chiudi | stampa

Raccolta di testi in prosa di Donato Montesano
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Occhi Chiusi

Era sulla via del tramonto, Michele Occhi chiusi. Camminava col suo berretto bucato e la scarna giacchetta sulle spalle. Erano ore che camminava, ma finalmente era giunto ai piedi del suo paese. Lo vide dal basso, era felice, era stanchissimo. Decise di riposare qualche istante con le spalle al tronco di una quercia, ma si smarrì presto in un sogno... 

Figlio mio, non ti preoccupare, appena tornerai dalla guerra avremo i terreni che ci hanno promesso e nel frattempo provvederò io a far fruttare il piccolo podere che ci è rimasto. Poi la battaglia, i fucili, gli elmetti, la liberazione, il fucile buttato via, l'elmetto gettato lontano. Il ritorno in treno.

Si risvegliò di scatto, si guardò intorno e si rese conto che era buio. Il cielo pareva cosparso di perle, perdute da chissà quale dèa. Tra gli alberi ombre, luccichii, tintinnii. Si rialzò in fretta e non notò nulla, se non il canto della civetta. Si rimise in cammino, e con le gambe in frantumi giunse fino alla cappella di Sant’Antuono. Non ebbe l’idea di farsi il segno della croce, non ebbe la forza di notare il plenilunio e pensare al lupo mannaro. Arrivò davanti casa e gli si mozzò il fiato. La porta era la stessa che lo aveva visto bambino, la stessa davanti cui si sedeva la madre a rammendare, la stessa da cui spiava passare Mariarosa, la stessa che apriva insieme al padre al ritorno dal podere. Bussò a quella porta con le scarse energie che gli erano rimaste. Non ebbe risposta. Dopo qualche istante considerò che magari il padre fosse rimasto a dormire al podere, come spesso accadeva nei giorni di lavoro intenso. Lo immaginò assopito nel piccolo pagliaio e cadde anch'egli in un sonno profondo.

Giocava a uno monta la luna a piedi scalzi con gli altri ragazzini,  correva dietro a Mariarosa...

– Michè, Michè… svegliati! - Si trovò davanti una donna appena matura, era proprio Mariarosa. Più bella di quanto ricordasse, più bella di quanto potesse sognare, più bella di quanto gli bastasse. Forse stava ancora sognando. Poi Mariarosa gli scrollò le spalle con delicatezza e Michele Occhi chiusi si rianimò. Balzò in piedi e sbatacchiò frettolosamente i vestiti. In quell’istante arrivò anche la madre di Mariarosa. Lo guardavano con contentezza e compassione allo stesso tempo. Lo pregarono di entrare in casa loro. Gli rivelarono che il padre era morto qualche tempo prima e che spegnendosi non faceva che nominare Michele.

Non proferì parola, non volle sapere di più. Si diresse verso casa sua e buttò giù la porta, pentendosi subito del gesto perché colpire quella porta era come colpire i suoi ricordi. In casa non era rimasto che il tavolo, la foto della povera madre e la sua foto, scattata prima di partire, da quel fotografo che girava di paese in paese per immortalare i soldati in partenza.

Accanto al materasso la zappa. La impugnò e si diresse verso il piccolo podere. Erano le uniche cose che aveva. Arrivò sotto il castagno, anziano come Dio. Iniziò a lavorare quel terreno incolto. Suo padre era nel pagliaio, nella zappa, nei solchi. Un tempo avevano un mulo, galline e pecore, anch’esse sembravano pascolare ancora. Anche i ciottoli sembravano raccontare di loro.

Dalla strada stava passando Don Vito, si guardarono con ribrezzo. Don Vito era il più ricco del paese, aveva terreni e animali, anche il mulo, le pecore e le galline che comprò a poco prezzo dal padre di Michele, quando la miseria ebbe il sopravvento.  

Il pagliaio sembrava la grotta di Nazareth. Ci entrò e sentì all'interno quel dolce odore di casa, di calore. Sprofondò in un lungo sonno, come suo padre nei giorni di lavoro intenso, di buio ragazzino. Scese dalle ginocchia di sua madre e balzò alla finestra, a spiare Mariarosa che s’intrecciava i lunghi capelli sull’uscio di fronte. Gli mancò il fiato. Forse era troppo bella. Si svegliò di scatto e ancora il fiato gli mancava. Lo stomaco gli bloccava il respiro…

- Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

Vide saltellare sulla sua pancia un omuncolo piccolo e buffo.

- Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

Sogghignava con fare dispettoso e canticchiava:

- Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

Appena Michelino si rese conto di quello che accadeva, istintivamente cercò di scaraventare via quell’essere, che sobbalzò e scomparve all’improvviso.

Aveva sentito infinite storie davanti al focolare di casa ed anche in quel pagliaio. Prima di coricarsi restava a bocca aperta ad ascoltare il padre. Suo padre aveva visto di tutto. Il munacidd* aveva intrecciato più volte la criniera del mulo che avevano in tempi migliori. Era impossibile sciogliere quei nodi, si diceva addirittura che l’animale morisse se solo si provasse a scioglierli.

Ecco cos’era! Un munacidd. Si raccontava che quest’essere dispettoso tormentava le sue vittime, ma se gli si riusciva a portar via il rosso cappello, avrebbe fatto tutto quello che gli si chiedeva e consegnato tesori nascosti.

Michele pensò che fosse stato uno stupido a non afferrargli il cappello dalla testa, forse non si sarebbe mai più ripresentata un’occasione del genere.

Fu sognando quei tesori che Michele si riaddormentò.

Non appena fu vinto dal sonno, si sentì fischiettare e infine strillare nelle orecchie:

- Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

Faceva linguacce e saltellava lestamente.

- Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

Gli tirò il naso e saltellò via tra gli alberi.

- Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

- Dannazione! - imprecò Occhi chiusi. Il munacidd gli era sfuggito di nuovo.  Si soleva dire che il munacidd o arricchisce o manda in miseria.

Preso dalla stanchezza, si riaddormentò. Il bosco buio, gli alberi, un tronco intagliato, una pietra quadrangolare, monete. Dischiuse gli occhi e vide sbucare il munacidd. Fece finta di niente. Il piccolo essere si avvicinò ai suoi piedi e iniziò a fargli il solletico.

Michele non l’aveva mai sofferto, il solletico. Fece finta di nulla e il folletto, non appagato, balzò sulla pancia di Michele, che con un gesto fulmineo lo bloccò tra le mani. Con una mano gli strappò via il cappello e fu come se gli avesse strappato via tutta la vitalità, come se gli avesse strappato via il midollo.

Il munacidd scoppiò in lacrime e singhiozzando chiedeva a Michele di restituirgli il cappello, come se da quell’oggetto dipendesse la sua vita.

Michele aveva un buon cuore, ma era anche in miseria. Il lamento dell’omuncolo lo straziava, tanto da essere tentato di restituirgli il cappello. Poi si ricordò che il padre diceva che in quel mondo il munacidd sparisce per sempre.

Non aveva grandi ambizioni, Michele Occhi chiusi. La gente come lui era già tanto se riusciva a fare meglio dei genitori. Il suo sogno era sempre stato Mariarosa. In secondo luogo un pezzetto di terra più grande, come quello che gli avevano promesso prima di partire per la guerra, ma che nessuno gli aveva mai dato. Se fosse diventato ricco, magari avrebbe potuto ricomprare gli animali venduti a quel bifolco di Don Vito.

Aveva ancora il munacidd tra le mani, decise di incatenarlo a un palo nel pagliaio. Lo gnomo cercava di liberarsi, ma con sforzi inutili. Continuava a piangere e a pregare Michele di restituirgli il cappello.

- Ridammi il cappello, - stramazzava - farò tutto quello che vuoi!

Michele fece finta di non sentire e si sdraiò nel pagliaio, pensando a cosa poteva chiedergli o cosa poteva fare con i suoi tesori. Si addormentò nonostante il fastidioso piagnucolare del munacidd. Suo padre stava vendendo le pecore a Don Vito, anche quel mulo, quel mulo che tanto amavano. Suo padre diceva che a quel mulo mancava solo la parola. Riaprì gli occhi e vide il munacidd seduto a versare lacrime.

- Come mai è così importante per te? - Chiese Michele. Il munacidd non rispose. Pensò che fosse un oggetto a cui era particolarmente affezionato, un po’ com’era per lui la zappa, che era l’unica cosa che gli rimaneva. Un po’ come quel mulo al quale teneva tanto.

- Ridammi il cappello, - piagnucolava.

Michelino gli disse che non poteva. Non fin quando non gli avesse consegnato i tesori.

- Cosa vuoi farci, con i tesori? - Ribatté il munacidd.

- Voglio ricomprarmi tutto quello che mio padre ha venduto a Don Vito e sposare Mariarosa.

- Va bene, - rispose il munacidd, - va bene. Ora liberami e dammi il cappello.

Michele non si fidava del folletto e volle testare la sua buona fede.

- Perché non diventiamo amici? Io ti libero e ti ridò il cappello. Appena mi consegni i tuoi tesori, compriamo gli animali e un pezzo di terra più grande. Tu potresti dar da mangiare alle galline, che ne dici?

- Io sono un munacidd, - protestò.

- Non ti andrebbe di finirla con gli scherzi stupidi e vivere da persona?

Ci fu un lungo silenzio. Il munacidd piangeva.

Poi, aprendosi in un sorriso esclamò:

- Va bene! Si! Io darò da mangiare alle galline e vivrò da persona! - Anche Michele sorrise. - Ora però liberami e ridammi il cappello, così andremo nel bosco, fino all’albero intagliato, dove nascondo le monete. Tu potrai comprare il terreno, le pecore, il mulo e le galline a cui darò da mangiare. E potrai sposare Mariarosa.

- Mariarosa! - Esclamò Michele. Si confuse tra i pensieri più belli che la sua mente potesse produrre. – Il mulo! E le galline! Tu darai da mangiare a loro.

- Certo! - Esclamò con convinzione il munacidd. – Io darò da mangiare alle galline. Ora liberami e ridammi il cappello. - Michele lo slegò. – Ti prego, dammi anche il cappello. - Michele era indeciso, non sapeva cosa fare. Suo padre diceva sempre che non bisognava consegnare il cappello ai munacidd finché loro non consegnavano i tesori.

- Dammi il cappello, diventeremo ricchi!  Io vivrò da persona e darò da mangiare alle galline.

Michele aveva gli occhi sognanti e in mente lo scenario della sua nuova vita, così decise di ridargli il cappello.

Non appena se lo sistemò in testa, il munacidd schizzò via gridando:

- Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

Quando era già in lontananza, Michele gli gridò contro sconfortato:

- Perché mi hai fregato così? Dovevamo essere ricchi, comprare i terreni, gli animali, io avrei sposato Mariarosa e tu avresti dato da magiare alle galline, vivendo da persona. Perché mi hai fregato?

- Perché sono un munacidd, - rispose,- è la mia natura. - Uno, due e tre, io frego te! Uno, due e tre, ucciderò il re!

 

Michele Occhi chiusi riprese la zappa, desolato. Proseguì dalla strada che dava sulla proprietà di Don Vito. Udì le galline, vide le pecore e quel mulo che per lui valeva una vita, lo guardò malinconicamente e continuò a camminare fino a casa sua. Entrò dentro, baciò quelle foto e spiò Mariarosa che s’intrecciava i lunghi capelli. Uscì fuori e fece finta di non vederla. Avanzò verso la cappella di Sant’Antuono e voltandosi incrociò i suoi occhi luccicanti, fissi su di lui, come quando lui stesso la spiava dalla finestra.

- Michè, Michè… svegliati!

 

I sogni non svaniscono, finché le persone non li abbandonano.

 

 

*Il “munacidd”, in dialetto tricaricese (MT) è il classico gnomo, che si diceva abitasse nei boschi italiani.


Id: 2629 Data: 16/02/2015 02:37:48