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Il Giardino Medievale

Poesia

Francesco Varano
Edizioni Polistampa


Recensione proposta da LaRecherche.it

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Pubblicato il 31/05/2013 12:00:00

 

[ Recensione di Liliana Ugolini ]

 

 

Dalla prefazione di Franco Manescalchi traggo informazioni storiche importanti e queste mi aprono ad un periodo vissuto con gli ideali degli uomini di buona volontà che trovano una logica al loro fare. Mi domando perché Franco Manescalchi (col quale non si finisce mai di imparare attraverso i suoi silenziosi comportamenti o attraverso brevi colloqui) abbia scelto, per commentare questo significativo testo, me, che agnosticamente, guardo la politica come una delle tante contraddizioni e condizioni che ci riguardano. Così mi accingo a leggere questo libro che fin dal titolo promette sorprese.

L’incipit evoca la presenza di Pasolini che dice Io sono la forza del Passato ad indicare la strada possibile. “Il Giardino Medievale” è percorso da una piètas che vede e si immette tra la gente e le sue speranze svuotate.

Per questo io so

che non solo la mia divisione

di infanzia e maturità, sarà divisa

in tante piccole infanzie ancora

e in tante piccole maturità, ancora,

fino ad affermare l’impossibile

soluzione dove, forse, la perla si perde.

…………………………………………….

Siamo insieme

uccisi nelle stesse ore, dallo stesso gonfiore

della città.

 

Da genocidio a genocidio per domandarsi che non impariamo mai niente dal passato.

Si scrive giustizia. Così dicono, così parlano. Così cantano.

In questa delusa e lucida visione d’un medioevo attuale trovo una citazione di Franco Manescalchi da “Paese reale”:

Quando domanderanno di me

e vorranno sapere

tu mostra le foto sul tavolo

negli occhi fermi si può sempre leggere

“no al potere”

 

La fluttuazione della musica dei versi di Varano si fa nenia ripetitiva nel ritmo mentre scorre il pensiero dell’impotenza e della fede salvifica che non fa disperdere la nostra volontà di vivere ai piedi dell’armonia.

 

Chi vede è facile che dica cose già dettema in questo caso la critica si fa severa eppur pervasa da una profonda sofferenza per l’effettiva chiarità del guardare che sfoca nell’impotenza d’un colmo contenitore.

Il libro è così pieno di poesia che porgere i suoi brani è estrapolarne il pensiero puro per un lungo tempo di riflessione quasi impossibile da ritradurre.

Il periodo in cui queste poesie sono state scritte, 1977-1979, rende evidente il maturato inizio d’un periodo che ha in sé i semi del cambiamento. La presa di coscienza dell’errore (e orrore) che percorre la fede dell’uomo e che inesorabilmente si ripete per un rinnovo di altra fede è anche Il giorno ritornato povero(che) mi sente che ho vissuto da inesperto.

Molto significativo abbinare al gioco del tennis la notizia dell’incendio d’un Signore della Somalia, clandestino, da parte di giovani di passaggio.

Nell’indifferenza, proprio quando non avrei voluto pensare questo, continuano a balzare in alto le palle del tennis vicino e il gioco ricomincia ogni sera.

La citazione da Luzi muore ignominiosamente la Repubblica (oggi a me sembra che muoia ignominiosamente la Democrazia), è svuotata dall’oggettiva presa d’atto che la maggioranza non fa il “meglio”.

Ogni giorno che passa/ il cielo comune possiede poco/ perché la storia è una vecchia involuzione. (E, dunque, dove potrà andare il prossimo dramma?)

Leggere pensiero politico e poesia negli anni 77-79 è avere conferma che dentro c’è una premonizione, una sensibilità che avverte l’impotenza d’un cambiamento.

Il silenzio delle arie/ dei gradini delle Logge alla Torre/ come la quiete invade il male/ il crudo male che si subisce.

Comincio a capire forse perché Franco Manescalchi mi ha scelto per commentare questo libro. Detto in maniera diversa, c’è la visione filosofica dei mie “burattini”

percepita dallo spazio mentre qui le frasi si animano dentro la terra delle loro anime.

Io e la mia eticità soli,e pieni di vergogna nel caldo della piazzetta/ settentrionale/ dove leggere le targhe/ di marmo si scorge la storia della Resistenza.

Si ricorda l’attentato di Piazza della Loggia ricordando l’ altro Medioevo.

Ecco la Torre, l’Orologio, La Loggia del Consiglio/ antichissimo splendore, quando il Medioevo/ col suo animo mercantile costruiva un suo tranquillo/ mattino, un’anima che poteva perdersi in pace.

……………… Continuiamo a patire, ad avere paure/ a vivere. Dopo i sentimenti/ del coraggio, ritorna il dovuto passato/ e siamo rimasti in molti senza pudori/

di dire il male che ci prende: è tutto questo/ ridotto a energie uguali d’impotenza.

 

Si percorrono titoli e immagini che ancora indicano un cammino, una consapevolezza. La ricerca della salvazione è nella pulita raffinatezza dell’ Arte unico mistero a cui appellarci. Anche questa nelle sue espressioni narra la storia dell’uomo dentro una bellezza che trascende la speranza la speranza(che) cammina alla stessa altezza del gabbiano.

……Ma umano è contemplare l’inquieto…

 

La donna a cui è dedicato un intero capitolo è compagna ed enigma.

Anche la donna che ci visita/ una volta è un’ immagine buona,/ altre rappresenta/

la fuga dal tutto il paesaggio.

Un libro, questo, che, come pietra miliare, dà indicazioni sul senso del vivere, per una strada cercata col segno sulla pietra, quale appiglio da cui ripartire per l’ignoto. Un libro che cerca le molte verità con velata e saggia malinconia per la coscienza del vedere e sapere lontano.

 


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