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La casa sulla grotta IV Parte
Nancy
Il rumore di passi frettolosi sulle scale fece trasalire Amedeo, che immaginò una scena da film, dove lei, pentita di una decisone poco ponderata, e assalita dai sensi di colpa, prende il primo volo per Brindisi per raggiungere il suo amato, nella terra eletta a paradiso dei sogni. Silvia, Simona, o come diavolo si chiamava, quella della singola al primo piano, la ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi, ciabattava stringendo in mano una mappa, con un paio di sabot simili a quelli indossati da Nancy quando si occupava di giardinaggio insieme a lui e ad Angelo. “Amedeo, scusami, ho bisogno di un’informazione”, ti raggiungo io?” Angelo fece un cenno con la testa, come a ricordargli che dopotutto erano suoi ospiti e non poteva abbandonare completamente il b&b: avrebbe iniziato da solo il primo tracciato per il recinto, lo avrebbe aspettato per lo scavo. “Arrivo, giusto un attimo, Nen…cioè, Si…”non fece in tempo a pronunciare il suo nome che si trovò faccia a faccia con la sconosciuta ospite, l’unica ad avergli inviato la prenotazione tramite agenzia, con la quale non aveva ancora scambiato due chiacchiere. “Sonia, mi chiamo Sonia, scusa ma ho bisogno che mi aiuti ad organizzare un piano alternativo, mi pare che non sia una giornata da mare…dove mi consiglieresti di andare?” e gli sventolò uno dei depliant che erano all’ingresso a disposizione degli ospiti. Amedeo sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori, di quelli che irritavano terribilmente Nancy, perché lei, una volta, era anche gelosa, ricordava quasi fosse un elemento a favore di un suo possibile ritorno a casa. “Scendiamo nel patio, seguimi, ti mostro nel dettaglio l’itinerario consigliato via terra: le barche ovviamente oggi non partono, potresti aggregarti al gruppo di Milano, se non è già partito”, fece lui, sbrigativo. Fu sorpreso nel trovare il pc di Antonio ancora acceso e, mentre si congedava da Sonia, dopo averla affidata agli ospiti milanesi già in assetto di partenza zaino in spalla, si guardò intorno per scorgere la presenza di Antonio che generalmente per quell’ora era già uscito da un pezzo. Lo intravide tra gli alberi di limone, impegnato in una conversazione al cellulare. Non sapeva perché lo stesse facendo ma sollevò lo schermo e rimase impietrito, per un tempo che sembrò fermarsi in una specie di incantesimo, nel leggere una @ di Nancy : da Nancy Gironi@libero.it 14 giugno 2010
“Caro Antonio, questo è il mio primo articolo sul Musical Theatre News, non sai quanto ti sia grata per questa occasione, sono eccitata e spaventata insieme, ma felice come mai avrei immaginato. Ho ricevuto già discreti consensi, la redazione è soddisfatta e io ho scoperto di possedere un vero talento in questo settore giornalistico e questo lo devo a te, alle nostre lunghe chiacchierate su questo genere teatrale e a tutte le recensioni che mi hai fatto leggere in questi anni. Se anche il prossimo sarà considerato un buon articolo, mi confermeranno l’incarico con un contratto trimestrale rinnovabile e allora dovrò cercarmi una sistemazione definitiva a Londra. Peter è gentilissimo, ma non posso continuare a dividere la stanza con lui, anche perché sta diventando insopportabile: gli manchi, e manchi anche a me, quando ti fai vedere? Ti allego il video del musical e il testo della recensione: dimmi sinceramente cosa ne pensi e cerca di essere spietato, lo sai che i tuoi consigli sono preziosi per me. Ti lascio il mio nuovo numero di cellulare, inutile dirti che deve restare un segreto, non voglio essere reperibile. Come sta Amedeo? La storia della volpe come è andata a finire? I micini stanno guarendo? Ti prego di salutarmi Angelo, dagli tanti baciotti da parte mia. Chiamami appena puoi. Un abbraccio grande grande. Nancy”. Amedeo misurò la distanza tra lui e Antonio che, di spalle al patio, continuava a parlare nascosto tra gli alberi: in altre circostanze, lo avrebbe immaginato impegnato in una telefonata amorosa con qualche compagno occasionale, ora aveva la certezza che all’altro capo del telefono ci fosse Nancy. Rosso in viso e con le mani sudate, smanettò sulla posta elettronica, alla ricerca di ulteriori prove della comunicazione avviata tra i due nelle ultime settimane:
da Nancy Gironi@libero.it 30 maggio 2010 Ciao, bell’Antonio, sono appena arrivata a Roma, c’è un caldo afoso e già non vedo l’ora di prendere il volo per Londra. Mi fermerò giusto qualche ora, il tempo necessario a fare i bagagli e a raccontare ai miei l’evoluzione degli ultimi avvenimenti. Ti terrò aggiornato via @, mi sembra più prudente. Ora scappo, ci sentiamo domani. Baci baci
da Nancy Gironi@libero.it 31 maggio 2010 Sono a Londra, Peter è venuto a prendermi in aeroporto, è carino, sembra anche molto più giovane della sua età, non mi avevi detto dei suoi numerosi tatuaggi! Per ora divideremo la stanza, tanto non hai motivo di essere geloso : ) Domattina ho appuntamento con la redazione, prenderò la metro, anche se piove come Dio la manda…come sempre d’altronde! Amedeo ti ha chiesto nulla? Sei riuscito a sviare il discorso?Io sono sicura di aver scelto la situazione a me più congeniale in questo momento, anche se temo che Ami non ce la faccia da solo, convincilo tu a prendere un aiuto! Mia madre è rimasta malissimo quando le ho raccontato della mia decisione e teme una reazione spropositata di Amedeo, è convinta che possa venire a Roma a chiedere il supporto dei miei…in realtà, è quello che temo anch’io ma confido nel tuo intervento, amico mio. Mi attende una giornata faticosa, devo prepararmi per il colloquio di domani: ti aggiornerò appena posso. Una carezza ai miei micini, ad Argo, e un abbraccio immenso a te. Nancy.
Un tramestio di foglie lo avvisò della fine della telefonata di Antonio: fece in tempo a recuperare l’ultima @ da visualizzare e a riabbassare lo schermo del pc, fingendo di sfogliare un depliant di gite consigliate nel Salento. Simulò a se stesso una lucidità che non gli apparteneva più da qualche settimana e che si sarebbe trasformata da quel momento in un atteggiamento di propensione all’attività frenetica, di tipo compulsivo: “ ci vediamo tra qualche ora, Antò, ho appena chiamato un muratore che ci dia una mano, intanto raggiungo Angelo” e gli uscì un ghigno che ad Antonio sembrò uno spasmo di fatica fisica.
Id: 678 Data: 20/07/2010 17:40:04
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La casa sulla grotta III° Parte
III Parte
Antonio, Angelo e la coscienza di Amedeo
Come annunciato dalle previsioni meteo, le nuvole delle prime ore del giorno furono spazzate via dal soffio di un forte vento di tramontana che ritardò il risveglio degli ospiti, fornendo ad Amedeo l’opportunità di riallineare i suoi tempi.
Riuscì a concedersi il piacere di una sigaretta, camminando su e giù per il patio, cercando di raccogliere lentamente i suoi pensieri, mentre Antonio raggiungeva in fretta un angolo protetto dal vento, davanti al mare, con il pc sulle gambe e l’aria impegnata.
Amedeo indugiò a lungo lo sguardo su di lui: quel ragazzone alto e prestante, abbronzato estate e inverno, dagli occhi castani intensi ed un sorriso bianchissimo che sembrava rivolgere sempre a qualcuno, anche quando si trovava solo, come se fosse capace di elaborare pensieri esclusivamente positivi sul mondo, era proprio una bella persona.
E quel difetto di pronuncia, motivo di ironia da parte di molti, contribuiva a rendere sofisticate le sue conversazioni sui più svariati argomenti, senza mai eccedere in saccenza, suscitando una piacevole curiosità nei suoi interlocutori.
Manager di una grossa azienda pubblicitaria, con la passione per il teatro e il balletto, così bello e solare, deludeva ad ogni stagione le aspettative femminili di giovani e meno giovani ospiti del b&b.
Giù in paese lo conoscevano ormai da due anni, da quando un giorno, acquistato al mercatino del porto un grande cappello bianco a larghe tese, sotto lo sguardo ammirato delle ragazze del posto, con quell’aria da vip consapevole della propria seduttività, raggiunse al caffè Greco, locale assolutamente esclusivo della zona, un attempato signore che ebbe il torto di abbracciare e baciare pubblicamente sulla bocca con grande trasporto.
Fu scandalo e il definitivo crollo di un mito.
Antonio non apparteneva alla tipologia di omosessuali che ostentano gestualità e atteggiamenti femminili e pur tuttavia amava gli uomini senza risparmiarsi, e soprattutto senza nascondersi, visceralmente, in modo totale, spiazzante, centrifugo…e spesso i suoi compagni si erano dati davvero alla fuga!
Amedeo confessò a se stesso di aver provato all’inizio un senso di fastidio per questa sessualità così manifesta, in netto contrasto con la sua apparenza di "macho".
Molto presto però gli era riuscito facile, non solo accettare questo aspetto, ma addirittura apprezzarlo, al punto da averlo scelto come affabulatore d’eccezione nelle serate con amici e con gli ospiti del b&b.
Del resto, era anche un bel vantaggio potergli affidare Nancy in alcune specifiche incombenze per le quali si sentiva inadeguato, come quando lei fu costretta a prendere il primo volo per Roma perché aveva deciso improvvisamente di dare un esame.
Ricordò che l’estate prima, senza preavviso, trovò Nancy con il trolley nel patio che pretendeva un passaggio in aeroporto : " mi è arrivata una @ da una collega, è l’ultimo appello, il prossimo sarà a novembre, starò via un paio di giorni", dai Ami, non posso perderlo, devo fare in fretta a laurearmi, lo capisci vero?".
Il terrazzo era affollato dei primi ospiti della stagione, Amedeo lanciò uno sguardo supplice ad Antonio che era già pronto con le chiavi dell’auto in tasca.
Si, era davvero una bella persona, sempre disponibile, gli era davvero grato per la crostata della mattina, salvata per miracolo!
L’incontro con la volpe rossa aveva costretto Amedeo a fare i conti con i propri limiti e soprattutto con la mancata elaborazione della sua nuova condizione.
Numerosi erano i segnali ricevuti in quelle ultime ore, non poteva più ignorarli.
Primo avviso: la paternale di Angelo sul mancato avvertimento dell’avvistamento dell’animale, peraltro ferito: in questi casi, si chiama la guardia forestale, o la protezione animali, o anche solo un veterinario, in ogni caso si avvisa la comunità che c’è un potenziale pericolo per gli altri animali. E cosa aveva pensato in quel momento? Che non doveva dirlo a nessuno perché se la sarebbe dovuta cavare da solo!
Secondo avviso: Argo aveva provveduto da solo a garantire la sicurezza dei micini e della sua stessa vita. Lui era stato capace solo di concentrare tutta l’attenzione su una bestia investita, anche dopo essersi assicurato di non averla ammazzata e nemmeno ferita gravemente, perché mai non aveva pensato ai suoi animali? Il senso di colpa, esagerato ed infantile, aveva avuto la meglio sulla preoccupazione per l’incolumità dei suoi amici a quattro zampe.
E i gattini erano stati affidati alle sue cure dopotutto!
Terzo avviso: la fastidiosa abitudine di Antonio di curiosare in cucina si era trasformata in un prezioso intervento d’emergenza che gli aveva risparmiato un’ulteriore mortificazione.
Avrebbe dovuto interrogarsi sui motivi che gli impedivano di accettare l’aiuto, se pure non richiesto, di un ospite tra i suoi preferiti, quasi un amico fidato.
Una mano si fermò sulla sua spalla, proprio mentre, scuotendo la testa, si dava dell’idiota.
"Qui c’è un bel da fare, Amedè, ho chiamato l’Enpa, ci penseranno loro ad intervenire e a diramare la notizia: per la volpe, direi che non dobbiamo preoccuparci, se è arrivata al mio pollaio, vuol dire che sta bene. Ma per i nostri animali, dobbiamo fare qualcosa. Pietro ha già provveduto a rinforzare lo steccato giù da me, io comincerei a chiudere i gatti ed il cane in un recinto, che ne pensi?"
Amedeo finse un improvviso pragmatismo e con aria grave rispose "Certo, è esattamente quello che stavo pensando. Andiamo!".
Angelo sollevò gli occhi al cielo con un sorriso indulgente e beffardo e gli indicò il posto dove aveva temporaneamente sistemato i gattini, dopo aver loro somministrato la terapia antibiotica.
Amedeo non era ancora riuscito a conoscere la vera età di quest’uomo, alto, magro e asciutto come un albero secolare, con un passato degno di un vecchio centenario ma con una vitalità da trentenne.
Sapeva che aveva fatto il pescatore in gioventù, che era stato uno dei più prestanti tuffatori nella prestigiosa località del "Ciolo", dove ancora oggi giovani ardimentosi ( anche un po’ incoscienti ) si esibiscono in voli nelle acque cristalline della costa salentina da altezze davvero vertiginose;
che un giorno, stanco del mare, spinto dal desiderio di mettere pace tra la terra rocciosa e brulla e quella parte dell'Adriatico così pescoso, aveva acquistato per due soldi un appezzamento di terreno apparentemente infruttuoso da cui aveva ricavato un’oasi, utilizzando una tecnica che fu poi imitata dagli altri contadini del posto: sulla roccia degradante fino al mare erano sorte in breve vegetazioni destinate a caratterizzare la macchia mediterranea.
Viveva da solo, in una fattoria costruita con l’aiuto di suo cognato Pietro; nulla mai si seppe della moglie e dei figli, che pure aveva avuto, in un passato lontano.
Dal primo giorno dell’acquisto della casa, aveva dimostrato grande simpatia per quella coppia di giovani innamorati che aveva coraggiosamente deciso di avviare un’attività senza nulla saperne della fatica e dell’impegno che avrebbe rappresentato: in modo assolutamente non invadente, aveva assicurato tutta la sua disponibilità nell’avviamento, nella promozione del b&b e soprattutto nella manutenzione del verde, che avrebbe richiesto la sua grande competenza.
Nancy aveva una speciale ammirazione per quella specie di vecchio zio, quei solchi di rughe che improvvisamente si distendevano nei dolcissimi sorrisi che solo a lei destinava, le ricordavano l’affetto di suo nonno, scomparso ormai da tanto tempo.
Amedeo si sorprese a rivolgere a lei un pensiero d’amore, il primo forse da una settimana, e si diresse verso il capanno degli attrezzi, per raccogliere l’occorrente per il recinto, confortato dalla sollecita collaborazione dei suoi amici.
Id: 671 Data: 13/07/2010 10:20:59
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La casa sulla grotta II° Parte
Argo
Una delle incombenze più pesanti per un ristoratore che non disponga di un cambio turno è doversi svegliare prestissimo al mattino. In realtà, quella giornata era cominciata senza soluzione di continuità con la precedente, gli sembrava di non aver nemmeno sentito il canto del gallo ma la cosa non lo stupì più di tanto: viveva ormai in una dimensione surreale. Il suo primo pensiero inquieto, dopo una rapida doccia, fu rivolto ad Antonio, ospite fisso ormai da un paio d’anni, con l’odiosa abitudine di precederlo in cucina. Quell’appuntamento quotidiano che una volta condivideva piacevolmente con Nancy, ora stava diventando un fastidio: desiderava il silenzio, almeno fino ad un orario coerente con la sveglia di un soggiorno di vacanza. Dopo aver infornato il pane per la colazione e messo su il caffè, avviò la cottura della mitica crostata di fichi d’india nella pentola/forno che rappresentava il segreto successo dei suoi deliziosi dolci. Antonio quella mattina doveva aver deciso di abbandonarsi ad un sonno profondo, meglio così. Mentre passava in rassegna mentalmente tutte le cose da fare quella mattina, riconobbe il rumore della carriola del giardiniere e per un attimo pensò di aver dimenticato un appuntamento con lui. Il vecchio Angelo fece ingresso in cucina, senza bussare, passando direttamente dal patio, con espressione accigliata. Amedeo gli andò incontro con aria interrogativa ma lui lo fermò subito con un gesto della mano: “Amedè buongiorno, devo mostrarti subito una cosa, prima che si sveglino gli ospiti. Non sarà una bella vista, quindi preparati”. Gli porse un sacchetto di plastica e lui ci guardò dentro, allarmato. Quel che rimaneva di tre galline e un gallo offrivano uno spettacolo davvero inquietante. “ Mio Dio, la volpe rossa” e corse in giardino alla ricerca di Miou e Pastis, maledicendo la sua avventatezza, con il cuore in gola. Realizzò di non aver ancora visto Argo e che la visita di Angelo non era stata preannunciata dal suo latrato un po’ rauco ma pur sempre efficace. Incurante del disturbo che avrebbe potuto arrecare agli ospiti, cominciò a gridare con quanto fiato avesse: “ Argo, bello, vieni qui” e nel frattempo fece irruzione prima nel patio, poi nel capanno degli attrezzi, avvertendo il sangue pulsare progressivamente sempre più forte alle tempie. Dall’ingresso delle camere al piano seminterrato, udì la voce rinfrancata di Angelo: “ Scendi, Amedè, tranquillo!”. Davanti a noi, una scena degna di “Quattro bassotti per un danese” dove questa volta i cuccioli accuditi erano i due micini “incimurrati”: probabilmente Argo, avvertita la presenza della volpe, notte tempo li aveva condotti al sicuro al piano interrato, vegliando sul loro sonno. Rasserenato, commosso e divertito, Amedeo gestì l’insieme di queste emozioni, sprofondando pesantemente sulla sedia a dondolo con in braccio i mici e la zampona del cane fedele sul ginocchio. Angelo attendeva una spiegazione e lo costrinse ad affrontare il racconto di quanto gli era capitato la sera prima. Non lo interruppe durante l’intera narrazione ma, alla prima pausa, lo apostrofò: “ Lo capisci, Amedè, che non puoi fare tutto da solo?” cosa ne puoi sapere tu di animali predatori e di come velocemente può riprendersi una volpe da un investimento, con molta probabilità nemmeno tanto lesivo? Avevi il dovere di avvisarmi di avere individuato nelle vicinanze una tana con i cuccioli: è pur sempre un canide, con un forte istinto materno, oltre che di sopravvivenza, doveva certamente essere affamata e tu, con quel pezzo di carne, le hai solo offerto un aperitivo…”. Fu questa la frase che lo ridestò di colpo dai pensieri di autocommiserazione che generalmente producevano i discorsi sui suoi maldestri tentativi di sbrigarsela da sé. “Certo, certo, le ho offerto un aperitivo…e io che offro ai miei ospiti? aiutami Angelo, ti prego, sono le 8 e non ho ancora apparecchiato la tavola e…cavolo, il caffè, la crostata!” L’amico giardiniere si occupò dei micini e, seguito da Argo, risalì in giardino meditando sul da farsi. Amedeo intanto corse trafelato in cucina e, per la prima volta da qualche settimana, tirò un sospiro di sollievo nel trovare Antonio intento a girare la crostata, dopo aver bevuto una prima tazzina di quel caffè, “un po’ troppo forte”, ebbe a dire, “ma va benone stamattina, dopo il sonno profondo di questa notte” e sorrise con aria solidale e compiacente.
Id: 670 Data: 13/07/2010 10:19:35
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La casa sulla grotta I° Parte
E' la prima parte di un romanzo che dividerò in Parti , per agevolare la lettura. Mi piacerebbe ricevere critiche e suggerimenti. Attendo i vostri commenti. Grazie!
1° Parte
La volpe
Un'ultima salita da infarto e potè finalmente abbandonare la bicicletta sul selciato, sollevando un polverone che ricoprì disastrosamente le auto in sosta e corse verso la dispensa alla ricerca di un pezzo di carne, passando dal patio dove raccolse velocemente un telo da bagno.
Gli ospiti del B&B erano tutti in terrazzo, con lo sguardo rivolto verso il mare, rapiti dal tramonto rosso sull’orizzonte del golfo, intenti a sorseggiare l’ottimo vino della casa e a sgranocchiare i tarallini dell’aperitivo: nessuno fece caso ad Amedeo, in preda ad una crisi di affanno dopo una corsa da campionato.
Nella cesta degli attrezzi riuscì a trovare la torcia che gli era servita per stanare i gattini soccorsi sul ciglio della strada qualche settimana prima; si guardò intorno realizzando che il momento dell’ora blu avrebbe richiesto la sua solita cordiale partecipazione alle conversazioni e sperò che nessuno desse peso alla sua assenza.
Nancy l’aveva abbandonato proprio durante il tutto esaurito del locale, per rincorrere un obbiettivo improbabile, che annunciava la fine del loro sogno comune, infranto chissà da quanto tempo contro un muro di false aspettative di carriera.
Gli aveva lasciato un cane e due gattini che lei stessa si era offerta di curare da una seria forma di cimurro e, naturalmente, la pesante attività del B&B.
Amedeo amava molto quel posto, nato dalla fatica di un contadino/giardiniere, figura leggendaria, che era riuscito a domare quella natura selvaggia, realizzando sulla collina terrazzamenti coltivati a limone ed ulivi che degradavano fino al mare.
Durante un viaggio in barca a vela, cinque anni prima, lui e Nancy avevano attraccato in prossimità di una grotta lungo la costa di Otranto, attratti dalla rigogliosa macchia mediterranea che prometteva generose raccolte di capperi, origano e basilico: a bordo, era Amedeo che deliziava gli ospiti con primi piatti a base di pesce raffinatamente conditi con spezie di ogni specie.
Avevano percorso un sentiero strettissimo tra i muri a secco che si snodava sinuoso dal porticciolo attraverso rovi e sterpi fino ad una casa in pietra arroccata sulla collina, quasi completamente nascosta dalla fitta vegetazione: fu amore a prima vista.
Nel giro di pochi mesi decisero di chiudere l’attività della piccola azienda nella capitale e di abbandonare quella stagionale di skipper, per gettare definitivamente l’ancora delle loro vite nelle acque di quello splendido golfo.
Questi pensieri attraversarono la sua mente come in un flash back cinematografico, mentre inforcava la bici per ridiscendere a rotta di collo verso il cespuglio a valle dove l’attendeva un’opera di pronto soccorso da affrontare, questa volta, con l’aiuto dell’istinto e del buon senso.
La volpe era sempre lì, i suoi occhi lampeggiavano nella nuova oscurità di una prima tiepida sera di giugno: lo guardava attenta, traballando sulle zampe malferme che pure minacciavano balzi repentini, anche solo di ritirata e Amedeo non poteva concederle la fuga, questo lo sapeva con assoluta certezza.
Qualche minuto prima, di ritorno dal paese per la quotidiana scorta di pane e frise per la colazione del giorno dopo, aveva pensato di usare la bicicletta al posto del Doblò, e in questo vide un chiaro segno del destino: l’avrebbe uccisa di sicuro se quel giorno non avesse deciso di fare un po’ di moto.
Era abituato all’attraversamento di piccoli animali sui sentieri dei pescatori e tante volte aveva schivato porcospini, tartarughe e gatti selvatici ma quel tardo pomeriggio, forse un bicchiere di vino in più misto a quella sorta di bolo che non riusciva a mandar giù nel fornire spiegazioni della mancanza di Nancy agli ospiti più indelicati, gli aveva come intorpidito il cervello e…semplicemente non l’aveva vista!
Non riusciva a spiegare come fosse riuscito a tenersi in sella, dopo aver avvertito qualcosa sotto le ruote, frenò e fu allora che gli parve di sentire un guaito; si avvicinò ad un cespuglio ma non gli sembrò di vedere nulla, poi ad un tratto percepì dei tramestii provenienti dall’interno di una piccola cava nella roccia e fu allora che comprese di trovarsi di fronte ad una tana di volpe: tre cucciolotti indietreggiavano smarriti cercando disperatamente la madre.
Si guardò alle spalle e incontrò per un attimo lo sguardo della bestia ferita che scomparve lasciando un rivolo di sangue tra le foglie secche.
Ora, nonostante la fragorosa sgommata e la concitazione dei movimenti, quei piccoli fari nella semi oscurità gli confermavano che lo aveva aspettato, sempre in assetto di difesa, ma era lì!
Posò il telo e la carne sul tappeto di foglie e indietreggiò un poco, guardingo.
Per qualche minuto che gli parve interminabile, attese sperando in un’improbabile fiducia dell’animale nell’uomo e ad un tratto si accorse che la bestia, fiutando per terra, zoppicando, si avvicinava a lui: rimase immobile, paralizzato dall’emozione di quell’incontro, ma ne restò presto deluso.
La volpe, afferrato il pezzo di carne, con un balzo fu dentro la tana e calò il sipario dell’oscurità sull’improduttivo tentativo di soccorso di Amedeo.
Al ritorno, gli ospiti del B&B erano ormai rientrati nelle stanze, a godere degli ultimi preziosi attimi di ozio, dopo un’intera giornata passata all’aria aperta, prima di affrontare i clamori della dancing night.
Amedeo quella notte la passò sveglio, assediato da pensieri deliranti.
Id: 669 Data: 13/07/2010 10:16:30
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Il profumo
Non lo facevo più da quando avevo nove anni. Era rimasto un pensiero affondato nei ricordi come una caramella avvolta in un sacchetto al profumo di frutta e liquirizia. Il medico ha parlato chiaro:per guarire dalla mia “malattia”, occorre ripercorrere le tracce del passato e riconnettersi con l'infanzia, ritrovare memorie rimosse e prendersi cura del bambino che è in noi. Entro nell'androne buio di quest'albergo inospitale e il tanfo di muffa e grasso di macchina si sovrappone alle percezioni olfattive del mio corpo che da mesi mi ossessionano. Riconosco il corrimano della scala elicoidale e ricostruisco mentalmente il sonoro di una scena di gemiti e subito dopo di urla lontane in un coro tragico proveniente dall’attico. E il suono di una sirena che spalanca le porte di una serenità domestica, relegando in un angolo buio la mia infanzia e la dimora avita, per sempre, ad usurai. Ero molto legata a mia nonna, la sua casa aveva rappresentato per un decennio un porto sicuro per tutti i suoi otto figli e i venti nipoti che spesso tutti insieme allietavano la sua tavola. Tra i vapori della cucina e l’odore del pane fresco appena sfornato, il nonno riusciva a mantenere un burbero silenzio tra gli esuberanti nipoti e le querule figlie ma mai era riuscito a sottrarsi al sorriso di quella dolce e paziente moglie. Ed ecco riaffiorare nitido un altro ricordo olfattivo, una ghiotta pietanza che avevo dimenticato e che mi conduceva con immediatezza nei boschi della foresta umbra: le fettuccine al tartufo e funghi nella cui preparazione c’era più che un contributo infantile, visto che collaboravo fattivamente alla raccolta della materia prima, accettando di buon grado le dure sveglie alle prime luci dell’alba. Erano magiche quelle levate, tra le lenzuola dei nonni profumate di lavanda e tabacco, ristorate subito dopo dalle sensazioni stimolate dalla nebbia e dai colori del bosco ancora dormiente. E al ritorno, sul marciapiede del corso principale, in prossimità del portone della casa padronale, c’era sempre un ragazzotto che mi porgeva un mazzetto di gerani selvatici e un foglio di giornale pieno di semini di lupino, sotto lo sguardo poco compiacente di mio nonno, seguito dal ruvido commento a proposito della mia giovane età. Il giovanotto dei fiori era il mio primo spasimante. La nonna mi aspettava nel suo vestito a fiori bianchi e blu e la collana di perle, pronta per andare alla messa ed ero felice di accompagnarla insieme alle sue amiche, disposta a condividere le chiacchiere, nel torpore del sonno. Lo stesso torpore, luogo non luogo di totale annullamento delle sensazioni, che mi accolse all’arrivo della barella, quel pomeriggio, in quell’androne che sapeva di fumo di pipa e di sughi buoni, di beatitudine e di armonia. La radio trasmetteva la notizia della morte di papa Giovanni XXIII e forse non fu solo una fantasia infantile l’immagine del papa buono mano per mano con mia nonna in volo verso il paradiso. Paradise, il nome di questo albergo pidocchioso in cui mi addentro ora per dare un nome alla mia ossessione: questa mattina ho avuto l’impressione che la mia pelle morta, nonostante la ricca doccia e l’aspersione esagerata di profumo, emanasse un odore anche peggiore del solito. Porcherie maleodoranti si insinuano sotto pelle, senza che possa farci nulla. Solo io ne avverto la sensazione sgradevole, sono stata contaminata in qualche modo ma nessun medico è interessato a curare le malattie non visibili né riconoscibili, malattie…orfane, così le chiamano i testi scientifici. Forse è plausibile che siano le mie narici le responsabili di ingannevoli percezioni ma perchè solo su di me? Inizio a salire gli scalcagnati gradini e il senso di rancido e di vecchio sembra come scollarsi dalle pareti fino a cadere ai miei piedi, sotto forma di fuliggine e poi di cenere e polvere bianca e un colpo di vento, infilatosi all’improvviso attraverso il portone e per la tromba delle scale, spazza via in un vortice il tanfo estraneo alla memoria di questa amata casa. Mi annuso, istintivamente, il mio odore è sempre lì! Maledico il mio medico, ma del resto, cosa mi aspettavo? Un miracolo? Non mi sono rivolta mica ad un mago o un santone. Inforco la bici e mi immergo nel traffico cittadino ma già al primo semaforo, ho una prima sensazione di “riappropriazione”: c’è una bancarella, all’angolo della strada che vende lupini, castagne, frutta secca e…funghi. Mi fermo inaspettatamente per acquistare un cartoccio di frutta secca e un chilo di cardoncelli e mi riavvio pedalando con il naso colmo di profumi della terra. Marco mi aspetta a casa per pranzo, spero che non abbia cucinato la solita orata all’acqua pazza. Mi accoglie invece un’ondata di vapori di incenso indiano e una fitta nebbia comincia a diradarsi attraverso il corridoio fino alla stanza da bagno. “ Amore, ti ho preparato un bel bagno con dei sali al sandalo che mi ha consigliato l’erborista”. Poso sul tavolo gli involucri della spesa e per la prima volta dopo mesi lo abbraccio senza esitazione, e soprattutto senza chiedergli rassicurazione sull’odore della mia pelle. Lo spingo con risolutezza verso la cucina e mentre lavo con cura i funghi, rispondo alle sue domande sull’esito del mio “esperimento”.
“Senti quest’odore di terra? Ecco, il mio profumo è lì, lo avevo perso, e nei pori della sua assenza avevano preso posto tutte le scorie degli altri, che non mi appartengono e che non posso riconoscere che sotto forma di cattivo odore. Ho ritrovato le mie radici, Marco, sono guarita, senti come profuma la mia pelle”.
Id: 437 Data: 03/10/2009 17:11:15
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Unestate torrida
Si preannunciava un’estate molto torrida, non perché l’avessero prevista i metereologi ma perchè l’eccezionale invasione di cavallette a maggio era sicuro preludio di siccità. A me non dispiaceva vederne così tante, a gruppi ordinati, come in assetto di guerra, fantasticavo che fossero squadroni di Ortotteri venuti a salvare il pianeta! Mia sorella un po’ meno, per quella sua a me ben nota idiosincrasia per tutto ciò che vola e che risulta inafferrabile… Ogni mattina, da che era finita la scuola, facevamo colazione in veranda, sotto il pergolato costruito dal nonno per far crescere la profumata vite portoghese e quella per me era un’occasione di divertimento un po’ sadico: Sandra saltellava da una sedia all’altra lasciando cadere briciole di torta che attiravano ancor di più i simpatici Ortotteri e io, fingendo di averne uno tra le dita, la rincorrevo suscitando deliziosi risolini di complicità da parte dei miei fratellini. Se è vero che c’è una giustizia a questo mondo, con me avrebbe cominciato a manifestarsi presto: aspettavamo da giorni l’arrivo dei cugini di Milano e proprio mentre raggiungevo mia sorella con la mano libera, decisa a portare compimento la mia inutile crudeltà infantile, squillò il telefono dall’interno della villa:” Pront…o?” mamma aveva le mani impastate di farina e uova e provò a passare la cornetta a Mario che invece la lasciò cadere penzoloni dal muro fino quasi al pavimento. Chinata a squadra per continuare la conversazione, mamma sembrava un medico che auscultasse un piccolo paziente, l’orecchio poggiato sul cuore, senza uso di mani ” Vi aspettavamo ieri, cosa è successo? Ah, prendete il treno delle 22? Davvero? C’è anche Alfio con voi! Non doveva partire per Londra? Cosa? Bè, è andata bene, dopo tutto. D’accordo, domattina veniamo a prendervi in stazione”. Un tuffo al cuore, panico, smarrimento, e la vana speranza di aver intercettato male gli interrogativi telefonici, d’altra parte ero in veranda, tra le proteste di mia sorella e gli urletti di approvazione dei gemelli… Mamma aveva tolto il grembiule e si era precipitata in giardino:” ragazzi, arrivano stasera, e c’è anche Alfio” e il suo sguardo di vaga apprensione incrociò il mio, disperato! Provai a replicare che non c’erano altri posti letto disponibili in casa, che forse sarebbe stato opportuno che io andassi a dormire da Monica, così potevamo iniziare a fare i compiti per le vacanze, che dopotutto avevo 12 anni e mio cugino era ormai un adolescente e che non mi andava di vederlo in mutande tutto il giorno, che……mamma interruppe questa sequela di goffi argomenti, annunciando placidamente che Mario e Marco avrebbero diviso la stanza con Alfio e io e Sandra con le cugine, come d’altronde già deciso. E, indovinando una possibile obiezione da parte mia, aggiunse che papà avrebbe recuperato un’altra brandina dalla casa al mare e, risolto questo problema di carattere logistico, dava la sua benedizione a queste magnifiche settimane di vacanza tutti insieme. Mio cugino mi aveva dato il tormento per tutta l’infanzia, con scherzi di una tale crudeltà che per anni ero stata costretta a dormire nel lettone con i miei genitori: chiudermi per ore nel capanno degli attrezzi, con il soffitto letteralmente tappezzato di gechi, al buio e con un’unica lama di luce attraverso un buco di finestrino, quel tanto che mi permetteva di intravedere i loro guizzanti movimenti sopra la mia testa, era stata la sua bravata per me più devastante, degna di un film di Alfred Hitchock. Provai a riflettere che tutti crescono, magari migliorano, diventati adulti, per questi gesti così stupidamente malvagi potrebbero arrivare a vergognarsi, ad avere rimorsi, sensi di colpa, ma non riuscivo a tranquillizzarmi. Per tutto il pranzo restai muta, sotto lo sguardo indagatore di Sandra, mentre i gemelli assorbivano le attenzioni dei miei, sempre così riottosi e lenti nel mangiare. “E’ per la storia dei gechi?” sussurrò mia sorella, più piccola di tre anni ma sicuramente più saggia e comprensiva di me in quella circostanza. Annuii, sentendomi tremendamente in colpa, assolutamente non meritevole di queste sincere apprensioni, e cercai la sua mano sotto il tavolo. “Non ti preoccupare, siamo in maggioranza” e mi rivolse un sorriso di complicità. Non so se sia stata colpa dell’afa ma quella notte mi svegliai ripetutamente, madida di sudore, e tutte le volte incontravo gli occhi assonnati e rassicuranti di Sandra. “Forza, giù dal letto, fra mezz’ora arriva il treno, si va tutti a prendere i cugini”, papà sollevò il lenzuolo con vigore e mi accorsi che altri quattro paia di occhi attendevano il mio risveglio. L’aria era profumata di gelsi e glicine, quanto amavo quel giardino…ma il ricordo del capanno, del buio e di tutto quello che aveva comportato, per un periodo che a me sembrava lunghissimo, aveva come annullato la mia capacità di compenetrarmi nel mondo dove ero nata e cresciuta...ti odio, Alfio, mi sorpresi a pensare. Nel piazzale della stazione scorsi subito gli zii e poi, in successione, Michela, Daniela e, sorretto da un bastone, con un gesso che partiva dal piede e finiva all’inguine, mio cugino, con un’aria falsamente sorniona che della spavalderia di un tempo non conservava nemmeno l’ombra, anzi, a ben pensarci, era lui a sembrare l’ombra di se stesso! Istintivamente io e Sandra, dopo aver abbracciato tutti con gioia, ci avvicinammo all’infortunato ( caduta dalla moto, scoprimmo subito ) e lo accompagnammo all’auto, chiacchiericciando di amenità. Forza della compassione tutta femminile, sacrosanto desiderio di rivalsa, non so cosa fu a produrre un cambiamento così repentino: scoprii quell’estate il potere del perdono e una capacità di indulgenza che forse serviva sopratutto a me per assolvermi da una colpa simile a quella commessa da Alfio anni prima. Qualcuno un giorno mi spiegherà perchè mai i bambini riescano ad essere così cattivi da carnefici e così docili da vittime e perchè da adulti preferiscano sotterrare il ricordo di quanto commesso, utilizzando il comodo strumento della rimozione. Quasi tutti i bambini rispettano questa regola, quasi tutti gli adulti seguono tale modalità. Eravamo in giardino ad ascoltare l’ultimo disco di Battisti quando all’improvviso avvicinai la mia sedia a quella di Alfio e presi a disegnare sul suo gesso fiori, animali e cose, con abilità e precisione, sotto lo sguardo divertito di lui, finchè su quello sfondo bianco in corrispondenza del suo piede comparve l’immagine di un enorme geco con la bocca socchiusa. Si accigliò e fece per scostarsi e Mario, correndo dietro ad una palla, ma sempre vigile ed attento ed inconsapevolmente complice, indicando il mio disegno, esordì: “ma quello è un dinosauro, che brutto, perchè lo dedichi ad Alfio?”. Non fu possibile a nessuno dei due ignorare che quella era l’occasione per un chiarimento ed una confessione e fui sorpresa di sentire: “ Scusami, so di averti fatto del male” e ancora più sbalordita nell’ascoltarmi rispondere: “ Scusami per avertelo ricordato ma penso che sia l’unico modo per superare il trauma”. Furono serate di racconti, di chitarrate e di scambi di pensieri. Alla fine dell’estate, le cavallette si ritirarono in buon ordine, nessuno le ha mai più viste e, con loro, via per sempre anche gli incubi notturni, i rimorsi e le ombre.
Id: 359 Data: 24/04/2009 14:41:58
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