I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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- Letteratura
Mamma è...
MAMMA E’… Per “Save the Children” anche nel 2021 è “equilibrista” Mamma non è perfezione, mamma è avere il coraggio in modo imperfetto di superare i propri limiti con la forza dell’amore. Il Rapporto 2021 di Save the Children “Le Equilibriste: la maternità in Italia” , diffuso in occasione della Festa della mamma, conferma la definizione anche quest’anno il ruolo materno multitasking. In tempi pandemia il podio riservato alla mamma svetta incontrastato. Nel Rapporto Equilibriste 2021, infatti, si legge che 249 mila donne hanno perso il lavoro e che 96 mila erano mamme. Tra queste 4 su 5 con figli con meno di 5 anni costrette a sacrificare la propria posizione lavorativa per seguire i bambini. Ma mamma è funambolare per i figli e molto altro. Che sia bionda, bruna o rossa, che sia alta o che sia bassa, che sia giovanissima o meno giovane, che sia dolce o severa, colta o semplice, lavoratrice o casalinga, silenziosa o loquace, remissiva o pasionaria, la genitrice è la figura determinante nella vita di ogni essere umano e ne è testimonianza il fatto che occupa da sempre ogni settore del panorama espressivo, dalla letteratura alle arti figurative, dalla musica al teatro, passando per tutte le confessioni religiose. E’ madre protettrice dei figli nella letteratura (epica o drammatica) del mondo classico anche se dea (Teti con Achille o Venere con Enea) o assertrice del ruolo fino al punto di trasformarsi in un’algida matricida (Medea arriva ad uccidere i figli avuti da Giasone per vendicarsi di lui). E’, nel Cristianesimo, la dolce, silenziosa Maria, madre di Gesù. La madre madonna viene celebrata per tutto il Medioevo e fino al Seicento in ogni espressione artistica. Saranno l’Ottocento e il Novecento i periodi storici in cui la mamma diventa la custode dei valori familiari da trasmettere, colei che mantiene in equilibrio la famiglia (chi non ricorda la figura della madre in Manzoni, in Verga, Pascoli, Foscolo, Ungaretti, Quasimodo?) e/o, al tempo stesso, causa di edonismi, complessi, sindromi psicanalizzati da Sigmund Freud . Che dire poi della mamma nel mondo dell’arte? Molti artisti hanno raccontato, rappresentato, musicato la dolcezza, l’amore e la grandezza del topos materno. E festa sia ma…quando? Presente nella memoria collettiva la mamma è stata sempre festeggiata anche se la data è stata costretta a subire il destino delle tante ricorrenze mobili. In Italia, la prima giornata ufficiale dedicata alla maternità è stata organizzata durante il fascismo, il 24 dicembre 1933, per premiare le madri prolifiche. L’aberranza della celebrazione restò marginalizzata all’evento. Dal 1959 al 2000 si elesse l’8 del mese di maggio per festeggiare la mamma. Dall’anno 2000 è, tuttavia, prevalso lo spirito della globalizzazione anglofila (in accordo, peraltro, con l’origine statunitense) e la festa è ormai calendarizzata alla seconda domenica di maggio. Julia Ward Howe, nel 1870 iniziò, infatti, la sua battaglia per l'istituzione del Mother's day e, dopo il 1908, anno della prima celebrazione, si giunse alla sua ufficializzazione nel 1914 per volontà del presidente Woodrow Wilson. Con buona pace dei fondamentalisti, però, che mantengono la tradizione: in Francia viene celebrata l'ultima domenica di maggio la mamma e la famiglia, in Norvegia la Festa della Mamma viene celebrata a febbraio, in Argentina l'ultima domenica di ottobre, a San Marino il 15 marzo, in Spagna e Portogallo la prima domenica di maggio, nei Paesi balcanici l'8 marzo, in molti paesi arabi nel giorno dell'equinozio di primavera. Qualunque definizione si dia della mamma essa incontra il limite dell’incompiutezza. Voglio, dunque, celebrare la mamma con parole semplici ma dense di contenuto e allora cedo la parola a Gianni Rodari, lo scrittore maestro più amato da grandi e piccini, il sensibile interprete dei sentimenti capace di esprimerli al pari di Brecht in un modo straordinariamente rivoluzionario, da sfidare il tempo e restare meravigliosamente attuale. Antonella Giordano
Id: 2786 Data: 09/05/2021 17:43:26
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- Economia
Fisco e spesa pubblica per il bene comune
Fisco e spesa pubblica per il bene comune Le evidenze statistiche sul sommerso economico e sull’evasione fiscale confermano che tali fenomeni rappresentano il peggiore deterrente all’ottimizzazione di un Sistema-Paese fondato su equità e produttività. Sommerso ed evasione fiscale non sono sinonimi perché si riferiscono a fattispecie che producono effetti diversi (e non solo nelle rilevazioni contabili). L’economia sommersa è parte dell’economia non osservata e l’evasione fiscale è collegata all’occultamento di basi imponibili generate dall’impiego di fattori di produzione (il sommerso economico). L’economia non osservata comprende, in teoria, anche le attività illegali che ad oggi non sono valutate dall’Istat e che quindi non rientrano nel computo del Pil. Il trend di crescita dell’evasione fiscale parallelamente alla crescita della pressione fiscale che, malgrado la intensificazione dei controlli, colloca il nostro Paese in maglia nera nel contesto internazionale non può essere sicuramente negato ma, in un’ottica di comparazione internazionale con altri Stati, merita di essere ridimensionato nei termini di analisi. L’Italia è lo Stato nel quale l’organismo deputato alle stime statistiche, l’Istat, fotografando la situazione del sommerso con puntualità consente la possibilità di “diagnosi”e la misurazione annuale ufficiale a differenza dei tanti Stati che non forniscono alcuna informazione sul fenomeno, sebbene il medesimo debba essere valutato, in ottemperanza agli obblighi comunitari, secondo gli standard statistici internazionali . Basti considerare che la stessa virtuosa Germania, additata come modello di eupolitica finanziaria, non fornisce alcuna indicazione sulla frazione di economia sommersa inclusa nel suo prodotto interno lordo. Sappiamo che imposte e tasse sono necessarie per finanziare i servizi offerti dallo Stato centrale e dalle amministrazioni locali e per effettuare gli investimenti pubblici ma sappiamo anche che l’entità della pretesa fiscale della pubblica amministrazione è determinata, nel medio lungo termine, dall’ampiezza della spesa pubblica secondo l’equazione spend and tax (contrapposta alla tax and spend di matrice liberale) in ossequio alla quale per poter ridurre le tasse bisogna prima ridurre le spese. Ma cosa accade quando le pretese del fisco raggiungono livelli elevati? Accade che i contribuenti che possono evadere optano per uscire dal sistema dell’economia legale per rifugiarsi nel sommerso mentre i contribuenti che per qualche ragione non possono o non riescono ad evadere restano stritolati dalla pressione fiscale e rifiutano di partecipare all’attività produttiva. Sono questi coloro che, in numero sempre crescente, perdono la fiducia nel livello di efficienza e qualità della spesa pubblica nel convincimento all’aumento degli oneri imposti dalla fiscalità generale non corrispondano migliori servizi sociali, sistemi previdenziali, investimenti per infrastrutture e tecnologie, politiche fiscali redistributive. Si depaupera così il concetto di bene pubblico. Le manovre di finanza pubblica e gli interventi diretti alla rimodulazione della spesa rischiano di conseguire risultati trascurabili se si disconoscono i valori la res pubblica confondendoli con quelli della res nullius , in nome dei quali i “contribuenti” decidono di occultare i redditi verso enclaves sommerse e di non rispettare le obbligazioni tributarie e contributive derivanti dalla propria attività produttiva. In Italia gli investimenti piuttosto che essere indirizzati in infrastrutture fisiche e immateriali, in ricerca e sviluppo e per compensare l’ascesa delle prestazioni pensionistiche e la domanda di servizi sociali, continuano ad essere diretti a coprire il debito pubblico cumulato negli anni. Uno sviluppo sostenibile che tenga conto del diverso sviluppo territoriale è fortemente inibito dalla difficoltà di coprirne i costi con le risorse provenienti dalla leva fiscale. Il ridimensionamento strategico, attraverso l’attuazione della spending-review, del sistema organizzativo ridurrebbe sprechi e inefficienze riqualificando le singole finalità su cui è articolato il conto delle amministrazioni pubbliche: ciò dovrebbe far uscire il Paese dalla situazione entropica del momento. Perché gli obbiettivi dei piani di spesa pubblica non restino suggestioni è necessario andare oltre il saldo del bilancio pubblico dettato dall’ impostazione virtuosa ed equilibrata della finanza pubblica, e considerare che la conduzione della finanza pubblica deve porsi l’obiettivo di ridisegnare l’area dell’intervento pubblico. La spending review in nome di un’etica pubblica condivisa è una soluzione di natura economica e, quindi, non può essere limitata alla lotta agli sprechi e ai privilegi ma deve riaffermare i valori della res pubblica che impongono, tra l’altro, che tutti debbano pagare le tasse. Pagare tutti perché si possa tutti pagar meno porterà ad una riduzione delle pretese fiscali e del tasso di sommerso e di evasione. In Italia, la frazione di Pil dovuta al sommerso economico è pari al 18%, come ha denunciato il presidente della Corte dei Conti lo scorso giugno in un intervento alla Camera in occasione della Giornata della Giustizia tributaria, cui ha partecipato anche il Capo dello Stato. Il valore della pressione fiscale (data dal rapporto tra gettito e Pil) è di pochi punti percentuali al di sotto del 50% e se da questo rapporto togliamo la parte di Pil che non paga imposte otteniamo che la pressione fiscale effettiva o legale (ossia quella che mediamente è sopportata da un euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato in Italia) va ben oltre il 55% (cioè il più elevato valore registrato nella storia economica patria recente e, nel contempo, un record mondiale assoluto) . Già nel 2008 l’Italia presentava un tasso di sommerso più che doppio rispetto al Regno Unito (8,1%), tra cinque e sei volte il tasso di sommerso francese (3,9%), otto volte il tasso di sommerso stimato per il Canada. Osservando i dati degli anni passati, per i quali è presente qualche informazione utilizzabile, solo per Messico e Spagna si hanno tassi così rilevanti di economia sommersa ma pur sempre inferiori rispetto ai valori italiani. I dati degli Stati del Nord Europa risalgono ai primi anni 2000 e sono parametri lungi dall’essere eguagliati. L’Italia si posiziona sopra le medie europee per pressione fiscale mentre nel corso degli anni 2000-2012 la grande maggioranza dei paesi Ocse ha ridotto il peso fiscale sui propri contribuenti. I Paesi nord-europei, caratterizzati da uno Stato sociale funzionante, hanno ridotto la pressione fiscale apparente: di 6,3 punti la Svezia, di 4 la Finlandia, di 2,8 la Danimarca. Lasciando in disparte i Paesi piccoli come Cipro e Malta, oppure i Paesi dell’Est come la Polonia, che comunque hanno livelli molto ridotti della pressione fiscale (ancora oggi sotto il 35%), gli unici paesi europei “grandi” che hanno innalzato il prelievo sono stati il Portogallo, di 3 punti, la Francia, di quattro decimi, l’Italia, di 3,4 punti (European Commission (2010), Monitoring tax revenues and tax reforms in EU Member States). Forse dovrebbe far riflettere il fatto che la maggior parte delle economie avanzate negli ultimi decenni hanno adottato strategie diverse dalla nostra per fare fronte ai tanti problemi di crescita, di equità, di benessere dei loro cittadini.
Id: 2785 Data: 07/05/2021 11:00:23
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- Cultura
Notte degli Oscar tra politically correct e gender gap
In esito alla 93ma Edizione degli Academy Awards e agli onori resi lo scorso 25 aprile alle produzioni del 2020 tra commenti pro e contro il verdetto della giuria penso sia legittima una riflessione circa se e in che misura hanno trovato spazio le statuizioni assunte dall’Accademy of Motion Pictures Arts and Sciences o, per meglio dire, se si percepisce già da subito la presenza di fondamenta di working progress in favore di inclusione e parità di genere. L’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences (https://www.oscars.org/news/academy-announces-next-phase-equity-and-inclusion-initiatives) ha, infatti, stabilito che a partire dal 2025 i lungometraggi candidabili all’Oscar come miglior film dovranno rispettare nuovi requisiti per assicurare un’equa rappresentanza di origine etnica, genere, orientamento sessuale e persone con disabilita . Tali requisiti si riferiscono non solo agli attori sullo schermo, ma anche a tutti i componenti dello staff tecnico ingaggiati per la realizzazione dell’opera che dovranno rispondere ad almeno due delle caratteristiche citate. L’intento sarebbe quello di dare visibilità a tutte le categorie di persone considerate svantaggiate nell’industria cinematografica: donne, minoranze etniche, appartenenti alla comunita LGTBQ+ e soggetti affetti da disabilità. David Rubin, presidente dell’Academy e il ceo Dawn Hudson hanno dichiarato “Riteniamo che questi standard di inclusione saranno un catalizzatore per un cambiamento essenziale e duraturo nel nostro settore”. Le misure, imposte per regolamento, non sono sicuramente gradite all’interno del mondo del cinema e nella società. All’indomani della notte degli Oscar torna prepotentemente il dubbio che possano trovare un’applicazione concreta. Non si è percepito alcun segno minimo di “apertura” ideologica. Prevarrà il politically correct o si riuscirà ad ottenere una migliore rappresentanza di genere o di altre categorie minoritarie e/o svantaggiate? Il cinema e veramente sempre e solo un esercizio di fantasia o come diceva Jean-Luc Godard, “La fotografia e verità e il cinema e verità ventiquattro volte al secondo”? Fermando i riflettori sui divari di genere, che rappresenta l’aspetto maggiormente inquietante, si può notare che l’appartenenza al genere femminile è un fattore sfavorente nel cercare un’occupazione davanti o dietro la macchina da presa. Un dato su tutti, in 93 anni di vita degli Oscar una sola volta nel 2010 il riconoscimento per il miglior film e stato assegnato ad una regista donna: Kathryn Bigelow per il film The hurt locker e solo altre 4 donne hanno ottenuto una nomination in questa categoria: Lina Wertmuller, Sofia Coppola, Greta Gerwig e Jane Campion. Il primo rapporto di DeA “Gap&Ciak, i divari di genere nel lavoro e nell’industria audiovisiva: lo stato dell’arte” (https://www.irpps.cnr.it/wp-content/uploads/2017/01/rapporto-GapCiak_definitivo.pdf), progetto sostenuto da SIAE, lancia uno sguardo sulle opportunità offerte alle donne in questo settore. Purtroppo, gli ostacoli che le donne dello spettacolo, del cinema, della TV si trovano ad affrontare sono simili a quelli che in generale si manifestano nel mercato del lavoro: discriminazioni nelle assunzioni, minori retribuzioni, precarie condizioni di lavoro, difficolta nell’accesso alle posizioni decisionali e di maggiore prestigio. A parità di formazione le cause della diseguaglianza di genere possono essere identificate nelle pratiche di ingaggio, nelle fasi di consolidamento della carriera, e nella mancanza, per alcuni ruoli, di modelli di riferimento e stimoli già in fase di formazione. Tra il 2003 e il 2012 solo il 16% dei film europei con una distribuzione e stato diretto da una donna, in Gran Bretagna le donne sono il 13% dei registi, il 20% degli sceneggiatori, il 27% E’ possibile una bellezza che vada oltre i canoni estetici? Oltre sesso, genere, età? Una bellezza che sia inclusiva e possibile? Per anni abbiamo visto eletto a modello di bellezza, quello di donne che al limite dell’anoressia sfilavano su passerelle, imputando anche al settore della moda, la responsabilità di veicolare un’immagine della donna e del corpo femminile non aderente alla realtà, un’immagine femminile distorta. Diverse sono le case di moda e riviste patinate che oggi lavorano per abbattere il muro dei pregiudizi, eppure sembra siano ancora l’odio e le convenzioni ad andare di “moda”. E’ triste constatare come a schierarsi contro chi non rispetta, come se poi fosse una dei produttori, il 18% degli executive, il 17% dei montatori, il 7% dei direttori della fotografia. Sono dati che richiedono attenzione, approfondimenti. Per quanto riguarda l’Italia solo il 12% dei film a finanziamento pubblico italiano è diretto da donne. Delle opere prime e seconde, il 15,6% e diretto da donne, mentre il dato per i film di interesse culturale e dell’8,9%. Il 21% dei film prodotti direttamente dalla RAI e stato diretto da donne, mentre il finanziamento esterno vede l’11,4% del budget dedicato a film diretti da donne. La scarsità di finanziamenti si riflette nella scarsità di investimenti nella pubblicità, nella distribuzione e nell’esercizio. Solo il 9,2% (18% UE) dei film che raggiungono le sale sono diretti da donne, e ottengono il 2,7% (11% UE) degli incassi. Piu incoraggianti i dati che riguardano i festival. Il 33% (51% UE) dei film diretti da donne ha ricevuto una nomination o dei premi in festival nazionali o internazionali. Cosa fare dunque per riequilibrare la presenza femminile nel mondo del cinema e dell’audiovisivo? In primis incoraggiare la formazione delle donne in questo campo, distribuire in modo egualitario i fondi pubblici, incentivare le case di produzione a concedere finanziamenti alle registe. Garantire, inoltre, un maggiore supporto ai film diretti da donne e una strategia specifica per pubblicita e distribuzione alle registe sulla base di un monitoraggio continuo delle domande di finanziamento e dei premi effettivamente attribuiti. Insomma, per dirla con le parole dell’attrice Viola Davis, candidata all’Oscar per il film “Il dubbio” (2008), “La sola cosa che separa le donne registe dai colleghi maschi e l’opportunità. Non puoi vincere un Oscar per dei film che semplicemente non riesci a fare”. https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2019/09/02/gender-gap-al-cinema-fallito-lobiettivo-5050-nel-2020-_b5dfb596-d38f-4c59-926f-647c76b52ed2.html Antonella Giordano
Id: 2784 Data: 06/05/2021 18:45:55
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