I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Assistiamo ad una strana ipocrisia: si esalta in ogni occasione il valore della lettura e l'importanza dei libri, ma di fatto essi vanno sparendo dagli orizzonti e dai comportamenti della nostra vita quotidiana perché presuppongono un tempo lungo, lento e paziente che ormai ci è estraneo.
Né si capisce perché, se non interessano gli adulti, libri e lettura dovrebbero interessare le giovani generazioni ancorate ad un eterno presente, incapaci di affrontare il linguaggio ambiguo della letteratura rispetto a quello univoco della comunicazione, educate ai nostri comportamenti di non lettori abituali.
Ma la situazione è più preoccupante se anche un'istituzione come la scuola - come faceva già notare Paola Mastrocola una diecina di anni fa nel suo saggio La scuola spiegata al mio cane, Guanda, 2004 - più che educare alla lettura, alla riflessione e alle emozioni tende a premiare ragazzi veloci, intuitivi, brillanti, estroversi fino alla sfacciataggine e a farsi in fondo connivente adeguandosi al mondo che le gira intorno e alle nuove richieste che le vengono fatte.
Anche a scuola, infatti, la comunicazione ha avuto la meglio sulla letteratura, i testi utili e informativi sono stati preferiti a quelli letterari. La conseguenza è che oggi i ragazzi sono bravi nel vorticoso nuovo della nostra società, pessimi nel non nuovo e senza tempo della letteratura. Anche perchè i libri sono lenti e difficili, le immagini facili e veloci.
La scarsa pratica di libri e lettura è reale e attuale e riguarda anche i livelli più alti dell'istruzione se anche gli studenti universitari non leggono più: seguono piccoli corsi di poche settimane che si susseguono vorticosamente fino a sfinirsi senza apprendere assolutamente nulla e librettucci di cento pagine sostituiscono la lettura dei testi degli autori. Come se la società globale fosse il regno della faciloneria dove fosse inutile leggere e studiare o conoscere classici antichi e moderni.
Ripartire dunque dai libri e dalla lettura.
Ma cosa leggere? Privilegiare sempre e comunque, come suggeriva D.Pennac nel suo saggio Come un romanzo (1992), il sano e felice piacere del testo e della lettura in sé che porterà i ragazzi ad apprezzare anche libri fondamentali o imporre una rosa, indicare un percorso?
Ogni tempo ha le proprie esigenze: se ieri bisognava affermare il diritto e il piacere di leggere, oggi forse abbiamo il dovere più urgente di arginare l'ignoranza.
Dovremmo chiederci se esiste un patrimonio condiviso di saperi, di valori, di opere meritevoli di essere trasmesse ai nostri figli e su cui vorremmo che si educassero e formassero.
Sappiamo che i libri non sono tutti uguali e che leggere i grandi scrittori apre nuove prospettive; ma dobbiamo trovare la strada per riconciliare i ragazzi con i libri, risvegliare la loro curiosità, dissipare l'illusione di chi crede di non amare leggere, conciliare gli scopi curricolari e sociali della lettura (testi di apprendmento e di vita quotidiana) con quelli personali (testi per il piacere di leggere).
E dare ognuno il proprio contributo.
Fare e leggere poesia oggi.
Parlare di poesia significa parlare di inadeguatezze e ritardi da colmare, dover dare giustificazioni a un bilancio deficitario.
La verità è che la poesia occupa un'area marginale e residuale nel panorama delle forme artistiche contemporanee e, al contrario della narrativa, trova una grande difficoltà ad arrivare al pubblico per una serie di motivi .
I dati parlano di una fortissima disparità numerca tra autori praticanti e acquirenti dei loro prodotti: ventimila poeti a caccia di lettori perduti con enormi quantità di libri invenduti e collane di poesia cancellate dalle case editrici.
Gli studiosi di questo fenomeno sostengono che la fame di poesia esiste ancora, ma non è la poesia che intendiamo noi, e che soprattutto le nuove generazioni soddisfano tale esigenza ricorrendo a quell'immediata esperienza del vissuto espressa dalla musica leggera piuttosto che ai materiali “alti” offerti dalla scuola.
Fanno inoltre notare come il mandato sociale del poeta sia irrimediabilmente scaduto e come diversamente dalla poesia antica, che corrispondeva a un tacito incarico civile, quella moderna coincide con l'apoteosi dell'individualismo: chi oggi scrive versi censura l'immagine oggettiva della realtà e privilegia rispetto ai discorsi delle masse un atteggiamento velleitario ed elitario.
Di fronte al ritrarsi della poesia per carenza di comunicazione sarebbe stato il rock degli anni '60 e '70 ad assumersi la responsabilità di quel mandato sociale, documentario e testimoniale che dovrebbe essere ancora il fine primo della letteratura.
Io non so se la poesia abbia realmente abdicato a favore della canzone, ma so che è in grande difficoltà anche se s'intravede un'inversione di tendenza come testimoniano festival, premi letterari, letture pubbliche e diffusione in rete.
Né l'aiuta il contesto: mancano infatti voci autorevoli di apprezzamento e affidare al numero di copie vendute la validità di un autore, come avviene per la narrativa, è sicuramente penalizzante per la poesia e per chi la fa.
Per fortuna i poeti non soffrono in genere di forme di velinismo; sanno che la poesia è un dono, che ha altri compiti, che per la sua diffusione necessita di tempi lunghi e segue percorsi carsici.
Ma soprattutto sanno che essa esige un rapporto reattivo, capace di sottrarre la parola alla mercificazione quotidiana, ed è appunto questo a renderne la lettura così complessa, impegnativa, impegnata, salutare, etica.
Sarà difficile ampliarne il consumo se essa rappresenta la negazione dell'oggetto di consumo.
La poesia costituisce la parte più intima della nostra relazione col mondo: leggerla, farla non ha altro scopo che indagare l'anima; solo che chi la produce lo fa pubblicamente ponendosi come modello, specchio di una condizione esistenziale universale.
A questo continuo cercare e interrogarsi la risposta che ognuno di noi si dà non può essere uguale per tutti: anime diverse pongono domande diverse. Anche se poi la poesia ci accomuna tutti con la sua capacità lenitiva, con la sua capacità di assumere su di sé il dolore del mondo ed essere un flebile lume nel buio della condizione umana: e in ciò ha qualcosa di sacro.
Ogni poeta tenta una descrizione e quindi un'interpretazione del labirinto della condizione umana proponendo una via di fuga, un tentativo di evasione. E io sento la mia poesia come voce di questo coro, tessera minuscola di questo monumentale mosaico collettivo.