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Una vita diversa.
...e la gente dirà che era un disadattato… un emarginato. Non aveva né moglie né figli e, a trentasette anni, la convivenza con i genitori poteva risultare penosa. Non aveva hobby o interessi particolari, se non quello dello sci, a cui vi si era dedicato solo da qualche anno. Ma una settimana di vacanze e qualche week-end sulla neve potevano risultare di ben poco svago nell’intero arco di un anno. La sua vita era ormai là, sul luogo di lavoro, confinata tra quelle mura a cui egli guardava come a quelle di una prigione che gli avevano incatenato l’intera esistenza. Un’esistenza tutt’altro che lieta. Attendeva l’orario d’uscita e le ore passavano monotone e lente tra una sigaretta e l’altra. Ne fumava parecchie, anche due pacchetti al giorno. Spesso, si appartava in uno stanzino comunicante con il laboratorio adibito solo in specifici momenti a lavorazioni speciali, e rimaneva lì al buio per parecchio tempo. Da qui, i colleghi di lavoro, quelli più maligni o solo più burloni, gli affibbiarono il sopranome di pipistrello. Se qualcuno entrava nello stanzino accendendo la luce, egli se ne lamentava, diceva che amava restare al buio, era più riposante. Sovente era oggetto di burle a causa del suo carattere un po’ schivo. La stessa condotta di vita nonché l’aspetto non più brillante e giovanile, ne avevano fatto la mira dei soliti colleghi buontemponi (se così è lecito definirli). Attendeva il suono della campanella, che indicava la fine della giornata lavorativa, come una liberazione. Ma, contrariamente all’illusione creatasi lungo il giorno, anche il dopolavoro, atteso con tanta ansia, non gli portava che noia. Avrebbe tanto desiderato una moglie ad attenderlo nella quiete domestica, e magari dei figli che lo avessero tempestato di problemi. Invece non gli rimaneva che andare a passeggiare sul lungomare, come sempre lo si vedeva ogni volta che ci si recava a Lerici. Solo o in compagnia di amici, che, per la verità, sembravano molto occasionali. Continuava a camminare per ore non passando di certo inosservato, anche per via di un paio di occhiali scuri che raramente si toglieva e che gli procuravano un poco di bramata oscurità, nascondendo così agli ignari due grandi occhi azzurri velati di malinconia per il desiderio di una vita diversa. L’avevo conosciuto cinque anni prima, m’era parso molto più allegro e scherzoso, disponibile anche a reciproche burle. Poi, il tempo gli aveva gradatamente affievolito quelle qualità. Forse anche perché si era stufato del fatto che le sue spontanee manifestazioni d’allegria potessero essere, per alcuni, ulteriore oggetto di scherno. Qualcuno insinuava che avesse avuto una delusione amorosa, dato che quasi mai parlava di donne e raramente si univa alla discussione quando se ne trattava l’argomento in maniera mondana. Di natura molto permalosa, passava facilmente dallo scherzo all’offesa. Aveva, difatti, litigato un po’ con tutti, ma sempre roba di poco conto. Difficilmente portava il broncio a qualcuno per lungo tempo. Aveva lavorato per qualche periodo all’estero, prima di essere assunto in quella piccola ditta elettronica. In Iraq e in Libia, mi pare di ricordare che dicesse. Ne parlava con una certa fierezza ed orgoglio, tacendo però dettagli e particolari personali. Cosicché si sospettò potesse aver avuto delle esperienze negative e che la causa delle sue stranezze derivasse proprio da ciò. Ma tutto rimaneva nel dubbio creandogli intorno un alone di mistero, e la gente, probabilmente indispettita dalla difficoltà di superare questo ostacolo, rinunciava ad ogni stimolo di curiosità, disinteressandosi del problema ed abbandonando il poveraccio ad un isolamento sempre più deleterio. L’anno prima, poi, ero andato a trovarlo a casa sua insieme a due miei colleghi. Era stato parecchio male, rimanendo addirittura in coma per qualche giorno. Dissero che aveva bevuto incoscientemente una birra dopo aver ingerito dei sedativi e che l’effetto era stato disastroso. Ci accolse tranquillo e giulivo nella sua casetta di campagna sita in località Sarzanello, poco distante dalla città di Sarzana. Conobbi i suoi genitori, gente semplice che sprigionava spontaneità dai loro modi di fare. Ma anche ormai avanzati nell’età, e questo, pensai, avrebbe potuto creargli problemi d’incomprensione. Tutto l’ambiente domestico, comunque, traspirava, almeno quel dì, un senso di spensierata serenità.
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Quella mattina la notizia giunse inaspettata. All’inizio tutto era molto vago e i colleghi si riunivano in piccoli gruppi bisbigliando ciò che era di loro conoscenza e cercando di carpire dagli altri le novità. Poi, in poco tempo, ogni dubbio ed ogni imprecisione scomparve e tutti dovettero accettare la realtà. Fonti era morto, si era suicidato! Nella notte antecedente si era recato sul viale per Marina di Carrara, qui aveva ingerito un grosso quantitativo di sedativi, aiutandosi, nell’atto, con una birra. Proprio ciò gli era stato fatale. Poi aveva posizionato il sedile ribaltabile della macchina in maniera da coricarsi supino in attesa della morte. Allora fu chiaro che l’episodio dell’anno passato non era stato un incidente, bensì un primo fallito tentativo di farla finita. I commenti sulla tragedia erano i più diversi, nell’ambiente lavorativo. C’era chi, preso da tardivi scrupoli di coscienza, si domandava se noi non avessimo contribuito in qualche modo alla sua morte o perlomeno non avessimo lasciato qualcosa d’intentato perché egli non giungesse a quella fatale decisione. Ma vi era anche chi, trincerando la propria coscienza dietro un costruito cinismo, se ne usciva con frasi del tipo: “Uno di meno… ora c’è più spazio”. In particolare mi colpì il commento di un responsabile, che, per salvare la propria immagine forse più con se stesso che verso agli altri, ne concluse che Fonti era malato e non si sarebbe potuto far nulla per evitare il dramma. Mi confidò inoltre che lui e qualche altro dirigente erano a conoscenza del fatto che l’episodio dell’anno precedente non era stato un banale incidente, ma la cosa era stata taciuta per evidenti motivi di riservatezza personale. Il giorno seguente il giornale riportava con un breve trafiletto la notizia dell’accaduto. Al funerale erano presenti tutti i dirigenti ed i massimi responsabili della ditta, mentre molti compagni di lavoro avevano disertato la cerimonia con banali scuse di inderogabili impegni. Probabilmente avevano voluto evitare che i pianti strazianti dei genitori intaccassero la corazza in cui era avvolta la loro coscienza, così ben protetta in quel tranquillo letargo.
Id: 792 Data: 09/12/2010 17:28:07
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Nel castello di Aquisgrana.
CAPITOLO III. NEL CASTELLO DI AQUISGRANA (Tratto da “OMICIDI NEL 2117” di Marco Raiti edito da Zona 2009)
Black atterrò agevolmente all’aeroporto di Aquisgrana e, usando gli stessi tunnel sotterranei della partenza, in breve si ritrovò nel castello dove aveva vissuto Puda. Qui i controlli per l’accesso erano numerosi e non solo di tipo elettronico. Una serie di addetti alla vigilanza controllarono attentamente i documenti e i permessi di Black. I tempi in cui si viveva non permettevano di allentare la presa perché attentati, tentativi di furti o altre intrusioni con scopi illegali e violenti erano all’ordine del giorno. Le risorse di tipo tecnologico ed umano impiegate per il controllo dei favoleggianti castelli erano numerose. Salito nella suite dove aveva vissuto Puda, Black chiese all’addetto che l’accompagnava di poter rimanere qualche minuto solo. Passeggiava lentamente da una stanza all’altra cercando di concentrarsi il più possibile. Giunto nella camera da letto, si fermò ad osservare più attentamente i particolari. La stanza si presentava, agli occhi di Black, con la sua veste sfarzosa quasi stucchevole di un pesante stile barocco. Un letto Luigi XIV con relativo baldacchino si poneva al centro della stanza. Imponenti tendoni di velluto rosso cingevano finestroni enormi con vetri decorati da splendidi dipinti raffiguranti scene d’amore. Una scellerata voglia di dilapidare ricchezze, alla faccia della miseria che si estendeva fuori delle mura del castello, aveva fatto riemergere dal passato mode e costumi sfarzosi in una filosofia di vita che inneggiava al massimo godimento individuale senza avvertire alcuna remora altruista. Ad un tratto a Black parve di scorgere qualcosa sotto il letto. Un luccichio metallico colse la sua attenzione. Con grande stupore constatò che si trattava di un makedream. Senza indugiare oltre, Black raccolse l’apparecchiatura e, quasi istintivamente lo pose in stato di ON facendolo funzionare. Istantaneamente si modellò un ologramma con la figura di un uomo vestito da mussulmano e con la stessa imprevedibile immediatezza una scarica elettrica, partita dal congegno, sfiorò Black andando ad incendiare dalle apposite bocchette, mimetizzate nel soffitto, un violento getto di Co2 che soffocò prontamente le fiamme. Black si ritrovò scaraventato per terra e senza avere nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che era accaduto, venne circondato da una decina di vigilantes che erano accorsi fulminei all’attivazione dell’allarme. Dopo aver eseguito gli scrupolosi controlli del caso, Black fu condotto alla suite che gli era stata prenotata dal suo dipartimento. Rimase solo con i suoi pensieri ed i nuovi interrogativi. Come mai un makedream era rimasto nella camera del delitto dopo che questa era stata ripetutamente e professionalmente analizzata dalla scientifica? Sicuramente era stato messo dopo. Ma come avevano fatto se la suite era rigorosamente chiusa e vigilata dalla sorveglianza del castello che collaborava con lo svolgimento delle indagini in corso? Solo dopo la chiusura ufficiale del caso avrebbero potuto riaprire le stanze.
Black si riprometteva di emettere, via e-mail, un rapporto di richiesta spiegazioni per l’accaduto. Ma intanto le domande assillavano la sua mente. Cosa rappresentava l’ologramma dell’uomo vestito in abiti mussulmani? Tra l’altro il costume intravisto pareva ricordare abiti di alcune decine di anni prima. Sicuramente il fatto che avevano tentato di farlo fuori confermava le sue sensazioni. C’era qualcosa di poco chiaro in quel caso checché ne dicessero Eva ed il suo capo. Black si convinse che aveva fatto bene a non chiudere frettolosamente quella pratica. Sentì suonare alla porta e si precipitò ad aprire. “Scusi ispettore Black, sono il responsabile della sicurezza interna del castello e sono venuto ad anticiparle il rapporto dell’accaduto che a breve riceverà via e-mail… Lei come sta?” Un uomo bianco, sulla quarantina, con statura elevata e fisico atletico ed imponente gli si stagliò davanti proferendo quelle parole senza nessuna enfasi. Quasi fossero pronunciate da un automa. “Bene”, rispose Black senza neppure guardarlo. Efficienti inservienti senza cervello gli generavano automaticamente antipatia. “Il makedream è andato completamente distrutto per cui non abbiamo potuto analizzarlo. La sua presenza nella stanza è inspiegabile. Svolgeremo ulteriori indagini”, continuò l’uomo senza oltre indugiare sullo stato di salute di Black. Black lo congedò in modo molto sbrigativo smorzando ogni possibile discussione anche se l’uomo non sembrava avere nessuna intenzione di proporla. Aveva appena richiuso la porta dietro di sé quando gli vibrò l’orologio che portava al polso. Era il segnale che indicava l’arrivo di una nuova e-mail. Black la visualizzò rapidamente. Era il suo capo che gli chiedeva di mettersi urgentemente in contatto con lui. Black accese il suo portatile e avviò la connessione. Sul monitor comparve il viso di un uomo di colore. Per la verità il colore della sua pelle come la classificazione della sua razza non erano molto definibili. Un incrocio tra la razza nera e quella asiatica mescolati ad almeno altre dieci caratteristiche di altre razze lo identificavano come un appartenente alla nuova generazione meticcia che ormai dominava il mondo. “Salve Chef… Cosa c’è di tanto urgente?”, chiese Black con una intonazione di lieve scherno. “Ce n’è stato un altro. Un altro morto”, rispose Futur con un tono decisamente più freddo ed incurante di quello di Black. “Un altro incidente mortale a causa del makedream. È avvenuto nel castello di Roncisvalle questa notte. Il nome della vittima è Virtual. Un omosessuale di quarantacinque anni. Naturalmente abbiamo evitato che la notizia si diffondesse … avrebbe creato un grosso danno d’immagine alla All Dreams”. La All Dreams era la società che governava, in regime di monopolio assoluto, il mercato dei makedreams attraverso una moltitudine di piccole e grosse aziende da lei controllate. Black corrugò la fronte in una smorfia di disapprovazione, ma non disse nulla. Futur, dopo aver effettuato una pausa in cui attendeva un commento non giunto da parte di Black, continuò: “Il file del rapporto contenente la biografia di Virtual ti è appena stato inviato. Credo che sia il caso che tu faccia un salto anche sul luogo di questo secondo incidente”. La biografia, nel 2117, non era un termine come lo conoscevano nel passato, un riassunto in cui si racconta la vita di un uomo famoso, in realtà si trattava della registrazione visiva e sonora della vita di ciascun abitante della Terra. Un ente di controllo segreto chiamato LIFE, sfruttando tecnologie sofisticatissime, era in grado con una catena di satelliti geostazionari di registrare l’intera esistenza di ogni uomo. All’insaputa di quasi la totalità dell’umanità, la vita di ciascun individuo era registrata minuto per minuto ed opportunamente codificata, conservandone il file per specifici usi. In realtà, un certo numero di individui a conoscenza della cosa era riuscito a neutralizzare la registrazione della propria esistenza. Con l’uso di apparecchi molto avanzati offuscavano ogni filmato effettuato dai satelliti. Queste persone si erano associate in una organizzazione segreta denominata HELP PRIVACY. Essa combatteva il sistema ed era ramificata in tutto il pianeta. Sfuggivano al controllo di LIFE ovviamente i NUOVI PREDONI CINGOLATI. Ma il sistema aveva difficoltà anche nel controllo di tutta la popolazione che viveva nelle capanne, nelle grotte e di tutta la gente che non risiedeva nei castelli, nei grattacieli o nei pochi agglomerati urbani che erano rimasti. La popolazione della Terra si era ridotta a non più di 500 milioni di persone a causa delle guerre e delle carestie che si erano verificate alcuni decenni prima.
Id: 782 Data: 02/12/2010 09:09:48
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Il viaggio in Europa
CAPITOLO II: Il viaggio in Europa (Tratto da “OMICIDI NEL 2117” di Marco Raiti edito da Zona 2009)
Erano le nove del mattino del 6 marzo 2117, quando Black, solo come al solito nel suo studio, prese quella decisione. Ci aveva pensato tutta la notte. Quella notte quasi insonne. Sarebbe andato ad Aquisgrana. La città dove era morta Puda. Un ulteriore supplemento di indagini risultava superfluo, ma a lui era concesso anche questo. Venti anni di diligente servizio gli permettevano di intraprendere un’azione in piena autonomia anche se non pienamente giustificata dai fatti. Chiamò la segreteria per farsi prenotare il volo. Un altro ologramma simile a quello della figura di Eva Withe si formò nell’ufficio. Era il servizio virtuale di segreteria. Il ricordo di donne o persone che svolgono mansioni di segreteria d’ufficio si era perso nel tempo. Da ben cinquant’anni erano state sostituite da questi servizi virtuali molto più economici ed efficienti in barba alla disoccupazione che aveva raggiunto livelli altissimi. Percentuali dell’85% in America e in Europa un po’ meno in Asia e Africa. In compenso le immagini oleografiche dei servizi erano vendute da persone reali. Avvenenti giovani fanciulle che cedevano i diritti d’uso della propria immagine per servizi virtuali. Perlopiù attrici mancate. La solita atmosfera tetra incombeva sull’agglomerato di grattacieli di Hope nel Nebraska. Un cielo sempre plumbeo avvolgeva queste enormi matitone sorte in mezzo ad un arido deserto. Il clima, sconvolto dall’effetto serra, procurava spesso inondazioni sulle coste con tremendi uragani, rendendole pressoché inabitabili. Ma qui all’interno, si moltiplicavano giorni grigi, con cieli sempre coperti senza che cadesse un goccio di pioggia. Erano rarissime le giornate in cui si poteva vedere affacciarsi il sole tra quelle coltri di grigio. Ma pressoché inesistenti le piogge. La siccità aveva reso arido e stepposo quasi tutto l’interno del Nord America. I grattacieli si approvvigionavano d’acqua con potenti pompe che risucchiavano il liquido da grandi profondità sottoterra. Black discese rapidamente con l’ascensore nello scantinato dell’immobile. Qui dei fantasmagorici tunnel sotterranei collegavano, attraverso veloci navette, i grattacieli all’aeroporto. Fuori la temperatura desertica, elevata di giorno e molto fredda di notte, insieme ai possibili attacchi dei predoni motorizzati, rendevano veramente molto arduo qualsiasi viaggio. Negli ultimi decenni, viste le sempre maggiori sperequazioni economiche nella distribuzione delle ricchezze nella società, e il progressivo e spaventoso costo dell’energia e degli approvvigionamenti idrici, molti individui si erano dati alla pirateria nel deserto. Si erano procurati cingolati mobili alimentati ad energia solare, normalmente rubandoli, e con questi attaccavano depredando ed uccidendo qualsiasi viaggiatore che si fosse avventurato nel deserto. Una specie di predoni in chiave moderna che, al posto di cavalli o cammelli, utilizzavano questi nuovi mezzi tecnologici. Questi banditi trascorrevano interamente la loro vita all’interno di questi mobili cingolati inventati e costruiti da circa un trentennio. Black, giunse velocemente all’aeroporto. Qui, attraverso la digitazione del codice di prenotazione, aprì le varie porte automatiche per recarsi e sedersi nel posto assegnatogli all’interno del velivolo. Gli aerei con la vecchia concezione tecnologica erano scomparsi. Troppo costoso il dispendio di energia necessario a far volare un turboreattore o qualsiasi altro velivolo dotato di motori ad elevato consumo. Troppo dannoso l’effetto di emissione di gas che avrebbe potuto oltremodo aumentare il già disastroso effetto serra. Il pianeta era già ridotto a condizioni di vita estrema per l’incoscienza dei predecessori. Per anni si era tornati all’uso del dimenticato dirigibile. Poi, la scoperta e la produzione di antimateria antigravitazionale aveva risolto in gran parte il problema. Cento grammi di questo elemento produceva una forza gravitazionale inversa pari a 1.000 kg. Questo effetto lo si poteva sfruttare per vincere la gravità e dotare i velivoli di piccoli motori ad elica alimentati ad energia solare. Black si allacciò la cintura come prevedeva il regolamento e si rilassò interamente preparandosi ad affrontare il viaggio. Il casco medianico, una volta correttamente posizionato, gli avrebbe permesso di estraniarsi totalmente. Fluide immagini e dolce musica, o film interrativi dove il viaggiatore poteva essere il protagonista della trama, erano generati dal casco. Ma Black, dopo averlo messo per una decina di minuti, preferì osservare attraverso il pavimento di cristallo trasparente la visione poco felice del nostro povero pianeta che gli scorreva sotto. Dopo aver attraversato l’oceano (la rotta era scientificamente preparata per evitare i numerosi tifoni che sconvolgevano il pianeta), il velivolo cominciò a sorvolare la terraferma. Sotto, immerse in desolanti zone abbandonate e steppose, brillavano, come poche stelle, in una ghiacciata notte novembrina, enormi castelli vestiti di luci. Nei decenni passati, carestie e fame, dovute principalmente alla scarsità di risorse idriche e agli altrettanto vertiginosi aumenti dei costi energetici, avevano mietuto milioni di vittime. Le città erano state praticamente abbandonate perché invivibili dato il progressivo ed inarrestabile fenomeno della violenza urbana. La gente si era rifugiata in campagna in baracche, palafitte o era addirittura tornata a vivere nelle grotte. Cercando comunque di trovare dimore isolate e difendibili dalle crescenti bande di delinquenti. Pochi grandi facoltosi si erano trincerati in enormi sfarzosi castelli che, dal punto di vista estetico, riesumavano immagini medioevali, ma erano in compenso dotati di modernissime tecnologie sia per la conduzione interna della vita sia per la protezione della costruzione stessa da attacchi esterni.
Id: 775 Data: 23/11/2010 09:37:54
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Le perpplessità di Black
CAPITOLO I. LE PERPLESSITÀ DI BLACK (Tratto da “OMICIDI NEL 2117” di Marco Raiti edito da Zona 2009)
Nel 2117 anche le funzioni investigative erano svolte da agenzie private. Al ridottissimo ente pubblico erano relegate solo le mansioni di controllo dei rapporti redatti dalle singole agenzie relative ai vari casi d’investigazioni omicidi, furti, truffe ed ogni altro genere di crimine. Ma a Black non convinceva il rapporto relativo al presunto suicidio della signora Puda. Lui era uno dei pochi bianchi rimasti ad insediare una carica così importante. Ormai la famigerata razza Ariana era quasi scomparsa dalla terra, inverosimile per Hitler, nel 2117 il mondo era popolato per la stragrande maggioranza dalla razza cinese, da quella negra e da una crescente razza meticcia che perdeva, man mano che le generazioni passavano, ogni possibile classificazione di caratteristiche come si usava fare nel passato. La signora Puda, giovane vedova d’aspetto decisamente gradevole, era stata trovata morta nel suo letto. La causa del decesso era attribuita ad un uso non corretto del suo makedream. Un apparecchio che generava impulsi magnetici capaci di stimolare la fantasia cerebrale in modo da produrre sogni perfettamente inerenti al desiderio del sognatore. La diavoleria era stata inventata trent’anni prima quando la ricerca medica aveva scoperto che campi magnetici di una certa intensità stimolavano una zona cerebrale in modo così intenso da far vivere come realtà sogni creati dai desideri più inconsci dell’individuo. Da quella nuova scoperta era nata una proficua speculazione nel costruire, brevettare e commercializzare strumenti che producessero tale effetto. Il risultato era ottimo viste anche le crescenti deviazioni sessuali. L’agenzia VERITAS aveva completamente discolpato la casa produttrice del makedream. Il manuale in ologrammi virtuali era estremamente dettagliato e legalmente consono al corretto uso dell’apparecchio. Ogni norma di sicurezza era stata rispettata e solo la forzatura impropria del limite di sensibilità e/o di quello di durata avrebbe potuto avere effetti letali così com’era successo con la signora Puda. Black continuava e rileggere quel rapporto ma qualcosa non lo convinceva. Al momento non era un elemento razionale, ma solo una sensazione. Un istinto umano ormai quasi dimenticato dalla generazione del 2117. Solo lui e pochissimi altri avevano conservato quelle primordiali caratteristiche. L’agenzia poteva essere stata corrotta dalla casa produttrice del makedream. Era una cosa che purtroppo succedeva spesso. Ma dai test effettuati e registrati nel rapporto non trapelavano irregolarità od omissioni che potessero far sospettare ciò. Lo sorprese nei suoi pensieri la melodia della video-comunicazione in attesa. Era Withe, Eva Withe. Black diede il consenso alla comunicazione e all’istante un ologramma si plasmò davanti a lui. Una splendida immagine di una donna di colore gli chiese come mai non aveva ancora dato il Go al rapporto da lei stilato. Eva era la responsabile della VERITAS e, come in questo caso, spesso si occupava personalmente di svolgere le indagini. Lo studio scarno, ma estremamente luminoso posto al 312° piano del grattacielo, si ravvivò di ulteriore luce che metteva ancora più a nudo l’imbarazzo di Black. Se la cavò in malo modo e goffamente, avanzando scuse sulla mancanza di tempo per i troppi impegni. Ma fu costretto a promettere di chiudere la pratica entro la settimana successiva. D’altronde non poteva accampare nessun motivo razionale o vizio burocratico che potesse impedire ciò. Solo quella strana sensazione ed il rapporto era stato stilato in modo perfetto. Era la seconda volta che nella giornata aveva ricevuto pressioni per il Go del rapporto. Nella mattinata anche il suo responsabile gli aveva domandato come mai non lo avesse ancora fatto. Se vi erano motivi che potessero far attendere ancora. Naturalmente tutte quelle pressioni facevano aumentare il sospetto nella mente di Black. Nella notte inoltrata, ormai poche luci, da lontano puntini luminosi nel buio, denunciavano l’esistenza di quell’enorme matita verso il cielo. Un gigantesco grattacielo, in mezzo ad altri imponenti mostri. Black decise di rimandare all’indomani ogni decisione.
Id: 770 Data: 16/11/2010 08:56:10
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Scelta drammatica
La strada scivolava veloce e silenziosa sotto le ruote della potente auto. I via vai delle luci dei lampioni e di qualche raro veicolo si riflettevano sulle pupille di Ocram. Guidava tenendo il volante con una mano, mentre nell’altra reggeva una sigaretta che aspirava a larghe boccate… lentamente. Il suo sguardo era teso e assorto. Ocram aveva appena raggiunto la quarantina, ma, nonostante non fosse più un giovincello, si manteneva in perfetta forma e il suo fascino, col passare degli anni, non diminuiva, anzi si era arricchito di una certa espressione di maturità, che gli donava ulteriormente. Ora alcuni pensieri lo infastidivano. Lui che era stato sempre così sicuro di sé, anzi che credeva che il segreto del successo fosse la chiarezza delle proprie idee, ora alcuni dubbi gli si paravano davanti e rimanevano tali, senza cioè che lui potesse risolverli o dissolverli. Per la verità, già altre volte aveva avuto queste crisi riflessive, ma le aveva sempre soffocate secondo il suo basilare principio che il dubbio è nemico del successo. Ma questa volta era diverso. Più cercava di convincersi che tali pensieri non avrebbero fatto altro che danneggiarlo e più ne era tormentato. Ripensava ad Angela. Angela era stata la sua amante per cinque anni. Tutto era andato bene tra loro finché lei non aveva preteso qualcosa di più. Diceva che voleva un rapporto più saldo. Non le bastava più quella labile relazione. Si vedevano anche più volte la settimana, sovente cenavano insieme e insieme passavano quasi tutti i fine settimana. “Ma vivere insieme… è un’altra cosa” aveva detto lei. Lui era rimasto del solito parere, irremovibile. Non se l’era mai sentita di legarsi completamente ad una donna, o meglio, pensava che la convivenza avrebbe finito per danneggiare il suo successo... la sua carriera. Angela aveva giurato d’amarlo, ma questo non era bastato a smuoverlo dai suoi principi. Sarebbe stato mettere in dubbio la sua chiarezza di idee, mettere in dubbio cioè tutta la sua concezione della vita. Ma ora una piccola perplessità gli era rimasta e via via stava prendendo piede nella sua mente assumendo sempre più l’aspetto di un grosso dubbio. Forse, pensò, perché provava qualcosa per Angela. Non sapeva bene distinguere se si trattasse d’amore o di un semplice affetto. Certo Angela era bella… dolce. Gli rimbombava forte nella mente una sua frase: “Sarebbe bello svegliarsi tutte le mattine per affrontare insieme la vita”. Ma avrebbe dovuto resistere a tutte le tentazione che potessero compromettere il suo brillante successo, comprese quelle emotive. Così, come spesso succede nella mente umana, il pensiero di Angela lo indusse a girovagare con la memoria nella sua trascorsa vita. Ma gli sembrava che questa fosse completamente vuota. Non vi era un ricordo degno di essere ripescato dall’oblio: soltanto successo, successo e carriera. Gli pareva di stringere le due cose tra le mani e scoprire di non tenere niente. Allora si guardò più volte nello specchietto retrovisore per cercare di capire chi fosse, ma quegli occhi, quell’espressione non gli davano risposta. Un senso di angoscia gli saliva fin su per la gola. Immerso in quegli strani pensieri che gli procuravano sensazioni mai provate, si accorse di avvicinarsi ad un passaggio a livello e, dal lampeggiare delle luci rosse, intuì che si stavano abbassando le sbarre di protezione. Al che, quasi istintivamente, pigiò più forte il piede sull’acceleratore nel tentativo di attraversare prima che si chiudesse il passaggio. Ma d’improvviso successe qualcosa d’imprevisto. La macchina cominciò a sbandare e Ocram s’accorse di non controllarla più. Poi tutto si mise a girare vorticosamente. Infine un fragoroso rumore e dopo più niente. Riprese quasi subito conoscenza, come se si svegliasse da un incubo per iniziare un dramma vero. Constatò che si trovava imprigionato in un groviglio di lamiere. Perdeva molto sangue da tutte le parti, ma fortunatamente, pensò, era ancora vivo. Improvvisamente udì un fischio che gli fece raggelare il sangue che ancora gli scorreva nelle vene. Era il fischio del treno. Ocram si era immediatamente reso conto di trovarsi tra le sbarre del passaggio a livello, proprio sulle rotaie della ferrovia. Tra pochi secondi il treno lo avrebbe ridotto in una poltiglia di carne e lamiere. Fece un rapido esame della situazione e capì che, facendo appello a tutte le sue forze, avrebbe potuto liberarsi da quella posizione e mettersi in salvo. Ma, mentre si preparava a produrre il massimo sforzo per uscire da lì, un drammatico interrogativo gli sorse spontaneo: “Voleva lui veramente salvarsi? Aveva ancora un senso vivere per lui?”. Proprio come sovente si sente dire di un uomo che si trova alle soglie della morte, vide scorrere la propria vita con una tale nitidezza come se assistesse ad una proiezione cinematografica. Si ritrovò bambino, con la sua dolce mamma che gli insegnava ad amare il mondo. Lui, invece, che cercava solo di imparare a dominarlo, provando ad essere sempre il migliore, il più bravo a scuola e sempre il primo con i compagni. Se qualche volta non riusciva se la prendeva moltissimo. Poi la vita adulta. Ma di quella l’unico ricordo era sempre il successo. Quell’odiato successo! Decise che sarebbe rimasto nella macchina. Il treno passò veloce senza fermarsi.
Id: 767 Data: 12/11/2010 14:44:32
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La stanza dei ricordi
A me piace molto parlare con i vecchi, discorrere con loro del più e del meno, attento a non tralasciare d’intendere neppure il più piccolo velo di una sfumatura, quando loro, i vegliardi, si pongono placidi con occhi pieni di ricordi a raccontare frammenti di vita ormai accatastati in una stanza, che, ora che la stessa vita glielo permette, più sovente possono scendere a visitare. Varcare quella soglia soli e silenziosi girando l’interruttore per illuminare tra la polvere sparsa i loro ricordi. Quelli più preziosi, ancora lucidi e scintillanti quasi fossero fatti di metalli nobili o cimeli di una prestigiosa collezione che molto spesso viene ammirata e lucidata con cura; gli altri, quelli meno amati o solo meno vivi, lasciati più in disparte, fuori dal colpo d’occhio che si può gettare appena varcata la soglia della stanza e già un po’ meno lucidi. Fino poi a scovare con lo sguardo attento della memoria quelli più impolverati, lasciati lì, in un cantuccio della stanza, semicoperti dai primi. Ebbene, dicevo, molto spesso mi soffermo a chiacchierare con loro, i saggi vecchi. Ma certo non immaginavo che, recandomi nella vicina cittadella di Sarzana per sbrigare alcuni affari, potessi scorgere, lungo la strada che vi conduce, una vecchierella, che, a guisa di spigliata teen-ager, mi domandò un passaggio in auto; o meglio, in gergo, faceva l’autostop. Per la verità, il suo gesto era molto differente dal solito pugno chiuso con il pollice rivolto verso l’esterno. Ella, infatti, alzò la mano blanda, con lo stesso gesto che si usa per indicare la fermata dell’autobus. Io, superato il primo momento di perplessità, anche perché sospettoso che la nonna potesse avere urgente bisogno di risolvere qualche problema, mi fermai e la invitai a salire. Portava con sé una larga borsa, dalla quale fuoriuscivano tre grosse forme di pane ed aveva la testa fasciata in un fazzoletto, come era sovente vedere qualche anno fa e forse ancora oggi, magari solamente in qualche paesino di campagna. Sul viso, segnato e cosparso di rughe, spiccavano due piccoli occhi azzurri. Mal adagiata sul sedile anteriore della macchina a causa del fastidioso ingombro che le procurava la borsa, la guardai: mi ispirava un senso di simpatia misto al naturale rispetto che le dovevo, data la sua veneranda età. Settantotto anni, mi aveva detto, e, tralasciando i solchi che il tempo le aveva inevitabilmente segnato sul volto e sulle mani, le si sarebbe dato sicuramente qualche anno in meno; se non altro per la prontezza del suo parlare o per la gioviale vivacità che scaturiva dai suoi modi. Io ascoltavo attento, cercando di capire il succo di quella preziosa esperienza. Poi, come quasi sempre succede, si scese dagli argomenti di carattere generale a quelli più personali. Pur senza volermi compassionare delle sue disgrazie, mi confidò che aveva una figlia invalida operata l’anno prima per un tumore alla mammella e un marito vecchio e logoro che, contrariamente a quanto era successo a lei, la spietata malattia dei molti anni aveva reso incapace di badare a se stesso. Lei era rimasta l’unico pilastro su cui poteva far conto la disgraziata famiglia. Ma non si lamentava di ciò, anzi diceva che la vita le aveva insegnato a non lagnarsi per tutto il male che poteva capitare. L’unico rimedio era rimboccarsi le maniche come sempre aveva fatto quando il dovere di moglie, e ancor più l’amore di madre, l’aveva costretta a lavorare duramente nelle cave di marmo di Carrara per poche lire al giorno. Spesso si era ritrovata a girare nelle grandi città, lei, umile paesana, nativa di un piccolo borgo in provincia di Carrara. Si capiva dalla serenità della sua espressione che, lungi da ogni tentazione di farsi commiserare, era veramente convinta di ciò che diceva e le sue parole erano vergini di qualsiasi retorica, come invece potrebbe non apparire dal mio racconto. Poi, come spesso succede tra tanto parlare, un silenzio si insediò nell’abitacolo dell’auto e le nostre menti si proiettarono a pensare indipendenti. Arrivati a Sarzana, ci salutammo cordialmente ed ella mi ringraziò con la solita semplicità che aveva mostrato durante tutto il nostro breve incontro. Ora, io mi domando e dico, chi, ascoltando quell’anziana signora ormai alla fine della vita, non sarebbe rimasto colpito dalla sua forza, non le avrebbe invidiato la sua tenacia, così come ora io le invidio? E se per ciò m’è parso giusto raccontare questo episodio, quella vecchierella, che io probabilmente non rivedrò più, rimarrà nella mia memoria con la stessa intensità di un ricordo prezioso, lucido e scintillante e, quando sarò più in là con gli anni, scenderò spesso nella stanza a visitarlo come cimelio della mia preziosa collezione.
Marco Raiti
Id: 758 Data: 02/11/2010 08:22:13
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