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Raccolta di articoli di Marisa Madonini
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Cultura

Il signore e la signora pace



John Lennon e Yoko Ono nell’impegno di pace con bed-in e grandi Campagne di colore bianco per la tolleranza e fraternità



Harrison e Sir. Paul Mc Cartney non la sopportano. Paul arriva a dire : ‘speriamo che per ogni John Lennon non ci sia una Yoko’.
L’incontro di John Lennon con Yoko è stato qualcosa che, ai tempi, ha capovolto tutti i canoni delle normali relazioni diventando un sodalizio umano, artistico, spirituale. Basti pensare che dopo il matrimonio con Yoko, John cambia legalmente il proprio nome in John Winston Ono Lennon.
Poi ci saranno gli album sperimentali, ci sarà il figlio Sean, ci sarà un capolavoro come ‘Imagine’ ecc.

Yoko gli giunge da The Land of the Rising Sun (titolo della canzone :’You are here’) dove John canta così : ‘East is West and West is East let it become …’ bella ballata sul nomadismo, sull’universalità dell’uomo, traversamento sconfinato in cui John tocca Liverpool e Tokyo. Egli parte da Liverpool per giungere ad Amburgo, Amsterdam, Londra, Manila, l’India e comincia così il percorso da solista; è il 1968 quando John fa il viaggio in India. Dopo questo viaggio accadono i due divorzi: uno dalla prima moglie e l’altro un po’ più tardi, nel 1970, dal gruppo, dai mitici Beatles.

Dopo il ritorno dall’India John cerca, anche su suggerimento di Yoko, forme diverse di protesta. La sua sensibilità e crescita affettiva e intellettuale, nonché forse il suo processo di politicizzazione, lo portano a intraprendere una serie di iniziative a favore della pace, in particolare un celebre concerto a Toronto dove si porta validi collaboratori e musicisti, tra tutti Clapton.

In quell’occasione nasce il suo gruppo parallelo: Plastic Ono Band (tra le varie canzoni di quest’occasione : Cold Turkey : ‘Tacchino freddo’, un brano tra i più acidi di Lennon). In questa canzone si sente, verso il finale, la voce acuta di Yoko che urlacchia sotto un’ugola isterica che fa saltare ancora di più i nervi ai fans dei Beatles.
Sempre durante questo viaggio a Toronto, nel 1969, allorché John e Yoko decidono di ‘vendere la pace’ Lennon afferma :‘…Ford vendeva le vetture con la pubblicità io e Yoko siamo una società di marketing etico. Io e Yoko siamo il signor e la signora la pace anche se questo può far ridere la gente ma può anche farla riflettere’. Questo modo di porsi e offrirsi al pubblico risulta innovativo e rivoluzionario.

L’incontro con Yoko e il viaggio in India, inducono John a cercare nuove forme di protesta come il bed-in, vere e proprie performance e provocazioni. I due artisti passano lunghi giorni a letto, vengono ripresi, se ne stanno lì, vestiti di bianco, silenziosi come un sobrio Grande Fratello ante-litteram. Vogliono parlare di pace e, nel caso del bed-in di Montreal, registrare anche un brano nella suite dell’hotel Queen Elizabeth. In questo caso infatti viene registrata una hit di Lennon solista: ‘Give Peace a chance: … All we are saying is give Peace a chance.’

Il loro incontro scaturisce da una doppia attitudine: la vena artistica sperimentale e creativa della compagna e la vena musicale e pacifista di John Lennon. Quella di Montreal sarà una manna mediatica: una sfilata di personaggi passa in ordine sparso: Gregory, celebre avvocato della causa dei diritti civili, Laroule Anglois, portavoce del separatismo del Quebec, Claude Chamberlain, produttore cinematografico, Nick St. Nikolas, bassista degli Step and Wolf e Al Kapp, disegnatore statunitense di tendenze destrorse che peraltro fa un’intervista molto provocatoria a John in quella occasione. E’,dunque una Campagna impegnativa, supportata da brani epici come ‘Give Peace a Chance’ ma anche da canzoni più politicizzate come ‘Power to the People.’
Si tratta di una specie di pellegrinaggio in cui John conduce il pubblico e i fan nella sua Campagna per la pace, su una nuova strada.

Un altro happening famoso accade a Roma quando i due ‘coniugi’ organizzano una Campagna basata su concerti e bed –in alla quale aggiungono grandi manifesti bianchi dove c’è scritto ‘War is over’. Uno, enorme, viene affisso alla facciata di un grande palazzo nel centro storico e poi in basso a destra scritta in piccolo la dicitura:’ if you want it ‘. Anche quella di Roma si rivela una campagna mediatica intrisa di tolleranza e di grande visibilità che interpella il pubblico.

La coppia decide poi che il Nord America, gli Stai Uniti sarebbero diventati la loro casa, non solo New York dove si trasferiranno definitivamente ma anche Los Angeles e San Francisco sebbene gli USA cercheranno di espellere John, ai tempi di Nixon.
Lennon è impacciato quando si trova davanti alle telecamere, o alla famiglia reale. Teme che dalla diretta tv trapeli certa sua insicurezza. In questo senso Yoko gli dà sicurezza e lo trasforma da uno scapestrato (parole di Yoko) in un musicista più organizzato e consapevole, anche politicamente più impegnato.

L’utopia di John Lennon, legata al suo rapporto d’amore con Yoko e al divorzio dai Beatles era già in atto prima dell’incontro con lei, soprattutto dopo il suicidio del loro primo manager. Stavano già stagnando i Beatles, forse travolti dalla fama, secondo certi pareri critici. Per i fan lo scioglimento dell’osannato gruppo è una tragedia e la responsabilità pare ricadere, in massima parte, sulla ‘perfida strega giapponese’. Eppure, John non mostra alcun rimpianto per la fine del gruppo. Con Yoko sembra che la sua vita abbia un nuovo senso sia da un punto di vista umano, sia artistico.

‘Everybody wants us to separate. We must be very careful…’
Con queste parole Yoko si rivolge a John in quel primo periodo del loro rapporto. Lei appartiene all’alta borghesia di Tokio, più vecchia di John di sette anni, già sposata con una figlia, lo incontra a Londra (l’incontro fatale avviene all’Indica Gallery nel novembre del 1966 dove il frontman dei Beatles passeggia annoiato ma curioso nelle gallerie e dove Yoko, artista d’avanguardia, espone in una mostra bizzarra) anno importante per i Beatles che stanno passando dal beat alla psichedelia e alle suggestioni. Let it be è un malinconico commiato dal gruppo dei Fab Four che Paul cerca di tenere vivo nonostante la fama che lo aveva travolto.

In questo periodo John vede questa performance di Yoko e rimane colpito dall’infantilismo e, insieme, dal compimento con cui l’artista giapponese la porta a termine. I due si frequenteranno piuttosto sporadicamente finché, due anni dopo, decideranno di stare insieme (1968). Sulla Rocca di Gibilterra i due si giurano fedeltà eterna. Avranno un figlio: Sean .
Yoko dirà : ‘Fortunately I’m in love with you’ e lui : ‘Unfortunately I’m in love with you.’ John risente della carenza d’affetto costante per la morte prematura della madre e trova in Yoko, che chiama ‘mother’, una compensazione e profonde affinità.
Il loro sodalizio non è solo sentimentale ma anche artistico, musicale e umanitario-politico.

Purtroppo, la vita di John, come del resto la vita di altre persone impegnate in cammini di pace e fratellanza, viene tragicamente troncata l’8 dicembre dell’80 quando il musicista è assassinato vicino alla propria casa a New York da un fan squilibrato. Yoko, dopo la morte di John, dice che avrebbero voluto fare le cose insieme e cose giuste. Lei si prenderà cura di Sean per tenere la mente nel presente e non nel passato.

Id: 2944 Data: 15/05/2022 12:07:12

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- Poesia

Il kepos zanzottiano



Il kepos zanzottiano : cento anni dalla nascita del poeta difficile e dieci dalla morte

La poesia sembra divagare e
intorbidare, ma infine
dilucida quanto v’è di più aggrumato
nella storia

Andrea Zanzotto



Nelle sue raccolte ci si ritrova in una selva di molteplici sfumature linguistiche e stilistiche: una lettura non facile a cui, suggeriscono gli studiosi, può giovare la rilettura per cogliere significati e musicalità ‘come un sussurrare materno’ e poterne apprezzare lo scavo e la costante attenzione al mondo.

E’ il paesaggio che ‘genera il suo occhio’, per riprendere le parole stesse del poeta in un suo scritto ‘Un paese nella visione di Cima’. Pare in questo consistere la geopoetica di Zanzotto, ‘un giardiniere botanico delle lingue’ (così i critici), un geopoeta umanitario.

Nel laborioso e fruttuoso tragitto (nella lunga vita fu poeta, insegnante, traduttore dal francese, collaboratore di Fellini per il cinema, difensore della terra in tempi non sospetti, fu letterato di riferimento per tanti intellettuali…) Andrea Zanzotto evoca immagini che danno voce ad una comunicazione, un linguaggio interno all’universo. Ne escono componimenti/manifestazioni di luoghi reali o immaginari dove tutto grida, invoca? per definire una sorta di tensione escatologica che si avverte nel corpus poetico sorretto da una persistente attenzione/tensione a volte empatica a volte allarmata alla realtà e al mondo.

E’ una poesia generosa, da scoprire continuamente perché educa alla verità e al ‘principio resistenza’ non solo per l’elevato valore letterario. I versi infatti accennano al presagio, rivelano a chi voglia accostarsi, percezioni ed emozioni ancestrali che si radicano in terre natali, pur sfigurate. Poetica dai tanti rimandi culturali e linguistici di grande valore civile, fitta di intuizioni e studi di autore veggente che non si sottrae, antivede e annuncia con inedita lucidità e inesauribilità.


La scelta tra i suoi versi è immensa. Oggi ho riletto ‘Kepos’ tratto da Sovrimpressioni


Qual è, dimmi, il tuo più riposto Kēpos,
l’orto in cui divini
brillano in rari scintillii, rare ombricole
i tuoi semplici
che nessuno ha mai
immaginato abbastanza…
Non indagabili nella loro essenza
nella loro carezza-eleganza
nel loro alitare
col Tutto tra dolci-brevi salvezze
oscillare fino in fondo alle pozze più amare?
O era il tuo kēpos, Matrità remota
…………………………………
quella dispersa aiola di spine
e implacabili bacche rosse
come fuoco che mai s’estingua
nell’estremo del dire del sentire
sentinella ferita?

Giardini-diamanti
giardini-fonti
loci amoeni
cui non riguardano i nostri veleni –
loci a cui vanamente mi protendo
ceu fumus in aëra anelando?


Note :

Semplici : piante medicamentose
Ceu fumus in aëra : come fumo nell’aria (di ascendenza virgiliana)







Andrea Zanzotto Poesia del ‘900 Tutte le poesie Oscar Mondadori I Ediz. 2011

Id: 2850 Data: 04/11/2021 21:50:29

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- Poesia

Ultimo tango a Sarajevo

IZET SARAJLIC

Ultimo tango a Sarajevo

Il novantaquattro, 8 marzo.
La Sarajevo degli amanti non si arrende.
Sul tavolo l’invito per il matinée di danza allo Sloga.
Naturalmente ci andiamo!
I miei pantaloni sono un po’ logori,
e la sua gonna non è proprio da Via Veneto.
Ma noi non siamo a Roma,
noi siamo in guerra.
Arriva anche Jovan Divjak. Dagli stivali si vede
che viene direttamente dalla prima linea.
Quando ti chiede un ballo sembri un po’ confusa.
Per la prima volta ballerai con un generale.
Il generale non immagina l’onore che ti ha fatto,
ma, a dire il vero, anche tu al generale.
Ha ballato con la donna più celebrata di Sarajevo.
Ma questo tango – questo è solo nostro!
Per la stanchezza ci gira un po’ la testa.
Mia cara è passata anche la nostra magnifica vita.
Piangi, piangi pure, non siamo in Via Veneto,
e forse questo è il nostro ultimo ballo.

(1994)

'Qualcuno ha suonato' Multimedia Edizioni 2001
Traduzione: Sinan Gudžević e Raffaella Marzano



Posljednji tango u Sarajevu

Devedeset cetrvta, 8. mart.
Ljubavno Sarajevo se ne predaje.
Na stolu pozivnica za plesno matine u “Slozi“
Naravno, idemo!
Pantalone su mi prilicno ofucane,
A ni tvoja suknja nije za Via Veneto.
Ali mi nismo u Rimu,
Mi smo u ratu
Evo i Jovana Divjaka. Po cizmama mu se vidi
Da je dosao pravo s prve linije.
Dok te moli za ples, ti si malcice zbunjena.
Prvi put plesaces s jednim generalom.
General i ne zna kakvu ti je cast ucinio,
A, bogami, i ti generalu.
Plesao je s najopjevanijom damom Sarajeva.
Ali ovaj tango – on je samo nas!
Od iscrpljenosti malo nam se vrti u glavama.
Mila, prode i nas zivot velicanstveni.
Placi, samo placi, nismo na Via Veneto
a ovo je mozda i nas posljednji ples.
(1994)



A circa trent’anni dallo scoppio del devastante conflitto balcanico la voce poetica di Izmet Sarajlic risuona con accenti leggermente venati d’ironia e grande emotività tra amore e guerra. Poeta testimone nella Sarajevo degli anni novanta durante un assedio interminabile e sanguinoso vi rimase e cantò con altri poeti nell’oscurità della città in guerra.
‘Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti’
(Erri De Luca e I. Sarajlic, ‘Lettere fraterne’, Dante e Descartes, Napoli 2007)

I poeti leggevano o dicevano a memoria il loro canto alle serate di poesia nel buio di Sarajevo senza corrente e Sarajlic ‘scriveva con tutta la sua volontà di contraddizione della distruzione.’ Questo grazie a un intenso calore umano che si avverte nella sua voce poetica anaforica e immediata, mai banale.
Nel bel mezzo di quell’ odioso conflitto il poeta scrive: ‘In una notte come questa, malgrado tutto, pensi a quante notti d’amore ti sono rimaste.’
Nella prefazione alla raccolta ‘Chi ha fatto il turno di notte’ (a cura di Silvio Ferrari, Prefazione di Erri De Luca, Einaudi 2012)
Erri De Luca annota: ‘(Sarajlic) non ha saputo odiare [...] ha voluto ribadire il verbo amare, che i suoi contemporanei, poeti e non, avevano pudore di battere a macchina. Gli piaceva la parola ammore che in napoletano si raddoppia al centro.’

30 FEBBRAIO

Nonostante le periodiche misteriose scomparse del 29 febbraio
ogni anno in amore
veniamo derubati di un giorno.
Da giovane non ne tenevo conto,
anche senza quel giorno
c’erano abbastanza sabati e mercoledì.
Oggi però per me è importante ogni giorno
in cui ti posso guardare.
Il nostro feudo
che si stendeva su cinquant’anni di futuro
si è ridotto a un misero podere contadino.


'Qualcuno ha suonato' Multimedia Edizioni 2001
Traduzione di Sinan Gudžević e Raffaella Marzano

30. FEBRUAR

Ne računajući povremena misteriozna iščeznuća 29. februara
svake godine nas u ljubavi
potkradaju za jedan dan.
Kad sam bio mlad o tome nisam vodio računa,
bilo je i bez te jedne
dovoljno subota i sreda.
Danas mi je važan svaki dan
u kome te mogu gledati.
Naš feud
koji se protezao na pedeset godina budućnosti
sveo se na najobičnije seosko imanje.



Id: 2819 Data: 17/07/2021 16:45:24

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- Letteratura

Il ’meraviglioso’ mondo nuovo - omaggio a Huxley


Il titolo 'Brave New World' di A. Huxley è tratto da Shakespeare e precisamente dalle parole pronunciate da Miranda in 'La Tempesta', atto quinto, sul finire della commedia, quando sembra che l’utopia prenda forma politica e Prospero rientri così nella realtà abbandonando la magia per affidarsi alla benevolenza degli altri, ai quali, tornato uomo storico, verrà saldato con l’aiuto di Miranda e Ferdinando.
Il senso di colpa guida Alonso e spinge Prospero : si risolverà nel passaggio dalla preoccupazione per sé a quella della generazione successiva, vale a dire con la rinuncia al potere. Questo senso di riconciliazione e perdono giustificati da una società migliore, più equa e democratica, deve essere piaciuto ad Huxley se scelse alcune parole di Miranda, sul finale del quinto atto, addirittura come titolo del suo romanzo di idee più che di vicende.

Miranda infatti dice :

O wonder!
how many goodly creatures are there here!
How beauteous mankind is! O brave new world,
that has such people ‘n it!

Oh, qual meraviglia!
Quante belle creature si vedono qui intorno!
Oh quant’è bella l’umanità! O splendido mondo nuovo!
che si contiene simili abitanti!
(traduzione di Gabriele Baldini)

Aldous Huxley ebbe uno strano destino: egli fu sempre impegnato tra scienza e letteratura, scrittore quasi cieco e per questo scrittore (avrebbe voluto diventare medico, soprattutto dopo lo shock per la morte prematura della madre quando aveva solo 14 anni ma i suoi occhi si ammalarono gravemente).
Huxley intendeva così conciliare materie scientifiche e umanesimo, da essere sociale e impegnato quale si definiva. Si augurava, sul letto di morte, di essere un po’ più gentili gli uni con gli altri.
Dopo tutti i suoi studi approfonditi e appassionati (era eruditissimo) e viaggi e scritti profetici sull’automazione e la tecnologia, sulla farmacologia e la biologia, sulle filosofie orientali, tra le sue conclusioni troviamo questa frase sulla gentilezza, la disponibilità gli uni con gli altri.
Morì il 22 novembre 1963 ma la sua morte non ebbe l’eco che Huxley avrebbe meritato perché nel medesimo giorno avvenne l’assassinio di J.F.Kennedy. Strana coincidenza questa con la vicenda di Warhol che fu gravemente ferito da un fanatico lo stesso giorno dell’assassinio di un altro Kennedy, Robert e per questo il ferimento di Warhol passò in secondo piano.

Id: 1586 Data: 22/11/2015 22:31:36

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- Esperienze di vita

Giardino dei Giusti

 Viviamo nella speranza e costantemente quella speranza è sfidata dalla storia, la storia sfida la nostra speranza, dobbiamo combattere contro gli eventi che emergono dalla storia. Speriamo, ma dobbiamo combattere contro la storia per tenere viva la speranza. (Nadine Gordimer)

 

 

Gabriele Nissim, scrittore e saggista, non è propriamente la voce di uno storico, pur importante sia la voce degli storici, non è voce d’ortodossia, è voce di un uomo che insieme ad altri uomini crede nei giusti. Ha scritto un libro che si intitola : 'La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti' : una riflessione sui gesti d’amore come resistenza al male assoluto dei totalitarismi della storia. Un compagno di viaggio, tra altri importanti per Nissim quali : Hanna Arendt, Vasilij Grossman… è Moshe Bejski, uomo esemplare per poter raccontare l’esperienza e l’esempio di ribellione pacifica che molte persone, in differenti luoghi del mondo, scelgono di attuare ogni giorno contro la violenza delle dittature. Nissim, particolarmente sensibile alle tematiche della Shoah e dei Gulag, ha promosso, a Milano, la costruzione del ‘Giardino dei giusti di tutti i genocidi’ ed il primo parco italiano dedicato alle vittime dei campi di concentramento. Altri parchi sono poi sorti a Firenze, Padova, Catania … Tra i suoi libri : 'L’uomo che fermò Hitler '(2001), 'Ebrei invisibili: i sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo ad oggi' (1995), 'Una bambina contro Stalin' (2007), 'Il tribunale del bene' , 'La storia di Moshe Bejski, l’uomo che creò il Giardino dei Giusti ' (2014 Mondadori), 'La lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento '( 2015 Mondadori) In un’intervista Nissim afferma di aver voluto esprimere la storia dal punto di chi vuole valorizzare le iniziative degli uomini che hanno difeso la dignità umana durante i totalitarismi. Accanto alla memoria del male, Nissim ritiene bisognerebbe costruire una memoria del bene perché la memoria del bene è quella che dà la speranza e fa capire ad ogni individuo, ai giovani, che ogni persona ha le potenzialità di fare qualcosa per spingere la storia in un’altra direzione: ‘…il bene è una peculiarità che è alla portata di tutti’ egli sostiene. Poi cita alcuni amici, coloro coi quali egli si confronta e dai quali ha ricevuto consigli. E nomina Moshe Bejski, il fondatore del ‘Giardino dei Giusti’, a Gerusalemme. Cosa ha capito Moshe Bejski che era finito nella lista di Schindler ed era sopravvissuto per miracolo dopo che nella sua Polonia erano morti i suoi genitori e tre milioni di ebrei? Ebbene, Moshe ha dedicato la vita alla ricerca dei giusti, alla ricerca dei non ebrei che, a rischio della vita, avevano salvato degli ebrei. Nissim vuole rendere omaggio a Bejski in quanto, se questo giardino esiste, è merito suo . Potremmo definire Moshe Bejsky un ‘pescatore di perle’: una persona che è stata capace di riportare alla luce degli episodi di umanità di cui molto spesso gli storici non parlano perché ‘…ricordare il bene - sostiene Nissim - è un atteggiamento che richiede forse un comportamento da poeti, più che da storici e sono i poeti coloro i quali hanno la forza di raccontare queste storie di bene e di farle conoscere a tutti ‘ Anche di questi tempi, la banalità del male si moltiplica ciecamente ma anche oggi ci sono sentinelle intrepide, fari per la via. Un esempio è un’ attivista eritrea che ha fondato l’associazione 'Ong Gandhi' e ha scritto un libro importante: 'Occhi nel deserto. Gandhi nel deserto del Sinai', Edizioni Sui, 2014. Questa donna coraggiosa ha fornito le prove degli atti mostruosi compiuti sugli eritrei (anche bambini, preadolescenti, donne…) nel Sinai, in Sudan, in Libia e ancora altrove ed è riuscita a salvare molte vite. Alganesh Fessaha, questo il suo nome segnalato anche dalla trasmissione radiofonica Rai: ‘Uomini e Profeti’ sul cui sito si trovano i link per chi ne voglia sapere di più, è stata recentemente onorata con il titolo di Giusta nel giardino di Gariwo il 6 marzo, Giornata Europea dei Giusti (European day of the Righteous) proclamata dal Parlamento Europeo nel 2012.


Id: 1491 Data: 27/06/2015 14:59:25

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- Letteratura

La générosité du génie

Mi colpisce questo pensiero di Calasso su Baudelaire, poète maudit, di vette e sottosuoli tanto studiato per amore sconfinato di maestri.

Scrive Calasso in La Folie Baudelaire : 'Baudelaire non si appassionava ad inventare dal nulla. Sempre aveva bisogno di elaborare un materiale preesistente, un qualche fantasma intravisto in una galleria o in un libro o per la strada, come se la scrittura fosse innanzitutto un'opera di trasposizione da un registro all'altro delle forme. Così sono nate alcune delle sue frasi perfette, che si lasciano contemplare a lungo e lasciano dimenticare presto che potevano anche essere la descrizione di un acquerello.'

Del resto cosa fa W.H. Auden in Musée des Beaux Arts, piccolo esempio, peraltro sommo capolavoro? Egli non inventa nulla: parte da Bruegel per dipanare considerazioni già classicissime e poi leopardiane ed esistenziali includendo il muto urlo del mito e quello della modernità.


Id: 987 Data: 03/02/2014 12:57:10