chiudi | stampa

Raccolta di articoli di Gianfilippo Gravino
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

- Poesia

Le ‘Proiezioni al crepuscolo’ di Antonio Spagnuolo

 

 

Le immagini strappate all’inconscio nelle Proiezioni al crepuscolo di Antonio Spagnuolo

 

 

Nella sua ormai settantennale attività letteraria Antonio Spagnuolo ha attraversato diverse fasi e stagioni, riuscendo a mantenere sempre un’elevata qualità poetica. Nelle oltre quaranta raccolte di poesia pubblicate Spagnuolo ha mostrato di possedere una voce personalissima, componendo, con le sue liriche inconfondibili, una musica di straordinario fascino.

 

Forte di una sostanziale continuità con le opere immediatamente precedenti, Proiezioni al crepuscolo effettua un accurato recupero delle emozioni e delle sensazioni provate in passato dall’Autore, di quelle che continuano a palpitare nelle misteriose profondità della memoria e dell’inconscio, due funzioni della mente talmente interconnesse e interdipendenti da non poter esistere l’una senza l’altra, se è vero che è proprio la funzione mnestica il luogo dell’Es.

 

Il particolare scavo archeologico che Spagnuolo compie nelle vastissime zone sotterranee e ctonie della propria coscienza è volto, infatti, a riportare alla luce le immagini del passato più incandescenti e importanti che proprio in quelle zone se ne stanno nascoste, magari del tutto amalgamate con le immagini dei desideri più reconditi in una vitale simbiosi.

 

A muovere questa difficile operazione è soprattutto la viscerale esigenza di continuare a dialogare con le persone care strappate al suo affetto, tra le quali brilla per bellezza ed eleganza la sua amata compagna, morta alcuni anni fa ma ancora palpitante e viva in quelle remote zone, dentro quelle preziose e meravigliose immagini interiori. Metterle su carta, col suo stile unico e magistrale, permette a Spagnuolo di rivivere per un istante – ma in profondità – alcune delle sensazioni provate quando sua moglie gli stava ancora accanto e la vita sorrideva ad entrambi. Gli permette, insomma, di attenuare notevolmente gli effetti dell’azione distruttiva del tempo misurato dagli orologi, della sua spietata irreversibilità.

 

Ecco perché le poesie di Memorie – la prima delle tre sezioni in cui è ripartito il volume – sono intessute di rievocazioni del tempo ormai trascorso e di allusioni a ciò che di quel tempo è rimasto vivo nel suo io più profondo, come mostra sin dal suo incipit l’appassionata e raffinata lirica che dà inizio alla raccolta: «Era tempo di luci, a volte morbide, / attorno al tuo profilo delineato dai colori, / fra le semplici velature di foschie / lungo le strade del destino» (Prigioniera).

 

Tuttavia, nelle poesie di Spagnuolo, la tenera dolcezza e la calda sensualità dei ricordi, che gremiscono il suo tempo interiore, convivono non di rado con la percezione amara di vivere in un presente segnato dalla più fredda desolazione. Inoltre, il continuo riaffacciarsi alla memoria di alcune tracce di esperienze particolarmente piacevoli e lontane finisce col rendere più aspro e tormentoso, ampliandolo a dismisura, il rimpianto per le meraviglie del tempo che fu, un po’ come avviene nell’implacabile chiusa di Nodo: «Giocava il tuo corpo adolescente / al soffio del tempo, e ritorna / senza pietà tra le figure / un nodo che giocammo insieme».

 

Ma questi ed altri ostacoli non fermano il suo strenuo lavoro di scavo negli strati più interni ed inconsci della memoria. Recuperare le immagini del passato ancora calde e cariche di Eros lì celate, ridando loro luce e custodendole attraverso la poesia, è il solo modo concesso a Spagnuolo di continuare a incontrare la sposa di tutta la sua vita, l’unico che ha a disposizione per contrastare il continuo sperpero che il tempo fa delle nostre forze e il vertiginoso aumento di entropia che ne consegue.

 

Un preciso e assai drammatico avvenimento della Storia più recente irrompe nell’esperienza poetica dell’Autore con Kabul 2021: la riconquista di questa città da parte dei talebani durante il ritiro dei militari della Nato dal suolo afghano nell’agosto del 2021, ovvero l’evento che ha sancito di fatto la restaurazione del dittatoriale e totalitario Emirato Islamico dell’Afghanistan. In Kabul 2021 la poesia di Spagnuolo da una dizione tutta tesa all’espressione della soggettività approda quasi all’improvviso ad un più ampio discorso di carattere civile, ma conservando con fermezza la sua forte vocazione lirica. I versi di questo sconfortato componimento provano che le strazianti immagini del disastro, diffuse in tempo reale dai social media, sono entrate così a fondo nel subconscio e dentro al cuore dell’Autore da avere acceso in un battito di ciglia la sua portentosa ispirazione poetica: «Il terrore è bloccato negli sguardi / ora che i talebani hanno il potere / di distruggere ogni illusione. / Nulla vale la storia per gli inganni / che ricamano gli orrori. / È la forza di un lampo fugace / fuori del tempo, lungo il bilico che frana / per l’umanità in atomi mortali. / Lo strazio rimbalza fra le madri / che allontanano i bimbi, lacerando / ogni dubbio offrono pianto, / in altri paralleli, senza più badare / alle sospensioni che la notte conduce. / […] Ha insegnato ben poco il secolo passato / se un atroce destino insiste nelle menti / bacate da ignoranza, / inseguendo inusitate ombre, invereconde polveri / sull’orlo avvizzito dei rifiuti, / e sempre più lontano dai diritti morali, / dove langue ogni tentativo di evasione. / Nelle stesse ore il mondo intero / ricade nelle spire dell’ignoto».

 

Le sei poesie che compongono Visioni, la seconda sezione di Proiezioni al crepuscolo, sono particolarmente brevi e concentrate. In esse Spagnuolo ha modo di esprimere al meglio la sua accesa vivezza coloristica e la sua innata attitudine al visivo. Si ispirano, infatti, ad alcune opere pittoriche della poliedrica e valente artista napoletana Maria Pia Daidone, alla quale sono dedicate. Leggerle è come visitare una piccola ma intensissima mostra d’arte, dato che ognuna di loro ricrea – traducendolo abilmente in scrittura – un mirabile ciclo di quadri materici: «È solo un fotogramma l’esplosione / che ha convertito asimmetrie in colori. / Al tocco dell’azzurro il velo avvolge, / rivede le occasioni, e per cercare ha scudi / che cesellano forme. / Non si nasconde il segreto fra le pietre / che illividendo a chiazze / fanno incanto di un corpo che cattura respiri. / Promessa di stupore / gli ornati hanno sagome ambrate» (Campi velati).

 

In Carteggi – l’ultima e più corposa sezione del libro – ridiventano molto numerosi i riferimenti alle più intime e segrete sensazioni provate in passato dall’Autore, per il quale ritorna pressante la necessità di colloquio con la donna che più di ogni altra persona al mondo lo completava. Alla poesia, in un presente così devastato dalla più gelida e meno momentanea assenza dell’oggetto d’amore, Spagnuolo affida il delicatissimo compito di mantenerne viva la memoria, in modo da lenire il più possibile l’insopportabile sofferenza dell’addio: «Sei venuta fuori in quel tempo, / quando ho perso il reale ad interrompere / il registro dei pollini, / tanto eri perfetta. / Rimarrà sempre un coagulo / contrabbandiere come la poesia, / inseguendo lunghe sere nel candore / delle tue pupille. / Sgranata nell’aguzzo delle lettere / ammiccavo i tuoi baci nell’impazienza / di ditirambi inconcepibili» (Polline).

 

Ma in questa sezione della raccolta c’è spazio anche per la rievocazione di un’altra figura fondamentale nella vita di Spagnuolo. Nella terza lirica, infatti, è il padre dell’Autore ad essere rimpianto con sconfortata amarezza. Un rimpianto, tra l’altro, velato dall’ombra di un ormai irrimediabile senso di colpa: «Abbandonai mio padre e le sue ossa / sbriciolate tra i miei capelli ormai bianchi. / Rivedo nel suo volto amareggiato / rovine e risvegli, / bocconi con un guizzo rantolante / che chiedeva carezze, / trasfigurato a chiamarmi per le stanze buie / al limite di speranze. / Io non l’ascoltavo! / Nei suoi rigidi termini stesse voci / inaridite come gli occhi socchiusi / e le dita veloci per un tocco improvviso. / Dove tacciono le ore / il tempo ha una stridente armonia» (Mio padre).

 

La guerra è il trionfo di Thanatos, perché è nella guerra che trovano la loro espressione più distruttiva le pulsioni aggressive insite in ciascun individuo. Una poesia come Oltre la pace probabilmente serba dentro di sé più di una traccia del contesto storico-sociale in cui è stata composta, giacché sembra percorsa dalle tante inquietudini provocate dalla guerra che sta attualmente insanguinando l’Ucraina. Una guerra che ha già devastato diversi territori con orrenda ferocia e in cui più di una volta è stato agitato il terrificante spettro della bomba a fissione nucleare: «Altre stanze gli agguati nemici che annientano / il potere ormai indeciso, illusioni, / sguardi a catturare preghiere d’amore, / segrete al posto di trincee, nel fremito sospetto. / Annienta nell’ignoto lascia ritrovi / di pietre decomposte, / squarcia schermi per ultime difese, / improvvisi abbandoni di bambini, / frutto lacerato che si smorza tra i fantasmi del missile. / Voce tremante l’appello del padre, inutile / orizzonte del vuoto che tempesta».

 

Oltre alla loro elegante e fortemente evocativa musica, a unire tutte le poesie di questa raccolta, alquanto varia dal punto di vista tematico, c’è la loro tonalità di fondo meditativa e pregna di malinconia. Una malinconia molto spesso sgomenta di fronte alla precarietà del vivere, perché presaga del cupo silenzio a cui ognuno è da sempre condannato, come mostrano gli ultimi disarmati e disarmanti versi di Conchiglia: «Sento il piombo della morte sulla pelle, / nessuna promessa da offrire, / soltanto narrare una storia / che diviene lamento confuso. / Spezzasti il mio balenare / rotolando nei sogni».

 

La scrittura poetica di Antonio Spagnuolo dà voce all’inconscio e l’Es parla soprattutto attraverso le immagini simboliche ed enigmatiche proprie della dimensione onirica e delle libere fantasie. È per questo motivo che le sue liriche traboccano di immagini vive e talvolta inquietanti, che – avanzando anche grazie a rapide associazioni foniche – riescono a rendere appieno il suo incessante flusso di intuizioni multicolori e bui presentimenti, oltreché i suoi fulminei scatti di gioia illusa o tormentosa disperazione. Provenendo dai più intimi ed inconsci strati della memoria, tali immagini non sempre risultano immediatamente intelligibili ma ciò non ne pregiudica affatto l’intensità emotiva ed il fascino estremo, visto che si mostrano in grado di toccare nel profondo l’inconscio di chi legge e le sente vicine.

 

La poesia di Antonio Spagnuolo ha superato la prova del tempo in maniera davvero brillante. Proiezioni al crepuscolo testimonia che la sua lunghissima, prolifica ed importante ricerca poetica è ancora straordinariamente vivace e capace di interessanti e sostanziosi sviluppi. Anche in quest’opera l’Autore è riuscito a donare ai suoi lettori degli organismi lirici di eccellente fattura e di grande suggestione, caratterizzati da un timbro luminoso ed irrequieto allo stesso tempo: «Trappola l’autunno con i boccioli che non potrai toccare! / Che tu possa ritornare è un assurdo, eppure io cerco ancora, / tra le pieghe che le coltri disegnano, le forme della tua carne. / Nel letto, che la morte ha concesso, il tuo nudo è di marmo rosato. / E il tempo sembra interrompere vibrazioni di luci / mentre l’immagine allunga a sbalzi timorosamente. / Nella dissolvenza dell’abbandono ho visto giungere il buio / ad occhi aperti, e resta l’improbabile vagabondaggio / fra le memorie, insieme con l’apprensione del sopravvivere, / vigile e insonne nel terribile frastuono del pensiero. / La divina follia è un festoso scattar dalla tomba / tra i colori dei vetri ed il filtrare dei fiori profumati, / più oltre si udiva il canto di un flauto solitario / lento nello staccare le note in attesa del segreto di un’ora tarda. / Avrei dovuto aspettare il riflesso di un raggio, / ma la fuga gioca con la punta delle scarpe» (Vagabondo).

 

 

Gianfilippo Gravino

 

 

Antonio Spagnuolo, Proiezioni al crepuscolo, Macabor Editore, Francavilla Marittima (Cosenza) 2022, pp. 90, € 12,00.

 

 


Id: 3123 Data: 31/05/2023 09:25:46

*

- Poesia

’Istanti o frenesie’ di Antonio Spagnuolo

 

Antonio Spagnuolo, Istanti o frenesie, Puntoacapo Editrice, Pasturana (AL), 2019, pp. 62, € 12,00

 

 

Sono in continuo contrasto le due pulsioni fondamentali che muovono l’attività della psiche. In Istanti o frenesie di Antonio Spagnuolo, il dissidio dialettico tra Eros e Thanatos, pur essendo particolarmente acceso, riesce a raggiungere un’armonia superiore nella chiarezza del dettato e sul piano ritmico-musicale. Nelle liriche presenti in questa raccolta, impreziosita dall’esauriente postfazione di Ivan Fedeli, le parole e le suggestive immagini ad esse strettamente congiunte si inseguono e si integrano come fanno le note di un’elegante partitura, giacché è in un verso suadente e calibrato che Spagnuolo riesce a racchiudere le emozioni più impalpabili e i pensieri dalla forma ancora indefinita e mutevole ondeggianti sul vasto e rischioso mare dell’inconscio – il luogo della psiche solcato e scandagliato con tenacia, originalità e maestria dalla sua ricerca poetica.

 

Leggere queste poesie a voce alta diviene allora un’esperienza importante, se si vuole entrare in modo più completo nel loro mistero e assaporare al meglio le caratteristiche peculiari della loro musicalità, che si mostra capace di rafforzare ed espandere il potere immaginativo ed evocativo di ogni singola frase. Il fluire sinuoso di tale musicalità, che agli istanti in cui appare molto pacato e sommesso contrappunta accortamente delle frenetiche accensioni (deriva forse da questa alternanza di timbri l’enigmatico titolo del libro), sembra essere misurato e scandito dai battiti del cuore (e persino da alcune sue aritmie), ovvero dalla frequenza da essi raggiunta mentre si stanno rivivendo con la memoria i più lieti e radiosi momenti trascorsi, o si stanno fronteggiando le inquietudini di un presente vissuto con la massima costruttività possibile ma punteggiato di irrimediabili rimpianti e oscuri presentimenti.

 

La sofferenza bruciante di cui sono intrise le liriche che compongono questo canzoniere d’amore è essenzialmente la terribile e insanabile sofferenza che fa seguito ad una perdita smisurata; è di certo all’amata moglie morta, compagna di un’intera vita, che Spagnuolo sta pensando quando, in Arpa, scrive: «Il tuo mutamento slitta nel gioco / difficile della morte, dei lombi sfaldati / là dove ancora sembra intatto / il pensiero. / Trasvolasti il muro sopra di noi / avvolta in meridiane trasparenti / scambio fra oblio e prodigio».

 

Ed è sicuramente lei il tu lirico a cui, in una poesia estrosa e varia come Capriccio, con una dolcezza immensa e senz’ombra di sentimentalismo, rivolge queste parole così smaglianti e dolenti: «Diverti la schiena a gote porporine / mentre io disfo strumenti fra le rime. / Le tue gambe accendono sorprese: / nostra è la recita / nei canali che appaiono sguarniti / a lenire le rughe. / Disarmo scudisci / per fermarti un momento / nell’arco ove recitavi tue preghiere. / Il capriccio ti acciglia: / sto invecchiando».

 

Grande è l’abilità dimostrata dall’Autore nel rendere l’intensità e il persistere di certi sentimenti, sensazioni e stati d’animo facendo rapidi e incisivi riferimenti ai loro sintomi ed effetti più fisiologici ed interni (con una precisione elevata ma in un modo per nulla distaccato, né tantomeno didascalico), come accade nella potente Intercostale: «Secondo l’amarezza dei giorni / balbetto pieghe scomposte, / nascondigli sistolici, / le dita impigliate nel tremore: / sei ancora l’esca dell’imbastitura, / lo stupore stralciato alle amarezze, / blocchi ventricolari / all’incrocio dei legittimi abbandoni. / Innumerevoli seni / la tua fiaba invecchiata / nel quinto intercostale».

 

Grande abilità che può attingere all’enorme bagaglio di conoscenze nel campo della biologia e dell’anatomia umana posseduto da Spagnuolo, il quale, per lunghi decenni, ha esercitato la professione di medico con generosità e successo, oltre a portare avanti la sua missione di poeta. E deve di sicuro qualcosa a quell’enorme bagaglio di conoscenze anche il ricorso a metafore e passaggi analogici che individuano il punto fisico in cui nasce un dolore che solo fisico non è, perché è inizio ed indizio di qualcos’altro; si pensi, a tal proposito, ad Inquietudine: «Una mitrale incespica ai contorni / stacca granulociti, / un embolo cerca vertigini per coprire / gli orlati. / Ora quell’attimo intoppa l’inquietudine».

 

Nella maggior parte delle poesie, lungi dal risanare le piaghe, lo scorrere del tempo è visto e sentito sulla cute e più a fondo nella sua violenta irrevocabilità, che ha il potere di alterare, corrodere e cancellare la vita. Ne sono degli esempi, oltre la densissima di rimandi psicanalitici Il tempo (dove a dominare è l’ancestrale e insuperabile «paura del vuoto»), la lucida quanto lapidaria chiusura di Specchio («In questa attesa il tempo ha meridiane / che deformano il viso») e quella più amara e crucciata di Rimpianti, in cui è presente una fulminea personificazione del tempo che ha il solo scopo di metterne in rilievo la natura disumana, se non puramente malevola: «Sono solo / a dimensione del tempo che mi sfiora / e ride / contro i miei rimpianti».

 

Il desolato e quasi arreso incipit di Nostalgia («Contro la sistole carezze sussurrate. / Il mio tempo è fallito, / conservando frammenti di trapasso; / inavvertita la luce dei tuoi gesti / illusori / mi contende le rughe») mostra come nemmeno il tempo interiore, sebbene di gran lunga più libero dalla cruda e implacabile linearità di quello della fisica, sia percepito da Spagnuolo come un posto in cui trovare un rifugio stabile e sicuro. La sua non è affatto una poesia che si accontenta di comode ed elusive, perché consolatorie, soluzioni: perfino nei momenti di maggior abbandono alla dimensione onirica, quelli in cui sente più vicina e vivida l’epifania della sua compagna, Spagnuolo sembra presagire in maniera sottile e latente la disincantata solitudine che lo accoglierà al risveglio.

 

Inoltre, in poesie come Betulla, il ricordo luminoso ed ancora caldo delle tante gioie condivise un tempo con la propria amata, pur rischiarando in profondità l’umore dell’io lirico, finisce col rendergli più palese e palpabile il vuoto che da adesso sarà costretto ad affrontare, almeno fino al lampo abbagliante di una nuova illusione, di un altro autoinganno: «Quel gioco delle reni sbilanciato / riemerge come una cosa gelida / inventa nuove note per la casa / al prossimo tuffarsi ad un ristoro. / La tua betulla sbiadisce, / custode dello spreco, / la lingua assaporata alla preghiera / sconnette: / un lamento la pelle decompone / al bordo dei ginocchi, / quasi nel vuoto della nostra pienezza».

 

A donare all’Autore, se non una risolutiva salvezza, almeno un conforto costante e nobilmente amico è lo slancio in qualche modo sovrumano e quasi divino del poièin. Forse è proprio lui il dàimon che, nella splendida e tremenda lirica intitolata Attesa, gli «porge ancora le bende» per tamponare le ferite inferte da una notte segnata soprattutto da un’attesa infinita e da distruttive assenze, così da permettergli di continuare a cercare la possibilità di un dialogo vero attraverso una scrittura in grado di riscattare il dolore dalla sua informe indicibilità.

 

Immagini ossimoriche come quella posta alla fine di Schegge («il cieco nascondiglio della luce») e quella che si dispiega tra i versi iniziali dell’altrettanto introspettiva ma più metalinguistica Colori («nel tunnel che le tenebre intermittenti / abbagliano per svago») testimoniano quanto sia fondamentale, nella poesia di Spagnuolo, il ruolo della luce e come questa conviva col buio in un modo talmente stretto da arrivare molte volte a virare verso esso – e viceversa. Una poesia, di conseguenza, molto sensibile alle più svariate suggestioni cromatiche fornite dalla realtà materiale (presente in tutta la raccolta ma in maniera sempre riletta e sublimata dalla più intima immaginazione dell’Autore), perché ritenute le manifestazioni fenomeniche di Eros più visibili e capaci di far indietreggiare di qualche passo ed esorcizzare per qualche momento la spettrale idea di Thanatos, evocata, in questo libro, dallo stinto grigiore della monotonia, prim’ancora che dalla nerezza totale, che altro non è se non la più definitiva e assoluta assenza di sensazioni colorate e di amore.

 

E può essere intesa come un simbolo dell’autodistruttiva pulsione di morte, del suo irruento e non del tutto confessabile potere attrattivo, la protagonista dei primi versi di Una strega, di certo una tra le liriche più lividamente espressioniste dell’intera raccolta: «Con gli occhi fissi nel cupo sortilegio / una strega mi affascina, nel silenzio / di queste mura ormai ridotte al nudo. / Ha scomode parole nel corpo lacerato / da pensieri incompiuti, quasi incerte, / e grida all’improvviso alle mie tempie / la selvaggia disfonia dell’eternità».

 

Ma è soprattutto sul piano del ritmo che, nella poesia di Spagnuolo, lo scontro frontale tra le due opposte pulsioni originarie ricerca e raggiunge una sintesi, ovvero un suo armonico superamento, immergendosi in un flusso di immaginifiche parole davvero prelogico e composito, perché davvero prelogica e composita è la vita psichica da cui esso scaturisce e di cui esso è specchio. Un flusso, però, che risulta sempre giustificato fonicamente e che si mostra modulato con accenti limpidi e nitidi anche quando trasmette i sensi più vorticosi ed abissali.

 

Impressiona la cura attenta e appassionata riservata dall’Autore ad ogni dettaglio: nelle sue poesie ogni sillaba e ogni silenzio concorrono a creare una musica unica e multiforme, capace di rievocare le visioni e le intuizioni che si fondono o collidono nell’inconscio, gettando così un fascio di luce policromatica sui suoi procedimenti associativi, sulla sua logica latente. Anche da questo aspetto emerge la portata conoscitiva del linguaggio lirico foggiato da Spagnuolo.

 

Tempestato com’è di dettagli minimali che contengono e dischiudono mondi splendenti e sfaccettati, Istanti o frenesie è certamente un gioiello di elevatissimo valore, in grado di arricchire un’opera poetica, quella di Antonio Spagnuolo, tra le più importanti ed imponenti degli ultimi decenni.

 

 

Gianfilippo Gravino

 

 

 


Id: 2519 Data: 30/12/2019 18:15:51