I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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- Sociologia
Stragi degli innocenti, ieri e oggi
«Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2, 18). Erode, duemila anni fa. Erode, che alla richiesta dei Magi che volevano sapere dove si trovasse il re dei Giudei che era nato, ebbe paura di un bambino. Lui, il superuomo. Il detentore del potere. Colui che deteneva il potere di vita e di morte su tutti. Erode ebbe paura di un bambino di povera gente, nato in un viaggio, un migrante, senza fissa dimora. E mandò ad uccidere tutti i bambini al di sotto dei due anni. E le madri piangevano. Si ribellavano. Cercavano di strappare i loro figli a quel volere cieco, a quel destino inaccettabile. Per poi accasciarsi al suolo, disfatte dal dolore, stringendo al petto i corpicini martoriati dei loro figli, carne della loro carne. Qualcuna inseguiva un soldato, in cerca di vendetta, perché un crimine del genere non può restare impunito. Erode. Oggi. Quanti Erode anche oggi uccidono i bambini. Quanti uomini pensano di ostentare il proprio potere nel sopraffare i piccoli. Si ritengono superuomini anche loro, superiori ad ogni legge. Al di là di ogni morale. In barba a Convenzioni e Tribunali. Quante stragi di bambini, ancora oggi. Raccapriccianti. Bambini venduti come schiavi… Bambini usati per il fiorente mercato degli organi… Bambini che vengono fatti prostituire… Mogli-bambine… Bambini uccisi dall’odio di fanatici religiosi… Bambini soldato… E poi c’è un’altra strage di bambini. Ancora più barbara e agghiacciante. Ancora più esecrabile. Assolutamente inaccettabile. Una strage che si consuma nel Nord del mondo, in quella parte del mondo più ricca ed evoluta, guastata dal benessere, in cui i bambini vengono uccisi dalle loro mamme. E i giornali scrivono fiumi di parole. In TV in quattro e quattr’otto son pronti ospiti d’eccezione, ricostruzioni particolareggiate e plastici costosissimi. I media condannano ancor prima di “sapere”. Sanno che questi casi vendono. Fanno notizia come nessun altro. Perché non ci si può credere. Perché il mondo ci cade addosso, quando una mamma uccide la sua amata creatura. Perché una mamma ama il suo bambino. Non può non amarlo. Solo che l’amore è qualcosa di cui a volte non si può sostenere la grandezza. L’amore è la prova più dura che si possa affrontare, nella vita. Amare significa ammettere che esiste qualcuno, oltre noi. E l’amore esige che si faccia il suo bene, prima che il nostro. Spesso solo il suo bene, piuttosto che il nostro. Ma noi spesso sappiamo solo amare noi stessi. E quando arrivano gli altri, continuiamo solo, attraverso loro, ad amar noi stessi. Non siamo in grado, molto spesso, di amare gli altri attraverso noi. Non sappiamo andare oltre noi. È così da sempre. E da sempre, Eros e Thanatos sono inscindibili. Al momento dell’accusa, una volta messa all’indice la madre-Medea, inizia il tempo della ricerca delle colpe: depressioni post-partum, schizofrenia, amore infinito che non voleva “veder soffrire la propria creatura”, profonde angosce rimosse, remote violazioni dell’anima e del corpo, assordanti ed incomprensibili pianti interiori… Tutte sacrosante motivazioni. Più o meno vere. Perché, purtroppo, è anche vero che oggi tante mamme sono troppo abbagliate dalla “luccicanza” della società dei consumi. Serate e selfie, amiche e carriera, sembrano essere diventate una vera e propria ragione di vita. Tutto il resto viene dopo. Anche un figlio. E ci si sente sempre più vuota e insoddisfatta. Ci si sente sempre più sole. Unico comune denominatore: la solitudine. Una solitudine che schiaccia. Perché ognuno è circondato da tutta una serie di persone che “stanno accanto” senza guardare, prese dall’apparenza, prigioniere della stessa “luccicanza” a volte. E spesso le mamme che uccidono sono le più belle e straordinarie, quelle che “nessuno se lo sarebbe mai aspettato” perché sono le più brillanti. E chi sta loro accanto le guarda con invidiosa ammirazione senza scendere mai dentro a cogliere la verità che serbano nel profondo… Fa molto male, la solitudine. È il peggior male del nostro secolo, la solitudine. Non infinita, ma infinitamente crescente. Nonostante centinaia di amici su Facebook. Nonostante le serate e lo shopping e il “successo” sociale. Basterebbe imparare a guardare le persone. A guardarle davvero. Basterebbe imparare ad ascoltarle. Nel detto e nel non detto. Ad ascoltarle davvero. Ciò farebbe sentire amate, comprese, non colpevolizzate, non fallite… E allora Mermero e Fere non dovrebbero più temere Medea.
Id: 1409 Data: 11/04/2015 15:04:31
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- Politica
GRilli parlanti e grilli deliranti: quando lignoranza tiene
Grilli parlanti e grilli deliranti: quando l'ignoranza tiene lezioni sulla mafia. Riflessioni di una siciliana offesa. Tanto tempo è passato. Eppure ricordo ancora il fascino esercitato su di me dal chiuso di “una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala" e dalla "semplice mobilia” in cui un minuscolo GRILLO PARLANTE dispensava consigli poco graditi ad un burattino di legno appena nato che aveva ancora tutto da imparare. Oh, se lo ricordo, quel povero GRILLO PARLANTE spiaccicato sul muro che, per quanto antipatico e fastidioso potesse apparire, aveva certamente qualcosa da suggerire alla mia coscienza!!! Mi facevano paura, qualche mese fa, le tante piazze affollate ed osannanti, concrete o virtuali che fossero, gremite di tante teste di legno che applaudivano alle farneticazioni di un GRILLO DELIRANTE che, nella sua opera di demolizione, voleva trascinare anche la Chiesa nel suo farsi portatrice di valori, e realtà quali la vita e la morte, tessendo il trionfo del relativismo, nel suo tentativo di far contenti tutti. Nessun valore, per questo GRILLO DELIRANTE e blasfemo. Solo lotta, lotta continua, lotta senza confronto, demolizione cieca e rabbiosa. Qualche altro mese è passato. E adesso il “grillo delirante” e, mi si consenta, anche ignorante, si permette perfino di “tenere lezioni”, in Sicilia e ai siciliani, sul fenomeno della mafia. Sotto il palco in piazza del Parlamento, ieri, quattro gatti sparuti, perché noi palermitani abbiamo preferito di gran lunga goderci l’ultimo fine settimana di “tesori aperti”. Una piccola folla di proseliti osannanti e senza un briciolo di coscienza critica applaudiva Beppe Grillo nel sentirgli dire che “la mafia è stata corrotta dalla finanza, prima aveva una sua condotta morale e non scioglieva i bambini nell’acido”. Ma siamo impazziti? Ma chi può credere nella favoletta che la mafia sia nata per fare il bene del popolo? Ma di quale morale stiamo parlando? Ma lo conosce, lui, il significato della parola “morale”? “La mafia è un demone dell’odio, l’incarnazione stessa di Satana”, aveva affermato Salvatore Pappalardo, negli anni '80. Contro la mafia e i mafiosi papa Giovanni Paolo II lanciò un vero e proprio anatema nel '93. E dire che la mafia aveva la sua condotta morale è una bestemmia, è un’affermazione che non sta né in cielo né in terra!! Ma quel, come dire “esperto storico e sociologo” che risponde al nome di Beppe Grillo non si è mica fermato qua. No, no. Ha anche aggiunto, poi, che “la mafia è emigrata dalla Sicilia, è rimasta qualche sparatoria, qualche pizzo e qualche picciotto”. Ancora applausi. Ma questi grillini, ma dove vivono? Ma perché non vanno a farsi una passeggiata per le strade di Ballarò o della Guadagna (tanto per fare un esempio, perché l’elenco sarebbe fin troppo lungo) dove viene il vomito perché il puzzo della mafia si respira mentre si cammina? Dove la mafia continua ad imperare, complici la povertà e l’ignoranza e continuando a generare, in una spirale senza fine, povertà ed ignoranza? Dove la mafia fa proseliti già fra i bambini delle elementari, complici insegnanti inette che gettano la spugna fin troppo facilmente (per non aver tagliate le gomme delle proprie auto) creando così orfani di cittadinanza destinati a diventare manovalanza a buon mercato? “La Sicilia è un far west oscuro, riprendetevi la vostra identità”. Vergogna! Ma come si permette? Lui viene a dare lezioni di dignità a me? A me e a quelli come me che vivono a Palermo da quando sono nati e non si sono mai piegati a nulla di facile e disonesto e che giorno per giorno si impegnano nell’educare alla legalità o nel lottare per essa? Ma come può un siciliano applaudire a queste bestialità? Ma nessuno si è reso di conto di come Grillo, ieri, non fosse altro che l’ennesimo “esperto” del Nord venuto in Sicilia con la pretesa di insegnarci a vivere, senza sapere assolutamente nulla di noi e della nostra storia? Ma che ne sa lui della lotta quotidiana di chi ha da fare i conti con mille difficoltà e che va avanti comunque a testa alta senza scendere a compromessi? E tutti i morti di cui è tristemente costellata la nostra storia? Carabinieri, magistrati, giornalisti, preti, donne, bambini… me li ricordo bene io, che ragazzina avevo paura di uscire di casa perché le ammazzatine di mafia erano all’ordine del giorno. E l’unica voce che si levava, a parte carabinieri e magistrati e politici di sinistra, era quella di Salvatore Pappalardo, “santo” cardinale di questa città, che subito dopo la morte di Dalla Chiesa chiese ad alta voce dal pulpito della nostra cattedrale cosa facessero i nostri politici mentre la mafia colpiva dove e quando voleva e svergognò la classe politica di allora affermando che “mentre a Roma si discuteva, Sagunto veniva espugnata dai nemici”. E ora arriva un politicantucolo da quattro soldi, ex comico che probabilmente nella vita non ha studiato nulla che non fossero i suoi sketch e quelli di qualche altro, e pretende di insegnarci cosa è la mafia e come porci nei suoi confronti. Ma cosa crede, lui, che Palermo e la mafia siano quello che si vede a “Squadra antimafia”? Mi chiedo come quei siciliani lì, sotto il palco, abbiano potuto applaudire, come non si siano sentiti offendere fino al midollo, come non gli abbiano sputato in faccia e non abbiano pestato sotto i piedi quelle miserevoli bandiere… Eh, già… Eccolo, più attuale che mai, il dilemma magistralmente espresso dalla nostra tradizione popolare: “Cu è chiù fissa? Carnalivaru o cu ci va i r’appressu?”. E io mi chiedo anche chi sia più pericoloso. Mi auguro che passi presto il polverone mediatico suscitato da queste dichiarazioni meschine, in modo da lasciar posto al silenzio. E che in quel silenzio, le farneticazioni del GRILLO DELIRANTE che urla, facendo leva su un consenso figlio della disperazione, possano essere coperte dalla fioca voce di quei pochi GRILLI PARLANTI che ancora parlano di valori, di confronto, di rispetto, di ricostruzione, di fiducia, di verità. Mi auguro che la loro flebile voce possa smuovere la coscienza di ciascuno, perché non può essere la rabbia la via. Né tantomeno l’ignoranza. Perché, come in quella storia che adoravo tanto, rischiamo che una volta spenti i GRILLI PARLANTI “come si spegne un lume soffiandoci sopra, la strada rimanga più buia di prima”.
Id: 1407 Data: 10/04/2015 07:55:23
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- Esperienze di vita
Pensieri sparsi sul centro storico di Palermo
Mi ritrovo a “passeggiare” ormai ogni giorno, più o meno velocemente, per le strade del centro storico di Palermo. Devo tristemente riconoscere che per me, nata e cresciuta fieramente in centro e poi tristemente trasferita in una periferia dalla mentalità quasi “paesana”, questa frequenza ormai quotidiana del centro storico è stato per diversi giorni un toccasana. Da attenta osservatrice quale sono, ogni pietra o arco ha una storia da raccontare, un mistero da svelare. E ogni giorno, nonostante la frequenza, rimango stupita dalla bellezza artistico-monumentale del centro storico della mia amata città: chiese e palazzi nobiliari, conventi e monasteri, cupole e torri… veri e propri monumenti frutto di artisti ed architetti fieri, competenti, sognatori. Niente da stupirsi che tanti di questi edifici siano stati riconosciuti quali monumenti nazionali e come tali vengano tutelati. E niente da stupirsi che il centro storico della mia amata città sia stato candidato dall’Unesco per l’inserimento nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità. Non sono pochi i palermitani (e non solo) che acquistano immobili nel centro storico, immobili che da anni versano in cattive condizioni e li ristrutturano. Una vera e propria opera di riqualificazione, sostenuta dal Comune che contribuisce con vari incentivi a questo recupero, per rivalorizzare il centro storico, per ripopolarlo. Non nego di essere stata solleticata da quest’idea: acquistare casa al centro storico, vivere tra pietre dense di storia e di bellezza, essere circondata da colori e profumi di ogni tempo… Certo, proprio un regalo meraviglioso per mia figlia che, dalla maxi-vetrata della scuola che adesso frequenta, vede la città dal meraviglioso, affascinante punto di vista dei tetti e delle cupole. Ma l’altro pomeriggio, ancora una volta come un mese fa circa quando lo stesso problema mi condusse in piazza del Garraffello lasciandomi dentro per più giorni una sensazione di profondo ribrezzo, una strada chiusa per lavori e i sensi circolatori obbligati hanno mostrato a me e mia figlia un altro aspetto del centro storico, un punto di vista molto più “basso” e concreto che ha lasciato interdetta me e sconcertato lei. Altro che fusione di colori e profumi, altro che suggestiva bellezza! Sono ben lontani i tempi in cui Ballarò e la Vucciria erano mercati vivi e pulsanti degni di essere ritratti da Guttuso e dove l’odore del pesce fresco si mescolava a quello del caciocavallo del “Coccodrillo” solleticando piacevolmente le narici. Abbiamo assistito al trionfo della sporcizia e del degrado, all’apoteosi della rassegnazione e del malaffare. Perché il centro storico non è solo la via Maqueda chiusa al traffico e più o meno “impupata” in virtù delle fioriere, e non è nemmeno il corso Vittorio Emanuele con le sue meravigliose chiese e i suoi palazzi adibiti ad hotel e musei. Eh, no! Il centro è fatto anche delle vie interne: quelle strade e quei vicoli dove, passando, non vedi più negozi "storici", chiusi per la crisi o per le intimidazioni, o trasferiti perché non reggevano più lo schifo dilagante; dove i palazzi storici cadono a pezzi, perché i loro proprietari non vogliono spenderci una lira . E dove, “in compenso”, vedi “signore” sporche e attempate sedute davanti a portoncini spalancati su monovani in cui al centro troneggiano materassi macchiati in attesa del prossimo porco di turno (e le scuole a un tiro di schioppo!!!); dove vedi utilizzare le lastre di marmo poste davanti ai portoni dei palazzi come appoggio per consumare atti sessuali e, agli angoli degli stessi portoni, esseri umani di sesso maschile di tutte le età “urinano” tranquillamente anche alla luce del sole (avrei voluto usare un termine più “spartano” per rendere l’idea del disagio provato a quella vista, ma sono troppo signora per cedere alla tentazione di farlo); dove i ragazzi sniffano, anch’essi alla luce del sole, utilizzando gli specchietti retrovisori di quella bolgia infernale di auto posteggiate ovunque e in malo modo grazie a compiacenti posteggiatori di colore che ti prendono a male parole se tu per girare l’angolo della strada con la tua monovolume devi fare venticinque manovre; dove centinaia di ragazzi, maschi e femmine, stanno seduti davanti a tavoli sporchi circondati dalla spazzatura consumando l’ormai obbligatoria birra delle ore 18; dove non vedi un vigile, né un carabiniere e sai per certo che gli oggetti vomitevolmente sporchi che vendono sui marciapiedi sono rubati nelle case di onesti cittadini e che quello è il regno delle scommesse clandestine e degli schiamazzi a tutte le ore del giorno e delle risse e degli allacci elettrici abusivi... Leggevo da qualche parte che i giovani bazzicano quelle zone (Ballarò, Vucciria, Albergheria) perché nessun’altra zona della città “offre svaghi a basso costo” come quelle. E io ricordo quando ero ragazzina io e mi chiedo come si possa scendere così in basso per “risparmiare”. E allora ripenso alla solleticante idea di trasferirmi in centro e penso che neanche lì riuscirei più a radicarmi, che anche lì non riuscirei a dormire come mi succede regolarmente nell’allegra borgata in cui vivo, in cui la notte si alternano le gare di corsa di moto o cavalli ai furti e ai pestaggi, e se chiami la Polizia ti senti fare mille domande stupide e quando arriva finalmente la volante è passato così tanto tempo che se ne sono già andati tutti perché hanno finito di farsi gli affari loro. Se mai arriva, la volante, perché il più delle volte ti senti dire che “riceviamo tante di quelle segnalazioni che non è che possiamo correre per tutte” e poi magari, qualche amico che lavora come vigile o poliziotto ti confida amaramente che loro da qualche parte non vanno, per “garantire l’ordine pubblico”. Ah… perché adesso l’ordine pubblico si garantisce così, consentendo alla mafia di continuare a dilagare indiscussa e per niente sommessa? No, non potrei radicarmi mai e poi mai. Non potrei mai vivere da “reclusa in casa” senza avere neppure la possibilità di affacciarmi e consapevole di avere un “coprifuoco” da rispettare per non guardare e non “fare abbili”. Un coprifuoco che non partirebbe certamente al calar del sole… Mi chiedo, quando la commissione Unesco è venuta a Palermo qualche giorno fa, che giro le abbiano fatto fare. Mi chiedo cos’abbiano pensato. Mi chiedo come possa, un sindaco che sembra amare Palermo svisceratamente e che ha fatto della lotta alla mafia una vera e propria ragione di vita (almeno così ricordo, io che ho vissuto la primavera di Palermo), non far nulla di fronte a tutto questo, e vantarsi di ciò che Palermo è stata e di ciò che le varie dominazioni ci hanno lasciato nel tempo. E il presente? E il futuro di questa città? Eccola la mia città. La città di cui sono assurdamente innamorata, e che non smette mai di deludermi, giorno dopo giorno. Perché Falcone e Borsellino sono morti, e le spoglie di padre Puglisi riposano nella penombra proprio nei pressi di quelle strade e di quei vicoli, e tanta gente lotta ogni giorno per mandare a quel paese la mafia e io ho impiegato più di vent’anni della mia vita nell’educare, fra le altre cose, alla legalità per poi constatare che la mafia continua ad imperare e che i giovani ne rimangono irretiti in vario modo in nome di un non meglio definibile “divertimento a basso costo”. A questo punto, penso che se mai deciderò di andarmene dalla strada in cui vivo e da cui, a causa dello sfruttamento edilizio, non si vedono più neppure le verdi montagne che mi piaceva tanto guardare da bambina, quando ci venivo per andare in visita dai nonni, sarà per andare a stare in riva al mare: da lì non vedrò cupole e chiese, e sarò ben consapevole che da qualche parte si consuma tutto lo schifo possibile e si discute con il politichese più insulso, ma almeno i colori e i profumi saranno ancora capaci di suscitare il mio stupore.
Id: 1406 Data: 09/04/2015 07:06:11
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