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Raccolta di testi in prosa di Giovanni Baldaccini
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Per amore di vento

A Luciana: impossibile senza.

 

 

Ora incerta

 

E non potrebbe essere altrimenti.

Tuttavia

... simili viaggiatori di scompenso hanno occhi infossati che tramite un sistema di membrane proiettano ogni immagine all'interno, risultandone un cavo da cui filtrano il fuori del reale adattandone il verso alla visione buia che compete. Un insieme di informazioni disunite senza alcuna sostanza.

Ne deriva un'astrazione estrema, un trambusto neuronale, una piaga del mondo che volentieri cingono d'assurdo senza valutazione delle conseguenze, che per loro non esistono, essendo essi stessi conseguenza di una trasmutazione involontaria atta a travalicare senso umano e costanza. E traffici diurni come notte, non essendo più il tempo una varianza.

 

  Mentre

 

L'altra sera una ninfa addormentata volava verso est senza sapere. S'è impigliata in una vela tesa. Raccolta.

Abbiamo ricordato le visioni, i funamboli senza filo, le frasi dentro l'uva. Non aveva strumenti per cantare, ma le ho tolto il bavaglio. Grata, m'ha concesso il suo sonno, condividendo sogni.

Quando mattina, vola.

 

Approdo

 

Istambul.

Un valico. Un confine. Senza sapere dove.

Per questo, risalire lontano.

 

Gerusalemme non è celeste. Neppure terrestre.

Gerusalemme è un fatto letterario. Si risolve in un processo al mal di testa.

Quando si processa un vagabondo si finisce col vagabondare. A volte sulla luna. C'è una scia, un sentiero, il mal di testa.

Se la luna è un rimedio dipende dalle pillole che prendi. Le pillole sono parole.

A Gerusalemme fa inevitabilmente caldo. Il caldo acuisce il mal di testa.

Ne aveva uno terribile, immenso, inestirpabile. Uno di quelli che ti stroncano, come Gerusalemme.

Tirare le tende; tirare i calzari al cane; se occorre, tirare ricordi. O tirare la corda, al punto da credere a un pazzo prima di impiccarsi.

La follia come cura? Gerusalemme non è altro.

Tuttavia, mi si lasci suggerire (come d'altronde è riportato negli atti del processo) unica cura: l'oblio.

Questo potrebbe essere un finale letterario. Se ne vocifera nei vicoli che dovrebbero esserci, ma occorrerebbe scriverli.

Gerusalemme è un progetto, una stesura fondata su un'attesa. Dunque, una mancanza.

Per questo è impossibile leggerla.

 

Berlino

 

Quando sono stato a Berlino non sono stato a Berlino perché sono stato in Egitto e a Babilonia. Ci sono stato andando a Berlino.

A Berlino ci trovi anche l'Egitto e Babilonia (anche in molte altre parti del mondo, ma qui stiamo parlando di Berlino).

Per fare questo basta andare al Pergamo.

Al Pergamo c’è la Porta di Isthar, ma non c’è una città.

Passeggiare per Berlino può riservare incontri non previsti. Se passeggi, che so, per Vienna, al massimo ti capita di andare a comprare un paio di pantaloni di pessima fattura cecoslovacca, ma a Berlino incontri la morte.

Ti si accosta improvvisa, con richiesta pressante. Dice:” il tuo cuore, ragazzo”.

Ovviamente rifiuti, ma quella insiste. Si va avanti anni.

Al Pergamo la morte non entra, o almeno solo indirettamente, dato che è pieno di cose morte.

Nefertiti è morta e il suo busto è il busto di una morta.

Sepolta sotto un deserto, le capitò di essere trafugata da un trafugatore che la contrabbandò qui, a Berlino.

Nefertiti non sa di essere morta; non sa nulla. Nemmeno la morte.

Babilonia è una serie di mattonelle smaltate (azzurro e oro): la porta del cielo.

Raccolte a loro volta in un deserto da un raccoglitore tedesco, ma con tanto di permesso questa volta (a quei tempi queste cose si potevano ancora fare), se la attraversi ti attraversa il tempo. Non ho potuto attraversarla. Non ho tempo.

 

A Berlino piove spesso. Mi sono ripromesso di comprare un impermeabile per Nefertiti (niente di militare, per carità). Andrò ad acquistarlo a Vienna.

Vienna risuona di ottoni (rimbalzi d'epoche mahleriane).

Risuona anche di passi: vanno verso lo Steinhoff.

Se un viennese si trasferisce a Parigi diventa superfluo.

Se prendi il tram, ti farà bene al vento.

Se passeggi, ricordati di avere vicoli laterali.

A Vienna, per un certo periodo, ha abitato Dio. Alcuni dicono che vivesse a Bruxelles ma non è vero. Abitava a Vienna, almeno quando ci stava Mozart.

Sera. Le spie mi avvertono che fa freddo.

 

Roma

 

Ci siamo ricordati di mentire, ma crederci è impossibile.

La domanda è pressante: come è possibile che dall’orrore abominevole che ci costituisce si manifesti una presenza pura? Che da quell’ammasso sanguinolento e pulsante che neppure Leonardo è riuscito a districare nella sua frequentazione di cadaveri si manifesti un’essenza insensibile e tuttavia capace di slanciare significati simili all’assurdo? Sono stato dalla Madonna che osserva i pellegrini.

Nascosta in una nicchia al termine di una scalinata grande, essa veste penombra. Non benedice: osserva.

Colma di dubbio, tiene appoggiato al fianco un figlio: non è nato da sangue. Questo farebbe la differenza, se fosse vero. Non lo è. Significa che il Paradiso è una menzogna e occorre fuoriuscire. Dal mondo, dal tempo, dal suo pressante inganno fatto di cose chiuse dentro fatti che passano nel nulla.

Significa che l’illusione è santa. E la follia, la fuga, l’esiliare. E tuttavia sostiene nel suo aspetto una totale mia terrestrità.

Ma non è questo, anima, che volevo dirti: la mia incapacità.

Sono un ammasso di contraddizioni, un otre senza colmo, un vuoto innato, un ubriaco di meditazione, uno slancio, un capestro ed una cosa nata tra le cose: per non essere tale.

Dunque noi siamo qui per trafugare i pensieri dai fatti e galleggiando tra i diseredati, scrivere un senso falso al mio non senso. Sono un insieme falso di smentite.

Mi viene una malinconia…

 

Oltre

Notte prosegue afasica. Un Eterno avvilito.

 


Id: 5745 Data: 17/07/2024 15:07:24

*

Lettere dal Ponto

Lettere dal Ponto

 

 

Chiarissimo Marcello,

nella fanghiglia dove trasogniamo transfughi insoddisfatti vecchi danni, è arrivato un poeta dalla Corte, dicono Publio, altri Ovidio… Nasone.

Compromesso come tutti noi, esita; andrebbe incoraggiato in qualche modo.

Niente di politico; più che altro uno sciocco. S’è messo contro quelli del potere, si mormora la figlia dall’Augusto. L’ha trattata come una puttana, il che magari sarà anche vero… tuttavia incauto.

Qualche suggerimento?

 

Carissimo amico,

la tua sensibilità non finisce di stupire. Se dovessi dare ascolto a ogni segnalazione non avrei tempo per cure d’altro tipo.

Quale governatore depennato, tu ben capisci le rogne, le attenzioni, i tranelli, le trappole sottili che fronteggio nell’incubo di quotidianità pseudoromana. E tuttavia, di Roma pur si tratta: se l’ha cacciato, avrà le sue ragioni.

Detto tra noi, Giulia è una puttana, ma dirglielo così esplicitamente…

Non farti altre cure.

 

Prezioso amico,

l’altra mattina, di buon’ora, raggelato in un mantello poco adatto, traversavo le nebbie di brughiera. C’era vento da est, freddo tagliente.

Strapazzava i pochi fili d’erba che sopravvivono in questo clima spento. Dal mare si annunciava una burrasca, come richiede la stagione e il luogo. Nereggiava l’orizzonte ostile; ammassava quanto di peggio e oltre. Si affrettavano scarse imbarcazioni a raggiungere riva. Appena in tempo, credo.

Tornando verso casa, disperso tra le nubi basse, non potevo evitare di pensare all’effetto  su una mente non assidua. Viene da Roma, altro clima, altra luce. Prova a pensare a dove ci troviamo -  si trova - solo. Io non resisterei. Ricordo il primo impatto; e tu?

Non ti tedierò oltre, Marcello unico amico. Tuttavia considera: è un poeta, non un politico coi calli come noi. Se vorrai aiutarlo mi darà conforto.

Non so perché ci tengo; forse qualche lettura… forse invecchio.

 

… ti prego dunque, in nome degli dei: non andare oltre.

Pensa piuttosto a radunare qualche contadino, ragazzotti di scarsa intelligenza da ammassare nelle torri sui confini. Coi barbari accampati alla palude, cosa vuoi che mi importi di un poeta. Qui ne va della pelle, amico mio! Inutile sperare nei rinforzi. Come ben sai, Roma ci ignora. Mi adeguo.

 

L’ho visto da lontano.

Galleggiavo portato da corrente lungo la riva e i sassi sul fondale. Pochi pesci nell’acqua; molto ghiaccio.

Tra le buche in cui il mare si insinuava, lanciavo sassolini coi pensieri. Quindi, coi remi in secca, le braccia aperte, le mani strette ai bordi, davo scosse ondeggianti alla mia barca, prova indiscussa di idee di suicidio. Casualmente, è entrato nella vista.

S’era alzato la toga; camminava nel gelo del mattino, piedi nell’acqua senza più il mantello. L’aveva in vita quando l’ho raggiunto. Non so se ho fatto bene. Era scosso.

Pochi ringraziamenti lungo la via che riconduce a casa. Una baracca, un letto, un tavolino. Libri in terra, come dimenticanza.

M’ha dato quattro righe a ringraziare. Non esclude futuri tentativi.

Neppure io.

 

Oh senti, carissimo: invecchi! Dove hai lasciato le battaglie nella Gallia, le urla, i morti, i corpi a scatafascio, il sangue a spruzzi... ne sei intriso! Tutto dimenticato? Dovresti essere avvezzo a qualche morte. Una di più non cambia certo il conto.

Questa mattina è venuto un messaggero con notizie svogliate dal confine. Hanno attaccato e qualche torre cade. In nome degli dei, ci vuoi pensare? In fin dei conti sei tu lo stratega! Una volta Comandante della “Decima” o mi sbaglio? E poi console... dunque cadaveri lungo la via della carriera ne hai lasciati! Fratello, qui ci impalano! Che vuoi che me ne freghi di un poeta!

 

Chiarissimo Marcello,

dunque, una domanda: perché esistere? Ci impalano, dici? Vivere o morire, qui dove siamo relegati, non credo faccia molta differenza.

Tuttavia, nulla ho scordato, Marcello: non potrei. Troppo danno. E quando la civetta sparge grida e la notte s'accosta alla mia casa, ricordo ma non vorrei un brandello di memoria.

Rinnovo la domanda: perché esistere? Siamo annegati nel vuoto del potere, Marcello caro; la pietà non è neppure un'opzione. Nel Nulla che ci assedia, quei barbari che tanto ti preoccupano ne fanno parte: non sono altro che la forma che nella circostanza il Nulla assume. Non scamperai dal Nulla, amico mio. Poni mente: da esso proveniamo e torneremo. Cambia solo il modo. Vuoi sceglierne uno? Bene; questo ci è dato: decideremo come scomparire.

Vieni a cena da me questa sera. Penseremo, come tu dici, prima di ubriacarci e di dormire.

 

P.S: Leggi qualche poesia ogni tanto. Ti farà bene, per quello che vale.


Id: 5729 Data: 13/07/2024 17:40:54

*

Con dadi fatti d’ossa di cammello

Mazur non temeva i leoni.

Quindi se cade il vento, non si sentono odori (spiegava).

In disparte alcuni Berberi lanciavano dadi fatti con ossa di cammello. Bevono, mentre la sera ha già distrutto il giorno.

Intanto: si montava una tenda.

 

Mi sono ricordato di te quando ho ingoiato l’ultimo boccone.

Era freddo a Parigi e la nebbia lasciava intravedere tutto il tempo lasciato.

Sono cose che vanno a scomparire, come i bottoni della mia camicia quando cadono e nessuno li raccoglie. O la sabbia.

D’estate passavamo la notte al lungosenna, ma non posso giurare che sia vero.

 

Qui la notte è distanza. Stelle, ma sembra di guardare un giuramento fatto senz’alba al tempo di dormire.

 

Il fuoco è un guazzabuglio di visioni. Cerca, come i pensieri quando non puoi fermarli. E distruggerli.

I filosofi commettono un errore capitale: pensano il tempo come una linea retta. Esso è invece un abisso, disperso sotto forma di spirale. Tutto scende e ritorna; sprofonda mentre sale. Per questo non riesco a abbandonarmi.

Stelle, come lamine fredde.

 

A Parigi sembrava primavera, quando avevi una tela. I colori bisognava inventarli; un’esigenza senza condizione.

All’Orsay c’erano ferrovie: dipingere è partire.

 

Laggiù, da qualche parte nel buio, dovrebbe esserci il sonno.

Questa potrebbe essere una spedizione, se avessimo una meta.

Sono molte le cose che bisognerebbe avere: un cappello, un divano, un sentiero per non sperdersi troppo quando si cerca di rimanere vivi.

E l’abbondanza, la miseria, l’astro, una coscienza senza adattamento. Un fiume, anche: scorrere, quando occorre restare.

 

Più tardi, dopo molte boccate di vaniglia e illusioni di lamponi freschi: quelli lanciano dadi.

C’era la notte, fuori.


Id: 5625 Data: 30/05/2024 17:04:31

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All’incirca più tardi

Mezzogiorno e trentacinque e oggi è il ventitrè.

Questo paese è insipido come succede ai vecchi. Per questo ci sono venuto ad abitare.

Adesso è trentasei. (Devo stare attento al tempo, altrimenti mi sfugge).

Con la luna ho problemi: il naso mi confonde i lineamenti e non annuso il tempo. Con le nuvole è peggio.

A mio agio coi libri. Lì si salta (epoche, continenti, calessini, notte di giorno, giorno nella notte, albe tramonti tramestii trambusti, stelle nei vasi con i fiori. Donne). In pratica: salti a picco. Non ti accorgi del sorpasso del tempo.

Nel paese, la gente si muove lentamente e quando cammina sembra quasi ferma. Questo mi tranquillizza. Quando non esce è meglio.

Ho riempito la casa di clessidre: mi costringono a muovermi come se fossi sabbia. Quando ne rovescio una, un'altra è già finita e devo rovesciarla di nuovo. (Dovrò eliminarle?) Uguale per la rotazione dell'universo.

Questi paesi medioevali sono piuttosto oscuri. Ciò aiuta ad ignorare l'alternanza del giorno e della notte. Certo non la elimina del tutto, ma con alcuni accorgimenti (tende rigorosamente spesse e persiane tappate) la cosa si semplifica.

Quando Carolina viene per le pulizie in genere è mattina. Le ho detto di venire anche di sera, senza avvertimento, così, a rotazione irregolare. I pasti? Quando capita.

Tuttavia non riesco ad evitare di controllare l'orologio. Lo so che è una contraddizione, ma mi devo smentire.

Adesso è quasi cinquantuno. Questo significa che per scrivere queste poche righe ho impiegato circa quattordici minuti (devo pur conoscere la velocità del mio pensiero).

D'altra parte pensare è rimediabile. Comunque una fatica inutile: non si pensa che a perdite e l'orrido del mondo. Per fortuna i pensieri per loro natura sfuggono e si può sempre dimenticare.

Quando penso astrazioni sto tranquillo. Dunque, che ora è? All'incirca più tardi.

 


Id: 5616 Data: 16/05/2024 18:42:13

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Di scatolette e fiori

 

 

Ora, davvero ci si stanca di questa ovvietà del camminare, che a rimanere fermi ci fa freddo e la neve ti sferza.

Muoversi: verso dove? Più che altro un pensiero, unica forma di astrazione lieve che senza fare un passo muove il mondo. Ma anche questo è ovvio.

Come lo è il potere: ignora, se non osteggia.

Occorre allora inventarsi qualche cosa, magari un processo al mal di testa, come a Gerusalemme, ma non mi sembra sia servito a molto.

Forse esiliandosi, se non fosse che l’esilio va nel nulla, come dimostrano i fatti di ogni giorno, ammesso che gli esiliati vengano raccolti per lo meno – dico una scatola – almeno.

Riconoscere, quindi, si diceva, un cammino diverso. Costellato in ogni caso di ovvietà. Ad esempio: cos’è la letteratura? E la poesia? Ma perché questo bisogno di definire, declinare, incasellare? Ah, l’ignoto trasformato in consueto. La rassicurazione chiude il mondo; ma non sembra fare la paura che dovrebbe.

Dunque parlarne senza preoccuparsi di dover dire ancora, ma il silenzio è un’indagine sospetta: non ne parla nessuno.

Ma perché quando incontriamo qualcosa che appare come un tempio che ci sembra una parentesi sospesa tra l’esperienza e il non pensato; o un quadro, dove il mondo si aggira radunandosi in empietà più simili al sublime dell’empietà dei giorni, perché poi ne dobbiamo parlare, riducendo l’istante a un campo vecchio, mentre dovremmo soltanto limitarci, almeno qualche volta, a viverne?

La dinamica dell’ovvio stronca il senso, ma anche il più sensato dei pensieri alla fine si invecchia. Bisognerebbe allora ripensare e delle cose farne sempre altre. Quando le hai fatte, farne diverse ancora, fino a quando avrai finito l’infinito. Che si chiude, ma ricomincia altrove.

Ad esempio a Pietroburgo, dove non si mangiava carne in scatola: nelle lattine si mettevano fiori. Ma nei cortili si lavorava sodo perché il Partito non consentiva odori. Dunque una vita al minimo: quel poco che si riusciva a leggere.

Muoversi, allora: dove?

Anche la sera, sul Baltico, quando le isole si prendono per mano, si muove solamente la deriva.

 


Id: 5606 Data: 22/04/2024 10:47:07

*

Il limite

L’alba indicava il limite del cielo tra la notte e il pensiero quando il pensato torna dentro il giorno. Quella mattina un professore si svegliò confuso.

Una questione antica, si disse, ma non ha molto senso. Tra l’altro, si accostava novembre.

Scese dal letto e dall’ultimo riflesso della notte.

Dopo una breve colazione, entrò nel suo studio. Sedette alla consueta scrivania. Radunò le sue carte.

Quella mattina doveva tenere la sua ultima lezione. Anni di studio e adesso la pensione; quella lezione sarebbe stata l’ultima.

Avrebbe dovuto illustrare il già pensato; quanto al nuovo, non lo aspettava più.

Uscì tenendo sottobraccio una cartella colma di spartiti. Dimenticati per duecento anni, tornavano alla luce insoddisfatti. Occorreva deviare dall’ignoto e compiere un riconoscimento dovuto. Sembrava spettasse a lui.

La strada era ancora semivuota e un autunno quasi inverno trasportava nuvole distanti. Il professore si sentiva distante. Quando arrivò, gli venne voglia di andarsene.

L’aula era ovale, con banchi a semicerchio disposti verso l’alto, come un teatro antico. Il professore si accomodò al centro e distribuì gli spartiti sulla cattedra. Inforcati gli occhiali, diede un rapido sguardo al suo discorso: in fin dei conti, era semplicissimo.

La musica di Bach, disse, sfiora l’assurdo, ma è una matematica perfetta. Sembra disgiungere, sorvolare, affidare l’incauto che la ascolta a un viaggio senza fine verso nulla.

Ineffabile e pura, induce matematici terrori: non c’è mai un risultato, almeno in apparenza. Tuttavia è affermazione: esiste l’indicibile.

La fuga cui si affida rasenta l’infinito e ad esso tende, ma c’è sempre un ritorno. Qualsiasi scala, qualsiasi serie di scale, apertura o distanza, qualsiasi sia la fuga o sovrapposte fughe in alternanza, c’è sempre una nota che ritorna. L’infinito si chiude.

Dunque, anche il suo tentativo di oltrepassare il corpo dell’umano, per quanto ci introduca nel sublime, dal sublime decade: l’umano ha la sua fine. E l’infinito.

Richiuse tutto, scese dalla cattedra, se ne andò. Non si sa dire dove.

 

 

 

 

 


Id: 5601 Data: 16/04/2024 10:00:23