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Raccolta di testi in prosa di Giovanni Avogadri
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Diario di bordo di due amici

Brani del diario di bordo di due amici appassionati di nautica: un omaggio al mare e al navigare scoperti come maestri di vita, e un grazie a quanti hanno condiviso con loro la stessa esperienza.


Con una piccola ciurma di amici o in solitario, navigare per mare è la più limpida e pura forma di compiere un viaggio.
E non fatene una questione di lunghezza dell’imbarcazione e nemmeno di durata del viaggio, è piuttosto una faccenda d’anima.
Prepararsi con cura, conoscere lo scafo e l’equipaggio, salpare, transitare in acque sconosciute, affrontare nuove rotte e - finalmente - approdare: nessun elemento è assente, ogni passo è denso di significato.
Ma la condizione perché il viaggio sia vero e il mare ti parli, è guardarlo diritto negli occhi, affrontarlo con lealtà, ad armi pari. E allora, non sai nemmeno perché e per come e non ricordi quando, il mare diventa un amico, o un fratello maggiore. Misteriosamente il mare comincia a parlarti: interroga, crea pensieri, è esigente, insegna, sfida, purifica, ridimensiona, cura, lenisce, guarisce. Un grande inaspettato maestro.Salpare Salpare, e perciò affrontare una nuova navigazione, implica - anche se in sedicesimo - una precisa operazione culturale. Perché altrimenti quel brivido, quella malcelata eccitazione, quella gioia ineffabile che accompagna ogni partenza, contagia l’equipaggio e crea un vago timore nel cuore dei non iniziati?
Lasciare l’ormeggio esige di abbandonare la fissità e la certezza dei sicuri riferimenti terrestri per affrontare la fluidità, la non stabilità. Ci si abbandona alle leggi del vento e delle correnti.
Si valica un impalpabile confine e si entra nel grande regno del mare, accettandone la signoria e le leggi.
Che possono essere durissime, come nel caso della navigazione con cattivo tempo. L’idea di navigare con tempo duro potrà anche affascinare i neofiti, ma non piace affatto ai marinai di professione e tanto meno a noi, che per mare andiamo per diporto: basta averlo solo assaggiato, il mare grosso, per averne rispetto e temerne l’incertezza, le insidie, i rischi.
Una banalità come la perdita del timone o il rovesciamento del kajak possono essere l’inizio di una tragedia se il tempo è inclemente. Insomma la cosa più saggia sarebbe quella di evitare di navigare col cattivo tempo, prevederlo, e comunque prepararsi ad affrontarlo ben attrezzati, stagnando noi stessi e lo scafo.
Quando si incappa nel tempo avverso, e ci si trova in un mare troppo grosso per noi e per la nostra imbarcazione, si deve cercare la strategia migliore per affrontarlo: se a vela mettersi alla cappa ad esempio, e poveri o privi di velatura ridurre velocità e impatto con le onde. E non è certo vergogna l’alternativa del fuggire la burrasca. O guadagnare un ridosso, o far rotta verso il porto più vicino.
Crea un certo imbarazzo, è vero, tornare a terra a rimorchio di un’altra imbarcazione o aver dovuto abbandonare lo scafo su cui si navigava: ci si sente come tartarughe senza il guscio!
Ma così può capitare in mare, come del resto nella vita. Piuttosto, quandosi ringrazia di essere ancora vivi dopo piccoli e grandi naufragi, ci si accorge di essere stati incoscienti allievi alla scuola di umiltà del mare, che insegna a sbagliare con dignità e a riconoscere i propri errori, a prendere meglio le misure della navigazione, a fidarsi di più della altrui esperienza e - sopra ogni altra cosa - a ricominciare. A ricominciare sempre.
Per tutto questo, ogni volta che si affronta il mare è una partenza vera, e - se non ci si trascina dietro ogni sorta di mezzo di comunicazione che ci può legare alla terraferma, tranne quelli previsti dalla sicurezza - si potrà ancora oggi assaporare un distacco reale.
Al di là di quel confine, possiamo anche noi sperimentare le condizioni dei quei primi navigatori che nelle navigazioni costiere - le uniche possibili con scafi primitivi e incapaci dirisalire il vento - non disdegnavano certo i favori di dee benigne e ne onoravano i simulacri nei templi eretti vicino al mare per contrastare l’ira di Poseidone.
E perché quei misteriosi occhi dipinti sulle prore delle navi antiche, spesso presenti ancora oggi ad ogni latitudine sulle barche dei pescatori?
E quale il senso delle coloratissime polene sospese sotto i bompressi dei galeoni se non quello di scrutare i mari, di suggerire le giuste rotte, di fugare i timori della ciurma?
Le polene, statue di prua, erano l’anima audace, dolce e fiera dei marinai.
Partire... Immaginiamo l’epopea dei migranti verso le Americhe: quelle partenze per lunghe rotte al di là dell’oceano erano eventi reali di separazione, distacchi dalla propria matrice, perdita di tutti qui legami che fanno una persona.
Ma se erano partenze che sapevano di abbandono e di dolore, si creavano in quei distacchi maturati per un disperato coraggio, le premesse di nuovi orizzonti e nuova identità.
Forse abbiamo perso il significato vero del partire, il coraggio cioè di divenire noi - in modo definitivo e compiuto - parte lasciando il tutto che ci appartiene per rischiare a rinascere nuovi in qualche altro luogo.
Senza vere partenze non c’è nemmeno vero transito, non più arrivi, non più approdi, non autentiche novità.
Il distacco è maturazione.
Salpare può aiutarci a comprenderlo.
Approdare Anche il ritorno a terra ha un sapore unico e diverso dal ritorno a casa via terra. Giungere dal mare in un porto produce una emozione particolare.
Si arriva, si ormeggia, con gesti lenti si cammina sulla banchina con gambe malferme, talvolta non si sa nemmeno il nome del porto o dell’isoletta dove si è arrivati... eppure ci si sente signori! Si cerca la prima bettola per bere, ma soprattutto per prendere in qualche modo possesso di quella terra.
Ed è particolare anche la percezione di chi - a terra - vede qualcuno arrivare dal mare: lo vede proveniente da un mondo affascinante ma estraneo. Forse perché da sempre è dal mare che giunge la diversità, l’alterità, il non conosciuto?
Solo i bambini sembrano non farci caso, fremono per la novità del nostro arrivo - forse perché ancora sono nuovi loro stessi? - e ci vengono incontro allegri e curiosi, senza alcuna paura...E perché mai quel sentimento struggente che si produce in chi arriva, miscuglio di sollievo - magari dopo navigazioni dure - ma anche sensazione di paradiso perduto? Forse per quella situazione di eterno presente, di infinitezza, di felicissimo respirare da cui si proviene? Forse che il navigare ci aveva ammaliato e ora le prosaiche leggi terrestri tornano a spaventarci?
L’approdo contiene la navigazione fatta e la compie, chiude il cerchio che aveva avuto nel salpare la sua origine, anche se non sazia la voglia di ripartire ancora.
La conoscevamo la nostra costa, la terra, l’erba, la gente, gli odori, le strade, la città: ma ora tutto appare nuovo. Lavato dal navigare, nitido di luce e di mare, asciugato dal sale.
A-rivare, giungere alla riva, è parola sacra, fiorita per la prima volta sulla bocca di un navigante.

NAVIGAZIONI

Ogni giorno occorre preparare con cura il necessario, controllare le giunture, gli attacchi, i nodi e gli intrecci... Ogni giorno il corpo si riabitua alla fatica ed il dolore lieve è un liquore che si beve col cuore quieto.
Ogni giorno, con la regolarità dell’imprevisto, il vento va riconosciuto e salutato e occorre immaginare assieme a lui i nostri percorsi.
Ogni giorno il mare ributta le sue meduse, le sue alghe strappate dai temporali e i resti dei naufragi tornano a galla....
Così come ogni sera il vento stracca e con la calma di un piccolo porto torniamo a casa con una dolce tristezza piovuta in cuore da chissà dove... Ogni nuovo giorno l’attenzione prepara l’attitudine al cambiamento, la possibilità d’ogni incontro, serissima spensieratezza e quasi senza sforzo si entra nel mistero e nella meraviglia: falesie bianche di vento, grotte di luce, fondali d’ombra e ristoro... Finché un golfo ci accoglie, antichissimo come il tempo, in questo suo nuovo, sconosciuto, ritrovamento.

PORTIMAO

Ci entro controvento/ in un pomeriggio di sole/ e s’apre al passare/ un porto orizzontale/ placido eppur frizzante/ di campane pescatori e sabbia./ Il vento di terra/ scorre sulle cose e le leviga,/ le lucida per l’occasione,/ per un pomeriggio nuovo,/ per la memoria bambina/ pel gioco della poesia/ che altro non sa fare:/ è arte della memoria/ ma non se ne fa imprigionare.

(pubblicato su Città nuova n. 13/2005)

Id: 33 Data: 05/12/2007

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I re magi

Tutti voi conoscete sicuramente la storia – bellissima - dei re magi…Erano tre re, o persone sagge, forse degli scienziati, che si recarono a far visita a Gesù perché una stella gli era apparsa…Ma non sappiamo niente di loro, sappiamo solo che venivano da paesi lontani e per questo avevano nomi difficili, nomi dei tempi antichi, si chiamavano Baldassarre, Melchiorre e Gaspare. Sarebbe bellissimo raccontarvi la storia di ciascuno di loro e forse qualche altra volta lo faremo…Oggi posso raccontarvi soltanto la storia di Gaspare, così come l’hanno raccontata a me, e poi mi direte se vi sarà piaciuta.

Gaspare era un giovane principe, era l’unico figlio di un re potente e rispettato, il suo regno era dalle parti dell’India, in un paese caldo e ricco di piante e animali, elefanti, tigri, scimmie….
Prima della nascita di Gaspare il re suo padre era stato avvertito in sogno:

“Il figlio che ti sta per nascere abbandonerà presto il palazzo, tutte le ricchezze e vivrà in povertà, il tuo regno resterà senza eredi”.

Immaginate come si preoccupò il Re!

Questo non deve accadere – si diceva – Presto, costruirò per lui il palazzo più bello, lo riempirò delle cose più ricche e più buone e lo terrò lì dentro per tutta la vita, farò in modo che non conosca il mondo, con i suoi dolori, le persone con i loro problemi : la povertà non dovrà mai incontrare il suo sguardo.
Gaspare nacque e crebbe, forte e bello, vestito di abiti morbidi e lussuosi, poteva giocare con i giocattoli più belli, tutti si voltavano al suono delle sue scarpe, sempre all’ultima moda, era bello ed emanava un buonissimo profumo, tutti lo salutavano e gli volevano bene… Il re sceglieva accuratamente le persone di servizio, che dovevano essere tutte giovani e belle e sane, anzi, il re evitava accuratamente di fargli accorgere che qualcosa andava male, se un servitore si ammalava il Re lo mandava subito via e alle domande del piccolo rispondeva dicendo che aveva cambiato paese. Insomma, a Gaspare non solo non mancava nulla, ma si sarebbe detto che viveva in paradiso ma…Man mano che cresceva si accorgeva che non poteva uscire dal castello: le mura altissime gli impedivano la vista, solo dalla fessura di una torre poteva intravedere una bellissima foresta, piena di animali, e infatti andava spesso a sbirciare dalla fessura, cercando di immaginare come potesse essere il mondo di fuori.
Era ormai un giovane forte ma non conosceva niente del mondo, una mattina di sole, calda e profumata, si affacciò come al solito alla fessura della torre e vide qualcosa che non aveva mai visto: era un bambino, piccolo ma che già camminava da solo, vestito con pochi stracci e doveva avere tanta fame perché stava cercando di togliere dalla bocca di un cane il cibo che questi aveva preso…Gaspare non capiva che cosa stava facendo il bambino, lo chiamò, una volta, poi un’altra, il bambino si voltò ma non riusciva a vederlo da dietro le alte mura e continuò a raccogliere per terra erbe e rifiuti.
Gaspare capì che quella era la sua occasione per uscire finalmente dal castello, corse dentro, prese una corda, si arrampicò sulla muraglia e si calò con la fune, fuori, finalmente libero. Corse dal bambino, che non lo salutò neppure, lo prese per mano e lo portò a casa sua. Entrarono lentamente nella città vecchia, quella che stava subito fuori dal palazzo e che Gaspare non aveva mai visto. La gente era molto povera ma i vecchi sedevano fuori dalle case e i bambini giocavano allegramente con i cani, come fanno tutti i bambini: Gaspare aveva giocato solamente con animali di pezza e bambolotti bellissimi e macchinine colorate e tutta quella confusione che ora vedeva e sentiva gli confondeva la testa ma gli piaceva tantissimo! Il bambino lo fece entrare nella sua casa, povera e piccola, senza pavimenti e senza mobili, dove la sua mamma stava cercando di far addormentare il bambino.
“Ha fame – disse la donna – e io non ho abbastanza latte perché non ho da mangiare”

Quando uscì fuori da quella casetta Gaspare non capiva più nulla:

“Ma come, pensava, nessuno mi aveva mai detto niente di tutto questo, dei bambini e dei vecchi, dei cani e del paese, delle mamme che non sanno come fare per dar da mangiare ai loro bambini..Il re mio padre non mi ha raccontato la verità, adesso io sono grande e voglio sapere com’è possibile che accada questo. Ci sarà pure qualcuno che mi dica la verità! Mi metterò in cammino e andrò a cercare la risposta, anche se dovessi andare dal Re di tutti i re!”

Senza pensarci due volte, Gaspare prese per mano il bambino e si mise in marcia.
Erano in cammino dalla mattina e verso sera sentirono suoni di trombe e tamburi, rumore di zoccoli di cavalli: si stava avvicinando una lunga schiera di cavalli e cavalieri, vestiti con abiti ampi come lenzuola e grandi turbanti di tutti i colori in testa. Gaspare fermò il secondo cavaliere, quello che gli sembrava il più nobile e importante, portava infatti una grande collana d’oro al collo.

- “Fermati, nobile cavaliere – gli disse – dove state andando con tutti questi cavalli e cavalieri?
- “Tu solo sei così straniero da non sapere che stiamo andando a rendere omaggio al Re dei re, la sua stella è sorta ad Oriente e noi vogliamo onorarlo!”
- “Il re dei Re – pensò Gaspare – proprio colui che voglio incontrare! Devo proprio chiedergli qualche cosa, se Lui è il re dei Re saprà certamente perché i bambini muoiono di fame e la gente racconta invece tante bugie…Chissà come sarà grande e forte..ma anch’io sono figlio di re e non ho paura!

Si rimisero in cammino e appena la carovana dei cavalieri fu passata si accorsero di un’ombra, seduta ai bordi della strada. Era un uomo, aveva capelli e barba lunghi, sembrava molto stanco o forse malato. Gaspare era curioso di tutto quello che vedeva e chiese all’uomo se avesse bisogno di qualcosa.

“Grazie giovane principe, io sono un viandante, la gente dice che sono un vagabondo, un barbone, e in effetti sono tanti anni che cammino e adesso mi sono dimenticato dov’è che volevo andare…Però sedetevi con me e mangiate un po’ del mio pane.”

Gaspare, il bambino e il viandante mangiarono e furono felici, chiacchierarono, risero e pensarono che a volte è bello fermarsi un po’ lungo la strada e fare amicizia, senza pensare a dove si deve andare…

“Stiamo andando dal Re dei Re – disse Gaspare anche se il viandante non gli aveva chiesto nulla – voglio che Lui mi spieghi perché alcune persone vivono nei castelli e altre vivono in case fredde e brutte..e poi perché alcuni dicono le bugie”.

“Mi piace il motivo del tuo viaggio, anch’io ti seguirò, ma voi siete molto più veloci di me, prendete la mia borsa del pane, se lo farete con gli altri come io ho fatto con voi non vi mancherà da mangiare per tutto il cammino”.

I due lo salutarono felici, potevano continuare il loro viaggio col cibo assicurato! Gratis!

Dormirono un po’ e la mattina seguente si rimisero in cammino.

Il sole era già alto nel cielo quando udirono suoni di animali mai uditi prima, erano cammelli e dromedari, asini e perfino elefanti. Gli uomini erano di un colore scuro come la notte, vestiti con colori brillanti, magri e forti indossavano collane e bracciali d’oro e d’argento, erano bellissimi e Gaspare fermò la colonna che viaggiava dicendo:

“Anche voi andate ad onorare il re dei Re?”

“Certamente, rispose il più nobile di tutti, ma tu chi sei?”

“Io sono Gaspare, principe dell’Impero che sta nell’Oceano di mezzo, viaggio con questo bambino che mi ha fatto conoscere com’è davvero il mondo, e voglio chiedere al re dei Re perché alcune persone muoiono di fame e altre non se ne accorgono neppure”.

“Il Signore dei sentieri e delle strade sia con te, nobile principe, perché nobile è il tuo cammino” – rispose Melchiorre. E riprese il suo cammino.

La fila dei dromedari, dei cammelli e degli elefanti era appena terminata quando i due amici videro una vecchia che cercava di caricare un grande sacco di legna sulle spalle.

“Possiamo aiutarti, nonna?” Chiese Gaspare.

“Grazie, portate per me questa legna fino alla mia casa, non è lontana”

Lasciata la vecchia sulla porta di casa, questa disse:
“Siete ragazzi forti, ma so che il viaggio è lungo, portate con voi un po’ della mia legna, io sono vecchia e so che durante la notte bisogna accendere il fuoco, per scaldarsi e riprendere il cammino il giorno dopo.”

I due, allegri, ripresero il cammino, arrivata la sera accesero il fuoco con la legna della vecchia e mangiarono il pane del viandante.
Ma quella notte non riuscivano a prendere sonno.
Gaspare sbirciava dalle foglie degli alberi e fu allora che vide la stella. Non era più grande delle altre ma più luminosa. Non parlava con parole ma Gaspare capiva quello che gli diceva. Capiva che avrebbe trovato presto il re dei re.
Non aspettarono altro e si misero subito in cammino, la notte era fredda ma il loro desiderio di arrivare era più forte.
L’alba era appena nata quando arrivarono ad una grotta.
Gaspare aveva aspettato tutto quel tempo e camminato tanto e chiesto ai cavalieri : aveva immaginato il re dei re in un castello almeno più grande del suo, protetto dalle mura, dai soldati con le armi e invece eccolo qui: un bambino piccolo piccolo, appena nato, povero come il bambino che aveva incontrato nella città vecchia….E non poteva chiedergli niente perché il bambino non parlava!
Ma era bellissimo, e soprattutto era bellissimo vedere come il papà e la mamma del bambino gli volevano bene e si volevano bene. Non aveva più bisogno di risposte, ma proprio in quel momento parlò la mamma di quel bambino, con una voce dolcissima li chiamò:

“Ben arrivati! Sapevamo che sareste arrivati, Baldassarre e Melchiorre ci avevano parlato di voi, loro ci hanno portato doni bellissimi ma i doni più belli ce le avete portati voi”.

“Ma come, disse Gaspare, io non ti conoscevo nemmeno, anzi, credevo di venire a parlare con un re potente e magari bugiardo come mio padre …e invece trovo voi…E poi non vi abbiamo portato nulla!”

“Ascoltami Gaspare, riprese la madre, anche se non ve ne siete accorti voi ci avete portato tre doni:
IL primo dono è l’amore che avete sperimentato con il viandante, te ne sei accorto anche tu che l’amore è l’unica cosa che più la doni e più aumenta…
Il secondo dono ve l’ha fatto la vecchia: l’amore ci fa accendere un fuoco che arde e riscalda anche la notte più buia.
Il terzo dono siete voi, il vostro cammino che non si fermato mai perché voleva trovare una risposta.

Con questi doni hai già trovato la tua risposta, vero?”
Gaspare sorrise e guardando il piccolo si accorse che anche lui aveva capito.

Id: 2 Data: 05/12/2007