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Verdazzurro »
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Le ragazze dellultimo inverno
Per essere strano è strano, quest’ultimo inverno che regala tramonti mai visti, cieli azzurro solido e un sole gentile. Ci si ritrova, prima o poi. Di qualcuna ricordi il nome ma non il volto, dell’altra intuisci la stanchezza, dell’altra ancora riconosci l’energia. Cosa rimane dell’infanzia quando ritrovi le persone con le quali l’hai condivisa? Che cos’hai da mostrare per farti riconoscere? Nulla. A volte i nostri migliori amici hanno la nostra stessa età, ma non sono stati bambini insieme a noi e del nostro “campo di grano” non sanno niente. Una pizza con le compagne delle elementari può mettere a posto tante cose; di te adulta sanno poco ma il tuo campo di grano lo conoscono bene.
”Verecondia e nettezza regnino in questo luogo e nella tua anima” recitava la scritta sulla targhetta inchiodata all’interno della porta di ogni toilette della scuola. E scopri che quello che sei, o non sei, l’hai raccolto lì, nel gabinetto. Forse non hai mai letto la scritta e non ti sei nemmeno domandata cosa fosse la verecondia, oppure i chiodi della targhetta ti sono rimasti nel cervello per il resto della vita, ma in ogni caso loro, le tue compagne, erano lì, erano con te. Vorresti che ci fosse anche quella cattiva che ti menava sempre; vorresti vederla per essere sicura che tutte le cose brutte, prima o poi, finiscono.
L’intelligenza è un optional, non è di serie, e per capire la testa ci vuole la testa. Quando ricomponi questo tipo di puzzle ti accorgi che i pezzi che ti mancano li hanno loro, le tue compagne; devi solo prenderli e metterli al posto giusto. Ciò che hai fatto o non hai fatto è dipeso solo da te, dalla forza che hai o non hai avuto, anche se qualche attenuante ti viene inaspettatamente offerta insieme con i pezzetti del puzzle.
Per la fortuna non c’è più tempo, anzi non c’è mai stato. Strana generazione la nostra, l’ultima cresciuta nei cortili, la prima educata all’aiuto, perché tanto non c’è pericolo. E invece c’era, dietro l’angolo, quello sbagliato. Generazione sterminata, nessuna cicatrice, o vivi o morti. Nessuno a cui dare la colpa. Nessuno a raccontarlo. Generazione silenziosa.
Alla fine della cena c’è anche un regalo, un pensierino per ognuna di noi, un piccolo addobbo natalizio a forma di cuore, bianco con i ricami color oro. Qualcuna lo appenderà all’albero, qualcuna lo metterà in un posto speciale oppure lo terrà in tasca, per un po’. Nessuna lo getterà mai via. “Ragazze il mondo non può finire il 21 dicembre, io il 25 divento nonna!”
La mattina nel viale marciano ordinati i bambini di quella stessa scuola. Uno “Shh!” lanciato con un po’ troppa forza dalla maestra e torna alla mente una piccola, vecchia, terribile suora. La mano corre veloce alla tasca del cappotto, in cerca del cuore.
No Tiziana, il mondo non finirà il 21 dicembre perché il 25 nasce la tua bambina.
Id: 1690 Data: 06/12/2012 22:12:49
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hijab chanel
Agosto 1978 presso Ouarzazate - Marocco. Siamo sei persone sporche e puzzolenti che chiedono di poter riempire le borracce nella hall di un lussuoso albergo, nel bel mezzo del nulla più assoluto. Figlia di un improbabile figlio dei fiori di periferia, sono cresciuta passando tutte le estati in giro per campeggi o direttamente sulla spiaggia; non ho mai messo piede in un albergo, nemmeno in Italia. Appiccicata alla parete, concentro l’attenzione sulle signore presenti nella hall. Vestite a più strati con tessuti bellissimi, quasi tutte indossano gioielli che, tintinnando a ogni movimento, creano un piccolo componimento. I miei compagni di viaggio, più grandi di me, commentano l'evidente sperequazione tra ricchi, pochi e probabilmente tutti lì, e poveri ovvero tutto il resto del Paese. Io sono aggregata più che altro per dividere le spese, quindi da me ci si aspetta solo un giudizioso silenzio. Il ragionamento si avvia per conto suo e formulo una risposta senza sapere di essermi posta la domanda: "È per sapere dove vanno!" - Eh? - la ragazza davanti a me si volta un po’ sorpresa - "I braccialetti ai polsi e le cavigliere, è come con le mucche, per sapere quando si allontanano". Dopo un attimo di silenzio il gruppo riprende a discutere. –Accidenti! Dovevo parlare di gattini, non di mucche. - Da circa un decennio, nella palazzina di fronte a casa, vive una famiglia egiziana; il capofamiglia e le figlie sembrano ben integrati, la moglie si vede di rado, quando esce per andare alla funzione o per accompagnare le bimbe a scuola. Lei indossa sempre abiti islamici. Ho osservato le bimbe crescere vivaci, andare a scuola, imparare ad andare in bicicletta aiutate dal padre. Forse è anche per questo che un giorno, vedendo la più grande delle due uscire dal portone con il velo sul capo, rimango impietrita. Cerco di metabolizzare l'immagine e combatto la momentanea assenza di pensiero che lo shock mi ha procurato: "Perché me l'hanno velata?”. Pian piano inizio la "differenziata" e suddivido l'immondizia nel cervello. Mi viene in mente un episodio capitato ad alcune ragazze poco più grandi di me quando avevo la stessa età della ragazzina egiziana. Mentre in città cambiava tutto e in campagna non si spostavano di un centimetro, nella terra di mezzo passavamo dei brutti momenti. La domenica mattina il prete esponeva l'elenco delle ragazze che la sera precedente erano state "viste" entrare nella locale sala da ballo. L'iniziativa, in generale molto apprezzata a livello locale, aveva comunque suscitato un certo trambusto e qualche trasferimento di residenza. Un avvocato aveva infine interrotto la delazione seriale scrivendo alla Curia e spiegando che il prete era passibile di denunzia. La Curia aveva trasformato all'istante il nostro "Torquemada" in un "Don Abbondio" da esportazione: l’aveva inviato in Africa, sostituendolo con un prete progressista che fumava e parlava con i ragazzi. In breve tempo la terra di mezzo si era uniformata alle politiche cittadine. Torno con la mente alla ragazzina egiziana: "Abbiamo delle leggi, non può succederle nulla di male, forse lo indossa solo per la funzione". A distanza di qualche mese prendo atto del fatto che la ragazzina indossa il velo in maniera permanente. La incontro, la saluto, mi sorride. Non sembra una persona infelice. Un gruppetto di coetanee passa a prenderla la mattina per andare a scuola, ho l'impressione che sia una ragazza popolare, una specie di leader. Non posso fare a meno d'immaginare cosa succederebbe se il velo diventasse di moda anche tra le ragazzine italiane; così, per sfregio, come farsi un tatuaggio o farsi applicare un piercing. Rido da sola. Te lo vedi il genitore “padano” alle prese con la figlia che pesta i piedi per avere il velo firmato? L'idea comincia a non sembrami così balzana. Cerco in internet e... eccolo là: “Dress up games - trendy snoods dress up”, gioco per ragazzine. È solo questione di tempo. Mia piccola egiziana, stai diventando un target commerciale e nessuna legge potrà proteggerti da questo.
Id: 1433 Data: 22/03/2012 20:48:53
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Breve dialogo tra una contabile e un’immigrata
Nadia è agitata, mi guarda in modo strano. Appena gli altri si allontano si accosta alla mia scrivania e posa lo scopettone. - Tu compili figlia scuola. - Eh? - Mi sta sventolando davanti un foglio scritto a mano. - Tu compili domande figlia brava studia professora dice brava. - Porca miseria Nadia parla più lentamente, non si capisce niente, ma stai andando al corso di italiano? - Sì maestra dice parlo veloce perché se no dimentico frase. Prima tu impari russo che io imparo italiano. - Non è detto che non ci provi, avrei giusto due o trecentomila domande sulla vita in Ucraina da porre a Nadia, ma al momento non è possibile comunicare, non come vorrei.
La figlia di Nadia ha tredici anni e frequenta la terza media. Il foglio scritto a mano è un questionario composto da dieci domande da sottoporre a un adulto. - Tu compili? - N'ata vota! Ho capito! Compilo il questionario e lo mando a tua figlia via mail..
La domenica mattina decido di togliermi dalle scatole il benedetto questionario. Dieci domande sai che ci vuole! La "professora" dice che la ragazza è brava, quindi la lingua la comprende bene, devo solo ricordarmi che ha tredici anni e rispondere in modo semplice, ci metto un attimo.
1. Qualè la tua professione? - Contabile.
2. In che cosa consiste esattamente il tuo lavoro?
- Mi occupo della tenuta dei conti attraverso il controllo e la registrazione di documenti con il metodo della "partita doppia" che è la tecnica usata per questo tipo di lavoro.
3. Come sei arrivato a svolgerlo?
- Mi è stato insegnato da una persona molto più esperta di me.
4. Che tipo di studi hai seguito?
- Ho conseguito il diploma di istruzione secondaria superiore di ragioniere e perito commerciale.
5. Hai dovuto conseguire qualche specializzazione?
- Sì, ho dovuto aggiornare le competenze informatiche.
6. A che cosa è servito il tuo percorso formativo?
Ecco e adesso? Avvio la lavatrice così intanto ci penso. Dunque vediamo, la tecnica non l'ho certo imparata a scuola, non si può imparare una cosa del genere senza praticare. Della scuola ricordo le botte, il disagio e poco altro. Quindi? Rileggo la domanda e mi tornano in mente i discorsi di quando era mia figlia a dover scegliere il percorso formativo. Di cosa parlavamo? Conservatorio, liceo scientifico, un po' di tutto senza sapere niente. Finiamo questo cavolo di questionario.
-In ordine di importanza: una discreta padronanza della lingua italiana, la conoscenza e la comprensione delle leggi, la cultura generale, la tecnica specifica.
7. Quali doti e capacità professionali (scuole/corsi) sono richieste nel tuo lavoro?
Oddio, chiamarle proprio doti... ricordati che ha tredici anni... ricordati che ha tredici anni... porca miseria che fatica, arrivano fin dall'Ucraina a farmi sudare! Come lo spieghi il malcostume quotidiano a una di tredici anni? E poi chi ha detto che devo spiegarglielo?
- Nel mio lavoro si incontrano situazioni molto diverse tra loro e quindi le competenze richieste variano a seconda dell'azienda in cui si lavora. Spesso le regole vengono applicate in modo differente oppure cambiano, occorre quindi una certa flessibilità. Ultimamente viene premiata la rapidità (eseguire il lavoro velocemente) e per questo è necessario saper utilizzare al meglio gli strumenti informatici, soprattutto Excel, diversamente si correrebbe il rischio di commettere degli errori. Sono necessari corsi di aggiornamento per le leggi fiscali e corsi di informatica.
8. Quale grado di soddisfazione ne ricavi?
- Nessuno.
9. Individua alcuni aspetti positivi e alcuni aspetti negativi della tua professione.
Positivi: a volte c'è la possibilità di svolgere il lavoro in maniera autonoma, rimanendo concentrati su quello che si sta facendo e la giornata lavorativa scorre rapidamente. Negativi: man mano che si perfezionano i sistemi informatici questo tipo di lavoro, che già per sua natura è un tantino monotono, si trasforma in una procedura di semplice inserimento dati per la quale non è richiesta alcuna competenza specifica. La posizione - seduta - che si è costretti a mantenere per otto ore non è sana e a lungo andare causa disturbi alla colonna e alla circolazione, così come l'esposizione al videoterminale causa disturbi alla vista.
Basta così o la ragazza torna in Ucraina dalla nonna, si dedica all'agricoltura e sua madre mi ammazza.
10. Quali suggerimenti ti senti di dare ai ragazzi che devono effettuare una scelta di scuola superiore?
È quasi mezzogiorno! Mi preparerò un bel risotto.
Mentre cucino ricordo le riflessioni fatte con mia figlia su quanto sbagliata si sia rivelata per lei la scelta della scuola ad indirizzo tecnico. Mentre mangio il mio risotto ricordo le mie speranze ma anche l'incapacità di immaginare un futuro. Nessuno può prevedere in che direzione andranno i cambiamenti e quindi ci si accontenta di quello che si crede un miglioramento rispetto al proprio vissuto; a volte un breve vissuto.
Trascorro metà del pomeriggio ripensando a mio padre e non è una metà pomeriggio proprio leggera. La sera arriva mentre cerco di trattenere nella mente l'immagine di tre generazioni e di confrontarle fra loro. Dopo cena cerco di incollare nella testa almeno qualche stralcio di tutti i ragionamenti della giornata. Concentriamo tutte le energie nel tentativo di non fare con i figli gli stessi errori che i nostri genitori hanno fatto con noi. Nel frattempo le cose cambiano e ne facciamo di nuovi. A loro volta I figli soffrono e nel tentativo di non trasferire la stessa sofferenza ne creano una nuova, più moderna.
Ecco, ho inventato la "partita tripla". Per qualche attimo, mentre provo a far quadrare tre vite, mi pare di intuire che solo quella nel mezzo e solo in un determinato momento può guardare nelle due direzioni. Incastrata tra due artisti, l'uno morto e l'altra fuori casa da dieci anni, posso solo farmi molto male. Meglio uscire dal tritacarne.
Ricordati che ha tredici anni e un sacco di sogni, non puoi demolirla spiegandole che al RIS di Parma difficilmente troverà la zia scema della Barbie che gira con l'Hummere la Glock nella fondina.
- Ovviamente una prima scelta tra percorso tecnico/scientifico e percorso umanistico/artistico va fatta per forza anche se l'età non è quella giusta per scegliere. Detto questo i miei consigli sono :
Non attribuire alla scelta del percorso scolastico il potere di risolvere il problema dell'occupazione; non è possibile diplomarsi ed essere in grado di svolgere subito un lavoro. A parte qualche eccezione, non esiste il percorso che assicuri il posto di lavoro come non esiste il percorso che lo precluda. Il diploma di scuola superiore, qualsiasi diploma, è uno dei documenti necessari per entrare nel mondo del lavoro, però per ottenerlo bisogna concludere il ciclo di studi che dura 5 anni; consiglierei di scegliere l'indirizzo più appagante per scongiurare il rischio dell'abbandono scolastico. Attrezzarsi con il dettaglio delle materie, il numero delle ore previste ecc. (anche e soprattutto di quelle che non piacciono). Inutile, per il momento, immaginarsi a lavorare nel laboratorio di CSI Miami per poi scoprire che la chimica proprio non la si digerisce.
Rileggo il mio lavoro. Che schifo, sembra un estratto conto, le aggiungo una frase personale?
P. S. Mia figlia ha 30 anni, si è diplomata seguendo un percorso tecnico, lavorava come tecnico di laboratorio ma non era felice. Ha deciso quindi di cambiare completamente percorso e, dopo aver frequentato il corso di Operatore Socio Sanitario, ha iniziato a lavorare in diverse strutture sanitarie. Accudisce ragazzi con problemi, malati di Alzheimer e malati terminali. Anche se il suo desiderio più grande era praticare la musicoterapia, adesso è felice.
Il giovedì seguente Nadia mi guarda di nuovo in modo strano. Appena possibile mi avvicino, lei è nel bagno accovacciata e sta pulendo il vaso alla turca. Parla girando la testa di tanto in tanto ma non smette mai di strofinare.
- Ho pensato figlia studia lingue.
- Ottimo.
- Ho pensato io migliorato Italia da Ucraina.
- Sì …
- Ho pensato figlia studia e migliora da Italia a Francia o altro paese così un poco più felice di me.
Guardo fuori dalla finestra e mentalmente sorrido a mio padre.
Papà non è che hai visto la mia Glock? Era qui nella fondina. L'avrò lasciata sull'Hummer?
Id: 1431 Data: 22/03/2012 15:50:53
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Il piccolo fiume [Eco-fiaba]
C’era una volta, non tanto tempo fa, un piccolo fiume di nome Bèr che scorreva allegro dalla montagna di cristallo fino alla grande pianura. Bèr era un fiume svelto e luccicante, amico degli uomini e dei bambini che d’estate andavano a fare il bagno nelle sue acque fresche. Bèr era molto amico anche dei contadini ai quali dava volentieri un po’ della sua acqua per irrigare i campi e per innaffiare gli orti. Un giorno nella pianura arrivarono degli uomini cattivi e prepotenti che cominciarono a buttare nell’acqua del fiume ogni schifezza possibile e immaginabile: detersivi, plastica, acido, vernice, cemento, mobili, frigoriferi e biciclette. Bèr non riusciva più a respirare. I bambini non potevano più andare a giocare sulle rive, figuriamoci poi fare il bagno! I pesci che da tempo vivevano nelle sue acque cominciarono a morire. La frutta, la verdura e tutti i prodotti dei campi irrigati con quell’acqua sporca facevano venire il mal di pancia a chi li mangiava. Insomma per Bèr attraversare la pianura era diventato un vero incubo. Piangeva sempre ma nessuno poteva vedere le sue lacrime in mezzo all’acqua e nessuno poteva sentire i suoi lamenti perché tutti dovevano stare chiusi in casa dalla gran puzza che c’era. I contadini, preoccupati, si erano rivolti alle autorità, spiegando che se non si fossero presi subito dei provvedimenti in poco tempo non ci sarebbe stato più niente da mangiare e neanche da bere. “Per irrigare i campi stiamo usando l’acqua del rubinetto, quella che serve per bere e per lavarsi, ma non può durare per sempre, prima o poi finirà anche quella e allora come faremo? Mangeremo la plastica? Berremo la vernice?”. Ma quelli niente, non volevano proprio capire. Pian piano i contadini abbandonarono i campi e tutto intorno a Bèr gli uomini prepotenti costruirono dei palazzi altissimi con dei garage enormi per metterci le auto. Durante un autunno particolarmente piovoso le acque di Bèr si erano ingrossate a tal punto da rompere gli argini e inondare tutta la pianura. L’acqua puzzolente invadeva le strade, i negozi e le cantine dei palazzi. Le auto galleggiavano nelle strade e nei garage. La gente scivolava, cadeva in quella melma scura e non riusciva più a pulirsi. Ma ciò che più preoccupava le autorità era il crollo della strada che impediva ai camion che portavano il cibo di arrivare nella pianura. E intanto continuava a piovere. Dopo tanti giorni di pioggia Bèr cominciava a sentirsi meglio, più pulito. Quando finalmente un pallido sole era apparso in cielo, le sue acque riflettevano la luce facendolo brillare tutto. Appena le acque si ritirarono un po’, i bambini andarono subito vicino agli argini a giocare mentre i loro genitori stavano ancora cercando di pulire le strade dal fango. Quando gli uomini arrivarono con i camion per buttare nel fiume tutta la sporcizia che avevano raccolto nelle strade i bambini cominciarono a urlare: “Eh no! Adesso basta! Lasciatelo stare!”. Attirate dalle urla dei bambini, tutte le persone della pianura si avvicinarono al fiume per vedere cosa stesse succedendo. Bèr scorreva più lucente che mai, era uno spettacolo. Gli uomini restarono incantati a guardarlo per un po’, poi decisero che non lo avrebbero riempito di schifezze un’altra volta, anzi non l’avrebbero fatto mai più. “Lo ripuliremo per bene e chiunque oserà buttare ancora immondizia nell’acqua sarà arrestato!”- Disse il sindaco. Ora Bèr scorre felice nella pianura vicino alle case dei bambini e forse, con un po’ di pazienza, qualche pesce deciderà di fidarsi ancora degli uomini e tornerà a sguazzare nelle sue acque.
Id: 1430 Data: 21/03/2012 18:43:25
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Un refolo di fantasia
In un tardo pomeriggio di sole tiepido, mi trattengo volentieri al parco seguendo mio nipote di sei anni. Lui è completamente immerso in una delle sue storie fantastiche. La sua biciclettina è una cavalcatura e sta combattendo almeno una decina di draghi che ci attaccano di sorpresa; mi sta aprendo la strada per tornare al castello. -Tu eri la principessa e io ti portavo al castello sana e salva. Io ho ancora addosso qualche residuo di guerriglia urbana della settimana lavorativa e rivedo subito il mio personaggio. - In realtà, messere, quand'ero giovane ho ammazzato certi draghi che neanche potete immaginare, ma ora sono vecchierella e ahimè ci vedo poco, vi sarò quindi grata se vorrete aiutarmi a raggiungere il castello sana e salva. - Va bene. Mi sento molto vicina a questo nipote che non dispone di un precoce "fisicaccio", non ama lo sport in modo particolare e possiede una manualità fine assai sviluppata. Ha una spettacolare serie di piccoli attrezzi che conserva ordinatamente riposti all'interno di diverse scatole; sa sempre dove trovare ogni cosa. Mia sorella, sua madre, si è adoperata per coltivare la fantasia di questo suo figlio così esile, così strano e così tremendamente... assennato. In una certa misura c'è riuscita, a parte il fatto che ogni tanto il bambino esce repentinamente dalla parte e riflette seriamente su quello che gli si sta dicendo. Comunque, per il momento c'è da sistemare la faccenda che il piccolo fatica a distinguere la destra dalla sinistra sicché, già che ci sono, mi rendo utile: - Là, messere, a destra, un drago enorme! Alla vostra sinistra cavaliere! Prestate attenzione! A un certo punto la cavalcatura si azzoppa e ci ritroviamo al margine del sentiero con la necessità di stringere i bulloni; lui senza la sua attrezzatura, io senza i miei occhiali. Siamo alla ricerca di soluzioni praticabili, quando ci passano accanto due persone anziane che accompagnano, tenendolo per mano, un uomo sulla quarantina. L'anziano osservando il destriero steso su un fianco si rivolge al piccolo cavaliere: "Stagh atent cunt'i manin, té sé féma". [Stai attento alle manine, ti fai male]. Il mio arguto nipote mi guarda e per un attimo pare prendere in considerazione l'idea di rientrare al castello portando a mano la cavalcatura. Poi un'occhiatina al sole già basso all'orizzonte gli fa scartare l'ipotesi di mettere fine alla sua favolosa impresa e ricomincia ad armeggiare con rinnovato vigore. L'altro bambino, quello nel corpo da uomo insieme ai due anziani, ha lo sguardo perso tra gli alberi e si dondola, seguendo le foglie che un refolo di vento a tratti sposta, facendo filtrare i raggi di un sole morbido. Sorride quando sente i raggi sul viso. Mio nipote si avvicina e guarda nella stessa direzione dell'uomo-bimbo cercando di capire l'origine di tanta felicità. Non vedendo nulla, mi si rivolge con uno sguardo tra l'affranto e il trasognato: "Beato lui, chissà cosa sta vedendo nella sua storia, invece noi … guarda che disastro!". La madre dell'uomo-bimbo muove verso di me accompagnandolo con dolcezza, chiaramente sollevata: "Mi scusi, tante volte le persone non capiscono … “. Sono infastidita, mi mette in imbarazzo sentir parlare delle persone presenti come se non lo fossero; probabilmente l'uomo-bimbo non lo è davvero. A sbloccare la situazione, stagliata all’orizzonte, una figura di donna in bicicletta con la folta chioma illuminata dall'ultimissimo raggio di sole che, evidentemente, si è trattenuto ad aspettarla. - Mamma! - Ciao ometto, ti ho cercato per tutto il parco... cosa è capitato al tuo cavallo? L'uomo-bimbo in un attimo si rianima, esce da non so quale realtà parallela e si dirige verso mia sorella, mentre l'anziana signora rimane inebetita. - Ciao... - lui - - Ciao... - lei - L'uomo-bimbo s'inchina un pochino in avanti e sembra voler tendere la mano, ma quando mia sorella porge la propria, lui la prende e simula un delicato baciamano senza però sfiorarla con la bocca. Io non posso credere, per un lungo istante sembriamo tutti fuori dal tempo e dallo spazio, poi mia sorella si riprende sorride e ringrazia. Anche mio nipote si riprende e sottovoce, come a simulare una confidenza, si rivolge all'uomo-bimbo: - Sì però guarda che questa qui è la mia di principessa. L'anziano padre non regge la tensione e molto educatamente, ma anche un po' troppo velocemente, saluta e si allontana con la propria famiglia. Tornando verso casa con il piccolo destriero azzoppato in spalla, mi sento un po' frastornata. Mio nipote, con in mano i suoi bulloni, prima di imboccare il ponte sull'autostrada si volta e getta un ultimo sguardo al paese delle fiabe. A metà del ponte è mia sorella a rompere un silenzio quasi magico. - Cosa vi è successo? - Niente - io - - Niente - lui - La fine del ponte coincide con il ritorno alla realtà, bisogna prestare attenzione alle auto e il rumore, che all'interno del parco giungeva ovattato, qui ferisce le orecchie riportando tutto alla normalità. Nei vuoti di rumore tra un’auto e l'altra mi rivolgo a mia sorella. - Sai... sento che mi sta salendo uno dei miei "domandoni". - Quali? Una di quelle perle di saggezza che capite solo tu e mio figlio? - Sì proprio una di quelle. - Vai! Spara! Ti ascolto. - Chi l'ha detto che la fantasia alberga solo nella mente degli artisti? - Gli artisti stessi? - Sai cosa diventa la fantasia in una mente ordinata? - Eh? ... Non ho sentito, ordinaria? - No, ordinata, riflessiva. - Che cosa diventa? - Diventa comprensione. - Ecco mamma, mettitela in tasca. - Che cosa? - La perla. - Voi due mi fate paura.
Id: 1417 Data: 10/03/2012 13:12:18
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Venti Fermate
Onorevole, esci dal video e vieni via con me, ti porto a fare un giro sulla metrotranvia. Com’è che dicevi? “Per fare le cose occorre tutto il tempoche occorre” e noi ce lo prendiamo il tempo, partiamo dal capolinea e arriviamoquasi in centro. Non pensarci, non ti vede nessuno e a me non da fastidio che tu sia in bianco e nero. Vorrei ci fosse mio padre, lui è morto a colori, ma non riesco a farlo uscire dalla foto. Hai visto che cambiamenti? Questo paesotto è diventato una città moderna. Il pavé è uno spettacolo, sembra la Svizzera; infatti, ci siamo riempiti di banche e il tram è in perfetto orario. Gastronomia greca, Kebabd’asporto e ristorante giapponese; poi ti spiego. Certo che ci sono sindaci donna, ci mancherebbe. Questa è l’ex Siemens, exNokia, ex non mi ricordo, a ogni crisi mille lavoratori in meno, adesso chiude del tutto. In realtà è sempre stata l’area edificabile a interessare gli investitori, non il lavoro; i prossimi potranno finalmente acquistare un complesso industriale completamente sgombro. Ho visto il video dell’inaugurazione della fabbrica; dì la verità, ci credevi veramente, si capiva dalla faccia. Ah! Il parco. Non ci sono parole per descrivere cos’era questo posto; una discarica di laterizi, di Eternit, di prostitute e di eroinomani, posta sopra le macerie dell’ex Breda. Adesso c’è anche l’ospedale, bello vero? La discarica delle prostitute si è spostata più a est e anche quella dell’Eternit. Certo che ci sono le donne vigili, ci mancherebbe. Ecco il centro scolastico. Duemilacinquecento ragazzi in coscrizione quinquennale; qui sviluppano l’imprinting. Qualcuno traffica, qualcuno sa a memoria il testo del 41bis, tutti gli altri cercano di sopravvivere. Con tutto questo cemento i graffiti sono un sollievo, non capisco perché li vogliano togliere. Che braghe calate? Ah sì, è una moda; no niente controcultura, è solo una questione estetica. Quello è un emo, no, il sangue non c’entra e un fatto di “emo-zioni”, anche se, in effetti, il ragazzo è molto pallido. Il parco è enorme. Di giorno serve per non impazzire e farti portare a spasso il cane, di notte qualcuno ci porta a spasso la disperazione. Tutto questo verde appaga l’occhio. Guarda, la stessa tonalità di verde della Lacoste di Fenzi durante l’intervista. Uffici, concessionaria auto, supermercato. Uffici, concessionaria auto, supermercato. In effetti, la sequenza è monotona ma tra poco si inseriscono banche e farmacie; vedrai che la cosa acquista tutto un altro senso. Certo che ci sono le donne in polizia, ci mancherebbe. E’ vero, parecchi edifici sono sfitti o in vendita; in attesa di capire chi sarà il nuovo proprietario cercano di rimanere in piedi senza farsi occupare dai clandestini. Inizia l’edilizia popolare degli anni settanta; una tragedia, ma questo lo sai. Fastweb? Oddio, te lo spiego un’altra volta, e anche il monte dei pegni in franchising. Pensionato Belloni: “Aperto tutto l'anno, per lavoratori italiani e stranieri con regolare rapporto di lavoro... L'accoglienza è subordinata all'accettazione del regolamento ed è possibile per un periodo ordinario di un anno…”. La tua che preferisco è: “Nessuna persona ai margini, nessuna persona esclusa dalla vitalità e dal valore della vita sociale. Nessuna zona d'ombra, niente che sia morto, niente che sia fuori dalla linfa vitale della società”. La senti la signora? La dieta delle uova, due al giorno per una settimana; secondo me si può anche morire, ma dove le leggono certe cose? Sai che il libro più venduto in Italia è un ricettario, certo l’alimentazione è importante. Anche le Lacoste scrivono libri, vanno in tv, fanno audience e scaldano il clima. Lo sponsor è al settimo cielo. “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.” Su questa tua ho qualche dubbio. L’Istituto Pirelli mi sa che te lo ricordi: creare operai specializzati, un’intuizione per l’epoca. Ci sono i centri di formazione professionale e la piscina. Formazione ne abbiamo avuta parecchia, esiste perfino un business della formazione; l’unica cosa che scarseggia è il lavoro, quello vero. E’ la questura. Sono in fila per il visto sul permesso di soggiorno. Veramente è una caserma, ma siccome non c’è più il servizio di leva … Non so le altre caserme, certe cose alla tv non le dicono, le avranno vendute? Oh! La storica Manifattura Tabacchi, vedi la ciminiera? E’ ancora in piedi. Nel primo edificio c’è il centro sperimentale di cinematografia, tutto il resto sarà demolito. Cosa dice il cartellone? “Il futuro di una volta”, lo so è una contraddizione, ma neanche tanto. Comunque, sono circa ottantamila metri quadrati che diventeranno un “mixfunzionale urbano” e la parte residenziale sarà una cittadella pedonale di un certo livello. Così quando non lavori puoi far finta di essere un’altra persona: dirigente pescecane dopato durante la settimana, simpaticissimo vicino di casa nel weekend. Una chiesa. Eri molto cattolico vero? Che hai pagato per tutti, l’hanno capito anche i sassi. Questi non sono momenti buoni per le riflessioni, ma tra i commenti scritti dai giovani, sotto al video delle dichiarazioni rilasciate dai tuoi colleghi, cen’è uno che mi ha fatto sorridere: “Ma chi è quel deficiente che invoca la penadi morte?”. Veramente invocava anche il ripristino della legge marziale e imilitari al governo; poi il tuo sangue ha accontentato tutti, proprio come quello di Gesù. Io non sono credente ma certe cose le capisco lo stesso. Certo che ci sono le guardie giurate donna, ci mancherebbe. Ecco, lo vedi che adesso sono aintervalli regolari anche banche e supermercati? Non posso spiegarti com’è che siamoimplosi mentre facevamo finta di splendere e luccicare. A un certo punto nessunoha più cercato le giuste dosi per la ricetta e quindi si cucina solo quello chechiede lo sponsor di turno. Le ricette di pochi sono diventate il pranzo pertutti. Non ti è nuova, vero? A dispetto delle apparenze i compromessi non sonomai stati il nostro forte, a noi piace il derby; cinque a quattro, porti a casail premio e non ci pensi più. Da qui in poi gli alberiscarseggiano, questo è uno degli ultimi parchetti. L’alternanza tra lecostruzioni degli anni settanta e quelle degli anni successivi è dovuta alfatto che si è proceduto “a riempimento”; il concetto di densità abitativa èvariabile, come tutto il resto. Sai la riforma edilizia?Quella che terrorizzava i dorotei? Eccola qua. E’ una ricevitoria del lotto, l’unica certezza in materia di entrate fiscali, dovremmo andarci a pregare come in chiesa. La Ca’ Granda, tutta ripulita è uno spettacolo. E’ davvero grande quanto un paese. Hanno fatto dei tagli, tutte iniziative risparmiose che non hanno toccato gli investimenti, solo i costi, i pesi morti. Il tizio della Regione ha spiegato che per l’assistenza cisarebbero state le “esternalità”, così è finita che in pronto soccorso arrivano i malati terminali disidratati e con le piaghe da decubito infette; forse conle “esternalità” non si guadagna abbastanza. Questa piazza non la capisco, è sempre stata orrenda. Ogni tanto ripuliscono i muri delle case, solo la parte che affaccia sulla piazza. Eh sì, appena dietro l'angolo è uno sfacelo; un conto è darsi una sciacquata, un altro fare una bella doccia. Se ti rivesti e non ti sei lavato bene resta il segno sul colletto della camicia e ci vuole un bel po’ di ottimismo per convincersi di essere puliti. "Chiedo che ai miei funerali non partecipino né autorità dello Stato né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che veramente mi hanno voluto bene e sono degni perciò di accompagnarmi con il loro amore". Invece per disattendere le richieste di un condannato a morte ci vogliono millenovecentosettantotto chilometri di pelo sullo stomaco. E’ grande come un supermercato ma è una farmacia, te lo giuro. Se leggi le offerte di lavoro, vedrai che tutte chiedono esplicitamente “una forte resistenza allo stress”. Se, per tua natura, non hai questa “dote”, hai bisogno degli integratori; lo stress consuma i sali mineralie lo smog brucia le vitamine, quindi ti devi dopare. Il dopoguerra è finito, il boom economico pure e non ci si può inventare “imprenditori di se stessi” in una sola generazione. Mio nipote frequenta la prima elementare e come compito a casa porta sempre le “schede di lavoro a tempo”,devo cronometrarlo e, possibilmente, esultare quando migliora le prestazioni; una specie di cottimo autoindotto. Non sono sicura di voler sapere a cosa serve. Scendiamo alla prossima. Sai, la semina a lungo termine non è per tutti e, a distanza di anni, te lo devo riconoscere; è difficile accettare che non sarai tu a godere del raccolto e forse nemmeno i tuoi figli. E’ come hai detto tu: “Si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con le sue difficoltà”. Ti ringrazio per la compagnia, sei un signore.
Id: 1379 Data: 19/02/2012 17:52:13
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Pizza d’autore
Mezza su e mezza giù dal divano mi stiracchio, rotolo sul pavimento e allargo le braccia come il Cristo in croce. La pancia brontola e mi scappa da ridere. Quanto vorrei uscire a mangiare una buona pizza. Ma con chi? Non ho voglia di parlare, vorrei solo gustarmi una buona pizza, magari una costosa, di quelle d'autore. Non ho ancora celebrato la mia disoccupazione, potrei fare una pazzia e buttarci un po' della liquidazione. Mi guardo nello specchio, i jeans sono diventati larghi e calano sui fianchi, il maglioncino è troppo corto e la canottiera spenzola fuori. Ma guardati, ti manca un pallone da basket e tutto l'insieme avrebbe una sua ragione d'essere. Sto regredendo al prepubere e l'estetica cerca di adeguarsi. Perché non posso andare in pizzeria da sola? Perché in Italia non si fa; tutti ti guardano oppure ti rompono le scatole. È il cellulare, ma che suoneria ho messo? "Sconosciuto", che faccio rispondo? Sì dai, sono in vena di far danni: - Sì. - Carmen? Sono Dario, l'amico di Claudio, ci siamo visti alla festa di compleanno... - Ah sì - il deficiente, come cavolo ha fatto ad avere il numero di cellulare, chi è il traditore? - - Pensavo, ti andrebbe di uscire a cena?
Chiamo mia sorella, se c'è una che può trasformare uno scugnizzo in una donna, è lei. Ci sono delle caratteristiche che sono democratiche in ogni loro aspetto, come la "pirlaggine", distribuita sul genere umano senza distinzione di razza, sesso, età o condizione economica e in quantità variabile da individuo a individuo. Altre, come la classe, sono concentrate in grande quantità in un unico individuo e mancano completamente in un altro. La classe non s’impara e non si compra, la si può scimmiottare per un po' ma sulla lunga quello che sei viene fuori. La classe è una caratteristica innata e mia sorella ne ha da vendere. Tirata "a malta fine" mi reco alla vestizione. Mia sorella non batte ciglio, affronta l'impresa con cipiglio professionale, anche quando si accorge che mi sono tagliata i capelli da sola: "Cos'hai contro i parrucchieri?". Al terzo tentativo capisco che ci siamo; lei è esausta e si lascia cadere sul letto. Mi faccio prestare il Suv dalla mia ex-collega e attraverso la città. Sto producendo più inquinamento di una fabbrica di polipropilene e non capisco come si possa condurre una macchina da guerra in pieno centro cittadino senza ammazzare qualcuno; mi vergogno. Ho dato appuntamento al Gigione direttamente sul posto sicché eseguo un parcheggio tattico, di quelli con via di fuga veloce in direzione della tangenziale. Quando arrivo l'uomo mi sorride, sembra contento. La pizzeria è prenotata ed è presto, quindi ci fanno accomodare subito. L'ambiente è accogliente, su misura per me, per questo l'ho scelto. L'inizio fa ben sperare, il mio eroe è un tantino arrogante con i camerieri, mi auguro che sia quell'imbecille che immagino così poi, non avrò nessun senso di colpa. Si chiama "multitasking" e più che una dote, é un difetto, un'abitudine poco sana nella quale non ho rivali: divido in due il cervello e mi faccio i fatti miei mentre fingo di ascoltare chi mi sta davanti. Mentre leggiamo il menù, il tipo prende le misure, commenta il locale, m’illustra la sua situazione economico-sentimentale, s’informa sul mio stato civile e si assenta per andare alla toilette. Torna stropicciandosi un naso un po' più rosso di prima. È un bell'uomo e tutte le donne nel locale stanno dando una sbirciatina. Dio ti ringrazio! Un tronfio, ricco, drogato tutto per me. So già cosa voglio: una pizza d'autore di quelle con le spezie accostate dallo chef, col mantecato di castagne abbinato alla spuma di pan di spezie oppure con il miele che abborda la n'duja, l'andouille come direbbe mia sorella. Il tizio sceglie la pizza e la birra più care della lista. Quando la cameriera termina di annotare l'ordinazione sorrido e ringrazio e il mio galantuomo mi chiede se conosco la ragazza; annuisco, anche se non ho la più pallida idea di chi la figliola sia. Mentre aspettiamo le pizze, mi preparo ad affrontare con arguzia l'intervista; se mi gioco bene l'ouverture, il resto dello spettacolo sarà un successo. - Di cosa ti occupi? Dunque, vediamo, lo distruggo subito col margine di contribuzione? No, non arriveremmo al dessert. Meglio sorvolare anche sullo stato occupazionale. Mi viene in aiuto l'immagine dell'ultimo datore di lavoro: - Sono una semplice segretaria, in una piccola azienda. Riattacca con la casa sul lago, quella in montagna, il Suv. L'elenco completo dei cespiti porta via un po' di tempo, ma la cosa non mi preoccupa, qui il servizio è lento. Intanto mi perdo nei profumi che cominciano a circolare nell'ambiente e non so dire esattamente a che punto del monologo capto la parola “disoccupato” e la parte finale del discorso. - Se uno non trova lavoro è perché non ha voglia di lavorare oppure è un incapace. - È vero, hai proprio ragione. - Santo Dio che profumo, cos'è basilico? - - Certo con tutti questi extracomunitari... mettergli sopra la benzina e dargli fuoco... Il Naviglio "sbarluscia". Mia madre è nata qui, quando questo era il quartiere dei poveri cristi, sono così contenta di essere riuscita ad avere il posto vicino alla vetrata. - Non sei una di quelle fissate con la politica o la psicologia, vero? - Assolutamente no, io non ci capisco niente di politica, figuriamoci di psicologia. E qui provo un certo timore: il Dio di mia madre forse mi ha sentita e adesso sta addensando le nuvole, per generare un fulmine che colpisca il Naviglio facendolo esondare in modo da rompere la vetrata con gran fragore e scaraventarmi a gambe all'aria sul tettuccio di uno dei barconi. Mi viene l'istinto di nascondermi sotto il tavolino; tranquilla Carmen, hai depistato la mamma e il suo Dio dicendo che saresti andata a Monza. Arrivano le pizze e mi scappa nuovamente di ringraziare la cameriera. Su quella del re consorte mezzo Mar Caspio sta sommergendo completamente l'impasto. Mi lascio imbrogliare dai profumi della mia pizza d'autore e mi viene in mente la favola del viaggiatore che, sentendo la mancanza dei suoi cari, odorava spezie e aromi, raccogliendo col respiro l'energia per inviare piccoli pensieri d'amore alle persone lontane. Do uno sguardo d'addio al mio compagno e inizio a gustare la mia pizza a piccoli bocconi, respirandone i profumi. Devo fare attenzione e scegliere le mie strenne in modo accurato, se esagero la magia non funzionerà. La prima è per Alessandra: un bell'abbraccio, di quelli che si ricevono non di quelli che si danno. La seconda è per Gaia: energia, da tirar fuori nei momenti in cui la tribù le leva la pelle di dosso. La terza è per Germano: coincidenze, di quelle che messe tutte insieme ti fanno andare nella giusta direzione. La quarta è per Giuliano: un piccolo successo, uno solo ma gratificante, significativo. La quinta è per Ivan: non so di cosa abbia bisogno ma il pensiero è talmente positivo che potrà trasformarlo in ciò che desidera, all'istante. La sesta è per Gabriele: affetto, da spalmare e da spalmarsi addosso ogni volta che ne sentirà il bisogno. L'ultima è per Angelo: intuito, gli servirà per star dietro ai nipotini come si deve. Un lavoro perfetto: prima le donne, in ordine di età, poi gli uomini nello stesso ordine, mia sorella apprezzerebbe. Il mio amico è triste, alle Maldive quest'anno ha piovuto. Io invece sto da Dio, non so se il merito vada alla magia o alla birra, ma mi pare che la pressione sia salita a livelli accettabili. Peccato che la mia pizza sia quasi finita. Insisto per pagare la mia metà ma non c'è verso. È in corso di applicazione la prima legge del mercimonio secondo la quale se uno ti paga la cena, dopo gliela devi dare per forza. Fuori dal locale l'aria é fredda. Percorrendo l'alzaia in direzione dell'auto incrociamo l'Eleonora d'Arborea, la scuola elementare che frequentava mia madre, dove gli americani spruzzavano sui bambini il DDT. Quando la mamma racconta la storia, si percepisce ancora l'umiliazione. L'unica differenza tra gli abbaini di Sant'Eustorgio e le case minime del Giambellino era che là, al Giambellino, non si pagava la pigione. - E questo cos'è? - Non saprei. Qualche ufficio comunale? - C'è scritto scuola elementare, idiota.- Arriviamo in prossimità del Suv ma Rommel la volpe si accosta a un'utilitaria. Adesso c'è da mettere in scena il finale. La bestia si avvicina, vuol concludere. - Andiamo a berci qualcosa? - Ti ringrazio, ma ho promesso a mio zio, che abita lì sull'altra sponda, che sarei passata a salutarlo, quindi scusami, ma devo proprio andare. Tiro fuori il telecomando dalla tasca e con un gesto un po' troppo plateale faccio scattare la serratura; al Gigione casca la mascella inferiore. Nel salire a bordo del mio "Abrams" do una piccola "scosciatina", con grazia, senza esagerare. La prossima volta che uscirò a cena con un uomo potrei essere troppo vecchia per questi colpi di teatro, quindi mi tiro avanti con i lavori. Faccio un cenno di saluto al tizio che, come la cameriera, non so chi sia e avvio il mostro. La tangenziale è quasi deserta, meno male, posso andare piano, guidare rilassata e pensarmela addosso, come piace a me. Invecchiare ha pochi vantaggi ma sono tutti vantaggi di sostanza. Da ragazza avrei cercato a tutti i costi il lato positivo della persona, adesso "mi sento" il lato positivo della questione. Di questo non abbiamo avuto il tempo di parlare papà. Mi manchi tanto, a te una cosa così sarebbe piaciuta. Porca vacca che pizza eccezionale!
Id: 1012 Data: 07/06/2011 11:58:58
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Enne enne
Lo ricoverano al Pronto Soccorso il pomeriggio della vigilia di Natale e me lo mettono accanto; è un "nomen nescio" e sta dormendo coperto solo dal pannolone. Mi vengono in mente i putti della Cappella Sistina. Arrivano i carabinieri, lo svegliano e gli chiedono come si chiama; lui è confuso, non ricorda il proprio nome. I carabinieri gli fanno una foto e se ne vanno. Il pannolone gli impedisce i movimenti e l'ago cannula inserito gli strappa un gemito di paura; scosta la tendina che ci separa e mi guarda con gli occhi sbarrati: - Dove siamo? - Al Pronto Soccorso; signore, non tiri l'ago, lo strappa e si fa male. Oddio, stia attento, le esce il sangue. Madonna che impressione. - Dov'è l'enne enne? - Urla un'infermiera carica di carte - - Ah! Eccolo. Lui, l'enne enne, non sa di esserlo e quindi non capisce; si stupisce quando la corpulenta donna comincia a tempestarlo di domande, mentre lo sgrida e gli risistema l'ago cannula. - Come si chiama? - . . . Giovanni. - E di cognome? - . . . Adesso non me lo ricordo. - Dove abita? - . . . - Quando è nato? - . . . Mi sembra nel 1927 - Uhm. . . mi pare strano. Va bene, adesso viene il dottore a visitarla, stia giù.
La questione del "nomen nescio" mi aveva già procurato un'orticaria parecchi anni addietro, quando per lavoro mi era toccato di riordinare e archiviare i documenti del personale dipendente dell'azienda dove lavoravo. In ufficio era arrivato il primo Commodore 64 e le colleghe più anziane non ne volevano sapere di dare confidenza allo strumento. Il PC era utilizzato, con non poche resistenze, solo come macchina da scrivere, con l'editing di DOS, quindi io che ero riuscita col comando play a creare una musichetta, assegnarle un nome e farla "girare" col comando "run" nella stringa di avvio all'apertura del sistema, ero considerata un tecnico della NASA; la persona adatta per creare le schede del personale. Un fascicolo particolarmente disordinato aveva attirato la mia attenzione; dava l'impressione che le carte fossero state rimestate parecchie volte e senza alcuna delicatezza. Dalla cartella di cartone color verde disperazione, uscivano gli angoli dei vari fogli riposti alla meglio. Conoscevo la persona indicata sul dorso della cartella, si trattava della signora Cuda Assunta Traviata Carmela Incatenata, nata nel 1927 in un paesino del Sud, analfabeta sulla carta, in realtà autodidatta; unica donna in forza al reparto di produzione. Conoscevo la signora perché avevo avuto l'onore di ascoltare la storia della sua vita; una storia per la quale avevo raccolto appunti e sottratto documenti, nella convinzione che avrei trovato un giorno uno scrittore degno di raccontarla. Una storia di estremo coraggio che ancora attende il suo "Pavese". Con molta attenzione avevo sfilato dalla cartella un foglio più scuro, più spesso e più grande degli altri e l'avevo dispiegato sulla scrivania. Il certificato di nascita di Assunta era compilato con precisione in ogni sua parte con una macchina da scrivere del tipo "lettera", non trovava quindi spiegazione l'ulteriore apposizione di un'enorme timbratura a inchiostro rosso che occupava e sovrastava di traverso l'intero documento: "F I G L I A D I N. N.". Per un attimo avevo visto Angelina Merlin contorcersi sulla scrivania. Oltre alle dimensioni esagerate del timbro (non riuscivo ad immaginare il relativo tampone), mi avevano colpito il colore rosso dell'inchiostro e la concordanza con il soggetto che presupponeva l'esistenza di due timbri, uno per le donne l'altro per gli uomini. Mi ero posta alcune domande: cosa intendeva esprimere il solerte impiegato comunale al quale il precedente titolare della signora aveva richiesto l'invio del certificato? Un avvertimento? Una specie di lettera scarlatta? La stessa contenuta in due dei quattro nomi della signora?
- Dov'è l'enne enne? - Urla il medico di turno al Pronto Soccorso - - Come si chiama? - . . . Giovanni. - E di cognome? - . . . Donni, sì, sì, Donni. - Donni? Con due enne? - No! D-o-n-n-i, con una enne sola - Dove abita? - . . . in via Piave - A che numero? - . . . Adesso non me lo ricordo - Quando è nato? - . . . nel 1927 - Uhm . . . stia giù.
È quasi sera ed è la vigilia di Natale, il Pronto Soccorso si sta svuotando; rimaniamo solo io e Donni con una enne sola. Sento il rumore del pannolone che cade a terra e capisco anche che Giovanni sta cercando di togliersi l'ago cannula; faccio dei gesti verso la telecamera e gli infermieri arrivano di corsa.
- Non è la signora, è l'enne enne, gira nudo! - Urla l'inserviente agli infermieri -
- Come si chiama? - Giovanni. - E di cognome? - Donni. - Donni? Con due enne? - Noo! D-o-n-n-i, con una enne sola! - Dove abita? - In via Piave - A che numero? - Al sette - Quando è nato? - Nel 1927 - Che giorno? - . . . Non me lo ricordo - Non ha parenti? - No, non ho nessuno. Adesso vado a casa. Perché sono qui? Cosa mi avete fatto? - Lei non ricorda cosa è successo? L'hanno trovato svenuto davanti a un bar e hanno chiamato il 118. - Non lo so se è vero questo che mi sta raccontando, io non mi ricordo, ma ormai è da questo "basso" che sono qui e adesso voglio andare a casa! - Povero Giovanni, mi sembra l'ultimo dei moicani, credo di essere l'unica in tutto il Pronto Soccorso a sapere cos'è il "basso" -. - Va bene, adesso vediamo se possiamo dimetterla.
Giovanni ha perso la pazienza, si è alzato e ha tirato fuori i suoi vestiti dal sacchetto di plastica ai piedi del letto. I pantaloni hanno un odore impossibile da descrivere: "Cavolo, ma che ti è successo questa notte Giovanni?"; se li infila comunque. Con calma prende una bella sciarpa di lana grigia e la indossa a pelle perché non trova né la canottiera né la camicia; la gira dietro al collo, la incrocia sul petto e la infila nei pantaloni. Mi faccio l'idea che Giovanni sia un "marello" di quelli ai quali la mamma ha sempre voluto un gran bene e ne ha avuto cura per un bel po'. Quando arriva l'infermiera, Giovanni chiede un calzascarpe oppure un cucchiaio altrimenti non può infilarsi le scarpe, chiede anche come mai non c'è la camicia e quando si accorge che il giaccone è tagliato lungo la cucitura interna, per tutta la lunghezza delle maniche perde le staffe: "Cosa mi avete fatto? Perché mi avete tagliato il giaccone?". L'unica infermiera che lo chiama per nome, si offre di rattoppargli il giaccone con del cerotto per sutura e si allontana decisa a recuperare anche un camice da degenza da infilare a Giovanni al posto della camicia. Una volta solo, Giovanni inizia ad aprire i cassetti del carrello appoggiato al muro in cerca di qualcosa da utilizzare come calzascarpe; trova una confezione di provette ancora sigillata, la usa per infilarsi le scarpe e poi la ripone con cura dove l'aveva trovata. La dolce infermiera torna con un camice di quelli che si allacciano sulla schiena e lo fa indossare a Giovanni, poi gli fa indossare anche il giaccone e lo "cuce" con il cerotto da sutura. - Ma perché mi avete tagliato tutto il giubbotto? - Giovanni, non si ricorda proprio? Hanno dovuto rianimarla sul marciapiede. - Non so se è la verità che mi state dicendo. - Adesso come fa ad andare a casa? È sicuro che non ci sia nessuno che possiamo chiamare? - No. Che sono da solo me lo ricordo.
Giovanni se ne va. Va via con il camice che spenzola fuori dal giubbotto, va via da solo; torna a casa in Via Piave al sette. Completamente sola nello stanzone ormai vuoto, penso che vada bene così; del "nomen nescio" rimane solo l'aspetto burocratico. Niente lettere scarlatte. Buon Natale ad Assunta, figlia di N. N. per tutta la vita. Buon Natale a Giovanni Doni, N. N. per un giorno. Buon Natale a Rosa, la giovane infermiera che ha rivestito Giovanni come fosse la sua mamma. E Buon Natale anche a me che di nome faccio Speranza.
Id: 1004 Data: 30/05/2011 16:15:52
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Seren
Mi chiamo Seren e sono un ragazzo. Porto il nome di un carattere tipografico antico di millenni e forse non è un caso. Come ragazzo sono particolare, diverso da tutti gli altri, per certi versi molto simile a te. Sono lento, il più lento di tutti e per questo mi trovo in una struttura di contenimento. La mia disabilità consiste nel non riuscire a regolare più di un pensiero, massimo due, alla volta e questo è considerato un fatto molto grave. Le più grandi menti del tuo tempo qui sarebbero dei ritardati, proprio come me. Io vivo alcune migliaia di anni a venire quindi mentre scrivo sei già morto e mentre leggi non sono ancora nato; qui funziona così, anche se di solito nessuno scrive tanto indietro nel tempo. Interagire con il tuo tempo era considerata una cosa inutile prima che io combinassi quello che ho combinato; adesso, oltre che inutile, è considerata anche pericolosa. Tempo fa ho compiuto un'azione davvero brutta della quale forse un giorno ti scriverò. Devo spiegarti alcune cose del mio tempo, anche se è molto difficile farlo con il linguaggio del tuo e per questo mi sono documentato. Scordati l'alta tecnologia, Hubbard e Star Trek; è stata solo una questione di volume, sì, il volume del cervello umano. Veramente non solo di quello umano ma so che non sei per niente interessato a questo quindi per farla breve potremmo dire che con i fotorecettori qui si fa praticamente tutto. Il pensiero si forma, si arricchisce e si sposta incorporandosi allo spettro solare e alle sue sfumature, che sono infinite; per questo è possibile generare, contenere, trasmettere, ricevere o rifiutare una grande quantità di sensazioni contemporaneamente. Volendo, si può comunicare con altri tempi sia passati che futuri, ma la cosa alla lunga risulta un po' noiosa, soprattutto col passato dal quale non arrivano mai risposte, solo altre domande e per giunta stupide. Anche gli studiosi più appassionati hanno desistito dopo aver capito che nella migliore delle ipotesi erano percepiti come Dei. Io non posso fare nulla di tutto ciò perché, come ho detto, mi manca la capacità di creare pensieri multipli, però il mio cervello pesa come quello di tutti gli altri e quindi quell'unico pensiero che riesco a generare è lento ma potentissimo; anche per questo sono rinchiuso. Quando ero più piccolo, hanno provato a curarmi usando le altre menti per potenziare la mia ma l'esperimento ha sortito l'unico effetto di amplificare il mio colore a scapito delle sfumature altrui. Al momento sono in grado di creare due pensieri quasi simultanei, uno principale, che io chiamo contenuto e l'altro secondario ma non meno efficace che chiamo involucro. L'involucro mi serve per proteggere il contenuto e se riesco a generarli contemporaneamente, nessuno qui può sentirmi. Non so perché il mio involucro funzioni così bene e non voglio certo rischiare che me lo tolgano, quindi non l'ho mai fatto vedere a nessuno. Ci vorrebbe un terzo pensiero per tenerli occupati ma proprio non ne sono capace e poi non si stupiscono più di sentirmi vuoto, senza colore. Loro credono che l'incidente sia stato un caso, non sanno che comunicare con il passato è la mia unica attività; loro mi parlano con la bocca, come si fa con gli animali. Il motivo per il quale i grafemi ti arrivano nella mente tanto lentamente è la distanza di tempo che, credimi, è davvero notevole. Avrai anche notato che non puoi definire il colore delle lettere che ti compaiono nella mente ed è un vero peccato perché sono di una bellissima tonalità di blu, ti sarebbe piaciuta molto; evidentemente l'involucro si mischia al contenuto e me ne dispiaccio. Voglio dirti che trovo tenero quel modo che hai di scriverti sul palmo della mano con l'indice dell'altra, mi piace quando lo fai perché mi arriva una sensazione di tranquillità, una sfumatura che non credo di aver mai sentito prima. Alla prossima.
- [Che cosa sta facendo?] - [Al solito, guarda verso il cielo e sorride.] - [Povera creatura.]
Id: 1002 Data: 30/05/2011 09:16:26
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Il baobab, la gazzella e la leonessa
Sotto la luna immensa e luminosa della Rift Valley un grande baobab assisteva immobile alla caccia notturna; animali carnivori inseguivano gazzelle fino a sfinirle. Forse gli uomini non c'erano ancora o forse si erano già estinti. Di notte il baobab era certamente un albero. Durante il giorno e ancora di più verso il tramonto qualcosa di inspiegabile accadeva: l'albero sentiva, si sentiva, sapeva di esistere. A tratti percepiva l'energia salire dalle radici e per un attimo provava una specie di euforia. In quei momenti cercava di ricordare se c'era stato un inizio, se davvero era sempre stato un albero. Cercava di concentrarsi, ma le sensazioni erano troppo sfuggenti e mutavano ad ogni alito di vento. Con la cima delle sue fronde a volte poteva sentire l'umida potenza della grande cascata oppure vedere in lontananza il placido specchio del grande lago o intuire la solidità della montagna. Una sensazione tendeva a trattenersi espandendosi in tutto il suo esistere, qualcosa che somigliava ad una domanda mai formulata lo lasciava sospeso fino al tramonto. Da tempo, non avrebbe saputo dire quanto, una gazzella si riparava dal sole cocente sotto le sue enormi fronde. Restava lì fino al tramonto col muso appoggiato al suo tronco quasi a volersi fondere con esso ed il Baobab poteva percepire la sua presenza. Certe volte sentiva un moto, un desiderio forse, l'esigenza di allargare le fronde, piegarsi e proteggere il bellissimo animale dal sole, dalle piogge, dai predatori, da tutto. A Nord dell'altopiano una leonessa di montagna cercava un posto dove morire. Si era allontanata dal branco e l'istinto la stava guidando verso il grande lago. Durante la notte era davvero una leonessa, una vecchia leonessa che si accontentava di cibarsi degli avanzi degli altri predatori perché il suo cuore non avrebbe certo retto il peso della caccia. Era stanca e non sentiva quasi più il desiderio di saziarsi. Procedeva lentamente e doveva fermarsi di frequente a riposare. Durante il giorno e ancora di più verso il tramonto qualcosa d'inspiegabile accadeva: anche la leonessa a tratti percepiva di esistere. Con la testa adagiata sulle zampe anteriori si lasciava invadere da quella strana consapevolezza. Annusando l'aria si rendeva conto di sentire odori sconosciuti e quando si abbeverava poteva riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio d'acqua. Giunta nei pressi del grande lago durante un tramonto rosso fuoco vide qualcosa all'orizzonte e capì di essere arrivata. Un grande baobab e una bellissima gazzella, uniti e rivolti al sole, attendevano una risposta alla sua stessa domanda. La leonessa si adagiò davanti a loro con la testa poggiata sulle zampe anteriori ed insieme a loro attese che il sole si spegnesse nel lago. Qualunque essere vivente, percorrendo la Rift Valley al tramonto, potrà vedere un grande baobab, una bellissima gazzella e una vecchia leonessa di montagna guardare il sole scendere nel grande lago; aspettando di diventare uomini o ricordando di esserlo stati.
Id: 999 Data: 29/05/2011 09:16:33
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