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Raccolta di testi in prosa di Marco Raiti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Una vita diversa.


...e la gente dirà che era un disadattato… un emarginato.
Non aveva né moglie né figli e, a trentasette anni, la convivenza
con i genitori poteva risultare penosa.
Non aveva hobby o interessi particolari, se non quello dello sci,
a cui vi si era dedicato solo da qualche anno. Ma una settimana
di vacanze e qualche week-end sulla neve potevano risultare di
ben poco svago nell’intero arco di un anno.
La sua vita era ormai là, sul luogo di lavoro, confinata tra
quelle mura a cui egli guardava come a quelle di una prigione che
gli avevano incatenato l’intera esistenza. Un’esistenza tutt’altro
che lieta.
Attendeva l’orario d’uscita e le ore passavano monotone
e lente tra una sigaretta e l’altra. Ne fumava parecchie, anche
due pacchetti al giorno. Spesso, si appartava in uno stanzino
comunicante con il laboratorio adibito solo in specifici momenti
a lavorazioni speciali, e rimaneva lì al buio per parecchio tempo.
Da qui, i colleghi di lavoro, quelli più maligni o solo più burloni,
gli affibbiarono il sopranome di pipistrello.
Se qualcuno entrava nello stanzino accendendo la luce,
egli se ne lamentava, diceva che amava restare al buio, era più
riposante. Sovente era oggetto di burle a causa del suo carattere
un po’ schivo. La stessa condotta di vita nonché l’aspetto non più
brillante e giovanile, ne avevano fatto la mira dei soliti colleghi
buontemponi (se così è lecito definirli).
Attendeva il suono della campanella, che indicava la fine della
giornata lavorativa, come una liberazione. Ma, contrariamente
all’illusione creatasi lungo il giorno, anche il dopolavoro, atteso
con tanta ansia, non gli portava che noia.
Avrebbe tanto desiderato una moglie ad attenderlo nella
quiete domestica, e magari dei figli che lo avessero tempestato
di problemi. Invece non gli rimaneva che andare a passeggiare
sul lungomare, come sempre lo si vedeva ogni volta che ci si
recava a Lerici. Solo o in compagnia di amici, che, per la verità,
sembravano molto occasionali.
Continuava a camminare per ore non passando di certo
inosservato, anche per via di un paio di occhiali scuri che
raramente si toglieva e che gli procuravano un poco di bramata
oscurità, nascondendo così agli ignari due grandi occhi azzurri
velati di malinconia per il desiderio di una vita diversa.
L’avevo conosciuto cinque anni prima, m’era parso molto
più allegro e scherzoso, disponibile anche a reciproche burle.
Poi, il tempo gli aveva gradatamente affievolito quelle qualità.
Forse anche perché si era stufato del fatto che le sue spontanee
manifestazioni d’allegria potessero essere, per alcuni, ulteriore
oggetto di scherno.
Qualcuno insinuava che avesse avuto una delusione amorosa,
dato che quasi mai parlava di donne e raramente si univa alla
discussione quando se ne trattava l’argomento in maniera
mondana. Di natura molto permalosa, passava facilmente dallo
scherzo all’offesa. Aveva, difatti, litigato un po’ con tutti, ma
sempre roba di poco conto. Difficilmente portava il broncio a
qualcuno per lungo tempo.
Aveva lavorato per qualche periodo all’estero, prima di essere
assunto in quella piccola ditta elettronica. In Iraq e in Libia, mi
pare di ricordare che dicesse. Ne parlava con una certa fierezza ed
orgoglio, tacendo però dettagli e particolari personali. Cosicché
si sospettò potesse aver avuto delle esperienze negative e che la
causa delle sue stranezze derivasse proprio da ciò.
Ma tutto rimaneva nel dubbio creandogli intorno un alone di
mistero, e la gente, probabilmente indispettita dalla difficoltà di
superare questo ostacolo, rinunciava ad ogni stimolo di curiosità,
disinteressandosi del problema ed abbandonando il poveraccio
ad un isolamento sempre più deleterio.
L’anno prima, poi, ero andato a trovarlo a casa sua insieme
a due miei colleghi. Era stato parecchio male, rimanendo
addirittura in coma per qualche giorno. Dissero che aveva bevuto
incoscientemente una birra dopo aver ingerito dei sedativi e che
l’effetto era stato disastroso.
Ci accolse tranquillo e giulivo nella sua casetta di campagna
sita in località Sarzanello, poco distante dalla città di Sarzana.
Conobbi i suoi genitori, gente semplice che sprigionava
spontaneità dai loro modi di fare. Ma anche ormai avanzati
nell’età, e questo, pensai, avrebbe potuto creargli problemi
d’incomprensione.
Tutto l’ambiente domestico, comunque, traspirava, almeno
quel dì, un senso di spensierata serenità.

***

Quella mattina la notizia giunse inaspettata.
All’inizio tutto era molto vago e i colleghi si riunivano in
piccoli gruppi bisbigliando ciò che era di loro conoscenza e
cercando di carpire dagli altri le novità. Poi, in poco tempo,
ogni dubbio ed ogni imprecisione scomparve e tutti dovettero
accettare la realtà.
Fonti era morto, si era suicidato!
Nella notte antecedente si era recato sul viale per Marina di
Carrara, qui aveva ingerito un grosso quantitativo di sedativi,
aiutandosi, nell’atto, con una birra. Proprio ciò gli era stato
fatale. Poi aveva posizionato il sedile ribaltabile della macchina
in maniera da coricarsi supino in attesa della morte. Allora
fu chiaro che l’episodio dell’anno passato non era stato un
incidente, bensì un primo fallito tentativo di farla finita.
I commenti sulla tragedia erano i più diversi, nell’ambiente
lavorativo. C’era chi, preso da tardivi scrupoli di coscienza, si
domandava se noi non avessimo contribuito in qualche modo
alla sua morte o perlomeno non avessimo lasciato qualcosa
d’intentato perché egli non giungesse a quella fatale decisione.
Ma vi era anche chi, trincerando la propria coscienza dietro
un costruito cinismo, se ne usciva con frasi del tipo: “Uno di
meno… ora c’è più spazio”.
In particolare mi colpì il commento di un responsabile, che,
per salvare la propria immagine forse più con se stesso che verso
agli altri, ne concluse che Fonti era malato e non si sarebbe
potuto far nulla per evitare il dramma.
Mi confidò inoltre che lui e qualche altro dirigente erano a
conoscenza del fatto che l’episodio dell’anno precedente non
era stato un banale incidente, ma la cosa era stata taciuta per
evidenti motivi di riservatezza personale.
Il giorno seguente il giornale riportava con un breve trafiletto
la notizia dell’accaduto.
Al funerale erano presenti tutti i dirigenti ed i massimi
responsabili della ditta, mentre molti compagni di lavoro avevano
disertato la cerimonia con banali scuse di inderogabili impegni.
Probabilmente avevano voluto evitare che i pianti strazianti dei
genitori intaccassero la corazza in cui era avvolta la loro coscienza,
così ben protetta in quel tranquillo letargo.

Id: 792 Data: 09/12/2010 17:28:07

*

Nel castello di Aquisgrana.


CAPITOLO III. NEL CASTELLO DI AQUISGRANA
(Tratto da “OMICIDI NEL 2117” di Marco Raiti edito da Zona 2009)


Black atterrò agevolmente all’aeroporto di Aquisgrana e, usando gli
stessi tunnel sotterranei della partenza, in breve si ritrovò nel castello dove
aveva vissuto Puda.
Qui i controlli per l’accesso erano numerosi e non solo di tipo elettronico.
Una serie di addetti alla vigilanza controllarono attentamente i documenti
e i permessi di Black. I tempi in cui si viveva non permettevano di
allentare la presa perché attentati, tentativi di furti o altre intrusioni con
scopi illegali e violenti erano all’ordine del giorno.
Le risorse di tipo tecnologico ed umano impiegate per il controllo dei
favoleggianti castelli erano numerose.
Salito nella suite dove aveva vissuto Puda, Black chiese all’addetto
che l’accompagnava di poter rimanere qualche minuto solo.
Passeggiava lentamente da una stanza all’altra cercando di concentrarsi
il più possibile.
Giunto nella camera da letto, si fermò ad osservare più attentamente i
particolari.
La stanza si presentava, agli occhi di Black, con la sua veste sfarzosa
quasi stucchevole di un pesante stile barocco. Un letto Luigi XIV con
relativo baldacchino si poneva al centro della stanza. Imponenti tendoni di
velluto rosso cingevano finestroni enormi con vetri decorati da splendidi
dipinti raffiguranti scene d’amore.
Una scellerata voglia di dilapidare ricchezze, alla faccia della miseria
che si estendeva fuori delle mura del castello, aveva fatto riemergere dal
passato mode e costumi sfarzosi in una filosofia di vita che inneggiava al
massimo godimento individuale senza avvertire alcuna remora altruista.
Ad un tratto a Black parve di scorgere qualcosa sotto il letto. Un luccichio
metallico colse la sua attenzione. Con grande stupore constatò che si
trattava di un makedream. Senza indugiare oltre, Black raccolse l’apparecchiatura
e, quasi istintivamente lo pose in stato di ON facendolo funzionare.
Istantaneamente si modellò un ologramma con la figura di un uomo
vestito da mussulmano e con la stessa imprevedibile immediatezza una
scarica elettrica, partita dal congegno, sfiorò Black andando ad incendiare
dalle apposite bocchette, mimetizzate nel soffitto, un violento getto di
Co2 che soffocò prontamente le fiamme.
Black si ritrovò scaraventato per terra e senza avere nemmeno il tempo
di rendersi conto di ciò che era accaduto, venne circondato da una
decina di vigilantes che erano accorsi fulminei all’attivazione dell’allarme.
Dopo aver eseguito gli scrupolosi controlli del caso, Black fu condotto
alla suite che gli era stata prenotata dal suo dipartimento. Rimase solo con
i suoi pensieri ed i nuovi interrogativi. Come mai un makedream era rimasto
nella camera del delitto dopo che questa era stata ripetutamente e
professionalmente analizzata dalla scientifica? Sicuramente era stato messo
dopo. Ma come avevano fatto se la suite era rigorosamente chiusa e
vigilata dalla sorveglianza del castello che collaborava con lo svolgimento
delle indagini in corso? Solo dopo la chiusura ufficiale del caso avrebbero
potuto riaprire le stanze.

Black si riprometteva di emettere, via e-mail, un rapporto di richiesta spiegazioni
per l’accaduto.
Ma intanto le domande assillavano la sua mente. Cosa rappresentava
l’ologramma dell’uomo vestito in abiti mussulmani? Tra l’altro il costume
intravisto pareva ricordare abiti di alcune decine di anni prima. Sicuramente
il fatto che avevano tentato di farlo fuori confermava le sue sensazioni.
C’era qualcosa di poco chiaro in quel caso checché ne dicessero Eva
ed il suo capo.
Black si convinse che aveva fatto bene a non chiudere frettolosamente
quella pratica. Sentì suonare alla porta e si precipitò ad aprire.
“Scusi ispettore Black, sono il responsabile della sicurezza interna del
castello e sono venuto ad anticiparle il rapporto dell’accaduto che a breve
riceverà via e-mail… Lei come sta?”
Un uomo bianco, sulla quarantina, con statura elevata e fisico atletico
ed imponente gli si stagliò davanti proferendo quelle parole senza nessuna
enfasi. Quasi fossero pronunciate da un automa.
“Bene”, rispose Black senza neppure guardarlo. Efficienti inservienti
senza cervello gli generavano automaticamente antipatia.
“Il makedream è andato completamente distrutto per cui non abbiamo
potuto analizzarlo. La sua presenza nella stanza è inspiegabile. Svolgeremo
ulteriori indagini”, continuò l’uomo senza oltre indugiare sullo stato di
salute di Black.
Black lo congedò in modo molto sbrigativo smorzando ogni possibile
discussione anche se l’uomo non sembrava avere nessuna intenzione di
proporla.
Aveva appena richiuso la porta dietro di sé quando gli vibrò l’orologio
che portava al polso.
Era il segnale che indicava l’arrivo di una nuova e-mail. Black la visualizzò
rapidamente. Era il suo capo che gli chiedeva di mettersi urgentemente in
contatto con lui.
Black accese il suo portatile e avviò la connessione.
Sul monitor comparve il viso di un uomo di colore. Per la verità il colore
della sua pelle come la classificazione della sua razza non erano molto
definibili. Un incrocio tra la razza nera e quella asiatica mescolati ad almeno
altre dieci caratteristiche di altre razze lo identificavano come un appartenente
alla nuova generazione meticcia che ormai dominava il mondo.
“Salve Chef… Cosa c’è di tanto urgente?”, chiese Black con una intonazione
di lieve scherno.
“Ce n’è stato un altro. Un altro morto”, rispose Futur con un tono
decisamente più freddo ed incurante di quello di Black.
“Un altro incidente mortale a causa del makedream. È avvenuto nel
castello di Roncisvalle questa notte. Il nome della vittima è Virtual. Un
omosessuale di quarantacinque anni. Naturalmente abbiamo evitato che la
notizia si diffondesse … avrebbe creato un grosso danno d’immagine alla
All Dreams”.
La All Dreams era la società che governava, in regime di monopolio
assoluto, il mercato dei makedreams attraverso una moltitudine di piccole
e grosse aziende da lei controllate.
Black corrugò la fronte in una smorfia di disapprovazione, ma non disse
nulla.
Futur, dopo aver effettuato una pausa in cui attendeva un commento
non giunto da parte di Black, continuò: “Il file del rapporto contenente la
biografia di Virtual ti è appena stato inviato. Credo che sia il caso che tu
faccia un salto anche sul luogo di questo secondo incidente”.
La biografia, nel 2117, non era un termine come lo conoscevano nel
passato, un riassunto in cui si racconta la vita di un uomo famoso, in realtà
si trattava della registrazione visiva e sonora della vita di ciascun abitante
della Terra. Un ente di controllo segreto chiamato LIFE, sfruttando tecnologie
sofisticatissime, era in grado con una catena di satelliti geostazionari
di registrare l’intera esistenza di ogni uomo. All’insaputa di quasi la totalità
dell’umanità, la vita di ciascun individuo era registrata minuto per minuto
ed opportunamente codificata, conservandone il file per specifici usi.
In realtà, un certo numero di individui a conoscenza della cosa era
riuscito a neutralizzare la registrazione della propria esistenza. Con l’uso di
apparecchi molto avanzati offuscavano ogni filmato effettuato dai satelliti.
Queste persone si erano associate in una organizzazione segreta denominata
HELP PRIVACY. Essa combatteva il sistema ed era ramificata in tutto il
pianeta.
Sfuggivano al controllo di LIFE ovviamente i NUOVI PREDONI CINGOLATI.
Ma il sistema aveva difficoltà anche nel controllo di tutta la popolazione
che viveva nelle capanne, nelle grotte e di tutta la gente che non risiedeva
nei castelli, nei grattacieli o nei pochi agglomerati urbani che erano rimasti.
La popolazione della Terra si era ridotta a non più di 500 milioni di persone
a causa delle guerre e delle carestie che si erano verificate alcuni decenni
prima.


Id: 782 Data: 02/12/2010 09:09:48

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Il viaggio in Europa


CAPITOLO II: Il viaggio in Europa
(Tratto da “OMICIDI NEL 2117” di Marco Raiti edito da Zona 2009)

Erano le nove del mattino del 6 marzo 2117, quando Black, solo come
al solito nel suo studio, prese quella decisione. Ci aveva pensato tutta la
notte. Quella notte quasi insonne.
Sarebbe andato ad Aquisgrana. La città dove era morta Puda. Un
ulteriore supplemento di indagini risultava superfluo, ma a lui era concesso
anche questo. Venti anni di diligente servizio gli permettevano di intraprendere
un’azione in piena autonomia anche se non pienamente giustificata
dai fatti.
Chiamò la segreteria per farsi prenotare il volo.
Un altro ologramma simile a quello della figura di Eva Withe si formò
nell’ufficio. Era il servizio virtuale di segreteria. Il ricordo di donne o persone
che svolgono mansioni di segreteria d’ufficio si era perso nel tempo.
Da ben cinquant’anni erano state sostituite da questi servizi virtuali molto
più economici ed efficienti in barba alla disoccupazione che aveva raggiunto
livelli altissimi. Percentuali dell’85% in America e in Europa un po’
meno in Asia e Africa.
In compenso le immagini oleografiche dei servizi erano vendute da persone
reali. Avvenenti giovani fanciulle che cedevano i diritti d’uso della
propria immagine per servizi virtuali. Perlopiù attrici mancate.
La solita atmosfera tetra incombeva sull’agglomerato di grattacieli di
Hope nel Nebraska.
Un cielo sempre plumbeo avvolgeva queste enormi matitone sorte in
mezzo ad un arido deserto.
Il clima, sconvolto dall’effetto serra, procurava spesso inondazioni sulle
coste con tremendi uragani, rendendole pressoché inabitabili. Ma qui
all’interno, si moltiplicavano giorni grigi, con cieli sempre coperti senza
che cadesse un goccio di pioggia. Erano rarissime le giornate in cui si
poteva vedere affacciarsi il sole tra quelle coltri di grigio. Ma pressoché
inesistenti le piogge. La siccità aveva reso arido e stepposo quasi tutto
l’interno del Nord America. I grattacieli si approvvigionavano d’acqua
con potenti pompe che risucchiavano il liquido da grandi profondità sottoterra.
Black discese rapidamente con l’ascensore nello scantinato dell’immobile.
Qui dei fantasmagorici tunnel sotterranei collegavano, attraverso veloci
navette, i grattacieli all’aeroporto. Fuori la temperatura desertica, elevata
di giorno e molto fredda di notte, insieme ai possibili attacchi dei predoni
motorizzati, rendevano veramente molto arduo qualsiasi viaggio.
Negli ultimi decenni, viste le sempre maggiori sperequazioni economiche
nella distribuzione delle ricchezze nella società, e il progressivo e spaventoso
costo dell’energia e degli approvvigionamenti idrici, molti individui
si erano dati alla pirateria nel deserto. Si erano procurati cingolati mobili
alimentati ad energia solare, normalmente rubandoli, e con questi attaccavano
depredando ed uccidendo qualsiasi viaggiatore che si fosse
avventurato nel deserto. Una specie di predoni in chiave moderna che, al
posto di cavalli o cammelli, utilizzavano questi nuovi mezzi tecnologici.
Questi banditi trascorrevano interamente la loro vita all’interno di questi
mobili cingolati inventati e costruiti da circa un trentennio.
Black, giunse velocemente all’aeroporto. Qui, attraverso la digitazione
del codice di prenotazione, aprì le varie porte automatiche per recarsi e
sedersi nel posto assegnatogli all’interno del velivolo.
Gli aerei con la vecchia concezione tecnologica erano scomparsi. Troppo
costoso il dispendio di energia necessario a far volare un turboreattore o
qualsiasi altro velivolo dotato di motori ad elevato consumo. Troppo dannoso
l’effetto di emissione di gas che avrebbe potuto oltremodo aumentare
il già disastroso effetto serra. Il pianeta era già ridotto a condizioni di
vita estrema per l’incoscienza dei predecessori.
Per anni si era tornati all’uso del dimenticato dirigibile. Poi, la scoperta
e la produzione di antimateria antigravitazionale aveva risolto in gran parte
il problema. Cento grammi di questo elemento produceva una forza
gravitazionale inversa pari a 1.000 kg.
Questo effetto lo si poteva sfruttare per vincere la gravità e dotare i
velivoli di piccoli motori ad elica alimentati ad energia solare.
Black si allacciò la cintura come prevedeva il regolamento e si rilassò
interamente preparandosi ad affrontare il viaggio. Il casco medianico, una
volta correttamente posizionato, gli avrebbe permesso di estraniarsi totalmente.
Fluide immagini e dolce musica, o film interrativi dove il viaggiatore
poteva essere il protagonista della trama, erano generati dal casco.
Ma Black, dopo averlo messo per una decina di minuti, preferì osservare
attraverso il pavimento di cristallo trasparente la visione poco felice
del nostro povero pianeta che gli scorreva sotto.
Dopo aver attraversato l’oceano (la rotta era scientificamente preparata
per evitare i numerosi tifoni che sconvolgevano il pianeta), il velivolo
cominciò a sorvolare la terraferma.
Sotto, immerse in desolanti zone abbandonate e steppose, brillavano,
come poche stelle, in una ghiacciata notte novembrina, enormi castelli vestiti
di luci.
Nei decenni passati, carestie e fame, dovute principalmente alla scarsità
di risorse idriche e agli altrettanto vertiginosi aumenti dei costi energetici,
avevano mietuto milioni di vittime.
Le città erano state praticamente abbandonate perché invivibili dato il
progressivo ed inarrestabile fenomeno della violenza urbana. La gente si
era rifugiata in campagna in baracche, palafitte o era addirittura tornata a
vivere nelle grotte. Cercando comunque di trovare dimore isolate e
difendibili dalle crescenti bande di delinquenti.
Pochi grandi facoltosi si erano trincerati in enormi sfarzosi castelli che,
dal punto di vista estetico, riesumavano immagini medioevali, ma erano in
compenso dotati di modernissime tecnologie sia per la conduzione interna
della vita sia per la protezione della costruzione stessa da attacchi esterni.

Id: 775 Data: 23/11/2010 09:37:54

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Le perpplessità di Black


CAPITOLO I. LE PERPLESSITÀ DI BLACK
(Tratto da “OMICIDI NEL 2117” di Marco Raiti edito da Zona 2009)

Nel 2117 anche le funzioni investigative erano svolte da agenzie private.
Al ridottissimo ente pubblico erano relegate solo le mansioni di controllo
dei rapporti redatti dalle singole agenzie relative ai vari casi d’investigazioni
omicidi, furti, truffe ed ogni altro genere di crimine.
Ma a Black non convinceva il rapporto relativo al presunto suicidio
della signora Puda.
Lui era uno dei pochi bianchi rimasti ad insediare una carica così importante.
Ormai la famigerata razza Ariana era quasi scomparsa dalla terra,
inverosimile per Hitler, nel 2117 il mondo era popolato per la stragrande
maggioranza dalla razza cinese, da quella negra e da una crescente razza
meticcia che perdeva, man mano che le generazioni passavano, ogni possibile
classificazione di caratteristiche come si usava fare nel passato.
La signora Puda, giovane vedova d’aspetto decisamente gradevole,
era stata trovata morta nel suo letto. La causa del decesso era attribuita ad
un uso non corretto del suo makedream.
Un apparecchio che generava impulsi magnetici capaci di stimolare la
fantasia cerebrale in modo da produrre sogni perfettamente inerenti al
desiderio del sognatore.
La diavoleria era stata inventata trent’anni prima quando la ricerca medica
aveva scoperto che campi magnetici di una certa intensità stimolavano
una zona cerebrale in modo così intenso da far vivere come realtà sogni
creati dai desideri più inconsci dell’individuo. Da quella nuova scoperta
era nata una proficua speculazione nel costruire, brevettare e
commercializzare strumenti che producessero tale effetto. Il risultato era
ottimo viste anche le crescenti deviazioni sessuali.
L’agenzia VERITAS aveva completamente discolpato la casa produttrice
del makedream. Il manuale in ologrammi virtuali era estremamente
dettagliato e legalmente consono al corretto uso dell’apparecchio. Ogni
norma di sicurezza era stata rispettata e solo la forzatura impropria del
limite di sensibilità e/o di quello di durata avrebbe potuto avere effetti letali
così com’era successo con la signora Puda.
Black continuava e rileggere quel rapporto ma qualcosa non lo convinceva.
Al momento non era un elemento razionale, ma solo una sensazione.
Un istinto umano ormai quasi dimenticato dalla generazione del 2117. Solo
lui e pochissimi altri avevano conservato quelle primordiali caratteristiche.
L’agenzia poteva essere stata corrotta dalla casa produttrice del
makedream. Era una cosa che purtroppo succedeva spesso. Ma dai test
effettuati e registrati nel rapporto non trapelavano irregolarità od omissioni
che potessero far sospettare ciò.
Lo sorprese nei suoi pensieri la melodia della video-comunicazione in
attesa. Era Withe, Eva Withe.
Black diede il consenso alla comunicazione e all’istante un ologramma
si plasmò davanti a lui.
Una splendida immagine di una donna di colore gli chiese come mai
non aveva ancora dato il Go al rapporto da lei stilato. Eva era la responsabile
della VERITAS e, come in questo caso, spesso si occupava personalmente
di svolgere le indagini. Lo studio scarno, ma estremamente luminoso
posto al 312° piano del grattacielo, si ravvivò di ulteriore luce che
metteva ancora più a nudo l’imbarazzo di Black. Se la cavò in malo modo
e goffamente, avanzando scuse sulla mancanza di tempo per i troppi impegni.
Ma fu costretto a promettere di chiudere la pratica entro la settimana
successiva. D’altronde non poteva accampare nessun motivo razionale
o vizio burocratico che potesse impedire ciò. Solo quella strana sensazione
ed il rapporto era stato stilato in modo perfetto.
Era la seconda volta che nella giornata aveva ricevuto pressioni per il
Go del rapporto.
Nella mattinata anche il suo responsabile gli aveva domandato come
mai non lo avesse ancora fatto.
Se vi erano motivi che potessero far attendere ancora.
Naturalmente tutte quelle pressioni facevano aumentare il sospetto nella
mente di Black.
Nella notte inoltrata, ormai poche luci, da lontano puntini luminosi nel
buio, denunciavano l’esistenza di quell’enorme matita verso il cielo. Un
gigantesco grattacielo, in mezzo ad altri imponenti mostri.
Black decise di rimandare all’indomani ogni decisione.

Id: 770 Data: 16/11/2010 08:56:10

*

Scelta drammatica


La strada scivolava veloce e silenziosa sotto le ruote della
potente auto.
I via vai delle luci dei lampioni e di qualche raro veicolo si
riflettevano sulle pupille di Ocram. Guidava tenendo il volante
con una mano, mentre nell’altra reggeva una sigaretta che
aspirava a larghe boccate… lentamente.
Il suo sguardo era teso e assorto.
Ocram aveva appena raggiunto la quarantina, ma, nonostante
non fosse più un giovincello, si manteneva in perfetta forma e
il suo fascino, col passare degli anni, non diminuiva, anzi si era
arricchito di una certa espressione di maturità, che gli donava
ulteriormente. Ora alcuni pensieri lo infastidivano. Lui che era
stato sempre così sicuro di sé, anzi che credeva che il segreto del
successo fosse la chiarezza delle proprie idee, ora alcuni dubbi gli
si paravano davanti e rimanevano tali, senza cioè che lui potesse
risolverli o dissolverli. Per la verità, già altre volte aveva avuto
queste crisi riflessive, ma le aveva sempre soffocate secondo il
suo basilare principio che il dubbio è nemico del successo.
Ma questa volta era diverso. Più cercava di convincersi che tali
pensieri non avrebbero fatto altro che danneggiarlo e più ne era
tormentato. Ripensava ad Angela.
Angela era stata la sua amante per cinque anni. Tutto era
andato bene tra loro finché lei non aveva preteso qualcosa di
più. Diceva che voleva un rapporto più saldo. Non le bastava più
quella labile relazione. Si vedevano anche più volte la settimana,
sovente cenavano insieme e insieme passavano quasi tutti i fine
settimana.
“Ma vivere insieme… è un’altra cosa” aveva detto lei.
Lui era rimasto del solito parere, irremovibile. Non se l’era
mai sentita di legarsi completamente ad una donna, o meglio,
pensava che la convivenza avrebbe finito per danneggiare il suo
successo... la sua carriera.
Angela aveva giurato d’amarlo, ma questo non era bastato a
smuoverlo dai suoi principi. Sarebbe stato mettere in dubbio la sua
chiarezza di idee, mettere in dubbio cioè tutta la sua concezione
della vita. Ma ora una piccola perplessità gli era rimasta e via
via stava prendendo piede nella sua mente assumendo sempre
più l’aspetto di un grosso dubbio. Forse, pensò, perché provava
qualcosa per Angela. Non sapeva bene distinguere se si trattasse
d’amore o di un semplice affetto.
Certo Angela era bella… dolce. Gli rimbombava forte nella
mente una sua frase: “Sarebbe bello svegliarsi tutte le mattine
per affrontare insieme la vita”. Ma avrebbe dovuto resistere a
tutte le tentazione che potessero compromettere il suo brillante
successo, comprese quelle emotive. Così, come spesso succede
nella mente umana, il pensiero di Angela lo indusse a girovagare
con la memoria nella sua trascorsa vita. Ma gli sembrava che
questa fosse completamente vuota. Non vi era un ricordo degno
di essere ripescato dall’oblio: soltanto successo, successo e
carriera. Gli pareva di stringere le due cose tra le mani e scoprire
di non tenere niente.
Allora si guardò più volte nello specchietto retrovisore per
cercare di capire chi fosse, ma quegli occhi, quell’espressione
non gli davano risposta.
Un senso di angoscia gli saliva fin su per la gola.
Immerso in quegli strani pensieri che gli procuravano
sensazioni mai provate, si accorse di avvicinarsi ad un passaggio
a livello e, dal lampeggiare delle luci rosse, intuì che si stavano
abbassando le sbarre di protezione.
Al che, quasi istintivamente, pigiò più forte il piede
sull’acceleratore nel tentativo di attraversare prima che si chiudesse
il passaggio. Ma d’improvviso successe qualcosa d’imprevisto.
La macchina cominciò a sbandare e Ocram s’accorse di non
controllarla più. Poi tutto si mise a girare vorticosamente. Infine
un fragoroso rumore e dopo più niente.
Riprese quasi subito conoscenza, come se si svegliasse da un
incubo per iniziare un dramma vero. Constatò che si trovava
imprigionato in un groviglio di lamiere. Perdeva molto sangue
da tutte le parti, ma fortunatamente, pensò, era ancora vivo.
Improvvisamente udì un fischio che gli fece raggelare il sangue
che ancora gli scorreva nelle vene. Era il fischio del treno.
Ocram si era immediatamente reso conto di trovarsi tra le
sbarre del passaggio a livello, proprio sulle rotaie della ferrovia.
Tra pochi secondi il treno lo avrebbe ridotto in una poltiglia di
carne e lamiere. Fece un rapido esame della situazione e capì
che, facendo appello a tutte le sue forze, avrebbe potuto liberarsi
da quella posizione e mettersi in salvo. Ma, mentre si preparava
a produrre il massimo sforzo per uscire da lì, un drammatico
interrogativo gli sorse spontaneo: “Voleva lui veramente salvarsi?
Aveva ancora un senso vivere per lui?”.
Proprio come sovente si sente dire di un uomo che si trova
alle soglie della morte, vide scorrere la propria vita con una tale
nitidezza come se assistesse ad una proiezione cinematografica.
Si ritrovò bambino, con la sua dolce mamma che gli insegnava
ad amare il mondo.
Lui, invece, che cercava solo di imparare a dominarlo,
provando ad essere sempre il migliore, il più bravo a scuola e
sempre il primo con i compagni. Se qualche volta non riusciva
se la prendeva moltissimo.
Poi la vita adulta. Ma di quella l’unico ricordo era sempre il
successo. Quell’odiato successo!
Decise che sarebbe rimasto nella macchina.
Il treno passò veloce senza fermarsi.

Id: 767 Data: 12/11/2010 14:44:32

*

La stanza dei ricordi


A me piace molto parlare con i vecchi, discorrere con loro
del più e del meno, attento a non tralasciare d’intendere neppure
il più piccolo velo di una sfumatura, quando loro, i vegliardi, si
pongono placidi con occhi pieni di ricordi a raccontare frammenti
di vita ormai accatastati in una stanza, che, ora che la stessa vita
glielo permette, più sovente possono scendere a visitare. Varcare
quella soglia soli e silenziosi girando l’interruttore per illuminare
tra la polvere sparsa i loro ricordi. Quelli più preziosi, ancora
lucidi e scintillanti quasi fossero fatti di metalli nobili o cimeli
di una prestigiosa collezione che molto spesso viene ammirata
e lucidata con cura; gli altri, quelli meno amati o solo meno vivi,
lasciati più in disparte, fuori dal colpo d’occhio che si può gettare
appena varcata la soglia della stanza e già un po’ meno lucidi.
Fino poi a scovare con lo sguardo attento della memoria quelli più
impolverati, lasciati lì, in un cantuccio della stanza, semicoperti
dai primi.
Ebbene, dicevo, molto spesso mi soffermo a chiacchierare con
loro, i saggi vecchi. Ma certo non immaginavo che, recandomi
nella vicina cittadella di Sarzana per sbrigare alcuni affari, potessi
scorgere, lungo la strada che vi conduce, una vecchierella, che, a
guisa di spigliata teen-ager, mi domandò un passaggio in auto; o
meglio, in gergo, faceva l’autostop.
Per la verità, il suo gesto era molto differente dal solito pugno
chiuso con il pollice rivolto verso l’esterno. Ella, infatti, alzò la
mano blanda, con lo stesso gesto che si usa per indicare la fermata
dell’autobus. Io, superato il primo momento di perplessità, anche
perché sospettoso che la nonna potesse avere urgente bisogno di
risolvere qualche problema, mi fermai e la invitai a salire.
Portava con sé una larga borsa, dalla quale fuoriuscivano tre grosse
forme di pane ed aveva la testa fasciata in un fazzoletto, come
era sovente vedere qualche anno fa e forse ancora oggi, magari
solamente in qualche paesino di campagna. Sul viso, segnato e
cosparso di rughe, spiccavano due piccoli occhi azzurri.
Mal adagiata sul sedile anteriore della macchina a causa del
fastidioso ingombro che le procurava la borsa, la guardai: mi
ispirava un senso di simpatia misto al naturale rispetto che le
dovevo, data la sua veneranda età.
Settantotto anni, mi aveva detto, e, tralasciando i solchi che il
tempo le aveva inevitabilmente segnato sul volto e sulle mani, le si
sarebbe dato sicuramente qualche anno in meno; se non altro per
la prontezza del suo parlare o per la gioviale vivacità che scaturiva
dai suoi modi. Io ascoltavo attento, cercando di capire il succo
di quella preziosa esperienza.
Poi, come quasi sempre succede, si scese dagli argomenti di carattere generale a quelli più personali.
Pur senza volermi compassionare delle sue disgrazie, mi confidò
che aveva una figlia invalida operata l’anno prima per un tumore
alla mammella e un marito vecchio e logoro che, contrariamente a
quanto era successo a lei, la spietata malattia dei molti anni aveva
reso incapace di badare a se stesso.
Lei era rimasta l’unico pilastro su cui poteva far conto la
disgraziata famiglia. Ma non si lamentava di ciò, anzi diceva che la
vita le aveva insegnato a non lagnarsi per tutto il male che poteva
capitare. L’unico rimedio era rimboccarsi le maniche come sempre
aveva fatto quando il dovere di moglie, e ancor più l’amore di
madre, l’aveva costretta a lavorare duramente nelle cave di marmo
di Carrara per poche lire al giorno. Spesso si era ritrovata a girare
nelle grandi città, lei, umile paesana, nativa di un piccolo borgo in
provincia di Carrara. Si capiva dalla serenità della sua espressione
che, lungi da ogni tentazione di farsi commiserare, era veramente
convinta di ciò che diceva e le sue parole erano vergini di qualsiasi
retorica, come invece potrebbe non apparire dal mio racconto.
Poi, come spesso succede tra tanto parlare, un silenzio si insediò
nell’abitacolo dell’auto e le nostre menti si proiettarono a pensare
indipendenti. Arrivati a Sarzana, ci salutammo cordialmente
ed ella mi ringraziò con la solita semplicità che aveva mostrato
durante tutto il nostro breve incontro.
Ora, io mi domando e dico, chi, ascoltando quell’anziana
signora ormai alla fine della vita, non sarebbe rimasto colpito
dalla sua forza, non le avrebbe invidiato la sua tenacia, così come
ora io le invidio? E se per ciò m’è parso giusto raccontare questo
episodio, quella vecchierella, che io probabilmente non rivedrò
più, rimarrà nella mia memoria con la stessa intensità di un ricordo
prezioso, lucido e scintillante e, quando sarò più in là con gli anni,
scenderò spesso nella stanza a visitarlo come cimelio della mia
preziosa collezione.


Marco Raiti

Id: 758 Data: 02/11/2010 08:22:13