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Raccolta di testi in prosa di Laura Daniele
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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La Gabbia

Mi preparo da un mese e ormai sono sicuro.

Ho letto manuali, raccolto informazioni, valutato i sistemi più diversi.

Ho subito scartato i metodi cruenti.

Voglio evitare di soffrire troppo, voglio lasciare tutto in ordine, voglio essere sicuro di non poterci ripensare all’ultimo.

Voglio farlo, punto e basta. Levarmi il peso, una volta per tutte. È proprio in questo modo che mi sento di affrontare la questione: togliermi il pensiero.

È da una settimana che telefono agli amici, spedisco email, lascio messaggi su segreterie, mando SMS a cellulari spenti.

L’altro giorno sono stato a pranzo da mia madre, ieri ho preso un caffè con mia sorella. Se qualcuno ha notato tensioni o cedimenti non si è premurato di farmelo sapere. Ma credo di non aver fatto trasparire nulla, perché sono fondamentalmente calmo.

Stamattina mi sono svegliato con una specie di premonizione. Ho aperto la finestra ed era proprio la giornata adatta. Un cielo torbido e uniforme, un vento perfido che si accaniva sugli alberi e le foglie. Ho sempre odiato il vento. Mi rende irritabile e nervoso, mi scatena mal di testa e collere improvvise. Ancora non per molto, ho pensato andando in bagno.

Mi sono fatto la doccia, sbarbato e pettinato. Ho controllato le previsioni del tempo: vento forte e cielo nuvoloso per almeno altri due giorni. Era importante che il tempo non virasse improvvisamente al bello.

Ho fatto colazione con pane tostato, latte, cereali. Mi sono concesso un cucchiaio di zucchero in più nella tazza di caffè.

Poi ho pulito casa con precisione e metodo. Ho rifatto il letto, lucidato il pavimento, lavato la vasca e i sanitari. Sono uscito in terrazza, ho controllato lo stato delle piante, messo il fertilizzante, l’antiparassitario e ho annaffiato.

Quando è suonato il campanello sono rimasto irrigidito in una posa strana, l’annaffiatoio gocciolante ancora in mano.

Avevo calcolato tutto, spento il computer, staccato il telefono. Non mi aspettavo certo delle visite.

Pubblicità in cassetta, ho subito pensato. Suoneranno di sicuro a qualcun altro.

Ma al suono è seguito un debole picchiare di nocche. Solo la porta d’ingresso mi separava da quella mano che bussava: mi sono sentito in trappola. In punta di piedi mi sono avvicinato allo spioncino.

La faccia deformata della signora del secondo piano mi fissava dalla lente. Un’ottantina d’anni, un appartamento condiviso con tre gatti, un inizio di morbo di Parkinson. Non più di una ventina di parole scambiate in quattro anni.

La vecchia mano non si stancava di bussare. Mi è toccato aprire a quel mucchietto d’ossa.

Zucchero e due uova, per fare una crostata.

Ho cercato di liquidarla in fretta. La sua presenza mi stava mandando tutto all’aria. La calma lucida che mi aveva accompagnato fino adesso si stava trasformando in rabbia.

Ho osservato la vicina mentre arrancava verso gli scaffali, prendeva il pacchetto dello zucchero e le uova con le mani nodose, tremolanti.

La domanda, signori, non è perché si muore. La domanda è cosa si nasce a fare.

- Già che ci siamo venga con me in terrazza. Le do della mentuccia, la salvia, un po’ di rosmarino. Così le viene fuori anche un arrosto con i fiocchi -

Lei mi ha sorriso coi tre denti rimasti. Mi ha seguito docile mentre staccavo rametti e foglie dagli odori inconfondibili.

L’ho valutata con la coda dell’occhio. Altezza 1 e 55, peso 40 chili scarsi. Se l’era cercata, questo è certo. Ho aperto le mani, ho lasciato cadere gli odori per l’arrosto.

L’ho afferrata per la vita, ho scavalcato il parapetto. Due al prezzo di uno e si fottessero pure i gatti del secondo piano.

Siamo volati giù che era una bellezza e lei ha cominciato a urlare decisamente troppo tardi.


Id: 3102 Data: 08/02/2016 14:02:59

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Malvagia Superbia

Si può estrarre il colore a una rosa, succhiarle via il rosso fino a renderla spenta? Di certo quel rosso è dannato, pare sangue iniettato nei petali a forza, un veleno scarlatto che infesta la pianta e la rende spietata.

Dhara cammina veloce, le braccia fiorite di rose. Le rose scandiscono le sue ore e i suoi passi, le rose procurano il pane. Una vita in balia delle rose, del loro profumo infestante, del loro colore insolente. Intere giornate affidate alle rose, giornate sbocciate di attese, sfiorite di affanni. E Dhara quei fiori li odia, vorrebbe pestare quei gambi, schiacciare quei petali ardenti per farne poltiglia cremisi. Quei fiori dannati, arroganti, tagliati da mani bramose, quei fiori agitati su facce annoiate, imposti per mezzo di assillo e invadenza.

Dhara controlla le rose. Le distingue una a una, o almeno ci prova, perché le conosce di nome e di fatto. Ci si può vendicare di un fiore affibbiandogli un nome maligno? Lei lo fa, con alcuni, per punirli di tanta superbia.

Uno sguardo a Perfidia Purpurea, l’ha chiamata così perché è un fiore di false promesse. La guarda con astio, vorrebbe sciupare di insulti quei petali rossi.

Si può togliere forza a una rosa affibbiandole un nome cattivo? Dhara almeno ci prova, maledice ogni volta la linfa racchiusa in un boccio che decide i suoi giorni.

Sanguigna Perversa, ad esempio, ha una goccia sul gambo. Quella goccia è una stilla di rabbia per essere stata strappata alla pianta. Sono atroci e malvagie, le rose, per effetto di un taglio violento.

Nefasta Spinosa invece non teme confronti. È lei la superba del gruppo. L’ha punta con fare altezzoso e il colore scarlatto del fiore si è allungato sul dito, firmando la pelle di rosso.

Quelle rose vermiglie e feroci hanno vene, hanno arterie, contengono forse del sangue?

Hanno un cuore che pulsa, le rose? Se sì lo nascondono bene.

Dhara riconta le rose mentre si avvia verso il centro.

Non può certo chiamare per nome ogni singolo fiore del mazzo, ma con certi le viene spontaneo. E ogni volta che vende una rosa si rifà di quei fiori arroganti, auspicando per loro una fine crudele.  Li immagina sfatti, lasciati seccare senz’acqua nei vasi di case modeste. Stremati da giorni dentro a borse di donne distratte, caduti dai tavoli di posti chiassosi, pestati per strada da piedi affrettati.

Dhara conosce a memoria le teste voltate di scatto e i gesti nervosi, il fastidio che legge negli occhi le costa vergogna. Così bagna quei fiori per strada per tenerli più freschi e al contempo li investe di fiele.

Dhara sistema le rose nel mazzo che ondeggia ai suoi passi, le stringe con troppo vigore, il viso atteggiato a un sorriso più ampio via via che le strade si fanno animate.

È una sera di maggio indecisa tra il serio e il faceto. Se piove per Dhara sarà ancora peggio. La gente non compra le rose se piove, si ammassa all’interno di luoghi affollati, oppure cammina rasente ai portoni cercando riparo ai vestiti. Le occhiate diventano ancora più dure, i gesti più secchi. Ma mentre prosegue il cammino stringendo quei fiori maligni, il cielo si sgombra e gli umori si fanno più lievi: c’è un’aria frizzante, per strada. La festa di maggio, con fuochi e sorprese, c’è scritto da tutte le parti, i pollini danzano in aria, la piazza sul mare è gremita di voci. Ragazzi che corrono dietro a un pallone, stranieri indecisi tra il sospetto e l’incanto, gruppetti di amici che fanno baldoria. C’è sempre chi scansa, chi scaccia con gli occhi e i gesti, ma alcuni non sembrano ostili. Qualcuno persino la chiama, le chiede una rosa per un dono improvviso e Dhara lo avverte nell'aria, il contagio: al primo che compra una rosa si uniscono subito altri. E come d'incanto quei fiori incontrano mani diverse e il passaggio è mediato da gente che chissà quali storie nasconde. Vermiglia Infestante la prende un signore attempato per una ragazza scontrosa. Solenne Mestizia un tipo abbronzato per una bambina con un cane nervoso al guinzaglio. Spietata Pungente una donna ridente per un uomo che scuote la testa.

E poi, come accade soltanto nei giorni bagnati di luce, un turista pretende dei fiori per tutte le donne della sua comitiva. Sono tante, le donne, Dhara quasi non crede ai suoi occhi: soltanto una rosa è rimasta, un peso impalpabile in mano, in tasca una pioggia di spicci.

Dhara riprende il cammino, ma mentre si aggira nei bar della piazza, dal mare si leva un fragore che spaventa i gabbiani. Cominciano i fuochi, il cielo si appunta sul bavero i gioielli migliori.

La piazza si arresta, trattiene il respiro, anche Dhara si ferma, lo spettacolo ha inizio. Quel cielo imponente scatena una guerra di luci: appaiono razzi di polvere d'oro, incroci di spade roventi, granate che scoppiano in vampe brillanti. E stelle di fiamme filanti, pistilli di luce incantata, satelliti lucidi, tentacoli fosforescenti. Bagliori assordanti, che sfumano in scie misteriose e subito tornano in vita formando ventagli di fuochi. Le bolle di luce esplodono in sfere più ampie, serpenti sinuosi si inghiottono in spire lucenti, meduse si sciolgono in liquidi luminescenti. Poi il cielo prepara un finale d'effetto e d'un tratto fioriscono rose su rose, bagliori inebrianti che sbocciano in fretta e subito tornano esangui. Ed ecco Perfidia Purpurea, un merletto di fuoco, poi tocca a Nefasta Spinosa, cascata di aculei lucenti, e quindi Sanguigna Perversa, corolla di braci roventi. E tutte le rose dei giorni passati e tutte le rose dei giorni a venire si schiudono e muoiono l'una nell'altra in cerchi di luci brillanti che hanno al centro una sfera che sfuma in un altro colore. E Dhara è confusa, smarrita. Si può avere rispetto di un fiore vedendolo appeso nell'aria? Si può ammettere, nostro malgrado, la malvagia bellezza racchiusa in un fiore di luce o in un petalo ardente?

Dhara confronta il bocciolo che ha in mano alle rose che muoiono in scie luminose, non fa in tempo a finire il pensiero, perché un botto più forte annuncia la fine dei fuochi. La folla rimane lo stesso, i nasi sospesi nell’aria e gli occhi attaccati a quel cielo fiorito. Ma il sogno è sfumato, lontano, già solo un ricordo di luci e colori. E Dhara si sente tradita, a quello splendore aveva già fatto la bocca. Straziante tornare per terra, coi gomiti aperti in cerca di spazio.

 La folla si apre, la gente riparte e anche Dhara riprende la strada, più amara e sperduta di prima, quell'unica rosa nel pugno. Le spalle ricurve, la testa abbassata a incontrare il selciato, così smorto e angusto rispetto a quel cielo di luci. Ma mentre cammina qualcuno le tira il vestito: è un bimbo che chiede quell'ultimo fiore rimasto, le allunga dei soldi, fa cenno ad un uomo che attende di fronte a un portone. Il bimbo attraversa di corsa la strada, consegna la rosa a quel tipo e Dhara si arresta, sorpresa. Sa bene lo strano potere di un fiore che passa di mano, da un bimbo a un anziano, da un uomo ad un uomo, non c'è legge che tenga nel regalo di un fiore, ma stavolta qualcosa è cambiato. Quell'uomo la guarda e sorride, ha un riflesso brillante negli occhi. E infatti attraversa la strada, e le tende la rosa, dicendo parole che suonano nuove. ‘Ti osservo da giorni. E tu, più di tutti, hai diritto ad un fiore in regalo. Un dono per te, una rosa per la festa di maggio’.

Dhara riprende il suo fiore, uno scambio bizzarro mediato da un fato irrequieto. Annusa il bocciolo di un rosso perfetto, lo sfiora con dita leggere. Non sa bene che fare. L'aveva chiamato Malvagia Superbia, quel fiore che adesso pretende attenzioni diverse. Purezza Scarlatta, le verrebbe da dire, ma ancora non può pronunciarlo, quel nome.

Le serve del tempo. Le serve capire se è sangue rappreso o succo di uve pregiate a rendere ardenti le rose.


Id: 3101 Data: 08/02/2016 13:50:12