I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Pioveva. Un vento freddo e tagliente si consumava nello spazio già da qualche ora. Tutti gli abitanti del piccolo paese di montagna restavano al chiuso dentro le loro case con tazze fumanti davanti e le fiamme dei caminetti a tener loro compagnia.
Gli abitanti del paese erano per la maggior parte anziani, uomini con un trascorso da alpini nella migliore delle ipotesi; soldati sopravvissuti alla guerra nella peggiore.
Non avevano più nulla da chiedere alla vita, né alle proprie mogli, per chi si era sposato. C’era chi era orgoglioso della vita trascorsa, chi avrebbe voluto fare di più, chi l’avrebbe vissuta in tutta un’altra maniera.
L’antico comune sogno di voler cambiare il mondo aveva lasciato spazio a una calda malinconia; alla consapevolezza di aver sì messo tutto il cuore, ma che il mondo non era cambiato e non l’avrebbe fatto mai. « Quanto siamo piccoli in confronto all’universo, al tutto, alla natura » si ripetevano tra loro di tanto in tanto lasciando trasparire ricordi, lacrime, dolori e amori.
Quel giorno di forte maltempo, tuttavia, fu avvertito in maniera diversa e alquanto negativa dagli abitanti del paese. Era come se nell’aria insieme all’ossigeno si respirasse paura, inquietudine, ansia. Gli anziani, portatori di sani e nobili valori, uomini senza timore e servitori della Patria, quel giorno provarono paura, come mai la ebbero avvertita prima.
Non erano in compagnia, erano soli, ognuno a casa propria. Il tempo non permetteva alcun spostamento. Negli occhi di ciascuno di loro si presentavano davanti immagini su immagini, morti di vecchi compagni, fratelli; immagini nitide di morte come neanche la guerra sapeva offrire.
La pioggia colpiva i vetri delle finestre con sempre più veemenza, il vento sembrava trascinare via anche le emozioni.
I vecchi guerrieri osservavano ciò che stava accadendo inermi. Non riuscivano ad opporre neanche la più primitiva forma di resistenza. Quelli che inizialmente erano avvertiti come sentori di paura, ora erano manifesti attacchi d’ansia, di panico: chi piangeva, chi stringeva i pugni, chi osservava la propria pelle diventare sempre più tesa e ruvida, chi ancora taceva alle domande della moglie.
In quel giorno era come se tutti si fossero ritrovati a vivere gli anni giovanili con un corpo da vecchi. La potenza della Natura, manifesta nei suoi aspetti più oscuri e infimi, aveva suscitato nelle menti e nei cuori degli anziani emozioni e sensazioni proprie dell’epoca, lasciando tuttavia - ovviamente - la componente fisica consumata negli anni.
Appena sopra la chiesa, lungo una strada di sassi e erba, vi era la casa di uno dei più anziani abitanti del paese, il vecchio Umberto. L’uomo aveva combattuto in guerra e aveva più volte abbracciato la morte senza mai, per sua fortuna, ch’ella riuscisse a stringere forte la presa e non mollarlo più.
Viveva solo, la moglie era deceduta qualche anno prima e il suo unico figlio lo andava a trovare di rado.
La pioggia aveva cominciato a scendere meno forte e il vento si stava placando. Con una tazza di caffè fumante in una mano e un libro consunto nell’altra, il vecchio Umberto cercava di controllare la malinconia.
Bussarono alla porta, due rapidi colpi in successione. Umberto si alzò dalla poltrona e andò alla porta per aprire.
« Ciao nonno! » Una voce dolce, calda, sincera, si insinuò in casa trasmettendo allegria e pace.
« Marco! Che ci fai qui? Sei impazzito a uscire con questo tempo? » Umberto provò stupore misto a preoccupazione. Suo nipote Marco, di otto anni, era davanti a lui fradicio e sorridente.
« Non piove più come prima e il vento soffia più lentamente. Avevo voglia di vederti e di tenerti compagnia. Non deve essere affatto piacevole trascorrere una giornata chiusi in casa soli con l’inferno fuori e… probabilmente anche dentro ». Gli fece l’occhiolino e entrò in casa buttandosi sul pesante, ma morbido divano. Si tolse le scarpe, i pantaloni fradici, la giacca e si accoccolò nella ruvida coperta di lana.
« Oh, beh, effettivamente… ti ringrazio molto. Vuoi una tazza di cioccolata, magari anche con un po’ di panna, eh? »
Negli occhi e nel cuore del vecchio vi era entrata la luce. Un uomo, consumato dalla guerra, dilaniato dalla morte della moglie, stanco della vita e dal carattere burbero e solitario, si era lasciato invadere dall’amore e dalla semplicità del gesto del piccolo nipote. Probabilmente non se ne era neanche reso conto o se anche ne fosse stato consapevole certamente non l’avrebbe mai ammesso, soprattutto a se stesso.
« Oh, sì, grazie nonno! » Il sorriso con cui Marco pronunciò queste parole percorse l’intera anima del vecchio Umberto in una manciata di attimi e la sincerità delle parole del bambino andarono a colorare l’intera stanza; sembrò che i ritratti appesi alle pareti prendessero vita, come se in quella casa da tempo non si respirassero così tante emozioni.
Non si vedevano spesso Umberto e Marco e quando capitava l’incontro durava poco, giusto il tempo di scambiarsi due chiacchiere. Quel giorno si videro come non si erano mai visti prima, sarà stato per il tempo, per la malinconia, per la semplicità di un gesto lontanissimo dall’essere dovuto, ma fu un incontro tra anime, un amalgamarsi di sensazioni, un fluire di sorrisi e sguardi compiaciuti.
« La vuoi ascoltare una storia, Marco? »
« Una fiaba? Oh, sì, sì, sarebbe fantastico! »
Il vecchio gli prese le mani e le strinse nella sue, enormi e consumate dalle rughe. « Nella vita non conta ciò che raggiungi, ma il cammino che percorri per arrivare ai tuoi obiettivi. Non esiste arrivo ultimo al di fuori di quello che vuoi essere: sei tu il risultato di te stesso ». Sorrise e strinse più forti le mani. Guardò per un attimo fuori dalla finestra, per poi fissare gli occhi del nipote e con lacrime d’amore che scendevano in ogni parte del corpo cominciò « c’era una volta… »