I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Davanti all’ingresso per auto – un po’ come la serranda di un garage – di una grande nave bianca. Intorno un’area portuale, forse sordida, forse soltanto industriale.
La nave, che somiglia a uno dei traghetti a ruote del Mississipi, va verso sud, verso un’Africa confusa di paludi e piccoli villaggi.
Entro nel grande salone ristorante, ritorno al posto che avevo occupato, nell’angolo a sinistra dell’ingresso: un divano bianco a semicerchio aperto verso il salone, per altro semideserto, e lo trovo occupato da un ragazzo - seduto proprio al mio posto – e da sua madre, di fronte.
Discuto con il ragazzo, gli spiego gentilmente che a quel posto mi ero seduto pochi minuti prima, che vi ho lasciato le mie cose, che inizio a cercare, con l’incertezza un po’ angosciosa di non trovare nulla e di non poter dimostrare che mi ero seduto proprio lì. Mi metto a frugare nell’interstizio fra schienale e seduta e vengono fuori, rassicuranti, delle confezioni monodose di marmellata Hero all’albicocca.
Intanto, visto che il ragazzo fa opposizione all’idea di rendermi il posto mi rivolgo alla madre e lo faccio in un francese impeccabile (la lingua franca della nave o la koinè dei luoghi di destinazione) e penso fra me che parlare in quella lingua costituisca un vantaggio. Intanto ritrovo il mio tabacco, giusto dietro allo schienale.
Infine il mio posto – i miei posti, visto che sono per quattro – mi vengono resi.
Poi arriva Gioia e io vorrei che restasse a occupare i posti mentre io vado a vedere come si sono sistemate in cabina Rachele e Alice ma lei, con un po’ di mio dispiacere, non vuole.
Poi la nave si avvia e siamo su un grande fiume. Più avanti una costa di un mare grigio, non bello ma che al lato destro ha una strada tagliata su una falesia grigia e in alto bordata di verde, questa sì molto suggestiva.
Chiedo a Gioia se l’Africa – questa – fa a lei la stessa impressione profonda che a me o se invece c’è in qualche modo abituata.
Poi sono a prua e Gioia è nelle acque basse del fiume e guardiamo degli animali che potrebbero essere orche ma invece si scopre, con mio divertimento, che sono piccole foche grigie e agili. E le foche vanno verso Gioia e a un certo punto pare che la inseguano, sempre più veloci e lei scappa, gridando, e io rido, anche perché la situazione non sembra presentare alcun pericolo ma poi la velocità delle foche diventa l’accelerazione della nave che si avvia in avanti sempre più veloce, con il paesaggio che si muove all'indietro, come in un dolly zoom in cui la nave rimane a fuoco e tutto l'intorno fugge via. Mi chiedo come farà Gioia se lasciata qui, in un posto dove passa una nave una volta a settimana e mi avvio verso poppa, per chiedere al comandante di fermarsi e aspettare in modo che possa risalire a bordo.
Di come ci sia (forse, a volte) più realtà in un sogno di quanto sogno ci sia nella realtà