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Lamica geniale.
L’amica geniale (dal romanzo di Elena Ferrante, prima serie tv, regia di Saverio Costanzo).
È anche la storia dell’amicizia fra Lila e Lenù ma non principalmente questo. Protagonista è la Napoli uscita da poco dalle distruzioni della guerra, dai quasi 200 bombardamenti subiti, dalla piaga della borsa nera che ha permesso guadagni per pochi speculatori e immiserito un’intera città. La stessa che subisce la crescita esponenziale di una classe dirigente parassitaria e speculatrice che ha ampiamente contribuito ad aggravare problemi endemici nonché a far crescere senza riserve la malavita perseverando nel patto fra politica nazionale e camorra dalla quale sembra impossibile affrancarsi. Lo sfondo del quartiere Luzzatti, con le sue strade perpendicolari, uguali come i palazzi che lo compongono (qualcosa che rimanda alle città pensate da Tommaso Moro nella sua Utopia) è solo un pretesto geografico nel quale ambientare la vita di tanti proletari i cui orizzonti vanno poco al di là dell’arrivare al giorno dopo senza alcuna speranza di miglioramento sociale. Eppure le capacità personali sono notevoli: Lila, Lenù ma anche tanti altri ragazzi che trovano un limite invalicabile nella mancanza di possibilità economiche che costringe le famiglie a negare nuove possibilità ai propri figli, di studio ma anche di miglioramenti del lavoro e dell’attività. Solo Lenù riesce a conquistarsi la possibilità di studiare regolarmente mentre Lila è costretta a leggere e studiare quasi clandestinamente ma con risultati straordinari che affascinano l’amica Lenù nonostante i suoi brillanti risultati scolastici. Eppure non mancano segni di ribellione a cominciare da Lila ma anche da Salvatore, Nino e altri che cercano una via per impedire ingiustizie, denunciarle, mettere allo scoperto problemi sociali come l’emigrazione dal Sud attraverso i pochi strumenti che riescono a crearsi o semplicemente con discorsi fra amici. Costante e ossessiva la presenza dei boss della zona che Lila combatte sempre e senza mezzi termini lottando con determinazione incrollabile per affermare la propria dignità anche contro i tentativi della sua famiglia di trarre vantaggio da un possibile fidanzamento con uno dei figli del boss. Una storia senza tanta speranza dove una vittoria si trasforma subito in una cocente sconfitta quando interessi convergenti superano e schiacciano persone, valori, amicizie e famiglie svelando inequivocabilmente come l’unica cosa che conta e che determina le scelte e la vita di ognuno è il becero interesse economico dettato da una società marcia anche nei suoi aspetti più presentabili. Il ritmo lento del racconto per immagini sembra a questo punto non un limite ma la volontà di dare il tempo a chi vede di pensare e immaginare il seguito del racconto basandosi sulla propria esperienza. E il più delle volte lo spettatore/protagonista indovina prima come va la narrazione. L’uso della lingua napoletana rende moltissimo il clima, l’ambiente e il pensiero dei protagonisti facendola uscire dall’ambito del dialetto, nel quale è stata relegata dalla conquista unitaria, ridandole la dignità e la nobiltà di lingua parlata e vissuta da un popolo che ancora oggi la usa, l’aggiorna e la tiene viva nonostante l’impoverimento linguistico che caratterizza l’attuale società nella quale si è sempre in contatto senza comunicare quasi nulla, il linguaggio è sempre più pieno di violenza e privo di idee propositive, sempre più affermazione e sempre meno volontà di confronto e comprensione di altre idee. Un’operazione culturale che forse va al di là della volontà iniziale dello scrittore e del regista ma che rende giustizia ad un aspetto della cultura popolare di primaria importanza. Un tuffo nella nostalgia dell’infanzia e dei luoghi, per chi ha vissuto il periodo e quella città, senza per questo cadere nel sentimentalismo dei tempi andati. Lo struggimento per quanto poteva essere e non è stato. La certezza di quanto umanamente sprecato e che poteva essere utilizzato per migliorare la vita di tanti. La rabbia di vedere il futuro deciso da meschini e stritolanti interessi. Due ragazze complementari nelle quali ognuna vede e anela la parte non sua che è nell’altra pur rimanendo sempre sé stessa. Due amiche che sembrano facce della stessa medaglia. La vera Amica geniale.
Genova, 19/12/2018.
Id: 4421 Data: 02/01/2019 10:19:44
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Capri revolution
Capri revolution.
Un gruppo di yippie ante litteram arriva a Capri a inizio ‘900 e ne fa la propria patria d’elezione. Non è difficile immaginare il perché e lo si capisce subito dalle immagini bellissime che punteggiano tutto il film. Anche se l’impatto sulla popolazione è praticamente nullo, fatta salva l’ovvia curiosità, su una ragazza dell’isola è un detonatore. La sua voglia di libertà, di cambiamento, di apertura ad un modo diverso d’intendere la vita uscendo dalla grettezza nella quale è stata rinchiusa fino ad allora come capraia e donna destinata al matrimonio sistematore, proprio e della sua famiglia, porta Lucia sempre più vicino al gruppo fino a farne parte. Presunti riti dionisiaci, psicanalisti quasi tutti fai da te, primo uso di droghe, scoperta dell’India e della sua cultura, vista come salvifica e liberatoria, caratterizzano il gruppo di “ragazzi perbene” (letterale nella sceneggiatura del film) che, come tanti anni dopo i più famosi yippie, cercano una risposta intimistica e metafisica ai propri problemi esistenziali. Sullo sfondo del primo grande massacro mondiale, visto dal buon senso popolare come una tragedia e da tanti radicali di sinistra come l’occasione per far cadere il dispotismo austro-tedesco e cambiare il mondo a favore dei lavoratori, il gruppo attraversa varie crisi fino alla rottura finale dell’equilibrio fittizio creatosi proprio attraverso le critiche di Lucia, la capraia che ha intanto imparato a leggere e, attraverso la cultura, utilizzato la propria intelligenza per guardare e affrontare il mondo senza sentirsi meno libera. Bellissima, a questo proposito, la scena dell’incontro con la madre che ha compreso la voglia di libertà della figlia e che le confessa la sua partecipazione ideale. Di sicuro, avendone avuta la possibilità, anche la madre avrebbe fatto di tutto per conquistare la propria libertà, se ne avesse avuto la possibilità. Ottima la scelta di far parlare gli abitanti del luogo in napoletano. Non il solito stereotipo dialettale al quale troppo spesso ci hanno abituato con finalità sminuente ma come una vera e propria Lingua, quale effettivamente è. Un equilibrio, tanto cercato dal “maestro”, che si rompe in maniera plastica attraverso l’indicatore che lo stesso aveva inventato per verificarlo. Una storia struggente di libertà negata e false liberazioni anche in un mondo idilliaco nel quale comunque arriva la Storia attraverso l’attracco in porto di una grande nave da guerra che viene a prelevare le reclute per il grande massacro. Un esempio, fra i tanti della storia, nel quale non è fuggendo dalla realtà e nemmeno con l’introspezione che ci si libera di una società violenta e stritolatrice dove l’uomo serve solo come capraio, contadino, operaio all’altoforno o massacratore di altri suoi simili. E non è solo la volontà individuale a poterla rivoltare. E Lucia non scappa ma si libera anche di falsi miti e affronta una nuova vita oltre il mare, in un ovunque la voglia di libertà abbia bisogno di un guerriero o, semplicemente, di una capraia che rifiuta il gregge per non divenirne parte.
Id: 4420 Data: 02/01/2019 10:17:56
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