I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Mentre si recava al lavoro, Uomo sentiva dentro quella strana sensazione di vuoto che (già lo sapeva oramai!) lo avrebbe accompagnato per tutta la giornata. Le macchine frenetiche per strada, il volume dell’autoradio sempre più alto, non aiutarono a distrarlo dal suo disagio. Uomo proseguiva la guida ingoiando un malessere che, a un certo punto, gli parve tanto acido da corrompergli la capacità di parola. Il dolore che ne derivò fu così forte che, di colpo, fermò l’autovettura. Distolse lo sguardo dalla strada per piegare la testa all’interno di se stesso. Respirò profondamente e portò le mani alla gola con aggressione, quasi a cercare di togliersi di dosso quel malessere. Quando fu convinto di respirare normalmente rialzò la testa e si ricordò di essere in macchina. Guardò pauroso dietro di sé, convinto di vedere mucchi di metalli e di persone rosse e nere. Tutto era tranquillo. Guardò di nuovo in avanti e si rese conto, solo in quel momento, di essersi fermato a un incrocio gestito da un semaforo che puntava ancora una rassicurante luce rossa. Attese il verde concentrato sul suo respiro e, lentamente, ripartì. Parcheggiò più vicino possibile all’entrata della sede del suo ufficio e, senza attendere di fermare il motore, avviò una chiamata con il cellulare non vedendo nemmeno a chi. L’importante era distrarsi!
Nonostante le chiacchiere con i colleghi, gli incontri con i clienti, le telefonate con i responsabili, gli sguardi ostinatamente cercati di ogni persona che gli passasse accanto, nulla servì a non farlo sentire solo. Il suo amico lo aveva notato e a pranzo aveva cercato di farlo parlare:
«Donna è andata via?»
:«Sì, da una settimana»
:«E tu?»
:«Io cosa?»
:«Come stai, dunque?».
Alzò le spalle. Non aveva voluto ancora riflettere su come si sentisse senza Donna. Cercava di persuadersi che avrebbe dovuto soltanto abituarsi e che, se l’assuefazione alla solitudine non fosse avvenuta, sarebbe bastato prendere un cane. Uomo aveva deciso di lasciarla convinto di non potere amare mai Donna. Era convinto di essere più forte senza di lei, di poter produrre, vivere, esistere senza confrontarsi con i suoi continui consigli, osservazioni, raccomandazioni. Tutto sbagliato! Uomo poteva essere senza Donna, perché sarebbe stato davvero lui, e non un estraneo fantoccio riflettuto sul suo corpo.
«E’ soltanto una questione di abitudine, al limite mi prenderò un cane».
Ingoiò l’acidità della risposta che non lo aveva soddisfatto, come aveva fatto quella mattina in macchina, e come faceva tutte le mattine da una settimana, del resto.
:«Io non so come farai senza di lei! Senza l’amore di una donna!».
Uomo rialzò le spalle. I suoi amici non avrebbero potuto essere senza Donna, ma non erano uomini come lui. Erano fragili cristalli ignavi verso la vita e verso l’azione, sì, l’azione. Fare un atto perché si è ciò che si è, come il volere stare senza di lei.
Per tutto il giorno andò così, nel completo rifiuto delle motivazioni del suo disturbo. Operò piuttosto nel convincimento che malessere era prima, insieme a Donna. Ogni volta che gli balenava l’idea di aver commesso un errore, la reprimeva giù, sempre più giù, nell’istinto, nell’inconscio, nell’anima.
Eppure da una settimana, stava male!
Si sentiva perennemente pieno d’angoscia, tormentato da un affanno virtuale, luci buie che gli squarciavano lo spirito, divenuto il sottile velo del suo cuore.
Rientrato in casa, la sera, il piccolo appartamento vuoto gli procurò una sgradevole sensazione, un fastidio denso e soffocante che, dallo stomaco, attraversava tutto il corpo, concentrandosi attorno al cervello. Non la sentiva da una settimana! Pensava che avrebbe gradito non ricevere più le sue telefonate tre volte al giorno invece …, e invece! Si guardò attorno in cerca di un posto dove trovarsi e trovò tutti i posti di lei. La poltrona in cui Donna leggeva, la sua tazza di tè, il suo posto a tavola, il suo lato del letto. Non poté più fare a meno di porsi quella domanda che evitava da una settimana: “E dunque? Chi sono?”. Si ripeté la domanda un altro paio di volte mentre finse di cenare qualcosa. Forse non trovava la risposta che aveva creduto di ottenere una settimana prima. No, era inutile la domanda di una risposta che già conosceva. Era un uomo solo, ecco che cos’era. Solo penosamente. Non aveva mai avuto fino a quel momento una percezione così negativa della solitudine. Lui, tanto amante di se stesso! Si vedeva strisciare sul pavimento a rilento, con fatica, in attesa di un sostegno, di una mano tenera e calda che lo legasse ad essa e lo risollevasse. Rimase miseramente immobile, come un vestito senza corpo raggomitolato in un angolo. Solo miseramente perché lei se n’era andata. Il suo stare male era solo colpa sua. Aveva accusato lei non vedendo le proprie responsabilità, non vedendosi inutile senza di lei, non riconoscendosi incompleto. Solo, però, non poté fare a meno di vedersi nudo. Inutile e incompleto senza di lei.
Si confidò che Donna gli mancava, e che gli mancava il suo modo di essere donna. Non gli sarebbe bastata l’abitudine, né un cane. La ricordò senza imporsi che sarebbe stato un ricordo negativo. La ricordò come sentiva, con naturalezza, come poteva, doveva, voleva. Ricordò i suoi capelli teneri, i suoi occhi intensi, la sua bocca buona, il suo corpo attraente. Ma perché aveva voluto convincersi che la sua esistenza non fosse perfetta assieme a lei? Perché quella stramba idea di credere che essere superiori agli altri significava dover dimostrare di star bene senza Donna? Si precipitò con bramosia sul telefonino e compose il suo numero. Sentì tre squilli, e poi, la voce di lei:
«Pronto?».
La sua voce gli risuonò nella testa e si estese in tutto il corpo, a sciogliergli d’un tratto, il vomito acido e irritante che gli aveva corroso dentro fino a quel momento. Gli sembrò di risvegliarsi da un sonno profondo, e la voce di lei gli procurò la serenità che si avverte dopo un buon riposo. Le chiese di poterle parlare, la supplicò di concedergli un minuto quella stessa sera, di incontrarsi al solito bar.
Donna accettò.
Il solito bar era proprio sotto casa di Uomo, ma lui vi si precipitò appena chiuse la telefonata, pur sapendo che l’avrebbe attesa almeno venti minuti. In quei minuti preparò parole d’amore, di promesse, di pentimento. Sapeva che si sarebbe trovato di fronte uno sguardo severo, ma non aveva paura. Lui, ridottosi ad una inconsistente lacrima di Superuomo sconfitto, aveva capito.