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La lavatrice
Dopo tanto attendere bussano i tecnici della lavatrice.
Basta poco per essere felici. Uno dei due si chiama addirittura Felice, ma felice non è.
Io che non so – mia moglie lo sa, mia moglie sa tutto e sa che Felice così giovane è nato col diabete
e nel corso di una riparazione precedente gli scappò di bocca: tanto non camperò molto –
io che non so noto qualcosa, ma il problema dell’allagamento, credo, un po’ deve avere obnubilato la mia mente e soprassiedo.
Intanto nostro figlio grida la sua felicità per la duplice epifania nel deserto del nostro appartamento e leva in alto nominandoli uno ad uno gli eroi di plastica mutilati dai giochi, mentre io e mia moglie gli facciamo strada ai due fino allo sgabuzzino che ospita il mio sbarbamento e la signora che i panni sporchi li lava in famiglia.
Sto un po’ con loro mentre mia moglie descrive la fenomenologia della ribellione dell’elettrodomestico e avanza la sua ipotesi.
Il fratello esperto – perché dopo capirò che Felice è solo un’appendice, si limita a tendergli un cacciavite al germano, poggia uno smontato pannello al muro – ha un’espressione indagante e preoccupata dietro le lenti spesse.
Lo specialista ascolta in silenzio, si accovaccia, dà dei colpi, esamina il cestello, le guarnizioni e alla fine lascia intendere che la diagnosi familiare è fantasiosa, il problema è più profondo. Lui ritiene che il groppo è sì interno ma non alla lavatrice bensì al muro; vuole dire che il tubo dello scarico che finisce nel pozzetto, il vaso che dovrebbe risucchiare via l’acqua sporca non era preparato a tanto spessore. Deve esserci un malloppo di qualcosa che lo ottunde e occorre un disgorgante, perché tutto scivoli nuovamente via, come sta scritto nel corso delle cose.
Tornando dalla cucina dove ero a mescere dell’acqua per i due, noto che Felice ha il respiro un po’ affannato e con due occhi colpevoli mi guarda, li abbassa e poi in tralice mi riguarda … Ha desiderato mia moglie mentre ero assente e teme che attraverso il muro io possa essermene accorto.
Trovata la terapia, ci avviamo verso l’ingresso e, non so come, il discorso cade sulla famiglia, forse per rimettere l’uomo al posto della lavatrice.
I due si animano e anche lo specialista un po’ si scioglie. Loro sono in tanti, non come noi ridotti all’osso. Felice è il più loquace, si illumina e asserisce che la famiglia numerosa è quanto di meglio possa capitare a un uomo.
Per la prima volta gli vedo i denti. Il diabete, tra le altre cose, glieli ha lavorati a dovere, da vero artista, ha agito per sottrazione decidendo a un certo punto di fare di Felice un vampiro alla rovescia, con quelle due stalagmiti solitarie che si stagliano dall’arcata inferiore, che esaltano l’odio acceso e rassegnato che ha negli occhi.
Le malattie scavano sapienti, quando non montano una panna velenosa di arrembanti cellule impazzite.
Io so che non è vero, non può essere vero quello che ha detto perché Felice felice non è.
Cosa vede Felice? Cosa gli danza continuamente nel vano della mente e proprio davanti agli occhi?
La sua catàbasi. La sua discesa in un giorno di festa, in mezzo a una trentina di parenti, lui che sorride con quei denti e il fiato amaro. Felice al brindisi finale, che si sente tirare; il diabete col suo incarico spietato che lo guarda e senza parlare gli dice che è giunta l’ora di infilare il tubo di scarico: basta dolci, basta spumante, più in là capirai, ma non ti servirà, perché fu deciso che fossi io il tuo disgorgante.
(Inverno 2007)