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Fregata

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“Non mi fido della resistenza della costola, 

Euriloco, perché la fiancata vibra per cedere

al torneo dei remi.” 

La mano erpice sull’impugnatura usa il fulcro 

dello scalmo per tirare a sè il mare restio 

a qualsiasi solco (la marea, per definizione, 

si muove se viene attratta dalla parola lunatica, 

o anche se riceve una spinta pari al volume 

che la segna.) 

Lui, Euriloco, preso da una mosca inseguita 

a scarti del capo, improvvisi quanto netti, 

- quell’attenzione degna di miglior preda -,

non aveva altro che reagire ai fastidi.

Un poco a memoria e tanto per l’umore: 

come l’amore… quando l’hai assaggiato. 

Gustava la prua da polena, Euriloco, e apriva 

il libeccio come le fregate sanno fare, gonfiate

e rosse con la magia dei corteggiatori: in ogni 

vagabondo si trova una direzione che fa gola.

Fanno leva sulle isole come la gialla stagione

dei mosconi. Oppure le gocce di sudore. Pieghi

la schiena e la rialzi per attrarre a te il vogatore;

e questo sembra il bel presente: lo sforzo prende

lo spazio tra il ventre e un mondo di carnieri. 

Chi si apre non vede meglio, perciò anche in terra

seguiamo chi è in voga. Tra tanti elementi, 

Euriloco, arma l’anima un soffio 

dal mare abbandonato. 

 

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