I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
A Riace volevo andarci da tempo, ci riesco per il weekend del 25 aprile. Borsone zeppo di libri per i piccoli del paese e tanto entusiasmo. Arrivo nel primo pomeriggio. Il borgo arroccato sulla parte alta del paese. La piazzetta con vista mozzafiato e anfiteatro multicolore. C’è il sole, l’aria sa di primavera e un venticello leggero mi avvolge. Ad accogliermi Roberta. Mi accompagna alla Casa della Poetessa che per tre giorni sarà la mia dimora. C’è silenzio, interrotto da voci sconosciute che mi salutano: donne sull’uscio intente a pulire, anziani che camminano lenti aggrappati ai loro bastoni, bimbi dagli sguardi curiosi. Scene da un paese fermo agli anni sessanta se non fosse che molti ragazzi e bambini sono arrivati qui di recente provenienti da paesi lontani. Incontro la mia vicina, dice di chiamarsi Maria e per tutto il tempo in cui resterò a Riace lei sarà la mia mamma. E così che mi vizia, ora cucinando per me, ora donandomi quel poco che possiede, formaggio e ricotta freschissima. Non sono abituata a tanta empatia e comprendo solo poche parole del suo strettissimo dialetto ma mi sento parte del suo mondo. C’è quel venticello che mi avvolge e sconvolge. Conosco alcuni giovani volontari: Adele, Frida, Francesca e Cristina con la sua tenacia e i suoi capelli fulvi. Mi piace Cri. Mi sento a casa e al sicuro. I ragazzi del laboratorio di scrittura sono un piccolo mondo che vive e si integra naturalmente. Possono correre su e giù per i vicoli stretti di Riace protetti dagli sguardi attenti e amorevoli degli adulti. Giocano, ridono e cantano canzoni rap italiane, tradizionali indiane e d’amore pakistane. La grande bellezza la vivo con loro. Il vento è lì che mi scompiglia e riporta emozioni assopite. Mille sfumature sulla pelle, unico dialetto il calabrese. E così la vita scorre a Riace, un paese di poche anime nella terra ionica della Calabria. Dopo due giorni mi conoscono quasi tutti e ascolto le loro voci e i loro racconti. Padri, figli, nipoti, in ogni famiglia qualcuno è dovuto andare lontano per sopravvivere alla fame e alla miseria. Riace è terra di n’ndrangheta e migranti. In quest’ottica comprendo l’accoglienza calda e sentita per lo straniero arrivato dal mare. Si, quel mare cristallino che colora di azzurro una terra color ocra. E quel vento che riporta nel cuore la calma e compie il destino .I persecutori di questa fetta di mondo antico dovrebbero venirci e fermarsi con gli occhi chiusi e le braccia spalancate a rinfrancarsi dall’onta dell’odio, rapiti dalla brezza fresca del mattino.
Riace parla: ascoltiamo in silenzio, racconta una storia d’amore e di vento.
20 maggio 2019