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Conforto
All’alba. Seduta su una panchina aspetto.
Aspetto che la montagna del mirto venga verso di me a consolare le ferite dell’anima.
Intirizzita ed estenuata dalla lunga attesa, il mio sguardo è richiamato da una voce ringhiosa che fa tremare i vetri della finestra di una casa, che spunta a gran forza tra i rami robusti che coronano i suoi muri.
La voce prende la forma di una donna scapigliata, che dimena le sue scarne ed ossute braccia a mò di danza tra il macabro e il ridicolo.
Il movimento del suo corpo, come un magnete, induce i miei piedi a bat-
tere passi sordi e pesanti sul marciapiede di ghiaccio.
-Le ferite che il mare scava nelle rocce, ma che gli occhi non vogliono vedere, hanno appesantito le tue membra.- E una bocca spalancata mi am-
monisce dalla finestra.
Apro gli occhi di soprassalto con l’eco della risata.
Mi scuoto, oltrepasso con lo sguardo la finestra, e la montagna del mirto mi sovrasta.
- I sogni ci indicano la strada per dragare il fondo della nostra anima e richiudere le ferite.-, bisbiglio ancora stordita dalla risata maligna.
Frastornata e dubbiosa mi ritrovo sotto la doccia, miscelo l’acqua e rigenero il corpo, affaticato da una notte violenta, e l’anima antica ritrova
la sua voce.
-La cenere consola, e scioglie la brina del tempo.- , mormora l’anima alla giovane ribelle, che ha morso i lacci della ragione.
L’orologio batte il tempo. Apro l’armadio e scelgo gli abiti che indossero’ in questa mattina gelida e amara.
La tenda verde della camera da letto apre uno squarcio sul mondo: giallo oro, rosso amaranto, verde muschio. Un fiore rosa di geranio, tra le foglie
ingiallite si affaccia timidamente, prima del silenzio invernale.
Scalza assaporo il tepore del rovere e strofino la guancia sul pelo spettinato del mio gatto, goloso e solitario. Una foto di un salotto stile shabby, appare da una rivista che il gatto sta mordicchiando come se fosse
una preda inaspettata.
-Cuori, piccoli, grandi cuori .- E l’anima è in tempesta.
Vado in cucina e mi preparo una tisana. La borsa rossa, dalla panca di legno, mi ricorda che la giornata di lavoro è in attesa.
Indugio, qualcosa mi frena a recitare il solito noioso rituale. Mi siedo svogliatamente e aspetto .
Ho depositato sul mio cuore un sasso pesante.
Fuori il vento piega i rami dei platani e la neve fresca ne sfoca i contorni: qualcosa che contiene in sé la promessa di un altrove lontano, di una rivela
zione imminente, che invece non accade e si dissolve nel nulla: storie fi-
nite male!
Sono venuta per farti cantare ed io cantare con te. E tu? Mi hai dato il ruolo di madre. Madre?
Neanche quando sarà caduto l’ultimo capello ed io con lui, ti farei da madre. Il tuo farfugliare non m’ incanta.
Un groppo mi sale alla gola, e rivedo la montagna del mirto, che nel sogno
aspettavo venisse versodi me.
Che stupida illusione, le montagne si scalano, mormorando con ironia, lascio la borsa di lavoro sulla panca: oggi trasgredisco!
Esco, e raffiche di neve avvolgono il mio corpo con prepotenza.
Cammino, sommersa dalle onde di ghiaccio di un cielo in movimento: un
insieme austero e nordico.
Un vortice spettacolare di luce bianca, strada bianca, cielo bianco.
Procedo lentamente, concentrata sui miei passi, affiancata dal profilo
scintillante di neve liquida sui rami spogli.
Un benessere lieve si impossessa di me, con soavità mi accompagno in questa passeggiata sconfinata nella mia solitudine. Giungo alla stazione ferroviaria, deserta e grigia.
Operai infreddoliti tentano di aprire un varco sui binari colmi di neve.
Chiusa nel mio cappotto rosso corallo, mi siedo sulla panchina arrugginita e aspetto.
Un uomo alto e robusto dallo sguardo vigile e attento, con occhi di un verde intenso, si avvicina con discrezione e, facendo leva sulla mia curiosità, si siede accanto a me.
L’assurdità della situazione si mescola con una tensione familiare e calda. La neve è svanita e un sole sbiadito buca le nuvole.
L’intruso cortese volge lo sguardo verso di me e con un sorriso aperto su un volto bruno, mi bisbiglia:
-Niente cambia mai davvero in amore. Anziché andarsene dove bisogna inventarlo e reinventarlo, senza sapere se i suoi sforzi saranno quelli giusti,
inventi parole per il suo cuore silenzioso.-
Esiste un amore intelligente, fatto di scelte intelligenti. E poi esiste un altro amore, che crea scompiglio: è come un’ossessione. È quello, solo quello,
che tutti considerano prezioso, e che almeno una volta nella vita vogliono vivere, per sentirsi travolti da una valanga di emozioni e falsità .
Ci fu silenzio: un incantesimo immobile e lunare.
Mi sfiora la mano, un soffio di vitalità, e si allontana con passo risoluto, abbottonato nel suo palto’ scuro.
Mi guardo intorno, la stazione si riempie di pendolari, invecchiati da ore e ore trascorse sui treni affollati, e mi accorgo che imbrunisce.
Riprendo la via del ritorno, nell’aria rarefatta, in cui il vociare del traffico prende corpo con un indulgenza, o quasi una voglia di ridere.
Incomincio a sentirmi felice . Che gioia essere sola. Vedere le prime luci accendersi nelle case,e i rami proiettare le loro ombre scarne sui marciapie-
di e sentire dal retrobottega di un piccolo negozio un suono melodico e struggente.
Arrivo a casa. Scatta un pericolo, ogni volta che entro. È il pericolo di
guardare la mia vita con occhi che non siano i miei, di essere accolta da un groviglio di immagini e parole fantasma, da accuse senza fondamento.
Un ronzio si avvicina alle mie orecchie…gli antenati sussurrano parole incomprensibili, spettegolano tra loro con sibilanti bisbigli.
La storia, la mia storia parla attraverso i quadri appesi alle pareti, i libri negli scaffali, le fotografie sparse sulle mensole.
Accendo la luce e la mia casa rinnovata mi accoglie calda e benevola: qualcosa e’ cambiato.
Occhi di gatto
Entrò nella mia vita come un temporale dalla finestra socchiusa. Lo guardai sprezzante: ondeggiava con la sciarpa di mia nonna, ispida e piena
di nodi, sul parquet polveroso e sconnesso.
Che strano, è entrato nella mia vita da una finestra con gli occhi che parevano fuoco lampeggiante senza chiedere permesso, e si è preso in af-
fitto la mia intimita’.
Questo gatto nero ordisce il mio stesso filato ma non può parlare.
Io ne spreco tante : gomitoli di parole.
Lo guardo come fosse una sfinge, abbandonata sulla sedia a dondolo, in fondo al corridoio. In penombra, lo guardo.
Nello stesso recinto maciniamo le ore del giorno : io anima , lui corpo.
Lui gioca con i miei gomitoli. Li rincorre, li mordicchia.
Lascio sciogliere le idee che rotolano in silenzio sul parquet, in attesa di un nuovo temporale. E mi addormento.
Lui approfitta del mio non essere e si adagia , premendo ostinato sul ventre .
Partorisco sensazioni amare e dolenti . Gocce di pioggia scorrono sul mio volto. Apro gli occhi e lo cerco con lo sguardo : sparito.
Lo sconforto scivola nelle mie vene.
Dall’angolo della porta spunta il tacco di una scarpa : le mie décolleté viola!. Le infilo ed esco in vestaglia. Calpesto il sentiero di terra rossa e mi
guardo : sono buffa in vestaglia con le décolleté. “ Sono vestita di novità." mi sussurro.
Ma cos’è questo solletico ai piedi, che sale verso le gambe, fascia le cosce, invade l’inguine ?
È lui , è ritornato e si fa sentire!
L’osservo piena di dubbi e mi accorgo che non ha la coda. Un gatto senza coda? Dove sarà finita in una trappola per volpi o è stata tranciata
in una lotta tra antagonisti ?
Pensierosa vagabondo nel vicino e affollato mercato delle spezie. Quando dalla tasca quadrettata della vestaglia, spunta come un serpentello ubriaco
la coda del gatto.
Impertinente mi bisbiglia: “Non voglio piu’ essere il solito animale , voglio diventar farfalla! “
E ripetendo a mo’ di cantilena la frase rivelatrice si mimetizza nei cesti di coriandolo.
Frastornata riprendo a piedi scalzi la via di casa, mi soffocano le decolletè , e pesto le foglie di platano appassite.
Ripercorro il viottolo familiare, dove dimora il timo selvatico e accompagnata dal suo odore penetrante ed insistente, spingo a fatica l’uscio di castagno.
Nell’oscurità come una sonnambula cerco a tastoni la sedia a dondolo e sul vimini invecchiato mi distendo, in attesa della notte riparatrice.
Il respiro, caldo e sottile, lentamente come l’alta marea nelle sere afose di fine agosto ricopre sabbie sfinite dal tramestio di bagnanti frenetici, si impossessa delle mie membra.
“ Rami copiosi su ruvide cortecce , ritagliano volti ramati tra rivoli di resina, al riposar del sole.
E tra le rovine dell’ anima , con affanno il respiro ritrova la via ruminando il passato.
Resta ramaglia ad ogni intimo rintocco.
Scrivo e mi conosco , vago fra trasparenze di immagini intrecciate, lungo il fiume dell’incontro con me stessa. Le parole scivolano sull'acqua ed in silenzio tornano a me.
Sulla pietra liscia costellazioni di segni mi narrano.
Scrivo con una mano sul tronco di un immaginario albero e gli occhi sulle radici, come se volessi concentrarmi là dove tutto nasce e si rinnova.
La linfa pulsante mi suggerisce di non essere impaziente e di ascoltare le inquietudini del cuore.
Scrivo e respiro , con le minute parole registro note sul rigo vuoto di uno spartito dimenticato ed il rumore dei pensieri si trasforma in melodia."
Scrivo di getto queste righe e, ad un tratto, una luce fissa e pungente attira il mio sguardo insonnolito. Apro gli occhi : i gomitoli di lana mi osservano ironici con pupille di gatto.
Racconto classificato al 2° posto del premio Internazionale "Antica
Pyrgos", sez. Racconti , Lanuvio (Roma) 18 ottobre 2020