I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
È arrivato il diluvio, non è il primo, ma questo è il nostro. È arrivato nell'arco della nostra esistenza, in forma di pandemia, forse perché abbiamo occupato tutti gli spazi possibili esistenti sul pianeta, o il nostro ego espandendosi sempre di più, ha toccato un limite che per qualche motivo noi non potevamo superare. La scoperta è quella di sempre: non sappiamo. Non sappiamo da dove venga, se l'unica causa siamo noi. Quel che è peggio è che non sappiamo neanche cosa succederà di noi, non sappiamo come ci comporteremo. Certo, ci dovevamo fermare; eppure non accennavamo a farlo, ma una volta fermi è stato chiaro. È stato chiaro che non si poteva correre sempre verso l'esaurimento delle scorte del pianeta, che non si poteva rimuovere completamente dalla coscienza l'Altro, quella presenza che ciascuno sente in modo diverso ma generalmente con una coscienza codificata in testi sacri, tradizioni religiose o culturali.
Qualcosa di indefinito a cominciato a soffiare, senza capire in che direzione, senza sapere con quali conseguenze, abbiamo sentito lo Spirito.
È stato un vento leggero, senza alcun timore di essere fermato, è uscito dal silenzio, dimostrando in questo modo la sua potenza.
Abbiamo guardato con uno sguardo diverso il mare del tempo infinito, del fuoco che ha forgiato i pianeti e le stelle, accorgendoci che non siamo nulla, che al massimo riusciamo a distruggere il nostro habitat; che con questa mentalità orgogliosa che ci pone al centro di un universo, di cui capiamo a malapena alcune delle leggi che lo governano, anneghiamo nelle nostre contraddizioni. Che questa grandezza non è poi diversa da quella del Dio dei nostri padri; essa però è il regno dell'assenza, nel vuoto siderale tra le stelle. Una realtà che non regala una goccia di senso, che lascia in un gelo difficile da immaginare. Agli occhi di questo Dio assente siamo delle piccole macchine che sbattono tra di loro.
Ci resta solo una disperata vitalità, il desiderio di stare al mondo, al quale siamo attaccati, in bilico su un abisso, persi in un mare senza approdi. Sotto di noi le nostre paure nuotano dimenandosi lentamente come squali che attendono solo il momento giusto per ingoiarci.
Questo spirito ci ha lasciato una via di fuga, una possibilità: esistel'arca, il luogo dei salvati. Primo Levi si chiedeva quale fosse l'elemento che distingue i sommersi dai salvati, osservando chi soccombeva e chi sopravviveva nei campi di concentramento nazisti. Prima separa le vittime dai carnefici ma poi va più nel profondo, i carnefici sono lasciati a terra, coperti dalla loro vergogna, senza più giustificazioni di fronte alla geometria meticolosa dei suoi ragionamenti. Levi osserva che le vittime sopravvissute sentono una colpa, nessuno avrebbe il coraggio di accusarli, loro malgrado la pena per questa colpa ritorna: l'essere sopravvissuti al posto di qualcun altro. Non li consola neanche che un qualche destino li abbia scelti con una ragione, anche questo risulta mostruoso, un qualche potere che controlla il destino doveva impedire tutto questo, scegliere tra l'uno e l'altro è la stessa cosa che guardare in maniera indifferente, da fuori, il campo di concentramento.
Se c'è il diluvio dovremmo costruire un'arca dentro la quale dovremo portare la memoria: la volontà di ricostruire con esattezza gli eventi, per imparare, non tanto quello che succederà ma quello che avviene dentro di noi, quali sono le alchimie che hanno generato i nostri pensieri.
Portiamo scritta sulla nostra pelle la nostra identità ed essa è solamente una parte del mosaico composto da tutti, a dispetto di quello che pensiamo noi, ogni tassello è ugualmente importante. L'importanza dell'individuo è in quell'unicità irripetibile che se è persa è sprecata. Ognuno custodisce una parte del mistero che, una volta persa non conosceremo mai perché la poteva conoscere solo la persona attraverso il suo punto di vista. Così ci sarà necessario anche ricostruire, cercare, scoprire qual era lo sguardo di tutti coloro che il diluvio ha sommerso.
Il diluvio è imparziale per definizione: innalzando le acque, sommerge man mano ciò che incontra. Un'anima non è responsabile del punto in cui si trova all'arrivo della distruzione, come non è colpa sua dove nasce, se in un quartiere povero o in una ricca metropoli. Dovremmo comprendere anche il punto di vista dei sommersi, perché dobbiamo richiudere lo strappo dovuto alla loro assenza.
Primo Levi è morto suicida, personalmente considero la sua morte come un'estrema conseguenza dello sconvolgimento di un'anima di fronte alla mostruosità dei campi di sterminio. La ricostruzione di questa assenza, nell'impossibilità di recuperare le voci soffocate dalla morte dal male avviene solo nel sacrificio, sarà solo in una pietà che arriva negare se stessa per rispetto dell'altro. È necessario perché il mondo che emergerà dovrà essere per tutti o morirà appena nato, perché l'arca è una sola, noi siamo tutti in questa barca che è la Terra.