I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Introduzione ad un discorso di filosofia e poesia
Il fascino misterioso che è suggerito dal nome libertà distingue e separa radicalmente la vita dell'uomo dal resto del mondo “ naturale”.
Certamente anche la persona umana è pienamente inserita e coinvolta nel mondo naturale: ne condivide gli elementi costitutivi e ad esso è legata con vincoli indissolubili.
Ciascuno di noi è inoltre legato con una infinita rete di fili alla comunità, al contesto sociale in cui è nato e vive.
Tuttavia al di là di questi legami, di questi condizionamenti abbiamo profonda la convinzione e la esigenza di uno spazio interiore di libertà, di responsabilità, di capacità di progettare la nostra vita.
La libertà non si vede, non si misura con gli strumenti della verifica scientifica ma nemmeno con le rigide regole della logica.
Però non avrebbe senso parlare di responsabilità, di dovere, di creatività, di impegno nella progettualità se non avessimo una insopprimibile convinzione che non tutto è già deciso dalla nostra natura fisico-biologica, non ogni nostra scelta deriva esclusivamente dai condizionamenti sociali, non ogni nostra parola, non ogni nostra produzione culturale , artistica è esclusivamente il risultato delle regole, della grammatica, dei canoni, delle correnti.
Il sottile vento della libertà che avvolge alla radice il nostro vivere, è la fonte di quei momenti di felicità per cui vale appunto la pena di vivere; nello stesso tempo alimenta quell'inquietudine, quell'angoscia che ci deriva dal senso di responsabilità che proviamo quando siamo soli nella scelta di ciò che riguarda non esclusivamente il nostro personale e individuale esistere ma anche le condizioni di vita di chi ci circonda, dalla più stretta cerchia familiare sino alla globalità degli uomini e anche della natura.
Sin dal sorgere delle prime comunità umane sono stati definiti codici, leggi, tribunali e condanne per i trasgressori di cui evidentemente si presupponeva la responsabilità e cioè la libertà di scegliere e di comportarsi.
Molte religioni, e soprattutto la religione cristiana . parlano di una vita dopo la morte dove il destino dei giusti è radicalmente diverso da quello dei malvagi: anche in questo caso il presupposto della salvezza o della
condanna è il “libero arbitrio”.
Nella vita sociale sono sempre state elaborare regole, leggi, strutture autoritarie per garantire la convivenza o i privilegi dei potenti; costante nella storia dei popoli è stata anche la rivendicazione di spazi di autonomia, di libertà per i singoli, per le comunità sociali.
La libertà insomma è radicalmente legata al destino alla vita dell'uomo ed è quell'orizzonte in cui convivono i nostri progetti, le nostre speranze, la nostra precaria felicità e dall'altra parte le nostre paure, le violenze, le angosce.
Libertà e poesia sono concetti interdipendenti in quanto l'uno condizione dell'altro: non esiste poesia dove non regna la parola in libertà, anche e specialmente quando la si costringa in gabbie metriche e strutturali, per la sua intrinseca natura creativa che raggiunge i vertici più elevati proprio quando le catene formali ne limitano una produzione più spontanea, che a volte può essere perfino eccessiva, ridondante; quante volte il poeta, dopo una prima stesura di un'opera, la cosiddetta scrittura di getto, ricorre ad un attento lavoro di lima per estrarre il cuore del suo messaggio, quella linfa che spesso è diluita in una liquidità meno significativa, meno densa di comunicazione poetica? Come un cercatore d'oro, un cavaliere alla ricerca del Gral, nella tensione del suo cercare il poeta coltiva il suo sogno, in un cammino senza fine perché nessuna poesia dirà mai tutto compiutamente, ma quel percorso conta più della meta...
D'altra parte, se, come si ricava dalla premessa filosofica, libertà è quell'insieme di valori che danno senso e colore al nostro destino, alla nostra storia, essa non può prescindere da una primordiale esigenza di comunicazione all'interno contesto umano, mediante quei segni, quei suoni, che sembrano fare dell'uomo un tutt'uno con la natura, il mondo degli affetti, del quotidiano, dei suoi sentimenti più profondi e rimossi... quelle misteriose armonie che lo mettono in sintonia con se stesso, come la poesia magicamente sa creare...
Difficilmente, dunque, i vari ambiti in cui si declina la libertà in termini filosofici si possono esaminare separatamente nell'espressione poetica, dato che tutti più o meno si assommano in una sintesi in cui tutto è già lì, presente e in cammino verso il tesoro nascosto di ogni lettore; ciononostante le poesie e gli autori proposti verranno esaminati mettendo in evidenza alcuni aspetti dominanti, senza però pretendere di esaurire la totalità delle possibili interpretazioni.
“ Ah, la guerra è ben diversa dalle imprese cavalleresche che si leggono nei libri e nei racconti dei moderni gazzettieri! La guerra è sopruso ridotto a diritto; è il trapasso e la distruzione di ogni proprietà; è il soffocamento di ogni compassione; è quanto di più barbaro si può ideare! Solo un incosciente può gridare ' Viva la guerra'” ( 7 novembre 1917)
Così scrive nel suo diario don Eugenio Bertolissi, parroco di Morsano ( un piccolo paese nella pianura immediatamente a ovest del fiume Tagliamento) che racconta l' anno di invasione e occupazione austroungarica dopo la disfatta di Caporetto.
Il documento originale manoscritto è conservato nell'archivio diocesano di Pordenone.
La guerra è vista con gli occhi e con le sofferenze concrete delle persone rimaste in paese; le autorità locali, i possidenti, i professionisti erano fuggiti; il parroco era rimasto con i contadini, con coloro che non avevano mezzi e risorse per cercare altrove una casa, un sostentamento.
“ Ieri sera una pattuglia a baionetta innestata faceva uscire dalle loro case S. Francesco, S. Silvestro, P. Pietro e V. Giordano e li relegava in una stanza dove passarono tutta la notte piantonati da una sentinella. Nel frattempo venivano saccheggiate le loro abitazioni”. ( 7 novembre 1917)
“ La giornata si inizia con una delle solite disgrazie: il fanciullo N. Angelo , uscito di casa raccoglie lungo un fosso un petardo; ad un tratto l'ordigno esplode mandando letteralmente a pezzi quel povero corpicino. Povere vittime innocenti di una guerra fatale.” ( 9 novembre 1917)
Le vittime sono persone individuate con nome e cognome, i drammi soni personali, la causa generale però è la guerra.
La consapevolezza della situazione globale e della vastità della tragedia emerge dal colloquio del nostro parroco con il cappellano militare delle truppe austriache. ( 7 novembre )
Il discorso si svolge in toni amichevoli usando la lingua latina.
“ Noi siamo un popolo civile e religioso e quindi da noi non avete nulla da temere” afferma il prete austriaco.
Gli risponde don Eugenio: “ Il mondo però non la pensa così; i vostri alleati nel Belgio non si sono comportati bene...”
Replica il cappellano: “ Tacciamo su tutte le nequizie commesse sistematicamente dai Russi e specialmente dai Cosacchi in Galizia dove tutto venne messo a ferro e fuoco, violate le donne, uccisi i borghesi; dove da tre anni la nostra popolazione è senza casa, senza cibo, senza indumenti. Vastissime zone della Galizia sono rase al suolo.”
Nella Canonica di Morsano trovano eco le tragedie globali della guerra e arrivano direttamente le immagini e le voci dei drammi personali delle persone di quella comunità.
Il colloquio fra i due sacerdoti in cui non sono stati mascherati i contrapposti punti di vista si conclude tuttavia con un saluto e un appello che in quel contesto suona eccezionale:
“ Sumus confrates” ( Siamo fratelli!).
In quel piccolo angolo di mondo, in un momento particolare delle vicende militari c'è lo specchio e la coscienza della immane tragedia generale .
“ Il suicidio dell'Europa”, così è stata definita la prima guerra mondiale.
Esasperazioni nazionalistiche, contrastanti interessi economici, ricerca di influenza su aree vaste, ambizioni personalistiche di re, imperatori, capi di stato avevano creato nei primi anni del Novecento un clima di tensioni, una attesa di conflitto; ma costruendo alleanze , cercando mediazioni e compensazioni si era riusciti a conservare un seppure precario equilibrio.
Poi , quasi improvvisamente, tutto è precipitato verso l'abisso della guerra.
Una guerra nuova: una lunga inimmaginabile durata, la vita e i combattimenti nelle trincee , l'uso di nuove tecnologie chimiche e meccaniche, il coinvolgimento di masse immense di uomini, infine e soprattutto una strage devastante: 16 milioni di morti.
Non fu l'ultima delle guerre, anzi proprio dalle conseguenze del conflitto, dalle contraddizioni e dalle ambiguità dei trattati di pace nacquero i germi che favorirono l'esplodere della seconda guerra mondiale.
A cento anni di distanza siamo sicuri di avere appreso la lezione?