chiudi | stampa

Raccolta di testi in prosa di Rita Mura
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Il Tenente Silvestro

In un piccolo sobborgo di Istanbul, tra piccole case e tetti scoperchiati, era sorto da tempo un piccolo commissariato che trattava casi particolari ed estremi, dimenticati nella grande città metropolitana attorniata da lusso e spensieratezza.

 Gli abitanti del piccolo quartiere divenuto da tempo una grande distesa di vecchie lamiere, avevano cercato più volte di portare alla ribalta i problemi che flagellavano le povere genti oramai avvezze alla fatica e alla semplicità. Alcaln, il potente sovrano della parte opposta della città sognante, aveva voluto inaugurare un bizzarro commissariato, una beffa sarcastica posta quasi a dare un accontentino alle richieste pervenute. La sua risata sorniona si innalzava e faceva vibrare i vetri del suo castello di cristallo, viveva divertito dall’osservare la povertà e la credulità delle popolazioni riverse tra casupole e fango.

Il commissariato aveva al suo comando il Tenente Silvestro, un gatto dalle sembianze eleganti e longilinee, un manto variegato tra il nero e il bianco che luccicava nella sua eleganza e portamento. Aveva tre aiutanti fidati, gatti variegati dalle striature tigrate ma destrezza impeccabile.

Nessuno avrebbe mai scommesso sulle potenzialità di questa struttura nonostante i gatti era risaputo avessero delle abilità al di sopra del normale. Il tempo portò grandi cambiamenti nel piccolo sobborgo, il Tenente Silvestro aveva dato la caccia a diversi malviventi ed era riuscito ad arrestare per furto e spaccio di pesce alcune tra le più conosciute famiglie che detenevano proprietà e commerci. Cominciarono ad arrivare i primi sostegni alle famiglie e le case dei malviventi furono ben presto trasformate in scuole ed ospedali. Le famiglie iniziarono a vedere diversamente la qualità dei loro fedeli sorveglianti che non erano solo quelli racchiusi nel commissariato ma tutti i migliori felini della città arrivarono in aiuto per far risplendere l’Impero e la giustizia nella serenità di tutti.

Alcaln nella sua malvagità osservava da lontano e in preda ad una rabbia ossessiva decise in un intervento immediato. Doveva a tutti i costi eliminare il pericolo e riuniti i suoi malvagi aiutanti indisse una riunione:

“Sarò di poche parole. Bisogna eliminare la minaccia e darò ricchezza a tutti coloro che riusciranno a rapire il maggior numero di gatti e portarli alle mie prigioni. Ho in mente un piano e se tutto andrà bene ci sarà anche da guadagnare”

Fu così che iniziarono a scomparire i gatti e stranamente a sorgere commerci verso destinazioni straniere.

Il tenente Silvestro sospettoso iniziò le prime indagini. Diventava sempre più pericoloso addentrarsi e rimanere insospettabile perciò escogitò uno strattagemma. Arruolò degli investigatori che avevano al comando Bianca un bellissimo cane maremmano che aveva al suo seguito altrettanti seguaci. Nella loro destrezza riuscivano a fiutare il pericolo ma anche attaccare o inseguire in caso di necessità. Avevano una squadra attiva addestrata e pronta in ogni situazione di pericolo.

Gli uomini di Alcaln erano stati scaltri durante i rapimenti. Avevano agito durante il giorno e nelle ore più calde cogliendo alla sprovvista i felini indeboliti nelle ore di sonnolenza. Bianca decise di agire scaltra e seguire la trama dei rapimenti fino al covo per poi informare il Tenente Silvestro.

Al di sotto del grande palazzo di cristallo di Alcaln erano presenti dei sotterranei che tempo addietro erano stati rifuggi di guerra. Il malvagio proprietario aveva costruito enormi gabbie e prigioni e usava questi varchi per trasportare merci e animali al porto dove grandi carichi venivano nascosi ed imbarcati. Bianca scoperto l’arcano informò il commissariato che subito decise di intervenire e distruggere l’impero formatosi. Vennero arruolati battaglioni circostanti che iniziarono ad arrivare da ogni provincia.

Alcals seduto nella grande poltrona col suo sigaro fumante si precipitò alla finestra, sentiva da lontano un gran rumore:

“Meo, Meo, Meo, Meo” Le sirene della polizia oramai avevano circondato il grande palazzo di cristallo e il Tenente Silvestro era riuscito a liberare dalle gabbie flotte di gatti.

Il bene anche questa volta trovò la sua luce di vittoria e giustizia. I felini con la loro astuzia e benevolenza avevano riconosciuto le vie per sopraffare il male trovando fidati compagni a sostegno di giusti ideali.

La città riuscì a trovare un suo nuovo equilibrio e fu così che uomini e felini iniziarono a vivere in armonia e rispetto ma soprattutto protetti.

 Chissà se esiste ancora da qualche parte in quel sobborgo quel piccolo commissariato…

 

Fatti e nomi sono fulcro di pura fantasia.


Id: 5829 Data: 21/11/2024 09:37:11

*

L’essenza della tradizione

Mezzanotte racchiudeva nella sua intimità notturna un momento magico e silenzioso. Erano passati anni dall’arrivo in quei magici luoghi ed ancora lo sguardo rimaneva incantato da un’immagine inusuale e romantica. Il sole sembrava non voler abbandonare la notte e rivolto verso l’orizzonte, donava nel suo capolino, l’osservazione silenziosa del riposo, rispecchiava una luce di affetto e compagnia, una piccola lanterna nelle ore notturne legate alla rigenerazione fisica e mentale.

Un’atmosfera virante su colori tenui imprigionava l’incontrastato rumore costante dell’ondeggiare del mare. Spargeva le sue forze su quei faraglioni posti dinanzi allo sguardo soffermato in pensieri assorti. L’infrangersi schiumoso ricreava nel silenzio ascolto, un lamento sordo che poneva il suo grido verso quel paesaggio suggellato.

Ritornava alla mente la terra natia, i racconti dell’infanzia e della speranza racchiusa in quel sogno, nella guida propizia e via da seguire. Quest’ambiente racchiudeva molto di quelle credenze. La luce riaffiorava nel buio profondo, creando un legame forte tra natura e spirito. Ascoltare rimaneva la meditazione propizia ad una rinascita.

Era arrivato novembre e come ogni anno Antioca era pronta al suo rientro a casa. La famiglia di umili origini era pronta a porre ciò che generazioni avevano sempre insegnato al lavoro e alla vita. I campi pronti alla semina del grano attendevano solo il suo rientro. Questo mese era sempre atteso, le ceste con semi di grano e cotone posizionate ai piedi della cappella di Cristo e adornate di fiori colti nei giardini rigogliosi, mostravano i primi segni di rinascita e annuncio della nuova primavera.

Antioca amava essere presente in questo momento e ammirare quella speranza vissuta nel racchiuso chicco di grano virante al primo germoglio atteso. Il buio custode della conservazione attendeva la luce propizia che avrebbe preannunciato l’inizio di una nuova vita.

La Sardegna era considerata terra fragile ed arida ma aveva nella sua perseveranza e forza, posto delle basi solide per la piantagione del grano. L’unione e la simbiosi con la terra e il divino aveva sempre seguito la stagionalità delle colture e degli allevamenti con le loro transumanze, un patto di rispetto e reciprocità ricreata in quella durezza e arcaicità che delineava caratteri suggellati.

L’arrivo coglieva i profumi tipici di quel periodo e dei campi adornati di quel manto viola in fiore. Lo zafferano divenuto col tempo ricchezza regnava spontaneo e la sua fragranza e colore erano luce per le colline adorne. Ai lati delle frazioni di terra, coglieva lo sguardo il mirto che raggiante dei suoi chicchi maturi e neri, infondeva un profumo nel suo sempreverde presente. Era casa e tutto celava familiarità e colore.  

La famiglia nell’uscio poneva un sorriso all’avanzare di Antioca, le loro vesti sapevano già di festa, tutti erano pronti per la cerimonia presso la chiesetta poco distante. Il costume era tradizione e così aiutata si diede inizio a quel frangente caro e solenne. Si avvertiva qualcosa di diverso nell’aria, tutti erano emozionati e così felici. Le era mancata quell’unione, quella semplicità e soprattutto quell’essere casa e in tradizione.

Arrivati alla piazzetta della chiesa un complessino suonava i canti solenni e un’armonica cadenzava un suono tra l’antico e il moderno. La modernità aveva portato un po’ di freschezza musicale e si avvertiva un’uniformità tra il passato e il presente, un’unione generazionale. Antioca era attesa nella sua bellezza, il gruppo di ballo di cui era fiera, era una parte importante per incorniciare la giornata. La cerimonia del grano aveva inizio e così in quel ballo tondo, veniva mostrata la circolarità di un mondo che chiude e apre nel suo buio la speranza e la luce, nel circolare moto orario e antiorario cadenzante il tempo nel salire e scendere ritmato ed ipnotico tra spiritualità e credenza nella cornice naturale di un respiro incontaminato.

 


Id: 5820 Data: 10/11/2024 14:11:37

*

Quel fazzoletto bianco

Era rimasto lì, impigliato nel ramo di quell’ultimo albero raffermo nell’altura. Le foglie viranti nel loro colore autunnale ponevano una fine al ciclo di vita, ruotando nella loro sottile delicatezza, un volo portante il loro adagio, verso una terra natia. Quel fazzoletto bianco avvolto in quel ramo spoglio, mutava le sue movenze, plasmandosi nel soffio cadenzato e lieve, di un venticello di inizio novembre.

Paolo aveva lasciato quell’uscio nelle prime ore dell’alba, il buio copriva l’immagine di quel viale silenzioso e delle gocce di brina, colte nel velo bagnato del percorso da una lucentezza riflessa dall’ancor presente spicchio di luna. Le impronte incalzanti e immortalate di quell’avanzare, calpestavano il percorso inatteso, imprimendo nella loro pesantezza, solidi calchi di calore mordente su passaggi diretti ad un ritrovarsi soli.

Aveva lasciato tutto alle spalle, il passato non aveva più importanza e quel passo deciso poneva una fine da dimenticare su quel trascorso che se pur solare, aveva portato lacrime inattese e sferzanti. Così in quel buio impietoso, calava quel velo e dirigeva i suoi passi verso un ritorno in quella terra natia che volgeva in un abbraccio le sue ultime forze calate.

Paolo non aveva mai dimenticato il suo paese adottivo ma soprattutto le sue passate conoscenze. Tempo adietro aveva lasciato con la stessa valigia colma di dolori quella mano fraterna e si era diretto verso una vita costruita e promessa dalla sua famiglia. Era da tempo che era stato deciso tutto, il matrimonio oramai era alle porte e lui doveva seguire quel percorso per rispetto familiare, cultura tramandata da generazioni ma soprattutto per lasciare ai genitori un ricordo di rispetto negli ultimi momenti di quella vita frastornata da quella malattia oramai incalzante.

Fu così che in quegli anni nel pieno degli arbori della gioventù, tornato in quelle alture, ricoprì il volere stabilito e nonostante la sua contraria volontà d’animo, ricreò quella tranquilla riunione familiare ponendo vita ad un pensato nuovo inizio. Sembrava procedere nella felicità della comunità familiare ma non del destino che aveva in serbo voleri più alti e combattuti. Quella famiglia unita era in realtà una forzatura degli eventi che ponevano un freno a quella felicità che tutti avevano pensato. Una moglie così giovane di una bellezza anche troppo ostentata, prosperosa per i gusti di Paolo, aveva mancanze per lui essenziali ma che nessuno aveva mai ascoltato. Paolo nella sua semplicità amava la tranquillità, la cultura e scambi di opinione, passava le sue giornate nella semplicità delle faccende domestiche e del giardinaggio. Le sue emozioni trovavano spensieratezza e allegria nelle passeggiate in riva al mare o nell’osservazione di tramonti e cieli stellati.

La mancanza di conoscenza della moglie aveva sconvolto abitudini e orari. Si rese conto in breve tempo che le differenze caratteriali erano enormi e che alla bellezza sorprendente della moglie, non bastavano la sua sola presenza e le sue tranquille abitudini. Un biglietto poggiato in quella credenza all’entrata di casa non poteva alleviare i suoi pensieri, non poteva giustificare nessuna decisione. Continuava a ripetersi come fosse possibile lasciare tutto ad un biglietto, allontanarsi senza parlare, voltare le spalle senza il rispetto di un noi.

Il silenzio calpestato nel rumore di un’assenza, poneva una chiusura che scorreva in quel viale e nel suo procedere solitario con un passato colto in quel fazzoletto bianco oramai alle spalle di quell’albero abbandonato oramai spoglio.


Id: 5815 Data: 03/11/2024 14:19:14

*

La ricamatrice di arcobaleni

Esistono luoghi impervi e lontani da raggiungere. Così, a ridosso di una scogliera di inimmaginabile bellezza, viveva una giovane ragazza. Un verde immenso rivestiva le rocce, incastonate in un manto paesaggistico inviolato, un prato sovrastava un sentiero verso diruppi a ridosso di un mare burrascoso e urlante che bagnava nel suo infuriare, quella pietra, ricolma di una forza che sferzava il suo avanzare. Nulla poneva fine a quel moto continuo di pace, un silenzio predominato da una natura pura e di conoscenza. In quell’alta scogliera, solo la natura sembrava aver colto la sua presenza, in una piccola insenatura posta tra mare, terra e cielo, proprio al centro, un cunicolo piccolo e nascosto diveniva un impercettibile presenza per l’occhio umano, coperto da un enorme albero di fico, cresciuto nella roccia più arida e scoscesa.  Proprio lì, nascosta e dimenticata, viveva Azzurra.

Anni adietro, in una cittadina fiorente e vitale, tutto sembrava seguire un proprio percorso di amore e serenità. Il popolo non conosceva regnanti e non conosceva divari sociali, ognuno aiutava l’altro e in questa uguaglianza né gelosie, né preoccupazioni sembravano turbare l’equilibrio. Un giorno, un vagito risvegliò l’attenzione in alcune case circostanti.

Adagiata su una grande cesta colorata, una piccola bambina piangeva. La strada era deserta e buia ma intorno a questa cesta luccicavano dei fili di svariati colori. Le genti, colte da questa visione, uscirono dalle loro case, era sbalorditiva quella visione. La bambina aveva dei lineamenti chiari, sul biondo e anche gli occhi sembravano di un azzurro intenso. Fasciata in una coperta di svariati colori, teneva nella sua piccola manina, rivolta verso l’alto, un piccolo fuso di legno e nella cesta tantissimi fili di colori inimmaginabili.  Fu così che le diedero il nome di Azzurra per l’infinito amore e bellezza di cui era adorna.

Azzurra fu da subito amata da tutti per la sua smisurata bellezza e colorata essenza. Rallegrava e gioiva di una luce quasi magnetica che attirava e coinvolgeva. La crescita non aveva cambiato il suo vivere di colore, quella cesta e quei fili sembravano aver creato un’essenza unica e vera che faceva parte di lei. Quel piccolo fuso non era solo un gioco ma sembrava come una piccola bacchetta magica. Ogni singolo filo che lei adagiava diveniva forma ed essenza ma soprattutto trasformazione di pensiero in realtà. Aveva il potere di realizzare da un singolo filo i desideri delle persone, regalando sorrisi. Ogni fantasia ricreata, col tempo, portò le genti a volere sempre di più. Così in questo semplice paesino, le persone cominciarono a domandare, a confrontarsi e ad invidiarsi. Si crearono gelosie, conflitti e Azzurra che di sorrisi era permeata, cominciò a desiderare la pace e il silenzio.

 Colta da una tristezza improvvisa e da una grande solitudine, capì che stava donando male alle genti, così decise di incamminarsi al di fuori dal paese per riflettere. Nel suo vagare, non si accorse di essere seguita, delle ombre sembravano nascondersi lungo gli alberi e ascoltare i grandi sospiri. Fino a quel momento Azzurra non aveva mai pensato alla sua dote ma soprattutto non si era mai chiesta del suo passato. I suoi pensieri, vennero improvvisamente interrotti, si sentì afferrare da dietro e si ritrovò in un attimo incappucciata e legata.

 Spaventata, non ebbe il tempo di urlare e dimenarsi, non riuscì a liberarsi da quella presa così forte e comprendere cosa stesse succedendo. Sapeva solo che qualcuno l’aveva afferrata con forza e caricata in un cavallo che veloce al galoppo, correva lontano in un dove sconosciuto. Il cuore oramai batteva talmente forte che contrastava col rumore di quegli zoccoli battenti in un terreno sfuggente.  Un profumo di tabacco al vento e sandalo, poneva un segno di diverso e straniero. La corsa sembrava interminabile e con essa la stanchezza stordiva corpo e mente. Dei suoni impercettibili sembravano avanzare e divenire sempre più presenti. L’aria sapeva di salsedine.

 Quell’uomo silenzioso e misterioso pose fine alla corsa e sceso da cavallo si rivolse con fare deciso: “Azzurra non avere paura, sono ritornato per compiere ciò che era deciso”. Prese la ragazza per la vita cingendola e le tolse il cappuccio. Quella luce improvvisa sembrava quasi un bagliore accecante e ci volle un po’ di tempo per poter mettere a fuoco quell’immagine di fronte a lei. “Chi sei? Cosa vuoi da me?” Chiese la ragazza scrutando quell’uomo che con la barba folta ma chiara aveva un senso di dolce presenza quasi familiare.

“Azzurra tu non puoi ricordare ma io sono tuo padre e tuo creatore, sono qui per indicarti il sentiero. Noi siamo presenze creative e abbiamo delle responsabilità e tu devi ascoltare bene.” La ragazza era incantata da quel parlare e assorta in pensieri che vagavano.

“Girati e ammira alle tue spalle.” Continuò l’uomo.

Una distesa marina si allungo alla sua vista e un vento sospirante di brezza, sfioro arrossendo il pallido viso della ragazza. “Prendi il fuso e puntalo tra cielo e mare”.

 La ragazza senza pensarci seguì le indicazioni, rimanendo estasiata. Un grande arco colorato con svariate sfumature di colori, riempì quel vuoto e donò quell’ unione di arcobaleni interminabili. “Vedi, tu hai questa responsabilità. Dovrai creare dal buio luce, arcobaleni di colori e io lascerò a te il mio compito che dovrai poi tramutare e donare ad altri, la mia luce, la mia conoscenza. Ricorda la luce dovrà essere pura e per esserlo mai cercherà potere e malvagità ma vivrà nella semplicità e curiosità.”

 Fu così che Azzurra posta tra cielo, terra e mare, pose e rispose ad ogni arcobaleno desiderato e controllò la Luce nella pace eterna.

 

 


Id: 5813 Data: 27/10/2024 13:59:23

*

Il ponte per una rinascita

Una luna suggellata nel manto stellare sembrava quasi ascoltare quel vociare allegro tra Marcos e Sue. Timida, nel suo luminoso ed imperfetto manto, con la sua sfera ancora non completamente creata, rifletteva un lieve chiarore nello specchio marino dormiente. Le onde trascinate a riva con il loro spumeggiante moto, ridestavano il silenzio notturno di una natura prossima al suo riposo. La bellezza di quel quadro naturale era la quotidianità in quei luoghi e i bambini nelle ore successive alla cena, erano soliti salutarsi in spiaggia, scherzando e correndo nella spensieratezza della loro età.

Marcos e Sue si conoscevano dalla nascita, le loro famiglie nonostante tradizioni e culture diverse, si erano ritrovate a Songkhla per motivi lavorativi. Immigrati in quell’isola, avevano trovato un conforto reciproco nell’amicizia, un pensiero unico e constante le univa nella lontananza dalle famiglie di origine. Giovani e pronti ad una nuova vita, il destino aveva voluto che le madri di entrambe le famiglie aspettassero un figlio nello stesso periodo. Fu così che consolidando la conoscenza e supportandosi giorno dopo giorno, la condivisione di felicità e avvenimenti, furono vissuti assieme portando i due bambini a vivere in costante vicinanza.

Le case a ridosso del mare ponevano libertà e sicurezza nello svago dei due bambini. Una statua prossima ad un manto erboso creato al termine della sabbiosa spiaggia, sembrava quasi controllare e proteggere quel correre spensierato. I bambini si fermavano ad osservarla, incuteva curiosità e gioco. Tutti conoscevano la leggenda del gatto e del topo e visto il successo turistico che aveva riportato, si era ricreata una rappresentazione proprio a ridosso delle due isole visibilmente vicine che riportavano i nomi di questi famigerati animali.

Marcos e Sue erano avidi di ascolto e ogni volta che gli anziani del posto raccontavano la leggenda, si ponevano al loro cospetto e chini in ascolto fantasticavano sul ritrovare un giorno tali situazioni da rivivere in loro presenza. Nonostante fossero cresciuti sul mare, avevano sempre temuto di allontanarsi durante i giochi in riva e in acqua e questo a seguito degli avvertimenti posti dai popoli circostanti. Esisteva sempre un limite da non oltrepassare e la leggenda in parte nascondeva insegnamenti ed avvertimenti. Rivolta a tutti in maniera fantasiosa, poneva attenzione sul pericolo del mare e delle correnti. Così i due bambini che conoscevano la storia, a volte scherzavano su questi animali dormienti che si osservavano eternamente trasformati in queste due isole. Avrebbero voluto destare l’incantesimo, “così lo chiamavano”  e si incontravano giorno dopo giorno sperando di ritrovare nell’ascolto dei racconti, il modo di aiutare il risveglio dei loro due fantasiosi amici.

Marcos proveniva da una famiglia messicana e fu lì, che un giorno di ottobre, arrivarono i nonni in visita. Durante una cena in una normale giornata in famiglia, i nonni cercarono di ravvivare i due bambini, assonnati e annoiati da una giornata in casa. Vista la loro passione per gli animali domestici, decisero di raccontare una tradizione presente nel loro paese in alcuni giorni a ridosso della fine di ottobre. Proprio in quei giorni era possibile creare un ponte di incontro tra animali domestici ed umani ponendo degli altarini e fotografie che potessero indirizzare il percorso di ritorno. Fu così che i due bambini sorpresi si guardarono e capirono che avevano finalmente trovato il modo di far rivivere i loro amici e trovare il modo per suggellare quell’incantesimo. Dovevano farli ritornare e farsi raccontare esattamente il modo per scongiurare quell’eternità di infermità e prigione terrena.

Marcos e Sue decisero di creare un altarino a ridosso della statua che già rappresentava l’immagine del gatto e del topo e attesero l’istante indicato dai nonni. Non erano soliti alzare la testa nell’osservazione del cielo o della luna ma quel giorno sapevano che qualcosa doveva accadere e provenire dall’alto. Rimasero col il naso all’insù talmente tanto che alla fine stremati si addormentarono. La mattina si risvegliarono e niente era mutato, la statua era ancora lì e così anche le due isole. Sconfortati e tristi si alzarono e con la testa china iniziarono a tirare grossi calci a quella sabbia inconsapevoli di non essere riusciti a salvare i due amici.

Arrivati a casa si fermarono attoniti, due cuccioli correvano verso di loro allegri e spensierati. Non erano il gatto con il topo ma due piccoli labrador color arancio che stravolsero e mutarono il loro mondo per tutta l’adolescenza, pronti ad una visione adulta e reale. Solo nella crescita capirono che a volte nonostante si possa avere una sfera magica o la possibilità di magia, le nostre forze possono mancare e tutto può mutare. Ci sono circostanze che possono portarci ad affondare su acque a noi poco conosciute, nonostante sconfitte, delusioni e tristezze, succede sempre un qualcosa che porterà sempre un sorriso, diverso da quello che avevamo sempre immaginato ma comunque sempre lui come passato e presente tra ciò che è stato e ciò che ci verrà offerto.

 


Id: 5808 Data: 20/10/2024 13:41:51

*

Un passo per il domani

Un crepitio diffondeva nell’aria una percezione di tempo oramai fermo e prossimo al termine. La fiammella mostrava coi suoi colori accesi, una combustione oramai veloce di legni adagiati nella sabbia. Le movenze accompagnate da una lieve brezza, sembravano invitare in un’antica danza ipnotica che col bagliore di un sole calante, poneva il suo riposo sull’infinito marino che attendeva al suo orizzonte. Solo i colori di quel tramonto, pennellati di armonia, riuscivano a donare un’atmosfera di riflessione che poneva le basi all’incontro necessario e voluto dalle genti delle isole circostanti.

Era arrivato il momento predetto e seduti in circolo nella sabbia intorno a quel falò, erano radunati le più importanti rappresentanze dell’Oceania. Erano anni che veniva posto il problema climatico ma ancora molte decisioni attendevano e dovevano essere intraprese. Gli antichi, avevano lottato per tempo contro eventi tragici e avevano serbato segreti che dovevano essere risvegliati solo al cospetto di un evento che sarebbe stato monito di risveglio.

Era risaputo che l’esistenza dell’umanità era legata alle acque distribuite in ogni dove. Esse erano fonte di sostentamento per genti e natura, acque dolci di una limpidezza infinita che scorrevano e adagiavano le loro acque regalando vita e acque salmastre e marine che ponevano distanze divisorie e altrettanto valore e nutrimento. Tutti questi elementi acquatici erano stati studiati nei tempi, da popoli e religioni poiché venivano ritenuti essenziali per la sopravvivenza se correttamente rispettati. La natura stessa aveva pensato a creare delle grandi riserve di ghiaccio su monti e poli essenziali per la vita.

L’Oceania nel suo splendore cristallino, aveva sempre rispettato le oasi di bellezza ma era a conoscenza che uno squilibrio avrebbe portato via quella limpidezza. sommergendo e ponendo fine a tutto.

Il raduno era pervenuto a seguito dell’evento creatosi a ridosso della grande isola posta vicino al circolo Marshall, un complesso di isole difeso e rispettato, regalato dalla natura e sempre stato sede di venerazione divina e protezione delle genti. Qui regnava la pace e la natura aveva trovato nella folta vegetazione, una conservazione del tempo nei tempi, preservando ogni genere animale, umano e vegetativo, esistente da secoli e secoli. Niente poteva essere modificato e tutto doveva essere conservato. Qui sarebbe arrivato secondo le credenze il monito che avrebbe portato ad un intervento.

Fu così che nel risveglio di un’alba cupa e ricoperta da un manto nebbioso, le acque sembravano presentare presenze al di fuori del loro normale porsi. Piccole onde si infrangevano nelle coste e grandi flotte di delfini sembravano porre nel loro veloce movimento circolare, cerchi sempre più fitti che impazziti, sembravano quasi creare barriere naturali. Non era la prima volta che erano presenti i delfini e le genti erano sempre state fiere di tale attrazione. C’era qualcosa di strano in quella mattina, la quantità di delfini era spaventosa e quello che risaltava alla vista di quella flotta, era la presenza di diverse tipologie mai avvistate e presenti in quelle zone. Sembrava quasi che ci fosse una sorta di raduno, il delfino rosa, proveniente dalle acque dolci, era risaputo che non poteva porsi in tale habitat e così Talor, capo degli anziani,  fermo col suo bastone dinanzi alla grande distesa, colse il monito del mare e dei fiumi e presa la grossa conchiglia, suonò la melodia del vento a radunò genti e popoli.

La notte portò la decisione finale, era arrivato il momento di risvegliare le grandi isole che avrebbero posto i loro muri. Talor non aveva conosciuto i tempi della grande dea Lirak ma aveva sempre portato con sé il segreto degli amuleti magici ricoperti di smeraldi d’acqua sorgiva.

Nel risveglio della notte, il riflesso dello smerando riverso alla luna, avrebbe creato un’apertura tra mare e terra e avrebbe riportato in vita la dea Lirak, protettrice delle acque e delle terre, della natura immutata e non conosciuta, del respiro e del vento. Talor innalzò l’amleto e una grande luce creò il giorno nella notte e una grande voce si innalzò dagli abissi. Lirak presentatasi nella sua bellezza, inondò la spiaggia di magici manti fioriti e nel suo delicato vento, fece percepire la sua essenza: “ la magia è risvegliata e con me il monito della distruzione” continuò “tutto era stato donato per l’armonia e tutto dovrà ritornare in natura”. Talor era cosciente di quelle parole, ritrovare la bellezza voleva dire anche distruzione del superfluo in natura e tutto ciò che veniva considerato dannoso e negativo era la conseguenza dell’evoluzione moderna e del benessere.

I grandi erano divenuti così piccini in tale situazione e impotenti in tali decisioni, Lirak resasi conto delle preoccupazioni degli abitanti delle isole riflettendo prese una decisione. “Vista la perplessità riscontrata, pongo un tempo per la salvezza delle acque del mondo intero, indispensabili per una salvezza dell’universo nella sua biodiversità. Ho deciso di iniziare con una trasformazione che porterà un primo grande passo per tutti. Porrò fine ai pesticidi e veleni, donando fulgore alle colture e agli allevamenti, porrò in libertà animali e volatili, distruggerò fumi e combustioni, creando energia dalla natura e dall’atmosfera, porrò dalla luce solare potenza e tutto sarà natura e ritornerà in natura disciogliendosi nel suo semplice vivere, nascere e morire. Preserverò l’innalzamento delle acque e porrò grandi muri a ridosso delle piccole isole. Tutto dovrà essere accompagnato da una decisione comune voluta da tutti, nessuno escluso. Il mondo dovrà radunare le proprie genti, portare pace in guerra, accettare ed essere accettato, calare il silenzio nel rumore e portare un passo lento nella frenesia, perché siamo prossimi alla distruzione e il mondo sta arrivando ad un termine”

Quella voce sommessa di una dolce ma decisa dea Lirak, attraversò fiumi e mari, montagne, praterie e ghiacciai, in un passaggio dal giorno alla notte e dalla notte al giorno. Cambiarono stagioni e temperature e successe nell’inevitabile nel risveglio delle coscienze che pose un passo verso un domani oramai alle porte. Lirak aveva assolto il suo compito e come acqua sorgiva racchiusa in smeraldi, divenne scia di speranza ed ascolto ma anche bellezza rinata e incontaminata.

Ogni riferimento a luoghi e nomi e fulcro di pura fantasia.

 

 

 


Id: 5804 Data: 12/10/2024 14:34:30

*

Il colore ritrovato

Quei colori non avrebbero mai rispecchiato l’essenza del momento, immortale nell’attimo colto dallo sguardo, esitante ma incantato in quella sconfinata distesa di fiori che porgevano la loro corolla verso le colline incantate. La brezza delicata e soffusa sfiorava quei petali delicati e creava un movimento armonico che pareva seguire una sua musicalità, accogliente in quel leggero soffio, un trasporto ondulatorio e così semplice, infinito e variopinto. La ritmicità di quei fiori, donava una profusione delicata nel suo silenzioso diffondersi, interrotto solo dal ronzio di api intente nel loro sapiente lavoro. Susane era lì, seduta nella sua seggiola, col sole che adagiava i suoi raggi in luce riflessa e così ricercata alle sue spalle, donando quell’illuminazione e quel calore ideali nel creare riflessi temperati che venivano tramutati dall’agile arte di pennelli sapienti su tela, in essenza colta dagli occhi e rispecchiata in visione della mente.

Susanne aveva atteso da molto tempo quel momento. La fioritura dei tulipani era un evento così bello e conosciuto in Olanda che già dal mese di agosto aveva deciso di prenotare questo viaggio che avrebbe conciliato passioni e svago ma soprattutto l’avrebbe destata da pensieri. Era arrivato il momento di pensare a sé stessa, di donarsi bellezza e ricercare quell’aria nuova che non poteva portare altro che novità ed ispirazione. Aveva scelto Lisse per il suo soggiorno ma in una parte più riservata della città, a ridosso di una zona di campagna, isolata che coglieva con la tranquillità quella vena artistica che poteva portare nuovi spunti per i suoi dipinti.

Amava passeggiare e percorrere i sentieri con una datata bicicletta che le avevano offerto al suo arrivo a Lisse. I viali erano così variopinti, era così strana la sensazione di colore che permeava quel mese di aprile. Le colture erano così vaste che sembravano scolpire piccole colline che difficilmente era possibile immaginare senza fiori.

Un pomeriggio al rientro nel suo alloggio, il suo sguardo fu attirato da un uomo intento nella sua piccola imbarcazione che piegato, nel sistemare le funi, sembrava quasi asciugare con la camicia ripiegata, le lacrime che calavano dal suo volto. Non voleva distogliere né disturbare l’anziano ma non riusciva ad avanzare senza chiedergli qualcosa o dargli anche un semplice ascolto. Si accostò con un pochino di diffidenza e gli chiese: “Scusi se la disturbo, posso esserle di compagnia anche nel silenzio?” L’uomo sorpreso dal non essere più solo si sollevò e la osservò un attimo, senza rispondere. Susanne che caratterialmente era testarda si fermò osservando l’altra riva e stette in silenzio. L’uomo avvertiva quella presenza, oramai era abituato al niente. Fece per salire nell’imbarcazione per andarsene, quando sentì una mano appoggiarsi sulla spalla. “Se non le dispiace, approfitto dell’imbarcazione per vedere questi luoghi, sono di poco disturbo” Susane aveva trovato il modo per farsi accettare. L’uomo non rispose e lei salì e si sedette nella seduta opposta all’uomo.

Filipe era solito attraversare quei canali e vedere turisti che inondavano tutto il territorio. Apprezzò il modo di fare di Susane, i turisti erano di solito chiassosi ma lei era così diversa, così silenziosa, così riflessiva. Decise di parlare e piano piano le raccontò che si occupava della manutenzione dei mulini a vento e che, se avesse voluto avrebbe potuto portarla a visitare uno dei più antichi. Susane non credeva ai suoi occhi, era proprio una fortuna questo incontro.

Il mulino era diverso da tutti gli altri, aveva un aspetto più scuro degli altri e sembrava che le pale nel loro girare, creassero dei circoli d’aria più veloci del solito con sonorità fastidiose. La vista del mulino cambiò l’espressione di Filipe. Susane capì che c’era altro in quel luogo.

 A ridosso dell’entrata del mulino era posta una targa con scritto: “Il varco alla torre è il varco della rinascita e conoscenza”. Era una scritta insolita, troppo strana. Si girò verso Filipe ma si rese conto che lui aveva terminato il cammino. “Scusa ma io non vengo, non posso venire. Chi avanza è colpito da una maledizione e ho perso già un figlio”. Susane non capiva. Filipe continuò: “Il mulino nel suo moto rotatorio dona forza e crea forza, tramuta e distoglie, porta oltre il luogo e il tempo. Nessuno dopo la scomparsa di mio figlio ha avuto il coraggio di entrare.”

Susane incuriosita decise invece di varcare la porta, doveva andare oltre, sentiva che doveva scoprire cosa nascondesse quel mulino. Improvvisamente fu invasa da una strana sensazione, tutto sembrava deformato intorno a lei e rotante. Il vortice divenne talmente forte che fu catapultata a terra sbattendo la testa. Al risveglio si trovò adagiata su un pavimento color ambra con incisa una grande stella, guardando verso l’alto sembrava che dei vortici creassero gironi a piani in quella colossale costruzione. Sulla sua destra era presente un cunicolo in pietra da cui intravvedeva una flebile luce. Si incamminò e apparve dinanzi ai suoi occhi un immenso lago con delle grosse pietre adagiate che parevano galleggiare. Sorgeva in una grande roccia un grande tulipano blu, riservato nella sua bellezza che sembrava quasi finto e privo del tempo. Calavano dal suo fogliame delle grosse lacrime di rugiada che andavano a poggiarsi sulla grande distesa di acqua. Era strano questo tulipano in mezzo al niente, quel colore così acceso in quelle rocce incolore. Era abituata ai colori e quel divario di tonalità era proprio fuorviante. Capì che il tutto poteva essere anche reale ma poteva anche nascondere qualcosa. Si avvicinò con cautela titubante di tanta bellezza e decise di non cogliere il tulipano, lo osservò e avvicinandosi annusò l’essenza della sua profumazione. Stanca si adagiò vicino e avvolse intorno al tulipano un suo fazzoletto quasi a volerlo riparare. Si addormentò avvolta da un manto di luce lunare.

Susane era solita avere un sonno leggero ed avvertì nel preannunciare del nuovo giorno una nuova presenza. Il tulipano era sparito e al suo fianco era presente un giovane con un grande manto blu e un fazzoletto avvolto al collo. La osservava curioso e innamorato. Lei era stata colei che con la sua gentilezza lo aveva destato dall’incantesimo e lo aveva strappato a un destino di lacrime. Era il figlio del guardiano dei mulini. Lei rimase incantata da tanta bellezza e posta la mano su quella di lui, trovò la strada verso la rinascita ma soprattutto trovò il suo colore che donò colore, nell’oscurità dell’incompleto girone di una nuova visione di vita non più esterna ma dentro una felicità ritrovata.

Fu così che tutti vissero felici e contenti nell’armonia dei colori di vita donati.

 

Nomi e luoghi sono fulcro di fantasia.

 


Id: 5799 Data: 05/10/2024 14:58:02

*

Il Sole dell’Amazzonia

L’alba preannunciava l’inizio di un nuovo giorno, i colori tenui su di un cielo velato, creavano una cornice al paesaggio smisurato che si presentava dinanzi. Sara, amava stare in contemplazione nella sua veranda all’aperto e seduta nella panchina posta a ridosso dell’uscita di casa, era solita stare assorta con il suo caffè. Erano tanti i pensieri che attraversavano la sua mente, quel velo leggero ma coprente nell’azzurro del cielo, sembrava ricoprire quel futuro sereno che tanto aveva atteso e sperato. Non era più sola e doveva pensare al futuro e ad una soluzione immediata alla sua condizione. Le sue riflessioni furono richiamate al presente, la mano poggiata sul ventre oramai rigonfio e visibile, avvertiva la presenza ma soprattutto l’arrivo di una parte di sé che presto sarebbe diventata animata e visibile, amorevole e per sempre.

Sara aveva sempre abitato a Leticia in Colombia, la posizione strategica di questa città era stata sempre importante per la sua famiglia. Leticia, sorgeva in uno snodo con collegamenti al confine tra Brasile e Perù, il porto fluviale sul Rio delle Amazzoni, facilitava il transito e i traffici di carico e scarico merci. La famiglia era conosciuta e temuta in tutto il territorio, aveva posto radici e si era fatta rispettare. Lo sfruttamento del territorio era controllato e in piena evoluzione e non seguiva nessuna regola ne comando. L’attività del commercio di pesce, ereditata da secoli, aveva subito cambiamenti per l’avidità di ricchezze e la conoscenza di collegamenti in tutta l’ America ed oltre. Lo sviluppo di un nuovo commercio più redditizio ma dannoso alle persone e al territorio, aveva creato conseguenti disboscamenti. La cocaina non era più un tabù in quelle zone, la “droga della distruzione” stava minando vite e natura, minacce e violenza, il predominio e l’avidità di ricchezza, rendeva ciechi e pronti a tutto. Era così che col tempo si erano creati conflitti, sparatorie continue, uccisioni e Sara spaventata, aveva deciso di scappare e trovare rifugio in una piccola casa immersa nel folto bosco amazzone.

Aveva poco tempo per non essere trovata e mancava un mese alla nascita del bambino. Conosceva il territorio grazie a studi passati, era stata sempre attirata da una tribù indigena presente in quelle zone, che veniva chiamata “il popolo senza tempo”. Decise che sarebbe andata da loro e avrebbe dato una svolta al loro futuro.

Si incamminò nella natura impervia e bellissima, la vegetazione era talmente folta che la luce su alcuni tratti penetrava con difficoltà. Era spaventata ma allo stesso tempo il coraggio e la determinazione, il senso di protezione verso il bambino, creava una forza oltre il suo volere. Era a conoscenza che, se le bande avessero trovato lei e il bambino per loro non ci sarebbe stato scampo. Il bambino era considerato minaccia per il futuro e non si sarebbero messi scrupoli per ucciderlo. Lei era pronta ad un cambiamento.

Dopo giorni lungo il sentiero, decise di riposare a ridosso di un grosso albero, la pesantezza era insopportabile e le gambe gonfie non facilitavano i movimenti. Decise di rifocillarsi e bere qualcosa, doveva riprendere le forze. Sola nella foresta, non aveva pensato ai pericoli che potevano presentarsi ma oramai era troppo tardi, non poteva più ritornare indietro. Improvvisamente, attirati dal rumore e forse dagli odori estranei, fu presto circondata da maschere, così le sembravano le ombre che si paravano di fronte. Mascherati e adornati di monili e frecce la osservavano farfugliando tra loro. Lei rimase immobile e fece per alzarsi ma un grosso dolore le inondò il ventre. Era arrivato il momento e non poteva più fermarlo. Gli uomini posti dinanzi, avvertita la situazione, portarono la donna con loro poco distante e la adagiarono in una capanna calda e spaziosa, presenziando al primo vagito che per loro fu ribattezzato come Sole, luminoso e caldo.

Fu così che il bambino bello e forte, crebbe attorniato da uomini saggi, riuscì ad apprendere i saperi della caccia, della pesca, della natura ma soprattutto l’essere in simbiosi con lo spirito del vento, del cielo e della terra. Fu accolto come un figlio portato dalle divinità, rimasto orfano di madre dopo qualche anno, divenne parte di comunità. Non esisteva tempo, né era conosciuto il contare, non esisteva una cadenza delle stagioni ma tutto era dominato dal sole che portava e toglieva nel rispetto. La potenza della forza emergente in questo giovane, crebbe, divenendo presto pilastro di saggezza per l’umanità.

Lui sarebbe stato il difensore di tutte le tribù, di tutti i credi, ma soprattutto colui che avrebbe donato la sua forza per la foresta e per il respiro dell’umanità, attraverso la difesa dal disboscamento incontrollato, dalla violenza e dalla diffusione da colture dannose a genti e natura. Attraverso di lui sarebbero stati dettati i punti di forza e resistenza: “Tutto ciò che viene tolto ad ogni singola popolazione, crea e avrebbe creato, una perdita irreparabile e senza ritorno non solo al singolo territorio ma verso di tutti in una catena ciclica e ripetitiva. Ogni essere nasce libero e così è destinato, ogni essere vive il suo habitat con rispetto verso quello degli altri”

Fu così che l’Amazzonia, polmone dell’umanità, porta con sé la leggenda di Sole nella sua potenza tramandata e divinizzata.

Ogni nome o riferimento è fulcro di pura fantasia.

 


Id: 5796 Data: 28/09/2024 15:36:40

*

La croce di Lalibela

Il battente di casa risuonava nella notte, Paolo scosse Ginevra, c’era qualcuno che insisteva alla porta. Ancora frastornato da un sonno agitato, si mise seduto nel letto e presa coscienza, discese le scale, diretto verso l’ingresso. Il pendolo posto all’angolo dell’ultima rampa di scale, scandiva l’ora, erano le tre del mattino. Pensieroso e preoccupato, Paolo si ripeteva: “chi poteva mai essere a quell’ora? Perché insistere così? Qualcosa doveva essere accaduto di importante.”

Le notizie oramai trapelavano, Paolo e Ginevra, dovevano presentarsi urgentemente a Firenze, nell’abbazia prescelta per il raduno con tutti i maggiori confratelli. Bisognava intervenire quanto prima e trovare una soluzione. I servizi segreti, questa volta, erano stati troppo dettagliati, bisognava evitare il peggio.

Nei sotterranei dell’Abbazia era stato posizionato al centro, un grande tavolo rotondo, le candele poste ai lati delle antiche mura, donavano un’atmosfera cupa e misteriosa e il simbolo delle spade incrociate, suggellava un’unione oramai presente da secoli. Tutto doveva regnare nel segreto e portare ad una soluzione. Sarebbero stati convocati gli anziani che avevano curato il simbolo protetto, nascosto anche ai maggiori esponenti religiosi.

Seduti all’enorme tavolo, nel silenzio assordante, gli esponenti osservavano, quasi in devozione, una grande urna, dorata, adornata con delicate rose avorio. Al suo interno era posta la risposta, trasmessa nel tempo che avrebbe dovuto indicare il prescelto, alla protezione della grande croce di bronzo che custodiva leggi e messaggi essenziali per l’umanità

Aperto il sigillo, si avvertì un silente ronzio, decine e decine di api iniziarono a creare dei cerchi concentrici. Secondo la leggenda di Lalibela, avrebbero riconosciuto col loro posarsi la sovranità e colui che avrebbe portato la protezione ma allo stesso tempo una nuova costruzione, il rinnovamento e l’illuminazione.

Lo sciame ricreatosi delle api, si posò su Paolo quasi in una carezza amorevole. La decisione fu presa e così con fermezza, iniziò il viaggio verso il paese etiope di Lalibela che nella sua edificazione sotterranea aveva posto segreti su segreti.

L’arrivo, accolto da un’atmosfera sognante, poneva mille interrogativi che avrebbero portato forse una risposta. Il deserto etiopico e i torridi altipiani a nord di Addis Abeba, creavano un senso mistico e protettivo nella calura di fine settembre. Gli abitanti avevano una parvenza così pacata e religiosa, camminavano silenti con un rosario giunto nelle mani, vacando quelle mura protette da grandi valichi scavati nel lontano passato, in rocce le cui croci e segni portavano il senso di quell’eterna luce.

Paolo era stato istruito per tempo e chino all’altare ascoltò il volere dei sommi protettori. La croce era posta dinanzi, enorme nella sua potenza, la sua bellezza era mistica e racchiudeva il passato e il presente nei sei avvolgimenti per lato che rappresentavano la discendenza protetta e tramandata nel tempo. Molti erano stati gli studi sulla sua elaborata forgia ma nessuno ne aveva mai colto il senso. Seduto al suo fianco decise di attendere il momento, sapeva che niente era possibile variare perché tutto era stato scritto e tramandato.

Tramontò il sole e con esso calò il freddo e un forte vento. Arrivarono a galoppo avvolti dalle nubi, predoni avvolti nei neri mantelli. Varcarono la soglia e Paolo in ascolto attese tale momento. Pose a ridosso della croce due bianchi teli avvolti nelle sommità inferiori e uscì imperturbato.

I predoni arrivati al cospetto della croce, la afferrarono con forza. Il vento esterno sembrò varcare l’ingresso, aprire al loro cospetto terra e cielo, creando un cerchio variopinto. La croce già di per sé pesante, divenne salda e ancorata e i cinque chiodi, divennero opali di un blu intenso, divennero prodigio di rinascita e perdono, trasformazione ed accoglienza. I predoni incantati dal tal divenire di pace e serenità, videro le loro vesti e manti avvolte dai teli bianchi che, come d’incanto, lì plasmarono rendendoli illuminati. Solo allora poterono vedere all’interno del cerchio un triangolo che poneva il passato in futuro riavvolgendolo e capovolgendolo.

Fu così che la croce di Lalibela, vive nella leggenda e tuttora trasforma gli animi, perdona ed accompagna nella preghiera, nella sofferenza ritrovando il bene anche nella malvagità con perdono e amore, come è sempre stato e sempre sarà.

 

Nomi e avvenimenti sono frutto di pura fantasia.

 


Id: 5788 Data: 22/09/2024 14:36:49

*

Porvoo

Erano le prime luci dell’alba, quando il mercantile preannunciò il suo arrivo a Porvoo. Mark intento nelle sue letture e appunti commerciali, riviveva l’arrivo in questa città come una sorgente di nuova di vita. Il fiume faceva riaffiorare ricordi e l’osservazione incantata di quelle case portava i pensieri ad una calma ricercata. La città di Porvoo appariva, vista dal lungofiume, incastonata in un passato dimenticato, rappreso in un sogno variopinto. Quelle case colorate in legno, di rosso cangiante e quei tetti spioventi, donavano quel senso così familiare che la lunga attraversava, attendeva da tempo.

Era la fine di settembre e le colline circostanti donavano alla vista quella sembianza ocra, luminosa di cambiamento e preparazione al nuovo manto. L’aria pungente, avvertita in una leggera brezza mattutina, sembrava quasi ridestare il pensiero da un torpore lavorativo e guardingo. Poggiata in una banchina portuale, avvolta nel suo cappotto rosso, attendeva il suo arrivo impaziente una cara amica e cliente che era solita organizzare la sua permanenza. Graine, amava ordinare prodotti per la sua azienda dolciaria ed era solita rivolgersi a Mark che con precisione, riusciva a trovare curiosità ma soprattutto novità in ogni angolo del mondo.

Era passato un mese dall’ultima volta che Mark era passato per Porvoo. Aveva passato periodi difficili dalla scomparsa del caro amico, la depressione lo aveva portato ad un isolamento forzato e alla perdita di gran parte delle sue energie. Era arrivato il momento di una pausa che decise di conciliare con l’arrivo in questa città e le ultime consegne del mese. Si era riproposto più volte di conoscere meglio questi luoghi incantati e sicuramente la vicinanza di Graine con la sua radiosità lo avrebbe aiutato.

Sceso nel molo, passò le ultime consegne delle merci e degli ordini e si incamminò nella direzione concordata con la sua amica. Graine sembrava assorta nei suoi pensieri, osservava un gatto arancio raggomitolato al sole. Mark le si avvicinò silenzioso, non voleva distogliere i pensieri dell’amica, rimaneva sempre incantato nell’osservare l’amica e il suo aspetto elegante ma allo stesso tempo semplice e quei capelli ondulati nella loro rossiccia sofficità. Era la persona più dolce che conoscesse, non solo per il suo lavoro ma  anche per il suo aspetto e il suo profumo, riconoscibile anche a distanza, sapeva di cannella e vaniglia.

Arrivato poco distante, Graine prese finalmente vitalità e girandosi accolse la sua vista con un grande sorriso. Non furono necessarie tante parole e così si incamminarono verso l’alloggio prescelto poco distante dal suo piccolo laboratorio dolciario. Sistemate le poche cose, fecero subito un salto per sistemare il magazzino circostante e per accogliere la merce arrivata. Graine aveva preparato i suoi conosciutissimi biscotti alla cannella e preparato un piccolo pacchetto con della liquirizia salata che non poteva certo mancare.

Si rese subito conto che qualcosa non andava nello sguardo di Mark, era più cupo e chiuso. Sembrava stanco perciò decise di farlo riposare un pochino e dedicarsi al riordino dei prodotti e dolciumi. Mark era solo, era stanco ma non fisicamente aveva bisogno di respirare e riassaporare un aria di libertà e svagatezza. Si incammino verso un colle poco distante in cui si intravvedeva una vegetazione fitta ma pronta all’arrivo autunnale.

 Il suo sguardo rimase ipnotizzato da una roccia dalle forme strane e che sembrava salire come una scala nel sentiero che si era prefissato. Pronto a scalare i grandi e imperfetti scalini, fu distolto da una voce “Mark aspetta. Dove stai andando?” Graine era alle sue spalle e con una mano lo aveva attirato a sé strattonandolo dalla giacca. “Non uscire senza sapere e conoscere le strade. “Devi avvisarmi, questa strada non è sicura.” Mark non capiva questo improvviso timore che rigava lo sguardo di lei e cercò di indagare. “Cosa ti succede? Stavo soltanto passeggiando, avevo bisogno di aria fresca e volevo recarmi sulla collina.” Graine che aveva in mente altri progetti decise di non girare troppo intorno alle sue paure e decise di parlare.

“ Questa scala è chiamata la scala del diavolo e si dice che sia stata costruita proprio da Lucifero che con la sua forza ha tramutato la roccia in grandi scalini. Tutti qui in città cercano di evitarla perché porta alla luce tutte le più grandi paure e può tramutare il bello in brutto e addirittura si narra che molte persone non siano più ritornate perché trasformate in roccia.”

Mark era senza parole, sembrava una delle tante storie che venivano raccontate dagli anziani ai giovani. Decisero di rientrare, oramai il sole calava e la notte preannunciava il suo arrivo. Le giornate così corte erano una caratteristica che era rimasta impressa a Mark.

Ritornato nel suo alloggio, decise di assaporare la liquirizia salata famosa per il suo effetto calmante e conciliante il sonno. Non passò molto che fu avvolto in un sonno ristoratore che però fu interrotto da alcuni suoni strani e indecifrabili. Messosi a sedere nel letto, rimase in ascolto e sembrava quasi di sentire un vociare sommesso e urlante. Decise di uscire verso l’incedere di quel suono ma rimase bloccato da una visione che si presentò poco distante. Le rocce sembrava quasi essersi rianimate e mutavano forma e aspetto. Impietrito non sapeva se scappare o avanzare ma un qualcosa attirò il suo sguardo, un luccichio intermittente continuava a persistere e attirare il suo sguardo.

Durante la sua navigazione in tanti anni aveva imparato il codice Morse e capì ben presto che quel lampeggiare era un messaggio. Concentratosi, prese appunti e rimase senza fiato. Non poteva essere e non voleva credere a quello che gli stava capitando. Chinò il capo e rilesse ciò che aveva appuntato “ Mark, sono Claude il tuo amico, salvami. Non avere paura, per togliere questa maledizione, dovrai far rivivere l’amore eterno e calare una lacrima di felicità in queste rocce.” Mark era sconcertato e allo stesso tempo impaurito. Corse e bussò alla porta di Graine non rendendosi conto dell’ora. Lei lo accolse e provò a rassicurarlo ma soprattutto calmarlo.

 Ascoltato il suo racconto, crebbe in lei una preoccupazione sempre più forte. Non capiva questo cambiamento di Mark e decise di consolarlo donando la sua vicinanza per tutta la notte. Passarono i giorni e la mente ritrovò leggerezza e spensieratezza, il sorriso e l’allegria di Graine erano così contagiosi che ben presto lui si invaghì pensando che quello stato potesse donargli gioia in eterno.

Una mattina Mark si risvegliò come era suo solito, alle prime ore dell’alba. Era una giornata cupa e piovosa. Aveva tanti progetti, voleva regalare i migliori fiori e profumi di campo per risvegliare con la rugiada del sorriso il suo più grande amore. Spinto dal vento e dalla leggerezza dei suoi pensieri, bussò alla porta di Graine ma non ci fu risposta. La porta era adagiata e decise di entrare. Lei era distesa nel letto e aveva un viso angelico e sorridente. Cercò di svegliarla ma nessuna fu la risposta. A breve si rese conto che era morta e preso dallo sconforto ricadde su di lei in un mare di lacrime. Era stata malata da tempo ma niente aveva voluto condividere, aveva voluto vivere solo i suoi ultimi momenti.

Mark oramai senza un significato di vita e col cuore spezzato vago per la città senza rendersi conto dei luoghi e percorsi. Lacrime inondarono rocce e prati, divenendo piccoli rivoli. Apparvero sole e luna, stelle e tramonti, farfalle e piume, tutto rinacque e dissolse malefici. Apparve Claude che con un lungo abbraccio lo avvolse e fu per sé, la spalla che tanto aveva aspettato, nel conforto e compagnia di vita. La morte dell’amore, adesso era divenuto nuova vita e speranza, nel dono di un nuovo percorso di vita.


Id: 5784 Data: 20/09/2024 15:24:05

*

Nemea

In una antica città greca, viveva una fanciulla dalle invidiabili abilità sportive, ereditate dai genitori valorosi lottatori ed atleti. Era stata chiamata Nemea per il suo valore e coraggio ereditato in decenni di lune passate e per il suo essere inconsapevolmente, Regina di quel territorio. Niente e nessuno urtava la sua indole e si prodigava sempre in diffesa degli indifesi e deboli del paese. Le sue giornate trascorrevano come gli altri ragazzi tra scuola e studio ma cercava di ritagliarsi sempre parte del suo tempo per la corsa lungo i sentieri delle rovine storiche della città.

Aveva assistito più volte ai tornei che si presentavano e nel suo animo aveva sempre desiderato parteciparvi. Cercava di immaginarsi lungo la linea di partenza, pronta in fila con le altre atlete o nella sfida del lancio del giavellotto. Sapeva che niente era facile, i premi ma soprattutto la partecipazione era legata a un duro lavoro giornaliero, fatica e a tante rinunce.

Un giorno incuriosita, decise di assistere alla selezione degli atleti per le diverse prove sportive. I tornei non erano solo di semplice corsa ma prevedevano anche altre discipline. Era possibile partecipare solo se appartenenti ad una dinastia nobile o al superamento di prove altamente pericolose. Nemea era stata cresciuta come una fanciulla di umili origini ed era consapevole che niente sarebbe stato facile e dovuto. I suoi allenamenti anche se assidui non bastavano per una partecipazione, avrebbe dovuto fare qualcosa di più che pregiudicava rischi per sè stessa e per la sua famiglia.

Indecisa su come muoversi, sapeva che l’unica possibilità era un consiglio di qualcuno fidato e preparato. I genitori, preoccupati nel vedere sempre la figlia così rattristata, cercarono in tutti i modi una soluzione alle sue ambizioni. Dopo interminabili discussioni, capirono che il tempo era arrivato e dovevano indirizzare la ragazza oltre sé stessa, verso luoghi nascosti e lontani. Esisteva un monte al di là di dieci torrenti e cascate di Nemea, dove viveva esiliato un uomo di sembianze spaventose che si diceva avesse il corpo da uomo e una folta chioma rassomigliante un enorme leone. Era possente e veloce, aggressivo e furtivo, nessuno era mai riuscito a vederlo realmente in viso. Viveva attorniato dai leoni. Chi aveva provato ad avvicinarsi era ritornato senza parole ma soprattutto forze e nessuno sapeva spiegare il motivo.

I genitori spaventati, cercarono di distogliere il pensiero di far avventurare la figlia solo per questa sua ambizione sportiva ma sapevano che il destino non poteva essere fermato. Nascondevano segreti inconfessabili e Nemea era stata affidata a loro, sapevano che questo momento sarebbe comunque arrivato. Sin da piccola era stata spinta verso alcune discipline per sviluppare alcune pratiche che sarebbero state utili in questo vicino futuro a venire.

Decisi e fermi chiamarono Nemea e le presentarono questa possibilità senza approfondire sul suo passato e su ciò che avrebbe dovuto fare. Erano stati formati per tempo e l’unica cosa che le avrebbero dovuto dare prima della partenza era una catenina con un medaglione cilindrico con al cospetto la raffigurazione di un leone.

Arrivò il momento della partenza e carica di speranza, Nemea ringraziò i genitori e si incamminò.

La via era impervia ma anche costellata da meraviglie della natura, ruscelli limpidi e silenziosi quasi dimenticati ed incantati che sembravano quasi ergersi convergenti al fragore delle rapide e cascate seguenti. I colori di quegli spruzzi, catapultati in forza espressa discesa nel vuoto, colmava l’aria di venti suadenti e manti di arcobaleni. La radura, con l’avanzare del cammino, cominciò a mutare, divenendo di un verde più fitto e intenso ricoprendo con la sua ombra un cielo d’azzurro lucente.

Nemea arrivò ad una radura posta a valle di un enorme monte e stanca dal suo perenne vagare, decise di adagiarsi su un manto di fresche margherite selvatiche. Colta da un sonno improvviso, decise di riposare consolandosi un pochino. Sentiva una voce che le ripeteva “Nemea riposa, hai vagato e dovrai vagare, niente succederà”. Questa convinzione la portò ad un sonno pesante e non vigile.

Riaprendo gli occhi, Nemea scrutò attentamente ciò che si presentò, incredula e un pochino sorpresa. Si trovava in una grotta, ricoperta di cristalli e specchi, vedeva nella sua posizione rivolta verso il soffitto, immagini raddoppiate e osservanti. Si rese a breve conto di non essere sola e dal profondo senti una voce “Benvenuta Nemea, ti stavamo aspettando”. Un uomo oramai anziano la osservava, il suo aspetto ricordava un leone ma in realtà era solo la sua folta chioma dorata che poteva fuorviare il pensiero e gli occhi. Era attorniato da leoni che, come docili cani, lo osservavano e rimanevano pacifici ai suoi piedi.

“Come sono arrivata sino a qui? Chi siete?” Nemea voleva subito delle risposte ma capiva di essere nel posto giusto. L’uomo osservandola, le tese la mano e la invitò a sedersi vicino a lui. “ Sono tuo padre e tu sarai l’erede di questo Regno” Nemea non capiva cosa stesse dicendo, perché si rivolgeva a lei come padre? “Ho atteso a lungo questo momento. Ti ho affidata per essere forgiata e resa coraggiosa, hai appreso le arti della corsa e del lancio ma anche della diffesa. Ora sei pronta a prendere ciò che è tuo e che è stato tramandato” L’uomo con fare calmo continuò “il monile che ti è stato consegnato e che porti al collo è il simbolo eterno della fratellanza tra l’uomo e la sua forza tramutata in leone, tu dovrai proteggerla e scalfire chi metterà la forza a predominio del successo, a discapito degli altri. Ricorda la fratellanza porta rispetto e pace e non il contrario. Chiunque si presenterà con forza e malvagità perderà voce e forza”

Nemea era stordita e sbalordita e il mondo sembrava in un attimo capovolto.  Il suo animo era stato sempre buono e sentiva in quelle parole, la casa e la familiarità del suo essere. “Ho bisogno di riflettere e capire”. L’uomo la osservò e le disse “osserva la luna, al passare di cinque lune rosse, dovrai ritornare e inchinarti al volere del destino e tutto sarà luce”. Lei si incamminò verso il rientro con fare furtivo e assorto ma capì che il sole e la luna oramai erano nel suo cuore e nella sua mente, pronti ad un suo ritorno verso nuove sfide ed imprese, per il bene proprio e della sua patria Nemea.


Id: 5781 Data: 18/09/2024 14:07:56

*

Cometa

Viveva in una stella lontana, nel cosmo infinito, Cometa fanciulla dalle sembianze delicate e lucenti. Esile sin dall’infanzia, amava adornare il suo aspetto con vesti e veli delicati, cadenzati da colori vicini al sole e alla luna. Intenta nei suoi doveri quotidiani, studiava e percorreva con la mente, attimi di vita presenti in ogni galassia vicina e lontana. Il suo maestro, era stato sempre attento nei suoi insegnamenti e le aveva mostrato ogni segreto presente nei singoli pianeti. Aveva ereditato dalla sua famiglia un compito arduo e lei determinata e coerente cercava di registrare con attenzione tutti gli aspetti per un duraturo equilibrio spazio-tempo tra popoli e pianeti. Era a conoscenza che un minimo errore poteva portare uno squilibrio dovuto ad una non conoscenza e diffidenza tra popoli.

Cometa era predestinata ad essere l’Equilibrio magico di eventi e conoscenza ma soprattutto Regina del Cosmo. Passava le sue giornate nella sua dimora ereditata ricoperta da manti luminosi e metallici che in molti pianeti veniva impersonata come una stella. La sua terra si trovava in specchi atmosferici che viaggiavano in tempi sconfinati e lunari.

Cometa era sempre stata curiosa e vivace, passava le sue ore osservando mondi e colori. Il suo cielo era sempre in movimento come la sua terra, viaggiava e percorreva spazi sconfinati.

Un giorno attirò la sua attenzione un piccolo pianeta, era adorno di luci e colori multiformi. Incuriosita chiese al suo maestro come mai questo pianeta avesse tali sembianze e luminosità così diverse dagli altri. Il maestro, sempre attento nelle sue parole, le spiegò che di tanti pianeti ne era stato prescelto uno, per sperimentare la vita e la libertà. Cometa non capì subito il significato di quelle parole, continuava ad osservare e la sua curiosità continuò a crescere. Come era possibile che esistessero tanti colori, un azzurro infinito diverso dal suo e un verde così intenso. Passarono i giorni e decise di interrogare ancora il maestro.

“E’ possibile esplorare i pianeti?” chiese titubante Cometa.

Il Maestro rimase un po’ sospeso nei suoi pensieri e aggrottando la fronte la osservò e vide un velo di tristezza in quel volto così delicato. Aveva sempre ammirato quella bellezza, il suo incarnito era così chiaro e i capelli avevano un colore così magico nella loro brezza ondeggiante e chiara. Si schiarì la voce e le si rivolse con fare paterno.

“Mia cara Cometa, non voglio rattristarti ma non dimenticare il tuo compito. I tuoi genitori ti hanno lasciato una responsabilità enorme e tu devi solo ringraziare perché grazie a te tutto questo esiste e l’Equilibrio porta la calma dell’universo.”

Cometa non contenta di quella risposta decise di insistere: “non voglio rinnegare ciò che mi è stato donato ma vorrei solo conoscere se c’è una piccola possibilità di visione da vicino”

Il Maestro conosceva l’Universo e sapeva che tutto era possibile ma pericoloso. Pensò come potesse soddisfare quelle domande e riflettendo le pose una mano nella spalla e le sussurro:

“Solo l’incontro con una polvere luminosa di saggezza potrebbe portare l’unione tra mondi e una rinascita. Tutti sono posti alla prova e la loro scelta porterà una risposta sul futuro da intraprendere.”

Fu così che le si illuminarono gli occhi e decise che avrebbe provato questa grande impresa. Avrebbe scavato e trovato nei suoi studi la possibilità di saggezza e questa unione avrebbe portato a sé quel sorriso sperato di luce. Passarono mesi e intenta in alcune letture incappò sulla parola Destino, incuriosita distolse lo sguardo dal libro e lo volse diretto a lei. Era stata così intenta nello studio che non si era resa conto che lei avrebbe potuto dirigere e controllare gli avvenimenti. Spinta da questo pensiero organizzò il suo viaggio e diresse il suo cielo verso quel pianeta così incantevole. Dagli insegnamenti avrebbe potuto solo sorvolarlo e lasciare una grande scia visibile solo ai più attenti.

Quel giorno arrivò. Emozionata calò il suo sguardo verso quel mondo chiamato Terra rimanendo sbalordita e senza fiato.  Una luce attirò il suo sguardo, era come sé fosse presente una stella che con la sua pulsazione costante la attirava. Rimase ad osservare e vide in riva ad un piccolo ruscello un giovane di bell’aspetto che intento all’osservazione del cielo sembrava voler comunicare con polveri colorate. Incuriosita provò un’emozione così forte che il cuore sembrava scoppiare dal forte battito. “Come era possibile che qualcuno potesse vederla e soprattutto interessarsi a lei?” pensò distratta. Era troppo lontana ma lui continuava a guardare e a distribuire quella polvere dorata e rossa. Fu così che decise di avvicinarsi e accostarsi. In un attimo infinito i due giovani si guardarono e capirono che erano ed sarebbero sempre stati, l’Universo nell’Universo, il futuro e il presente, l’unione di menti lontane ma vicine, la forza di esplorare e conoscere, per sempre, in una sola mente e cuore pulsante.


Id: 5779 Data: 15/09/2024 11:01:13

*

Cenerina

Intenta nel suo lavoro, Cenerina rifletteva sugli anni passati e presenti. Oramai era abituata a quel nome, nessuno aveva mai chiesto niente di lei, del suo passato, del suo vero nome, di cosa realmente volesse. Veniva chiamata, non per compagnia ma per i servizi, raccogliere e ripulire i caminetti era oramai sua abitudine, il suo lavoro.

Silenziosa e puntale si recava in ogni villa del quartiere e curva faceva ciò che doveva essere fatto. La sua figura era insignificante agli occhi degli altri, lei era solo Cenerina, con le sue vesti macchiate e scure che coprivano il suo scarno aspetto e le gote rosse, bruciate e scurite dalla cenere. Portava sempre un fazzoletto scuro sui capelli per proteggerli, nessuno aveva mai visto il suo reale aspetto.

Cenerina viveva a circa cinque chilometri da quel quartiere, in vicoli stretti e tortuosi che risalivano verso la collina. Esistevano realtà completamente differenti e sconosciute agli occhi di molti. Costruite nel tempo, erano state erette casette in lamiera dove vivevano i dimenticati, persone che camminano come ombre trasparenti, servizievoli e silenziose, laboriose e pronte a tutto nella loro onesta e semplice esistenza. Così era Cenerina, orfana e generosa, riservata ma grande lavoratrice.

Ogni mattina verso l'alba si incamminava e donava le sue forze per pochi spiccioli che per lei erano tesoro di resistenza. Lesta ripuliva case e camini e verso il rientro a casa, comprava il necessario per sè e altri piccoli orfanelli. Amava donare nel suo tempo libero sorrisi ed insegnamenti, aveva avuto una formazione scolastica e aveva sempre amato leggere. La sua vita non era stata sempre così, ma trovandosi sola aveva deciso di vivere diversamente e per gli altri. Solo questo le donava un pochino di serenità, il passato era per lei solo da dimenticare.

Quella sera, al rientro si sentiva più stanca del solito, decise perciò di riposare un pochino nel suo piccolo letto che altro non era che una tavola in legno ricoperta da un manto di cotone raccolto ogni giorno durante il suo rientro a casa. Posto al fianco del suo giaciglio, appoggiato in un piccolo barile, conservava l'unico ricordo della sua famiglia, un piccolo specchio intarsiato di piccole gemme e smerigli in ferro. Era un cimelio amato della sua cara madre. 

Era solita al rientro ripulire le vesti e il fazzoletto, sciogliere i suoi lunghi capelli corvini di una brillantezza indescrivibile e indossare una veste dai colori del cielo e del mare.

Il sonno era sempre stato fonte di sogno e rigenerazione, donava nuove forze e idee per sè e per i piccoli che attendevano sempre l'amata madrina.

Quella notte qualcosa di sorprendente accadde. Nel piccolo specchio apparve una grande stella e una visione sul suo futuro. Avrebbe dovuto usare il suo lavoro per portare ricchezza ai più piccoli e alle terre circostanti. Avrebbe cambiato l'esistenza di molti.

Fu così che dalla mattina seguente seguì alla lettera ciò che aveva visto e iniziò a raccogliere le ceneri da ogni casa e con l'aiuto dei bambini portarle nei terreni delle loro casette. Furono col tempo lavorate nella terra, lasciate riposare per poi impiantare alberi e colture che diedero frutti e verdure ricercate ovunque. Arrivarono imprenditori ma anche esteti colpiti dalla bellezza e brillantezza dei capelli degli abitanti di questo piccolissimo borgo. Crebbe l'interesse per la cenere e per l'arte imprenditoriale di una insignificante ed invisibile "Cenerina" che nella perdita sua e di molti con volontà e lavoro ma soprattutto onestà ricostruì per sè e per i tanti orfanelli la forza di credere in sè perchè tutti possono e devono ricevere amore e vita ma soprattutto luce riflessa e da trasmettere.


Id: 5773 Data: 08/09/2024 13:57:19

*

La chiave

In un lontano tempo, oramai dimenticato, erano stati lasciati in custodia segreti di estrema importanza, posti in custodia in luoghi di sorprendente bellezza e sogno. Cavalieri avevano lottato e nascosto, portando con sè, i segreti dell'universo tra passato e presente. Decisero che solo una chiave potesse essere custodita e lasciata per permettere ad un meritevole prescelto di varcare la soglia della conoscenza e la visione della luce eterna.

Fu così che venne eretto un tempio, ricco di cotanta bellezza, custodito da statue di Dei vissuti e osannati recanti fiaccole e fiori. La visione al suo ingresso attirava lo sguardo verso la ricchezza di ori e marmi, dipinti e affreschi. La navata creava una suddivisione a stella dove ogni stendardo indicava una direzione propizia e protetta diretta ad un piccolo cunicolo celato dietro colui che protegge e richiama ogni bellezza semplice e pura.

Era facile rimanere incantati da tale bellezza che distoglieva il pensiero da piccoli dettagli che solo un attento pensatore poteva cogliere.

Passarono generazioni e i guardiani tramandarono e vigilarono sul piccolo cofanetto, racchiuso. Vigilavano sui molti visitatori, attendendo con cura il prescelto che potesse cogliere il dettaglio atto ad aprire il varco e con esso la conoscenza.

Calava il sole e nell'incedere dell'autunno, prossimi alla chiusura del tempio il cielo divenne rosa, piccole nuvole scoprirono uno spicchio di luna e un lampo scese potente colpendo il campanile con un suono sibile e vibrante. Una pioggia violenta ricadde e Leon, piccolo artista di strada, racchiusi i suoi piccoli dipinti in custodie di folta pelle, decise di proteggere le sue opere, correndo a riparo verso la Porta del grande edificio. Grondante varcò l'entrata e senza alzare lo sguardo, tolse dall'interno del suo giaccone, quell'involucro arrotolato, preoccupato. Distesi i disegni sul pavimento scrutò attentamente le tele e rasserenò il suo animo. Tutto era integro.

Solo allora chino in quella posizione e alzandolo lo sguardo rimase sbalordito dalla sua visione. La tela rispecchiava i suoi occhi e incomprensibilmente lui era nel suo dipinto, incantato. Lui era arrivato e con lui il segreto della chiave sarebbe stato svelato.


Id: 5772 Data: 06/09/2024 09:37:34

*

L’innocente Natura

Al di là di quella linea di confine, nascosto da un granitico monte, un piccolissimo villaggio, protetto e raggiante nella sua naturale e selvaggia natura, resisteva alla sua bellezza e spensieratezza.

Una ragazza di sorprendente bellezza e intelligenza,  cresceva e sviluppava sorprendenti capacità legate al canto e alla musica. Riusciva con la sua armonia ad attirare ed incantare, creando un ipnosi crescente che sconfiggeva ogni malattia. Le abilità di questa ragazza vennero ben presto conosciute, tutti incusiositi assistevano alla sua incantevole musica e al canto melodioso ma soprattutto alle sorprendenti e inspiegabili guarigioni.

Il villaggio venne ben presto conosciuto e preso d'assalto. Arrivavano viandanti da ogni dove che chiedevano della ragazza. Speranza, oramai donna, non rifiutava domande e richieste e nella sua innocente semplicità, donava ciò che le veniva spontaneo, senza pretendere niente in cambio. Per lei era stata sempre una passione suonare e cantare e non vedeva lucro nella sua capacità.

La sua bellezza divenuta espressione non rimase indifferente a molti. Nel villaggio erano già presenti pretendenti ma lei sembrava non preoccuparsene, lei viveva solo per l'armonia che le donava sogno, semplice amore della bellezza e respiro su tutto ciò che poneva ali al suo pensiero.

Speranza continuava nel suo perenne studio di musicalità e fu attirata un giorno da un suono diverso, arcaico ma così profondo. Sembrava così simile al suo intimo, alle sue vibrazioni che suono dopo suono portò il suo sguardo verso un suo risveglio.

Attirata si avvicinò, china e nascosta, rimase lì, ipnotizzata a suo tempo da quelle note così pure. Giorno dopo giorno si invaghì ponendosi al fianco di Bronte, musicante di una bellezza sconfinata. 

Questo cambiamento portò gelosie ed invidie, nacquero conflitti, spargimenti di sangue. Speranza e Bronte decisero di separarsi e lasciare il villaggio. Ognuno doveva seguire strade diverse perchè le lacrime sconosciute oramai erano presenza, troppe famiglie erano state coinvolte. Il silenzio calò e con essa le malattie dilagarono. La bellezza sorprendente del passato divenne mare e burrasca che nel suo silente passaggio portò arsura e crepe così profonde che niente potevano oramai fermare.

 


Id: 5767 Data: 02/09/2024 10:26:18

*

L’Altro - Un cuore aperto

Quel noi, presente e così forte era ed è un vortice che non vuole volgere ad una fine.

Cormac aveva provato più volte a dimenticare, chiudere quella porta doveva portare un nuovo inizio, nuove prospettive, un cambiamente emotivo che doveva giovare ad entrambi. Il tempo però sembrava essersi fermato, tutto riportava alla memoria ogni istante, quelle soffici cadenze, ogni sospiro e battito di cuore. "Era stato un gioco", questo la mente voleva ripetere all'infinito ma poi ritornava l'Altro e non voleva andare via...

Aveva ventitrè anni Cormac e quel pomeriggio vagava spensierato nel lungomare, sognante e sorpreso da quel colori così indefiniti ma così belli. Amava passare ore nel silenzio assorto della città addormentata e così silenziosa. Quella parte di Dublino era sempre rimasta nel suo cuore perchè racchiudeva la sua anima più profonda e vera. I colori, i profumi e quell'infinito erano sempre stati parte importante e tradizionale. Aveva sempre pensato ma soprattutto, gli era stato sempre ripetuto dai suoi cari che nella semplicità della vita vivevano i valori più importanti e la felicità. Non importava inseguire la ricchezza ma arricchire nel respiro ogni istante che la bellezza riflessa e rubata alla natura, donava al nostro io, profondo e così riflessivo ma attento alla ricerca del sentimento profondo di un cuore aperto.

 


Id: 5758 Data: 13/08/2024 07:40:42

*

L’Altro

Cormac abitava in un casolare nelle vicinanze del porto di Dun Laoghaire. Aveva sempre conosciuto la sua realtà, le tradizioni e il dialetto che amava scambiare con gli amici di sempre.

Indeciso sul proprio futuro, passava serate solitarie, riflettendo assorto e rivolgendo lo sguardo verso l'infinita visione del mare. Cullato dai suoni e balli tradizionali, sorrideva e pensava alla spensieratezza e leggerezza di ogni istante di vita. Aveva sempre ascoltato i racconti del padre Cian e immagazzinato storia e tradizione, colori e favole. Le favole avevano sempre attirato la sua curiosità fino a condurlo anche in zone impervie e boschive della sua isola. Quegli elfi e fate, lavoratori e burloni donavano enfasi ai momenti di tristezza ed isolamento. Le atmosfere ricreate nell'infanzia con suggestive candele poste su finestre e camini, donavano in quegli ambienti, soffuse curiosità, attenzioni ma anche attese. 

Gli anni portarono nelle spalle di Cormac, insegnamenti ma anche nuove conoscenze pronte a stravolgere il proprio credo e la realtà presente.

La società oramai era pronta a un cambiamento ma soprattutto ad un' apertura verso l'altro, il diverso, il mondo. Approdarono nuove tratte aeree, visioni, suoni e sembianze diverse.

Quel suo piccolo mondo e quei lineamenti chiari e lentigginosi, crollarono nel vuoto ed infinito che oltrepassava quella linea di confine. Cormac apprese che esisteva l'Altro che poi non era altro che sete di conoscenza, di ascolto e di luce. Tutto poneva cultura, tutto cadenzava un suono, tutto assaporava di novità. 

La vita apriva nuove visioni e nuove scoperte perché esistere è anche questo e non solo noi.

 

 


Id: 5754 Data: 10/08/2024 14:05:52