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Neuroscienze: il cervello del bambino

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                                         Guido Brunetti

                            Neuroscienze: il cervello del bambino

 

  Il 20 novembre di ogni anno viene celebrata la Giornata mondiale del bambino istituita nel 1959 dall’ONU per promuovere la sensibilizzazione dei bambini e il miglioramento del loro benessere fisico e mentale.

 

  Concordiamo con i maggiori autori di neuroscienze nel sostenere che non sembra esistere niente di più complesso e meraviglioso del cervello umano. In virtù del patrimonio genetico e dello sviluppo avvenuto nell’utero, nasciamo con “un cervello unico”(Swaab), in cui le nostre inclinazioni, il nostro carattere e i nostri limiti sono in gran parte stabiliti.

 

  Lo sviluppo, normale e patologico del bambino, è influenzato dal periodo trascorso nel grembo materno e dall’ambiente familiare e socio-culturale. Già Darwin nel 1871 scriveva come lepri e conigli cresciuti in cattività in una gabbia abbiano un cervello del 15-30 per cento più piccolo rispetto ai loro simili cresciuti in libertà.

 

  Il cervello si sviluppa quindi già durante la gravidanza e nei primi anni di vita ad un ritmo rapido. Al riguardo, dobbiamo precisare che esiste una memoria fetale per quanto riguarda il suono, il gusto e l’olfatto. Abbiamo ricordi del periodo trascorso nell’utero.

 

 In verità, negli ultimi anni si è assistito ad un aumentato interesse verso l’infanzia e l’adolescenza considerate come fasi fondamentali della vita. Il campo di indagine in materia è immenso e comprende modelli pluridimensionali e polieziologici per la comprensione dei meccanismi neurobiologici, affettivi e sociali dello sviluppo e delle sue forme patologiche. Capire i bambini è poi un’esigenza basilare per l’influenza che essi esercitano sui valori della società e sulle sue istituzioni.

 

  Il bambino è una realtà vista in modi diversi, secondo le epoche e le culture. Per lungo tempo, egli è considerato un soggetto senza parola, senza intelletto e per alcuni filosofi senz’anima. Uno dei primi autori a sottolineare la colpa innata del bambino, in virtù della teoria del peccato originale, è stato sant’ Agostino. Così, per diciotto secoli, genitori e insegnanti sono stati d’accordo nel ritenere il neonato ‘carico del sudiciume e della lordura del peccato originale’ (Mause).

 

  Fino a tutto il Settecento, l’anima conta più del corpo. Infatti, egli è ritenuto imperfetto, un ‘animaletto incompiuto’. Nel Settecento e Ottocento, l’immagine del bambino comincia a trasformarsi. Il neonato è considerato un essere unico, che acquisisce un valore affettivo, economico e morale.

 

 La psicoanalisi prima e le neuroscienze poi hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cervello e della mente, evidenziando l’importanza di questa prima età e delle relazioni tra madre e bambino. Bisogna arrivare alla metà del Novecento quando si afferma un grande principio: per la prima volta, il bambino viene definito come ‘persona’. La Carta dei diritti dell’infanzia del 1959 riconosce e definisce infatti i diritti dei bambini, e fa appello a un’etica umana e medica allo scopo di realizzare il primo principio della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali quanto alla loro dignità e ai loro diritti.

 

 Nuove conoscenze provenienti da molteplici discipline scientifiche hanno dimostrato l’importanza fondamentale della diade madre-bambino e delle esperienze dei primi anni di vita per la salute mentale e lo sviluppo normale o patologico dell’essere umano. Anche dopo la nascita, si perpetua la simbiosi uterina con la madre, espressa da una forte unità dinamica e fisica.

 

 Esperimenti condotti su animali e su bambini hanno dimostrato le conseguenze disastrose della carenza di cure materne, della deprivazione affettiva e sensoriale e della mancanza di un ambiente ricco di stimoli sensoriali, affettivi e sociali. I lavori dei maggiori studiosi hanno documentato gli effetti devastanti della carenza di cure materne, della separazione e della deprivazione affettiva e sensoriale, come disturbi nell’organizzazione e nel funzionamento del sistema nervoso, grave ritardo psico-motorio, disturbi cognitivi, sonno, appetito, anoressia, ansia e depressione. Questa situazione determina conseguenze nei genitori e nella famiglia del bambino.

 

 Dalle ricerche poi sono emersi modelli relazionali patogeni della madre con il bambino, quali l’iperprotezione, la sindrome del bambino vulnerabile, il concetto di madre schizofrenogena.

 

 Alla formazione dei legami affettivi contribuisce l’ attaccamento, che è un processo fondamentale dal punto di vista neurobiologico nello sviluppo del bambino, poiché è alla base della cura dei piccoli, cruciale per la loro sopravvivenza. L’equilibrio mentale dell’adulto non è altro che il frutto del vissuto e dei traumi dei primi anni di vita. Gli studi neurobiologici dell’attaccamento sono stati condotti su modelli animali (macaco, ratti, pulcini, arvicole) e poi sull’uomo.

 

 Il campo di studio del bambino è immenso. E’ una persona con caratteri originali e irripetibili. Questa unicità si riflette sull’unicità della mente e del cervello. Alla nascita e durante la crescita, egli pone problemi specifici che illuminano le qualità del suo essere, la cui caratteristica principale rimane la vulnerabilità. Un essere in divenire, sottoposto a una serie di cambiamenti fisici, neurobiologici, mentali e affettivi. Lo sviluppo del bambino è perciò caratterizzato da una incessante riorganizzazione con fasi accelerate o decelerate durante le quali si verificano momenti di equilibrio e fasi di crisi.

 

 Ogni individuo pertanto si sviluppa secondo un ritmo che gli è proprio. A determinare lo schema strutturale della personalità di base, che condiziona ogni ulteriore evoluzione è il primo periodo di vita del bambino.

 

 L’influenza che la famiglia, la scuola e l’ambiente socio-culturale esercita sulle capacità intellettive, emotive e sociali del bambino è notevole. C’è un principio fondamentale emerso dalla ricerca neuroscientifica: il bambino deve essere trattato secondo la sua natura individuale. La pedagogia, i programmi scolastici, la famiglia e la scuola non possono prescindere dai ritmi individuali del processo evolutivo. Purtroppo, sono principi che non ancora vengono acquisiti né dai sistemi pedagogici e scolastici né dalle famiglie. Questa realtà ha come logico risultato l’emergere di una serie di disturbi psichiatrici, che spesso assumono forme di disadattamento e di devianza.

 

 In molti Paesi, si sta sviluppando una maggiore consapevolezza della grave emergenza della salute mentale nel bambino e nell’adolescente. Infatti, i casi di disturbo mentale, isolamento e abbandono scolastico sono in aumento in tutto il mondo. In Europa, un adolescente su sette convive con ansia, stress, frustrazione, solitudine e bassa autostima. Spesso poi i ragazzi sono sempre più vittime di violenza, bullismo e cyberbullismo. Preoccupa infine il fatto che i ragazzi sfuggono sempre più al processo di integrazione affettiva ed educativa in famiglia e a scuola.

 

 

 

 

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