dove la mente non ha mai raggiunto il confine tra ragione e natura. Vi sono tra di noi terre incantate dove gli spiriti della natura gioiscono e narrano ancora di vite passate e destini che si compiranno; uno di questi luoghi è la Scozia. Terra selvaggia e di incantevole bellezza dove si può assaporare tutto ciò che è in ognuno di noi. L’aria che si respira, le innumerevoli sensazioni e la terra che si calpesta in ogni angolo, ha il profumo della vita e di tutto ciò che un uomo può desiderare poiché in quei luoghi sperduti e magici, si può ancora assaporare la vera essenza della madre terra e di tutto quello che vi si nasconde in essa.

 

 

                                                                 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

 

 

Tutto ebbe inizio alcuni anni fa: Scozia…2004.

 In quell’anno per me piuttosto incerto e buio, mi ritrovai catapultato senza rendermene conto in un luogo magnifico, al di fuori dello spazio e dal tempo dove non avrei mai creduto che si potesse ritrovare tutto quello che avevo perduto. Quel breve periodo della mia esistenza fu alquanto affascinante ma ahimè, allo stesso tempo doloroso e pieno di ricordi e risentimenti. Non capii il motivo per cui intrapresi quell’assurdo viaggio, forse per fuggire dalle mie paure o molto più semplicemente per ritrovare me stesso. Due anni prima da quell’imminente partenza, precisamente nel mese di gennaio dopo mesi di sofferenze, il cancro portò via mio padre; gli stetti accanto fino alla fine dei suoi giorni…trascurando me stesso e tutto quello che mi circondava. In quel frangente della mia esistenza non esisteva nulla tranne che lui…il pensiero e la speranza che forse sarei riuscito a cambiare le cose, finché non esalò l’ultimo respiro in un letto di ospedale e lo stesso destino, toccò a mia madre quattro mesi dopo. Non trovai mai le parole per descrivere il mio stato d’animo in quel periodo; il mondo mi era letteralmente crollato addosso e non riuscii a trovare più un punto di riferimento dove aggrapparmi e ritrovare la tranquillità di un tempo.

Le persone a me care mi stettero vicino confortandomi e consigliandomi al meglio la strada più plausibile che avrei dovuto intraprendere e a settembre di quell’anno, mi trasferii in Liguria per questioni affettive rendendomi conto che ormai non potevo più sopportare di restare in quella casa; troppi ricordi e troppi sentimenti che si accumularono inesorabilmente nella mia testa e che solo il tempo avrebbe potuto lenire, ma nel mio intimo sapevo benissimo che non sarebbe stato facile superare tutto.

Pensavo che se fossi rimasto ancora lì, tutto quello che mi circondava mi avrebbe portato all’esasperazione. Per un lungo periodo trascorsi la mia permanenza in Liguria contemplando quel luogo stupendo e confortevole, familiarizzai con parecchia gente e feci molte amicizie che gradatamente mi fecero alleviare il dolore e poco alla volta, mi ricostruii una vita…ma i ricordi riaffioravano ogni volta che chiudevo gli occhi e per quanto cercai di distogliere la mia mente da quell’estenuante ricordo, mi resi conto che non arrivavo a nulla di concreto.

Dovevo fare assolutamente qualcosa.

Un giorno come tanti altri presi qualche ora di permesso dal lavoro per svolgere alcune commissioni; mi recai in comune per prelevare dei documenti, acquistai alcune cose per la casa e visto che mi era rimasta qualche ora libera, mi fermai per strada davanti alla vetrina di un agenzia di viaggi.

La giornata era piuttosto soleggiata e una leggera brezza spirava tra le nude montagne scuotendo le chiome degli alberi intorno alle strade e nonostante fosse metà pomeriggio, le vie del paese erano ancora ghermite di gente girovaga freneticamente intenzionate a fare gli ultimi acquisti.

Osservai quasi svogliatamente le varie offerte proposte dalle compagnie aeree e in quel momento pensai che mi sarebbe piaciuto prendermi qualche giorno di ferie per visitare qualche luogo lontano; vagai con lo sguardo e alla fine intravidi un’occasione che fece proprio al caso mio.

Prima di entrare a chiedere ulteriori informazioni, sostai davanti alla vetrina assorto nei miei pensieri. Personalmente non avrei mai pensato di intraprendere un viaggio senza valutarne bene la destinazione e le eventuali conseguenze.

La Scozia; decisi di scegliere quella destinazione dopo essermi informato bene su i costumi e le usanze di quel luogo sconfinato e proprio in quel periodo, mi capitò l’occasione e la fortuna di andarci.

Il suono di un clacson a poca distanza, mi fece rinsavire dai miei pensieri e mi accinsi ad entrare in agenzia voltandomi distrattamente con il pensiero che qualcuno in quel momento fosse a conoscenza dei miei desideri.

L’interno del locale era molto piccolo; espositori di varie dimensioni tappezzavano le pareti mostrando ogni tipo di depliant e offerte low coast, erano visibili su cartelloni pubblicitari appoggiati sugli scaffali a muro. Al centro del locale troneggiava un bancone con una graziosa commessa che appena incrociò il mio sguardo sorrise cordialmente:

«Desidera?» chiese giocherellando con una penna intorno alle dita. Quel gesto mi parve molto seducente e le sorrisi in tutta risposta ammirando il suo modo di comportarsi nei miei confronti.

«Si, desidererei trascorrere qualche giorno in Scozia.»

«Complimenti, lei ha buon gusto!» rispose alzandosi prontamente dalla sedia pensando che ovviamente il suo complimento fosse scontato. La ragazza si avviò verso alcuni scaffali e prese avidamente due opuscoli dopo averne scelti alcuni con cura, si avvicinò a me sempre con il suo sorriso stampato in viso e me li porse per poi tornare a sedersi dietro al bancone.

«Ha già un’idea di dove voler alloggiare?» Con un gesto della mano mi fece accomodare su una sedia davanti a lei. Istintivamente sorrisi scuotendo la testa al pensiero che la commessa non fosse interessata al viaggio in se, ma solo all’introito economico che sicuramente avevano con i loro alberghi e ostelli convenzionati.

«Avrei deciso di visitare tutta la Scozia pernottando a Glasgow per poi trascorrere il resto dei giorni verso nord.»

Trascorse una mezz’oretta prima che decidemmo finalmente l’itinerario da seguire dopodiché la commessa, stampò il biglietto aereo e mi informò scrupolosamente sulle ultime faccende burocratiche che avrei dovuto conoscere prima di partire.

In quel momento la mia mente era altrove; udii il rumore gracchiante della stampante mentre fissavo le pale del ventilatore fissato sul soffitto che giravano freneticamente producendo un rumore soffuso e ovattato. Pensai a che cosa avrei potuto trovare una volta atterrato in Scozia e riflettei sul fatto di ricorrere a qualche mezzo per potermi districare tra le innumerevoli vie della città che avrei visitato in ogni suo aspetto.

Nel tardo pomeriggio tornai a casa con il biglietto stretto tra le mani.

 

La notte di Santo Stefano; a metà estate tutte le entità fatate si riuniscono al chiaro di luna per far festa. Festeggiano cavalcando pecore e i cani dei pastore facendo scorribande fino a notte fonda.

 

«Ma ti sei ammattito?» si infuriò un mio collega.

«Cosa ti salta in mente, perché vuoi andare da solo?»

Come ogni mattina mi recai sul posto di lavoro di buon ora dato che l’azienda era a poca distanza dalla mia abitazione e non trovai quasi mai traffico lungo il tragitto. Nell’ambito lavorativo mi trovai a mio agio; era un ambiente stupendo e tutti i miei colleghi mi trattavano come uno di famiglia. Grazie al passaparola seppero anche loro dell’accaduto e cercavano in ogni modo di distrarmi dai miei pensieri ricorrenti che ogni volta, mi invadevano come demoni pronti ad approfittare delle mie paure e delle mie debolezze ma, non volevo essere assolutamente compatito per cui quasi sempre mi comportavo come se non fosse accaduto nulla.

«Non ci sei mai stato in Scozia, ti sentiresti sicuramente disorientato in un ambiente molto diverso dal nostro. Con chi è che ti confiderai, a chi chiederai tutte le informazioni che hai bisogno…il tuo inglese ormai sarà arrugginito!» ammise Andrea agitando freneticamente le mani. Stetti ad ascoltarlo in silenzio e dopo che ebbe terminato di parlare, aprii bocca:

«Me la caverò, non ti devi preoccupare. Guarda che mica mi trasferisco. Starò lì solo per qualche giorno» mi giustificai cercando di tranquillizzarlo.

Lo fissai per un istante e la cosa mi sembrò alquanto strana; non mi sentivo euforico come avrei sperato di essere, speravo che la permanenza in quel luogo lontano da tutto quello che mi circondava sarebbe servita a qualcosa ma dentro di me, sapevo che non sarebbe stato così…nessuno mi conosceva meglio di me stesso.

«Vuoi che venga con te?» chiese Andrea dopo un momento di pausa.

«No, voglio andare da solo.»

Ero fermamente deciso, e a meno che non fosse accaduto qualcosa che mi avrebbe fatto cambiare idea, sarei partito comunque senza alcun ripensamento.

Quella sera tornai a casa stanco e spossato; era ancora presto, il sole stava tramontato colorando il cielo di un rosso tenue e sinceramente non mi sentii in vena di trascorrere il resto della giornata sdraiato sul divano a guardare la televisione e rimuginare sul passato. Uscii e presi la macchina dirigendomi in paese;  parcheggiai in centro e mi inoltrai a piedi tra le vie trafficate.

Le strade proliferavano di gente che andava e veniva da ogni angolo e intravidi alcuni ragazzi in costume da bagno che si diressero verso le spiagge vicine a prendere gli ultimi raggi di sole. Il traffico era intenso e vagando per le strade incrociai la vetrina di una libreria. Pensai che forse sarebbe stato meglio munirsi almeno di una guida turistica per il viaggio dato che l’agenzia dove acquistai il biglietto ne era sprovvista e sinceramente, non avrei voluto trovarmi all’aeroporto di Prestwich senza sapere dove andare.

Appena entrai all’interno della libreria mi pervase un odore gradevole che mi solleticò il naso; una fragranza di incenso misto all’odore della carta dei libri, difatti, allungando lo sguardo tra gli scaffali intravidi sul bancone uno di quei curiosi bastoncini etnici che bruciava disperdendo un rivolo di fumo che si disperse nell’aria. Percorsi tutto il locale alla ricerca del reparto dove avrei sperato di trovare le guide turistiche, mentre ogni tanto i miei occhi si destreggiavano tra libri storici e racconti fantastici e dopo alcuni minuti, mi ritrovai di fronte al reparto desiderato dopo aver letto qualche trama interessante; vi erano una moltitudine di guide, cartine di ogni dimensione e svariati opuscoli. A volte mi sentivo combattuto sul fatto di partire veramente o restarmene al sicuro avvolto nella razionalità di tutti i giorni, ma ormai avevo deciso; tutto quello che avevo di più caro se n’era andato, ma era anche vero che intorno a me vi erano ancora persone che mi volevano bene e che avrebbero fatto di tutto per me, in qualunque momento non mi avrebbero mai lasciato solo.

I miei occhi affabili cercavano di individuare qualche guida dell’isola mentre il tempo intorno a me era come se si fosse fermato; non udii più il trambusto cittadino all’esterno della libreria e le persone che mi circondavano erano come anime inquiete alla ricerca di chissà che cosa.

«Ecco!» sospirai allungando la mano. Afferrai con avidità una guida del luogo, cominciai a sfogliarla lentamente e mi concentrai su quello che stavo lentamente apprendendo. I capitoli erano divisi in storia del paese, una dettagliata cartina topografica e curiosità piuttosto che itinerari da percorrere per chi ovviamente non conosceva la Scozia in tutta la sua bellezza. Soffermandomi sui capitoli in verità, non vidi nulla di particolarmente nuovo dato che tempo a dietro lessi alcuni libri a riguardo e in quel momento, sperai vi fosse qualche notizia che mi sarebbe potuta ulteriormente interessare.

Trascorsero alcuni minuti durante i quali mi concentrai sulla cartina per seguire i percorsi che mi sarebbero piaciuti percorrere quando notai con la coda dell’occhio, una figura che mi stava osservando da poca distanza. Quasi d’istinto chiusi la guida tra le mani e mi voltai in direzione dell’uomo che inspiegabilmente era interessato a quello che stavo leggendo pensando che fosse stata una delle tante persone che a tutti i costi volevano intromettersi nei fatti altrui.

«Mi scusi?» chiese accorgendosi di essere stato notato.

«Mi chiedevo se lei fosse stato già in Scozia nella sua vita?» aggiunse sorridendo.

Era un uomo di mezza età piuttosto grosso e sfoggiava una prorompente barba brizzolata e ispida che gli cadeva lungo il petto. La cosa strana e curiosa che notai era una singolare luce nei suoi occhi, forse era stato il riflesso di qualche luce ma cercai di non metterlo a disagio…strana sensazione!

«No per me è la seconda volta, perché?» chiesi.

«Beh, una scelta piuttosto bizzarra. Effettivamente in questo periodo dell’anno non fa molto freddo, ma la Scozia è bella visitarla durante l’inverno. In questi mesi perde tutto il suo fascino.»

Non risposi nulla; appurai che forse a quell’uomo gli mancava qualche rotella, gli sorrisi gentilmente e lo ringraziai per il consiglio datomi.

«Forse un giorno ci rincontreremo…forse proprio lì!» terminò il discorso strizzandomi l’occhio per poi dileguarsi tra gli scaffali della libreria.

Ero perplesso; fissai il vuoto cercando di capire che cosa avesse voluto intendere e soprattutto il motivo per il quale si era rivolto a me con tanta gentilezza; d'altronde, non lo avevo mai visto e con il suo volto impresso nei miei occhi mi avvicinai alla cassa.

«Ventun’euro con lo sconto!» Una signora mi fissò da dietro il bancone attendendo che prendessi il portafoglio per pagare, dopodiché prese un sacchettino e mi ringraziò regalandomi alcuni segnalibri che infilò frettolosamente tra le pagine della guida. Uscii dalla libreria e mi sbrigai a fare gli ultimi acquisti per il viaggio che secondo le mie aspettative si sarebbe prospettato interessante dopodiché, mi avviai verso casa.

Quella sera nessuno si azzardò ad aprire bocca dato che già erano a conoscenza della mia imminente partenza e sapendo com’era fatto il mio carattere, volevano discuterne con me cautamente per non farmi sentire troppo in colpa o alla peggio farmi irritare; mi sdraiai sul letto della stanza a guardare un po’ di televisione poiché in quel momento non mi andava di parlarne, sicuramente a tempo debito, avrei dato loro tutte le spiegazioni che avrebbero voluto sapere.

L’indomani, mi misi d’accordo con dei miei colleghi per trascorrere un fine settimana in montagna, ne approfittai visto che quei giorni erano ancora caldi e soleggiati e chissà quando avrei potuto trovare il tempo per andare a fare una scampagnata tra gli immensi e intricati boschi della Liguria.

«Sei proprio sicuro di andare in Scozia?» mi chiese Marco mentre si dondolava su una sedia nella sala.

«Che c’è di strano?» risposi alzando le spalle. Conoscevo molto bene Marco e sapevo che era molto provato da quando ricevette la notizia della scomparsa dei miei genitori. Comprendevo che era in ansia e feci di tutto per non nascondergli nulla; lui mi fece un cenno con la mano quasi a zittirmi.

«Lascia che venga con te.» incalzò socchiudendo gli occhi e fissandomi in silenzio sperando accettassi la sua proposta.

«Beh, non ti nascondo che mi piacerebbe almeno mi faresti un po’ di compagnia. Ma come faresti per il lavoro?» chiesi. Lui mi osservò con quell’aria da chi cade dalle nuvole.

«Dovresti prendere qualche giorno di ferie?» aggiusti sperando di fargli capire che avrebbe dovuto pensarci bene.

«Tu non ti preoccupare per le ferie e poi, sono sempre stato curioso di visitare qualche paese nordico.» Il pensiero che il mio collega sarebbe stato disposto ad accompagnarmi mi fece molto piacere, anche se sapevo che probabilmente lo avrebbe fatto per pura compassione nei miei confronti e per volermi starmi vicino a tutti i costi. Tra di noi con il passare del tempo, si era instaurata una profonda amicizia basata sulla fiducia e il rispetto reciproco, ne avevamo fatte di tutti i colori e sapevo che in qualsiasi momento, non mi avrebbe lasciato in balia dei miei pensieri ossessivi.

In quel momento eravamo in sala che stavamo sorseggiando un bicchiere di vino mentre stavamo navigando su internet alla ricerca di qualsiasi informazione utile riguardo ai luoghi dove era nostra premura visitare. Ci divertimmo molto e restammo alzati fino a tardi poiché non avevamo tanto sonno e sapevo che se mi fossi appoggiato sul letto, non mi sarei addormentato tanto eccitato da una moltitudine di sensazioni che albergavano nella mia testa.

«Quand’è che hai l’aereo?» mi chiese prendendomi alla sprovvista.

«Il ventidue alle 16:30» risposi leggendo la data sul biglietto appoggiato sul tavolo. Marco sollevò lo sguardo come a ricordare qualcosa.

Ormai le tenebre erano calate e il sottile canto dei grilli sovrastava i nostri discorsi, voltai lo sguardo fuori dalla finestra e notai le luci del palazzo di fronte che cominciarono a spegnersi una dopo l’altra.

«Allora sarà meglio che domani chieda qualche giorno di ferie. Mancano due giorni e dovrei anche sbrigarmi ad acquistare il biglietto.» Sorrisi per un attimo al pensiero di quello che Marco stava facendo per me; non credevo avesse avuto il coraggio di arrivare a tanto. Oggigiorno è difficile trovare persone che siano disposte a condividere parte della vita con chi è intorno a loro e pensai che forse, sarebbe stato uno sbaglio approfittare della sua bontà. Mi alzai dal letto e mi avviai verso l’orologio a parete per poi rendermi conto di quanto effettivamente fosse tardi e mi rivolsi dopo qualche minuto al mio collega.

«Si è fatto piuttosto tardi, ci vediamo domani.» Lui si alzò alquanto costernato e si avvicinò a me; mi fissò con aria compassionevole e accennando un sorriso smorzato mi disse:

«Mi dispiace tanto per i tuoi Fulvio, ma cerca di farti forza e soprattutto non fare colpi di testa.»

«Grazie di tutto Marco, ma non ti devi preoccupare. Me la dovrò cavare da solo, anche se mi rendo conto che non sarà facile e solo il tempo forse, potrà alleviare il mio dolore» risposi abbassando lo sguardo.

«Ci sono persone intorno a te che ti sono ancora vicine e devi pensare a loro adesso, non devi trascurarle capisci?» sussurrò.

«Un giorno non molto lontano ti farai una famiglia e vedrai che sarà tutta un’altra cosa, non intendo che li dimenticherai, ma quando ti sarà concesso di avere un figlio vedrai che assaporerai la vita sotto un’altro aspetto.» Dopo un attimo allargò le braccia e mi strinse forte, mi premette la mano e si avviò verso l’uscita di casa.

Il rumore assordante della porta sbattuta, mi fece sussultare; forse non mi sarei mai abituato al pensiero di stare da solo, ma sapevo benissimo che ormai me ne dovevo fare una ragione.

Quella notte nonostante gli sforzi non riuscii a prendere sonno, una moltitudine di sogni confusi e senza senso mi agitarono. Visioni di vite passate e desideri incompiuti. Non capii la ragione per cui scelsi come destinazione del mio viaggio la Scozia; terra incantata e così magica…forse lì, in quei luoghi misteriosi e incontaminati avrei trovato le risposte alle mie domande. Alla fine dopo pochi minuti piombai in un sonno profondo.

«Ti vuoi decidere ad alzarti o vuoi stare ancora lì a poltrire sotto le coperte?» Senza che me ne accorgessi squillò il cellulare; mi sollevai dal letto ancora intorpidito dal sonno, mi voltai verso il comodino e guardai l’ora quando poco dopo mi premetti la testa sbuffando.

«Arrivo! Scusa, ho dimenticato di puntare la sveglia» risposi tirando frettolosamente su la tapparella.

«Muoviti Fulvio, sono le nove» aggiunse Marco dall’altra parte del cellulare; chiusi la chiamata senza lasciarlo proseguire e mi massaggiai gli occhi cercando di riprendermi. Una colazione abbondante mi aspettava sul tavolo della cucina, ero di fretta, mangiai il necessario e uscii di casa salutando Angela per poi avviarmi al parcheggio sotto casa per prendere la macchina. Il lavoro era già cominciato da un pezzo e tutti gli operai del magazzino stavano svolgendo le proprie mansioni; entrai all’interno della portineria dell’azienda e mi voltai verso il piazzale. I camion dei fornitori erano già in fila attendendo che i dipendenti svuotassero i loro mezzi per poi far ritorno alle loro faccende quotidiane. Timbrai il cartellino e mi avviai alla svelta verso il magazzino sperando di non ricevere nessun rimprovero da parte del mio capo per via del ritardo. Conoscevo benissimo il mio datore di lavoro e sapevo che era un uomo piuttosto diligente; se vi era una cosa che non sopportava più di tutte erano i ritardi da parte dei suoi dipendenti.

In quel preciso istante, dopo aver salutato alcuni miei colleghi salii sul muletto e mio malgrado lo scorsi con la coda dell’occhio che si stava avvicinando a me con aria spazientita.

«Si può sapere perché sei arrivato in ritardo? Almeno abbi la cortesia di avvertire!» alzò la voce incrociando le braccia con aria di sfida.

«Mi scusi non succederà più, è che purtroppo ho incrociato un po’ di traffico per strada» fu l’unica scusa che mi venne in mente.

«Vediamo di sbrigarci, i tuoi colleghi sono già al lavoro. Ricordati che ti ho dato una settimana di ferie, non farmi pentire di avertela data, ok?» Ci fissammo per qualche minuto studiandoci a vicenda mentre alcuni dipendenti si divertivano ad osservare la scena. Scrollò la testa e si avviò verso il suo ufficio sbattendosi la porta dietro le spalle. Lo seguii con lo sguardo attraverso il vetro a parete e cominciò ad agitarsi con un suo collega seduto dietro ad una scrivania scrollando la testa; appurai che stavano discutendo riguardo il mio comportamento durante l’ultimo periodo e mi allontanai poiché non mi sembrò il caso di origliare.

«Tutto bene?» mi chiese Marco inclinando la testa.

«Se ti riferisci a la strigliata di poco fa, beh, d'altronde non aveva tutti i torti.»

«Non ci fare caso, per lui è un brutto periodo e cerca ogni scusa per prendersela con gli altri» aggiunse tirandomi scherzosamente una pacca sulla schiena.

«Allora, sei pronto a partire?» sorrise. Intanto, di lì a poco sarebbe arrivata l’ora di pausa. Le macchinette del caffè si trovavano all’entrata del magazzino e ne approfittai per andare a prendere qualcosa da bere. Tra gli svariati argomenti di cui discutemmo, mi rivelò che aveva uno zio a Fort William che ogni tanto lo invitava a trascorrere qualche giorno da lui e a quanto capii voleva usufruire anche di quell’occasione che come lui disse, non seppe quanto gli sarebbe più capitata. Dedussi che in quel momento il mio collega stava rimuginando qualcosa in testa, dato che rimase assorto nei suoi pensieri per qualche minuto distogliendo lo sguardo; i suoi occhi si illuminarono e continuava a voltarsi in continuazione alla ricerca di qualcosa che solo lui poteva sapere.

«Non ti preoccupare per mio zio» mi rassicurò.

«Lui sarà contento quando mi vedrà e soprattutto in compagnia di qualche suo amico» aggiunse. La giornata era meravigliosa, il sole riscaldava l’aria tanto che dovemmo metterci a maniche corte. Il lavoro proseguì inesorabile come ogni giorno e ormai mancavano pochi minuti all’ora di pranzo. Marco mi confidò che non vedeva l’ora di partire:

«Mi farà molto piacere la tua compagnia, ma devi sbrigarti ad acquistare il biglietto. La commessa dell’agenzia mi ha avvertito che sono gli ultimi giorni per le offerte e quindi ti conviene muoverti!»

«Non so se Marco avrà il coraggio e la pazienza di trascorrere la vacanza con me, si troverebbe così a disagio in un luogo che forse a lui non piacerebbe» pensai.

Approfittando del fatto che quel giorno vi era poco lavoro, il nostro responsabile ci diede qualche ora libera. Terminammo le nostre mansioni e appena suonò il campanello che ogni giorno avvertiva l’orario di fine turno, mi cambiai di fretta e tornai a casa poco prima dell’ora di pranzo.

 

Nei meandri più nascosti delle foreste o in alcuni punti delle Highlands scozzesi, esistono strani e sinistri “cerchi delle fate”. Questi cerchi di terra sono spesso circondati da funghi e privi di vegetazione all’interno di essi. Un giorno si raccontò che un contadino,  della provincia di Ullapol disgraziatamente vi entrò all’interno in uno di essi; ammise che quella fu stata l’avventura più straordinaria e al tempo stesso più pericolosa della sua vita:

«Mi ero imbattuto in strane creature alte poco più di dieci centimetri; esse cominciarono a vorticarmi intorno lasciandosi dietro risa divertite e raccapriccianti. Poco dopo si avvicinò a me un destriero di color nero come la notte dalla muscolatura assai possente. Resistetti al suo potere ammaliante per alcuni minuti dopodiché gli salì in groppa, lo cavalcai in una corsa sfrenata per parecchie miglia attraversando gran parte delle Highlands del nord e durante il tragitto, percorsi un mondo al di fuori della razionalità. Divertitosi e stufatosi del suo capriccio, mi lasciò sfinito in una brughiera erbosa per poi svanire nell’ombra pronunciando un arcigna risata.

 

Ero in automobile imbottigliato nel traffico, ogni giorno a quell’ora le strade per arrivare in centro erano ghermite di macchine e motociclette che tornavano dalla periferia della città . Mi misi l’anima in pace e attesi che diminuisse quel trambusto infernale per poi svoltare in un vicolo dove sapevo che dopo pochi minuti sarei arrivato a casa.

All’improvviso squillò il cellulare, guardai il display e vidi che Marco mi stava chiamando. Intuii che mi voleva informare sicuramente riguardo la prenotazione del biglietto e istintivamente afferrai il cellulare che continuava a vibrare imperterrito sul sedile di fianco. Volsi lo sguardo sulla strada sperando vi fosse stata qualche piazzola di sosta dove fermarmi poiché in quel momento, mi superò una pattuglia della polizia stradale e non era mia intenzione farmi fare qualche multa.

«Ehi Fulvio ti aspetto all’agenzia, ho ancora pochi minuti e mi piacerebbe che mi raggiungessi.»

«No Marco scusami, ma voglio tornare subito a casa a farmi una doccia e riposarmi un po’ che ho avuto una giornata pesante.»

Mi rassicurò che non vi sarebbero stati problemi e che ci saremmo visti l’indomani al lavoro, inoltre mi chiese se quella sera volevo uscire con lui a prendere qualcosa da bere; accettai anche se lo avvertii che non volevo fare tardi.

Mentre guardai fisso oltre il parabrezza, in quel momento stranamente il cielo cominciò ad annuvolarsi e si alzò un vento che fece scuotere le chiome degli alberi adiacenti alle strade. Dopo qualche minuto alcune gocce d’acqua caddero persistenti tamburellando sul tetto della macchina. Mi affrettai a rientrare sperando che la pioggia non sarebbe aumentata ulteriormente quando non seppi il perché, in quel momento pensai al mio collega chiedendomi se non si sarebbe pentito riguardo a quello che stava facendo.

Mi sentivo già catapultato nelle verdi e rigogliose Highlands scozzesi le quali fino ad allora avevo sentito narrare come luoghi incantati e mistici; fate, folletti…il fantastico ed enigmatico suono delle cornamuse e il trascorrere della vita nella semplicità e umiltà degli abitanti di quelle terre incontaminate.

Dopo aver percorso una piccola strada sterrata a senso unico, finalmente arrivai al parcheggio sotto casa.

La villetta era in cima ad una collina verdeggiante e data la posizione dominava su tutto il paese. Era una vista stupenda e nonostante tutte le vallate intorno ad essa, il sole la illuminava tutto il giorno riscaldando ogni cosa. Da lontano si poteva intravedere l’immensa distesa del mar ligure come un infinito manto vivente spinto dalla tramontata a alle spalle di essa, cominciò a stendersi uno stupendo e intricato bosco dove spesso ci si inoltrava a trascorrere giornate tranquille e spensierate. Ero stanco, e una volta arrivato sull’uscio di casa, aprii il portone ed vi entrai.

«Benvenuto!»

Udii dalla stanza a fianco un gioioso grido di benvenuto, allungai lo sguardo e vidi la madre della mia compagna con un sorriso che le illuminò il volto. In quell’istante, ripensai a tutta la mia vita vissuta durante l’ultimo periodo; ormai mi sentivo escluso da tutto. La relazione con la mia fidanzata ormai non era più quella di prima, il sentimento con il passare del tempo si era affievolito e non trovai più nessuno stimolo per restare a fianco a lei. Forse era anche per questo motivo che volevo allontanarmi da tutta quella situazione che per me stava poco a poco degenerando. Non ne parlai mai anche perché capii che il mio carattere mio malgrado, stava cambiando; diventai più introverso e malfidente nei confronti di chi mi stava vicino e qualunque problema mi insorgeva, cercavo in tutti i modi di risolverlo da solo per quanto fosse stato difficile. Salii gli scalini ed entrai in cucina dove mi aspettava Angela.

«Com’è andata oggi?» mi chiese con aria dubbiosa ma sempre con i suoi modi pacati e gentili.

«Bene, un po’ stanco. Infatti non vedo l’ora di andare a stendermi sul letto.»

Mi resi conto che fui piuttosto evasivo e lei se ne accorse anche se non ci fece quasi caso; mi fissò con uno sguardo di rassegnazione assumendo un falso sorriso.

«Francesca dov’è?»

«Non lo so, ha detto che forse sarebbe andata all’università per compilare certi documenti e poi sarebbe tornata per cena» rispose asciugando dei piatti presi dalla dispensa. Non era mia intenzione, ma mi resi conto che l’avevo in qualche modo ferita e ripensandoci, potevo benissimo evitare certi comportamenti, ma ormai non potevo più tornare sui miei passi.

«Vuoi veramente partire?» mi chiese restando con lo sguardo fisso sul piatto che aveva in mano, restai per un attimo in silenzio mentre udii l’imperterrito ticchettio dell’orologio a parete e vagando con lo sguardo in cerca di una risposta che avrebbe potuto giustificare le mie scelte.

«Ho preso la mia decisione già qualche giorno fa e non voglio cambiare idea. Non è mia intenzione procurarti un dolore credimi!» Angela abbassò lo sguardo deglutendo, annuì con la testa e si volse verso di me.

«Stai attento!» accennò un sorriso e dopo un istante, mi avvicinai a lei abbracciandola per rassicurarla e confortarla. Non riuscii mai a capire cosa quella donna pensasse, il suo carattere piuttosto che le sue aspettative ma percepii in lei una certa preoccupazione che non riuscii a comprendere; d’altronde, si trattava solo di pochi giorni e non vi sarebbe stato nulla di sbagliato allontanarsi un po’ dalla vita di tutti i giorni. Sbadigliai e mi avviai verso la camera da letto per cambiarmi e mettermi a mio agio.

All’interno della stanza vi era un silenzio innaturale; sotto le coperte e con la luce della abat-jour accesa, osservavo il soffitto cercando di rilassarmi.

Francesca intanto, era arrivata e si chiuse in cucina assieme alla madre; si misero a discutere riguardo la mia decisione di partire per la Scozia e nel frattempo, le mie palpebre si appesantirono addormentandomi e sentendomi piuttosto in colpa per tutta quella situazione.

«Fulvio, Fulvio!» Quella notte sognai mio padre. Nel sogno vidi che era felice, stava abbracciando mia madre nella casa dove loro se ne andarono pochi mesi prima. Era stata una sensazione strana, fino a quel momento, non ebbi più sognato i miei genitori da quando scomparvero e non mi spiegai mai il motivo per cui proprio in quel periodo la mia mente li fece riapparire. Nel dormiveglia udii le gocce di pioggia ticchettare sul tetto di casa e il vento che fece sbattere le persiane della stanza con un rumore sordo e ovattavo. Non ricordai quanto restai sul letto a dormire, ma quando mi alzai agitato, mi avvicinai alla finestra e notai che il cielo si era già liberato dalle nubi oscure lasciando il posto ad un immenso manto stellato, ma per il resto la notte trascorse tranquilla.

«Svegliati dormiglione, sono già le otto e se vuoi che rimanga qualcosa da mangiare, è meglio che vai di sotto in cucina.»

Francesca senza dire nient’altro, proseguì verso la cucina dopo avermi dato un bacio affettuoso. Mangiai le poche cose rimaste sul tavolo e mi sdraiai sul divano a guardare le ultime notizie del telegiornale. Cambiai canale continuamente con la sensazione che da un momento all’altro, sarebbe accaduto qualcosa quando ad un certo punto, Francesca entrò in sala con aria impassibile e quasi rassegnata; si sedette a fianco a me e mi appoggiò una mano sulla gamba.

«Posso fare qualcosa per farti cambiare idea?» mi chiese per cercare di distogliermi dai miei pensieri. In cuor suo sapeva che la nostra relazione in quel periodo non era delle migliori e cercò di fare l’impossibile per non farmi allontanare da lei; mi fece capire che mi sarebbe stata vicina comunque fossero andate le cose.

«No, la mia decisione è questa e lo sai che non la cambierò…forse è meglio così per tutti e due.» La fissai carezzandole il viso, lei chinò il capo e si alzò dal divano per tornare in cucina ad aiutare la madre a sparecchiare la tavola. Ero molto affezionato a quella ragazza e alla sua famiglia ma ormai non mi sembrava più il caso di continuare una relazione basata solo sull’aspetto patologico.

La giornata la organizzai minuziosamente per l’imminente viaggio dell’indomani; la mattina la trascorsi in azienda e il pomeriggio passeggiai per le vie del centro a fare gli ultimi acquisti che mi sarebbero serviti durante la permanenza in Scozia. Non mi feci mancare nulla, non volevo partire sprovvisto di quelle cose essenziali che mi sarebbero potute servire con il timore, che una volta atterrato avrei potuto dimenticare qualcosa. Feci mente locale riguardo tutti gli indumenti che avevo e che eventualmente avrei dovuto acquistare.

«Telecamera e macchina fotografica!» pensai tra me facendo un elenco delle cose. Ma per quanto cercai di organizzare minuziosamente ogni cosa, il pensiero di Francesca e soprattutto dei miei genitori occluse la mia mente; ripensai a tutti gli anni trascorsi in loro compagnia, le piccole e insignificanti cose le quali mi fecero sorridere e in quel momento scuotere la testa oppresso dal fatto che ormai, non potevo più tornare indietro…il passato ormai era passato e per quanto cercai di trovare una soluzione per ribaltare la situazione, seppi benissimo che non dovevo rassegnarmi ai fatti compiuti.



Id: 1380 Data: 20/02/2012 12:32:39