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Raccolta di articoli di Raffaele Piazza
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Poesia

Pietro Rosetta - Poesie nascoste nella dispensa

Pietro Rosetta

 

POESIE NASCOSTE NELLA DISPENSA

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

 

Pietro Rosetta è un affermato medico oculista che nel 1997 ha pubblicato qualche poesia nel volume antologico Scrittori Italiani del II Dopoguerra. La poesia contemporanea edito da Guido Miano Editore.

Nel mese di aprile del 2024, per la stessa Casa Editrice, ha dato alle stampe la sua raccolta di poesie, un’opera prima, silloge nella quale si rivela come un poeta eccellente, una vera scoperta letteraria il cui merito va proprio a Guido Miano Editore che lo ha incoraggiato e spinto ad uscire dal suo silenzio.

Evocativo il titolo della raccolta che sembra mettere in luce la riservatezza del Nostro perché ha tenuto nascoste queste poesie presumibilmente per molto tempo prima di pubblicarle cosa che accomuna molti poeti.

Ora Rosetta è uscito allo scoperto con questa raccolta e ha fatto bene perché le sue composizioni sono splendide nel loro essere connotate da vaghezza e grande originalità e bellezza affascinante.

Ha tolto metaforicamente i componimenti dalla dispensa, elemento che evoca qualcosa di domestico, e senza esitare più ha messo le poesie nella bottiglia del messaggio e le ha lanciate nel mare magnum del circuito letterario con il volume che prendiamo in considerazione in questa sede.

Veramente centrata e ricca di acribia la prefazione di Enzo Concardi a questa silloge nella quale il critico individua il tema dominante dei versi che è quello del dualismo amore - morte interiorizzato dal poeta; dualismo che emerge nel suo approccio alla poesia, alla scrittura che è la vita perché si scrive sempre di sé stessi e la poesia stessa è sempre d’occasione.

La raccolta non è suddivisa in sezioni e per la sua unitarietà tematica, formale e stilistica potrebbe essere considerata un poemetto.

Ad una prima lettura si nota nei versi un forte senso del dolore sotteso alla condizione umana e anche nell’approccio alla dimensione amorosa e si potrebbe pensare a questo proposito al pessimismo cosmico di Leopardi e al male di vivere di Montale.

Tuttavia ci sono poesie connotate da un atteggiamento positivo verso la vita e l’amore e la poetica di Rosetta è piena della raffinatezza delle parole controllatissime e debordanti nella stessa tempo e i versi sono generati da una forte urgenza del dire e risultano chiari e complessi nello stesso tempo.

Si tratta di poesie icastiche e leggere nello stesso tempo che si possono definire neo liriche e che hanno intrinseca una componente riflessiva e intellettualistica.

«Un sottile brivido sbocciato / d’improvviso nel mio giardino / viene a sussurrare l’estate / ai miei pensieri, fioriti nella mente / senza più trovare le parole» scrive Rosetta in una poesia senza titolo (pag.16) che è affascinante perché per argomento ha il rapporto tra detto e non detto che crea nel breve tessuto linguistico una forte tensione che si lega a un senso di sospensione e di forte solipsismo nell’io-poetante molto autocentrato; anche un senso di magia e di malia emerge da questa poesia raffinata e ben cesellata come del resto sono tutti i componimenti del Nostro che nella maggioranza dei casi non presentano titolo e ciò ne accresce il senso del mistero.

«Il tempo è sbocciato / figlio di un sogno che non si vuole realizzare // e le mie mani tra le tue mani / e la mia pelle contro la tua pelle / e i miei occhi dentro i tuoi occhi / e il mio domani, forse anche il tuo domani // sono magici incantesimi che le parole / trascinano impetuose al tribunale della realtà // il tempo è sbocciato / figlio legittimo di una pienezza sconosciuta / e le voci della città / sono fiori, sono frutti che tu hai sparso / intorno a me…».

Nella suddetta poesia (pag.19) densa metaforicamente si respira un senso di ottimismo e molto bella è l’espressione anaforica «Il tempo è sbocciato» per la quale il tempo stesso è figlio di un sogno che non si vuole realizzare e figlio legittimo di una pienezza sconosciuta. 

Nel componimento è centrale il tema amoroso erotico e sensuale quando sono nominati gli occhi, la pelle e le mani del poeta e dell’amata che divengono biblicamente una sola carne.

Quindi è una poetica quella di Rosetta in bilico tra gioia e dolore e la complicità, la connivenza che l’io – poetante cerca nell’amata è sicuramente un sintomo di positività nel credere fermamente che l’amore ricambiato stesso possa aprire le porte alla felicità.

Si può definire una ricerca del senso vero e profondo della vita quella di Pietro, una tensione stabile verso la realizzazione dei desideri dettati dai sentimenti soprattutto nel campo amoroso.

E se la poesia è la leggerezza e la quotidianità con il suo eterno ritorno è il vero esistere, Rosetta dimostra che lo strumento umano per riuscire a trovare sicurezza consiste nel creare un’osmosi tra poesia e vita che richiede una grande attenzione che salva e fa realizzare l’individuo in amore, nel lavoro e in tutto.

Il discorso del Nostro affascina perché ogni suo lettore s’identifica in lui che è portatore di sentimenti e valori universali con profondità e fertile intelligenza.

Raffaele Piazza

 

 

Pietro Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-21-9, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Poesia

Roberto Casati - Come armonie disattese - Raffaele Piazza

Roberto Casati

 

COME ARMONIE DISATTESE

Poesie (2020-2023)

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

 

Con la sua nuova raccolta di poesie Roberto Casati emerge ancora una volta come una delle figure più significative della poesia italiana contemporanea.

Come armonie disattese (Guido Miano Editore, Milano 2024) è una raccolta che come scrive giustamente Enzo Concardi nella prefazione si situa come continuum rispetto al suo libro di poesie precedente Appunti e carte ritrovate (pubblicato sempre con Guido Miano Editore), libro che meritatamente ha riportato eccellenti consensi dalla critica che si possono tra l’altro leggere nelle motivazioni delle giurie dei premi letterari che ha vinto.

Il Nostro in Come armonie disattese, pur partendo dalle esperienze precedenti accentua il tono di vaghezza, di sospensione nei suoi componimenti che sembrano il precipitato di sogni ad occhi aperti che hanno anche una patina di espressione surreale e prevalgono anche qui i temi dell’amore per l’amata e della capacità di stupirsi di fronte alla bellezza della natura.

Denominatore comune del poiein di Casati in tutta la sua produzione di poeta neolirico tout-court è quello di produrre tramite le metafore frequenti memorabili epifanie accensioni subitanee e folgoranti che vengono percepite dal fortunato lettore, per la loro chiarezza già da una prima lettura.

Rarefatta, ben cesellata e raffinata, icastica e nello stesso tempo leggera la forma di questi componimenti sublimi che hanno per tema un amore sensuale per la figura femminile che pare avere qualcosa di salvifico e qui s’innesta il discorso sulla capacità d’amare e sull’eterno femminino perché la stessa amata e amante si fa musa e ispiratrice di versi memorabili.

«Ho rubato i tuoi occhi / sulla linea del non visto, / dove la notte / non è più il pensiero perduto ieri, / dove il giorno / non è ancora il colore sui tuoi anticipi. // Sono rimasto troppo / davanti a te, / cercando con le dita / di sfiorare l’ombra / sugli angoli dimenticati. // Nel tempo che conosco da ieri / sguardo / dato e ripreso / mille volte per sempre».

Nella suddetta poesia si nota anche una forte sensibilità verso il tema del tempo nel nominare con urgenza notte e giorno, e come scrive Casati si può avere anche una conoscenza del tempo e uno sguardo può essere dato e ripreso mille volte ma anche per sempre e qui viene in mente l’attimo heidegeriano feritoia tra passato e futuro quando il tempo virtualmente si ferma in un presente infinito.

‘Armonie’, come leggiamo nel titolo della raccolta, ma ‘disattese’ come se entrasse nella poetica di questo volume di Casati, rispetto agli altri libri un fattore x una nuova tonalità giocata sulla tastiera analogica.

Con la sua scaltra coscienza letteraria nomina la parola disattese per farci comprendere tutto il pathos che ci può essere in una relazione amorosa che la stessa donna-musa traduce in poesia, come se dettasse lei i versi al poeta stesso, versi, e questo va sottolineato, sempre controllatissimi pur nella loro fortissima carica d’ipersegno.

Disatteso infatti è un termine forte e ricco di significati come dimenticato, tralasciato, non considerato, non osservato e definire le armonie disattese è un modo di farci intendere che nei sentimenti come nella scrittura poetica è sempre tutto sospeso e non scontato e vengono in mente i versi di Goethe a questo proposito: «essere tutto gioia e patimenti… / felice è solo l’anima che ama».

Raffaele Piazza      

 

 

 

Roberto Casati, Come armonie disattese, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 164, isbn 979-12-81351-31-8, mianoposta@gmail.com.

   

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- Poesia

Apeiron - Maria Teresa Liuzzo Recensione di Raffaele Piazza

Maria Teresa Liuzzo – Apeiron

Jason Editrice s.r.l. – Reggio Calabria – 1995 – pag. 207

 

         Maria Teresa Liuzzo, l’autrice della raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia). È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hunedoara). Poetessa, scrittrice, critico letterario e saggista ha all’attivo un grande successo per le sue opere di narrativa e poesia tradotte anche all’estero in numerosi Paesi.

         Apeiron è una corposa raccolta di poesie non scandita che mette in luce la coscienza letteraria di Maria Teresa Liuzzo che nel suo poiein realizza in ogni singolo verso forme articolate e composite, icastiche, leggere e cariche d’ipersegno.

         E poi è mirabile osservare come i versi si assemblino tra loro producendo tessuti linguistici complessi e movimentati connotati da fortissimo fascino magia e malia.

         Per Apeiron s’intende l’origine, il principio costituente dell’universo illimitato e infinito per grandezza e indefinito da cui tutto deriva e questo concetto bene si adatta al senso, all’etimo che sottende tutti i componimenti del volume.

         Spesso sono detti con urgenza il peggio possibile, il male incomprensibile, la morte e il dolore come in Ruanda, martoriata terra africana dove i bambini muoiono di fame: ma poi in questa poesia c’è un’accensione, una mistica apertura alla speranza quando sono nominate la luce e la Sapienza che hanno un tono biblico.

         Del resto un alone mistico connota tutta la produzione letteraria della Liuzzo a partire dai suoi romanzi mirabili e tradotti in numerose lingue in vari paesi del mondo.

         La raccolta non è scandita e presenta nel suo insieme una notevole compattezza e potrebbe essere considerata un poemetto,

         Fortissime sono le densità metaforiche e sinestesiche e notevole è l’icasticità dei versi che si realizza in un connubio meraviglioso con la leggerezza.

         Anche la natura detta in maniera raffinata, elegante e ben cesellata, inserita nel cronotopo trova la sua realizzazione in questa scrittura.

         La partita si gioca tra gioia e dolore e la morte e il disfacimento sono menzionati ed è detto anche il male che trova il suo contraltare in epifanie di rarefatta bellezza.

         Un tono suggestivo, sapienziale e intrigante connota questi versi suggestivi armonici e musicali.

         E in Lo specchio sono detti anche i morti che piangono, In Lutto e memoria serpeggia il pessimismo: - “strano gioco. Amore/ avere vita/ l’amara sorgente/ generata da un vomito di sangue/…”.

         Memorabile l’incipit de La voce dei giorni, componimento che apre la raccolta: - “Ora che libera torno/ in questa cava di pietra, / in questo fiume d’aria/ dalla crudeltà dei sogni mi dissocio/ e crollano le forme/ nel maledetto rogo dei pensieri/…”,

         Una scrittura avvertita, acuminata quella della Liuzzo sia in poesia che in prosa nel realizzare incantevoli affreschi di parole tra reverie e meravigliosa compiutezza che trova la cifra distintiva in un incontrovertibile originalità.   

         Si tratta sicuramente di una poesia neolirica ma la poetica di Maria Teresa è sottesa da intellettualismo che si coniuga ad una vena filosofica.

         Il lettore è rapito dal magma dei versi e nell’affondarvi è colto da un brivido vitalistico dovuto all’immensa forza espressiva e tutto pare giocarsi nel confine tra morte e vita, eros e thanatos che esprimono un inconscio controllato che viene alla luce,

alla superficie dopo che l’ansia ha toccato il fondo.

         Una splendida sintesi di materia, natura e sentimenti emerge per bellezza e nelle poesie è forte il senso del tempo che non è quello lineare degli orologi ma un non tempo che sottende tutto il discorso. 

         Veramente notevole e ricca di acribia la prefazione di Romeo Magherescu dell’Università di Craicava – Romania, che coglie nel segno.

         Scrive il professore che vista da vicino, con minuzia, questa raccolta poetica per un attimo ci fa provare un’aria di smarrimento, non sai come inquadrare un genere così estraneo al canone tradizionale, e anche alle ultime correnti della moda letteraria. Eppure a ricomporre il quadro poetico, basta indietreggiare di qualche passo, prendere le distanze e cogliere l’impressione d’insieme, come di fronte ai quadri d’ispirazione picassiana.

         Si percepisce un senso di continuità nei versi in lunga ed ininterrotta sequenza, un fluire armonico come di acque sorgive e primeve nello svilupparsi dei componimenti anche se è frequente la punteggiatura e il tutto può essere paragonato ad una partitura musicale di cui l’esecuzione avviene attraverso le battute.

         Avviene una continua ricerca dell’essenza delle cose come approdo quasi come dopo essersi smarriti come in Deforme realtà: - “Mi persi nella fuga del fiume/ il compiersi di trame/ d’inconscio/ e nel sussurro antico della pietra/ colsi la deforme realtà…”.

         Ma se la realtà è deforme, come se dai nostri occhi vedessimo attraverso lenti colorate allora il solo dato tangibile rimane il verbo, le parole dette con urgenza scattanti, luminose e armoniche che fanno questa poesia.

         Eppure si esce in rassicuranti passaggi dal caos e dall’entropia come quando nell’incipit del suddetto componimento la poetessa novella Saffo scrive: - “Modellai/ la fanghiglia del tempo/ nell’illuso cammino/ e breve/ percependo nell’aria azzurrata/ ugole d’acqua…”.

         Dalla natura si passa al sentimento e dal sentimento si passa alla natura in un non tempo in un’aurea di sospensione e continuo mistero tra neoclassicismo e neoromanticismo.

         Un tono assertivo, gnomico ed epigrammatico costella questi versi di grandissima bellezza e intensità nella loro precisione e nel loro nitore.

         Accanto ai testi sono inserite tavole che riproducono quadri che bene s’intonano alle poesie che sono tutte pervase da un incontrovertibile fascino.

         E anche il mare è una presenza quasi nell’atto dell’io-poetante del ritornare nel grembo materno quando la poetessa scrive in Medusa: - “Rivedo su conchiglia d’ombra/ sembianze di madre/ consunte dalla medusa dei giorni…”.

         Un modulato e fluttuante incanto in questi componimenti che emozionano fortissimamente il lettore nel farlo entrare in un magico mondo di meraviglia.

 

         Raffaele Piazza

 

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- Poesia

Francesca Lo Bue - Non te ne sei mai andato - Poesia

Francesca Lo Bue – Non te ne sei mai andato

Edizioni Progetto Cultura – Roma – 2024 – pag. 133 - € 10, 00

 

 

         Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009 oltre alle raccolte di poesia Il libro errante, Moiras, I canti del pilota e Itinerari.

         Non te ne sei mai andato, il volume di poesie della Lo Bue che prendiamo in considerazione in questa sede,presenta, accanto alla versione in italiano, quella spagnola a fronte.

         Il testo trova la sua cifra distintiva in una poetica tout-court neolirica tramite l’effusione della voce poetica dell’io-poetante tra dolore e gioia, magia della parola sempre icastica e leggera e sospensione.

         La partita nella raccolta si gioca in atmosfere umbratili e di onirismo purgatoriale quando il progetto di scrittura s’invera nell’oscurità che fa da sfondo anche se nei tessuti linguistici avvengono subitanee accensioni di luminosità felice antidoto contro la tenebra che sottende il male che è quello di vivere o anche quello che viene definito mal d’aurora.

         Frequente è l’aggettivazione che rende definiti e precisi i sintagmi nel loro nitido articolarsi.

         In Avrò un nome, una delle poesie più belle nella sua complessità, qualità che sottende tutti i componimenti del libro è presente il tema dell’identità e quello della nominazione (le cose esistono quando vengono dette).

         I versi sono tutti raffinati, eleganti e ben cesellati e ben risolti nel loro magmatico dipanarsi sulla pagina.

         Si percepisce una notevole profondità del pensiero che anima i versi stessi a dimostrazione dell’avvertita coscienza letteraria della poetessa.

         Le immagini sgorgano le une dalle altre in periodi brevi e al centro del senso c’è l’essere umano hic et nunc gettato nella ressa cristiana dei giorni fin dalla nascita per la qual cosa la poetica di Francesca potrebbe essere considerata ontologica perché tutti i componimenti vedono nel loro etimo l’io-poetante nella sua tensione alla felicità cosa difficilissima da raggiungere anche se non è una chimera.

         C’è una diffusa inquietudine sottesa al senso del mistero cosa che è qui molto accentuata e che si farà meno pressante nelle raccolte successive che sono maggiormente pervase da solarità.

         Visionarietà e una certa vena anarchica, cose tra sé stesse connesse, serpeggiano nel dipanarsi dei versi come il filo di un gomitolo.

         Come in Itinerari, raccolta successiva, incontriamo un Tu da sottolineare con la T maiuscola che per questo elemento riporta al concetto dell’essere se non a quello della trascendenza.

         Viene spontaneo chiedersi il perché del titolo della raccolta Non te ne sei mai andato e se andarsene per estensione significa morire si potrebbe pensare che qui la poeta si rivolga ad un altro tu presumibilmente una figura a lei cara realmente esistente che è sopravvissuto, oppure si potrebbe pensare che la Lo Bue si rivolga a sé stessa.

         Un libro dove poesia ed esistenzialismo si coniugano in un pregevole esercizio di conoscenza.

 

         Raffaele Piazza

             

        

         

Francesca Lo Bue – Non te ne sei mai andato

Edizioni Progetto Cultura – Roma – 2024 – pag. 133 - € 10, 00

 

 

         Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009 oltre alle raccolte di poesia Il libro errante, Moiras, I canti del pilota e Itinerari.

         Non te ne sei mai andato, il volume di poesie della Lo Bue che prendiamo in considerazione in questa sede,presenta, accanto alla versione in italiano, quella spagnola a fronte.

         Il testo trova la sua cifra distintiva in una poetica tout-court neolirica tramite l’effusione della voce poetica dell’io-poetante tra dolore e gioia, magia della parola sempre icastica e leggera e sospensione.

         La partita nella raccolta si gioca in atmosfere umbratili e di onirismo purgatoriale quando il progetto di scrittura s’invera nell’oscurità che fa da sfondo anche se nei tessuti linguistici avvengono subitanee accensioni di luminosità felice antidoto contro la tenebra che sottende il male che è quello di vivere o anche quello che viene definito mal d’aurora.

         Frequente è l’aggettivazione che rende definiti e precisi i sintagmi nel loro nitido articolarsi.

         In Avrò un nome, una delle poesie più belle nella sua complessità, qualità che sottende tutti i componimenti del libro è presente il tema dell’identità e quello della nominazione (le cose esistono quando vengono dette).

         I versi sono tutti raffinati, eleganti e ben cesellati e ben risolti nel loro magmatico dipanarsi sulla pagina.

         Si percepisce una notevole profondità del pensiero che anima i versi stessi a dimostrazione dell’avvertita coscienza letteraria della poetessa.

         Le immagini sgorgano le une dalle altre in periodi brevi e al centro del senso c’è l’essere umano hic et nunc gettato nella ressa cristiana dei giorni fin dalla nascita per la qual cosa la poetica di Francesca potrebbe essere considerata ontologica perché tutti i componimenti vedono nel loro etimo l’io-poetante nella sua tensione alla felicità cosa difficilissima da raggiungere anche se non è una chimera.

         C’è una diffusa inquietudine sottesa al senso del mistero cosa che è qui molto accentuata e che si farà meno pressante nelle raccolte successive che sono maggiormente pervase da solarità.

         Visionarietà e una certa vena anarchica, cose tra sé stesse connesse, serpeggiano nel dipanarsi dei versi come il filo di un gomitolo.

         Come in Itinerari, raccolta successiva, incontriamo un Tu da sottolineare con la T maiuscola che per questo elemento riporta al concetto dell’essere se non a quello della trascendenza.

         Viene spontaneo chiedersi il perché del titolo della raccolta Non te ne sei mai andato e se andarsene per estensione significa morire si potrebbe pensare che qui la poeta si rivolga ad un altro tu presumibilmente una figura a lei cara realmente esistente che è sopravvissuto, oppure si potrebbe pensare che la Lo Bue si rivolga a sé stessa.

         Un libro dove poesia ed esistenzialismo si coniugano in un pregevole esercizio di conoscenza.

 

         Raffaele Piazza

             

        

         

Francesca Lo Bue – Non te ne sei mai andato

Edizioni Progetto Cultura – Roma – 2024 – pag. 133 - € 10, 00

 

 

         Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009 oltre alle raccolte di poesia Il libro errante, Moiras, I canti del pilota e Itinerari.

         Non te ne sei mai andato, il volume di poesie della Lo Bue che prendiamo in considerazione in questa sede,presenta, accanto alla versione in italiano, quella spagnola a fronte.

         Il testo trova la sua cifra distintiva in una poetica tout-court neolirica tramite l’effusione della voce poetica dell’io-poetante tra dolore e gioia, magia della parola sempre icastica e leggera e sospensione.

         La partita nella raccolta si gioca in atmosfere umbratili e di onirismo purgatoriale quando il progetto di scrittura s’invera nell’oscurità che fa da sfondo anche se nei tessuti linguistici avvengono subitanee accensioni di luminosità felice antidoto contro la tenebra che sottende il male che è quello di vivere o anche quello che viene definito mal d’aurora.

         Frequente è l’aggettivazione che rende definiti e precisi i sintagmi nel loro nitido articolarsi.

         In Avrò un nome, una delle poesie più belle nella sua complessità, qualità che sottende tutti i componimenti del libro è presente il tema dell’identità e quello della nominazione (le cose esistono quando vengono dette).

         I versi sono tutti raffinati, eleganti e ben cesellati e ben risolti nel loro magmatico dipanarsi sulla pagina.

         Si percepisce una notevole profondità del pensiero che anima i versi stessi a dimostrazione dell’avvertita coscienza letteraria della poetessa.

         Le immagini sgorgano le une dalle altre in periodi brevi e al centro del senso c’è l’essere umano hic et nunc gettato nella ressa cristiana dei giorni fin dalla nascita per la qual cosa la poetica di Francesca potrebbe essere considerata ontologica perché tutti i componimenti vedono nel loro etimo l’io-poetante nella sua tensione alla felicità cosa difficilissima da raggiungere anche se non è una chimera.

         C’è una diffusa inquietudine sottesa al senso del mistero cosa che è qui molto accentuata e che si farà meno pressante nelle raccolte successive che sono maggiormente pervase da solarità.

         Visionarietà e una certa vena anarchica, cose tra sé stesse connesse, serpeggiano nel dipanarsi dei versi come il filo di un gomitolo.

         Come in Itinerari, raccolta successiva, incontriamo un Tu da sottolineare con la T maiuscola che per questo elemento riporta al concetto dell’essere se non a quello della trascendenza.

         Viene spontaneo chiedersi il perché del titolo della raccolta Non te ne sei mai andato e se andarsene per estensione significa morire si potrebbe pensare che qui la poeta si rivolga ad un altro tu presumibilmente una figura a lei cara realmente esistente che è sopravvissuto, oppure si potrebbe pensare che la Lo Bue si rivolga a sé stessa.

         Un libro dove poesia ed esistenzialismo si coniugano in un pregevole esercizio di conoscenza.

 

         Raffaele Piazza

             

        

         

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- Letteratura

Alfredo Alessio Conti - Poesie scelte - Guido Miano Editore

Alfredo Alessio Conti

 

LIRICHE SCELTE

 

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

Composita per tematiche nettamente diverse tra loro e stati d’animo la poetica che attraverso i suoi versi chiari, leggeri e icastici esprime Alfredo Alessio Conti (scrittore di Livigno, SO); tuttavia sia che il Nostro tocchi il tema del pessimismo (che sottende però sempre un riscatto), sia che l’ispirazione sia di tipo amorosa-erotica, sia che sia di stampo religioso, si riscontra in tutte le composizioni un comune denominatore, un filo rosso che è quello di un io-poetante sempre molto autocentrato, che scava nel fondo della propria anima e proprio in questa sede si generano le parole della sua ricerca esistenziale quando dal nulla del mondo emerge un brandello d’essere che può essere una tonalità affettiva o un elemento naturalistico per esempio una foglia nella quale trasformarsi per una magica metamorfosi o un’indicibile gioia davanti a  un tramonto o nel dolore nel contemplare il mare per fare qualche esempio.

Conti si esprime attraverso una forma elegante e tutti i componimenti sono raffinati e ben cesellati e risolti con un perfetto controllo.

Il volume Liriche scelte (Guido Miano Editore, Milano 2024) è un testo che scandaglia a fondo il poiein di Conti e presenta oltre la premessa di Guido Miano, tre prefazioni, nel campo della letteratura comparata, a firma di tre diversi critici (Enzo Concardi, Gabriella Veschi, Floriano Romboli) a tre sillogi di poesie accomunate ognuna da una delle tematiche (che sono anche problematiche) dell’autore (problematiche esistenziali, tema dell’amore, e spiritualità).

Se neanche Conti come Montale non può non confrontarsi con il male di vivere, tuttavia trova la forza nella parola stessa che è sottesa alla visione e alla certezza di un ideale trascendente come termine e inizio di una vita infinita al termine del tempo terreno che è sempre breve.

Quindi Conti riesce a fermare il tempo o lo vorrebbe per trovare una risposta alle aspettative di una vita di credente e in un bellissimo componimento intitolato E passeggio scrive: «Fermati, fermati  primavera/ il bucaneve/ è già spuntato nel prato/ le giornate si sono allungate/ tra poco fioriranno/ anche le rose con le loro spine/ e gli alberi con le loro gemme/ si risveglia la natura/ sorrido/ chino il capo/ e passeggio/ attendendo l’inverno». Anche il tempo, dunque è un argomento centrale in questo autore; tempo che passa e che è scandito dal susseguirsi delle stagioni in attese, malinconie, gioie e stupori che Conti sa fare vivere anche nelle anime dei fortunati lettori delle sue poesie.

Nelle poesie amorose serpeggia un tu al quale il poeta si rivolge in modo molto sentito come in Non sono più: «L’ho sepolto lì/ in quel piccolo cimitero di montagna/ il desiderio d’incontrarti/ su quelle vette impervie/ ad osservare il cielo/ e il mondo da lassù…».

Sembra che i versi nascano da sogni ad occhi aperti, quasi come se il poeta con una cinepresa virtuale riuscisse a captare i dati più profondi della realtà che non è solo la natura che lo circonda e trasferire questi dati in versi che talvolta hanno qualcosa di epigrammatico.

Tutto l’ordine del discorso è sotteso ad accensioni e spegnimenti improvvisi paralleli nella mente e nelle parole del poeta sempre in bilico tra gioia e dolore e tuttavia c’è la sicurezza che la felicità può essere raggiunta anche con l’intelligenza oltre che con il credere nelle bibliche parole che affermano che chi semina appunto nel dolore mieterà con giubilo.

Raffaele Piazza

 

 

Alfredo Alessio Conti, Liriche scelte, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2024, pp.104, isbn 979-12-81351-25-7, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

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- Letteratura

Recensione a Piogge verdi di smeraldi di Maria Teresa Liuzzo

MARIA TERESA LIUZZO, Piogge verdi di smeraldi – La coscienza di Mary –,
Presentazione e note di Mauro D’Castelli, Postfazione di Antonio Catalfamo,
Reggio Calabria, A. G. A. R. Editrice 2024, pp. 376
L’apertura è una struggente poesia: Vattindi figghia “vattene figlia” (pp. 43-46), che nell’afflato e
passione per le ingiustizie e i soprusi di cui è vittima la terra calabrese ricorda le poesie di Ignazio
Buttitta. Anche il capitolo I si apre in poesia: il lettore è invitato ad andare oltre la prosa del roman
zo, a gustare il ritmo delle parole che parlano di notte e di stelle, e d’amore.
L’incipit è un percorso all’indietro, verso il passato mai dimenticato, coi suoi orrori e le sue anghe
rie eternamente rivissute da Mary, innocente vittima di complotti malavitosi. Viene abbandonata da
tutti in ospedale, dove deve dare alla luce Priscilla, una figlia fortemente, eroicamente voluta e desi
derata. Procede a sfumature, questo libro, e dunque dal passato funesto si arriva insensibilmente ad
un tempo e un luogo “oltreoceano” dove Mary gode dell’amore del principe, un amore immerso
nella poesia dolce del paesaggio. Qualche rigo più avanti, tuttavia, riappare la madre-matrigna che
profana la tomba di Mary. S’ingenera nel lettore il dubbio se la Mary di cui si racconta sia viva o
morta, ma di ciò nulla può dirsi davvero, trattandosi di un personaggio letterario, che è nel contem
po vero, autobiografico, creato dall’esperienza di chi racconta o scrive, eppure è anche altro: fanta
sma che il lettore plasma e ricrea secondo la sua cultura e sensibilità. Dunque decidere se considera
re Mary viva o morta equivale, penso, a vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. In effetti,
la tomba di Mary viene trovata vuota, come il sepolcro di Cristo il giorno di Pasqua (un giorno pe
raltro ricordato all’inizio del Capitolo). Ciò può ingenerare gioia (Cristo è risorto – Mary è viva!) o
frastornazione, come avviene nella madre di Mary, che ingiunge ai figli di ritrovarla viva ad ogni
costo perché vuole accoltellarla e farla finita.
Nel Capitolo II l’atmosfera è quello di un sogno, o di tanti sogni uno dentro l’altro inframmezzati ad
una realtà anch’essa sfuggente. Dapprima è il sogno di una notte d’amore, che al risveglio di Mary
si rivela in parte, inspiegabilmente, reale. La dimensione del sogno penetra nel reale e lo condizio
na: un quadro sembra avere la funzione di specchio, come quello attraversato da Alice. Mary appar
tiene, ormai, ad una dimensione trascendente. Come le figure (oserei dire “bambole”) di Chagall,
Mary s’innalza su monti e vallate fino ad abbracciare in visione la Terra intera. Com’è consueto
nella poetica liuzziana, che tragicamente mette in campo luce ed ombra, anche l’atmosfera onirica
di questo capitolo sfuma talvolta nell’incubo, con voci minacciose che si odono nelle stanze adia
centi a una torre, un’aula di tribunale dove la giustizia pare defraudata. Però è proprio la naturale
frequentazione del mondo dei sogni (un mondo non necessariamente finto e ingannevole come
normalmente viene considerato) a permettere a Mary di dimenticare “la solitudine di quella giornata
e l’umore della tristezza, che sembrava sfiorarla, vischioso, attaccaticcio” (p. 65).
Per dirimere la questione, se Mary e la sua storia appartengano alla realtà o al sogno rifletto sulla
presenza della luce: “La luce calda / e rossastra sembra rianimarmi” (p. 72). Da ciò deriva
l’importanza dell’occhio e dello sguardo (di Mary, di Maria Teresa Liuzzo e del lettore). Occhio e
sguardo dicono l’esserci: “vedo, anzi, guardo, osservo, dunque sono”. Partecipa di questo significa
to anche l’”occhio di bue” (p. 73) che pare inquadrare una scena teatrale ripetitiva. La luce è quella
viva della Calabria, intessuta di miti greci, luce che crea ombre nette nel paesaggio, in un contrasto
dialettico fra vita e morte (e Mary parla, a p. 76, dell’ombra materna, come se la morte combaciasse
con la madre), contrasto che colgo tra Mia, la viva bambola di Mary e il feto abortito dalla madre di
Mary, che lei trova in giardino mentre se lo contendono cani e gatti: “Era una bambolina di viva
carne: sembrava un giocattolo” (p. 74). L’occhio illuminato di Mary percepisce la morte in quel mi
sero corpicino e l’aver visto, l’essere stata, come si dice nel linguaggio poliziesco, testimone ocula
re, la rende pericolosa agli occhi della madre. La luce, tuttavia, proietta Mary oltre l’orizzonte del
contingente, verso l’eterno: “Era già sera, ma la linea dell’orizzonte restava accesa di una luce vio
lenta, […] e fu a quella vivida luce che la libertà mi si rivelò” (p. 76). Mary sa, tuttavia, che il vede
re implica responsabilità, “perché quanto aveva visto non poteva passare sotto silenzio” (p. 79).E dunque oltre alla luce conta la parola, quella parlata, ma soprattutto, per Maria Teresa Liuzzo,
quella scritta, anzi cantata. Mi sembra che le parti in versi costituiscano inserti autobiografici della
poetessa, come una Vita Nova al contrario. Voglio dire che è come se le parti in versi di questo libro
fungessero da spiegazione del romanzo in prosa, o meglio da introduzione, dato che i versi sono
spesso posti a guisa di incipit dei capitoli. Nei versi la poetessa, “trafitta dall’urgenza della scrittu
ra” (p. 83) raggiunge le sublimi sfere celesti della consapevolezza che poi trasfonde narrativamente.
Ed effettivamente la prosa, nel descrivere ambienti orridi e situazioni familiari raccapriccianti che
paiono ispirati a certe scene dei bassifondi metropolitani di tanti film e romanzi criminali, ricalca
l’andamento tragico dei versi, dove parole preziose, termini dialettali, allitterazioni ed altre forme
espressive rendono la drammaticità ben reale di ciò che Maria Teresa Liuzzo ha vissuto.
Ma è nel racconto in prosa che si sublima il dolore vissuto, anche attraverso il riferimento a pittori
come Van Gogh e Lucian Freud (p. 89), dalle immagini espressionisticamente tragiche o ironiche,
proprio come espressionistico è il linguaggio della madre di Mary che scrive al marito: “E anche il
suo ostrogoto rispuntava, ancora più crudo e spumeggiante di zeta, erre e ch/gh aspre” (p. 91).
All’ostrogoto della madre di Mary contrasta il dialetto adoperato da Maria Teresa Liuzzo nelle parti
poetiche: un dialetto tragico, eppure, anzi proprio per questo, forte, incisivo, atto ad esprimere tutta
la tragedia di un ambiente familiare corrotto. È nella scrittura poetica che Liuzzo ritrova “la grazia
illuminante / in un momento e sublime la parola / spaginata – un’apertura nel cielo / un’intricata
Rosa di Gerico / sul bianco della carta – stampata” (pp. 94-95); l’apertura nel cielo, la rosa, indicano
sublimazione ed equilibrio, come s’addice ad ogni opera letteraria che si rispetti. Al caos del rac
conto in prosa, che è dirupo, selva oscura, “alberi abbattuti”, “tettoie divelte” (p. 105), si contrappo
ne l’ordine dei versi, che descrivono il cerchio del tempo, la ruota del pavone, il roseto dorato (giar
dino chiuso della simbologia sacra). È vero che luci ed ombre si scorgono sia nelle parti poetiche sia
in quelle narrative, ma mi pare che nelle prime positivo e negativo si sublimino in più alti sensi
simbolici tracciando “armonie” nello sguardo della poetessa (p. 104). Nei versi e nelle prose sono,
però presenti passaggi sfumati fra luci ed ombre, pagine dove assistiamo alle efferatezze dei fami
liari di Mary e pagine dove, quasi senza accorgercene, entriamo in un mondo diafano e luminoso
dove Mary si muove come angelo o fata. Questo passaggio – Dante direbbe “trasumanar” – è possi
bile grazie alla scrittura: Mary “ritornata a quell’atto fondamentale, la scrittura, proprio ora poteva –
dopo una tale apoteosi di radiosità e di splendore – permettersi di sospirare con piena indulgenza
verso il mondo e coloro che non avevano saputo amarla” (p. 106). Altrove troviamo: “La luce della
parola è il mio rimedio magico / per ridurre l’oscurità e dominare anima” (p. 107). In un capitolo
stupendo, il VII (pp. 107-122), quasi tutto in versi, colgo il nocciolo della poetica di Maria Teresa
Liuzzo, che pone sulla bocca di Mary parole splendenti: “Io generai luce, non si addiceva alla mia
natura l’oscurità / benché amassi essere luna in un cielo notturno” (p. 120). Qui i versi evocano sce
nari cosmici, alternati a drammatici dialoghi in dialetto che però mi fanno pensare ai racconti dei
cantastorie, dove la tragedia si stempera, prende ordine dal semplice, popolare uso di cantarla. È,
secondo me, il capitolo che più affonda nell’humus dei miti greci, ampiamente rievocati da Mary,
che se ne confessa avida lettrice. Non a caso, le primissime righe del Capitolo VIII (p. 123) sono
dedicate alla scrittura come verità che non deve essere nascosta, e l’autrice cita Vasilij Grossmann.
La scrittura, intesa come lingua e stile, esplode in una multiforme pirotecnia nel Capitolo IX (pp.
131-138). Poesia e prosa, lingua e dialetto, si assumono il compito di esprimere tempesta e sereno,
luci ed ombre del racconto. E qui, specialmente negli inserti in versi dialettali, la scrittura assume
veramente un ritmo rotto, frantumato, passionale, asmatico, tanto da farci comprendere la sofferen
za e da farcela assumere in noi. Specie in poesia, difatti, il lettore è (dovrebbe essere) portato a ri
creare dentro di se il respiro esplicitato dalla scansione metrica. La scrittura, poi, è anche testamen
to, materiale e spirituale, e Mary, dopo aver presagito e preparato la sua morte, stilando in prosa un
testamento esemplare, stempera la sua scrittura in versi estatici dove natura e luce si compenetrano
in leggerezza di pensiero, pur nella pesantezza tempestosa del periodo della pandemia di Covid-19.
La scrittura è riscatto: “Il destino dei miei accusatori – dice Mary – è decifrato con prodigiosa ed
equa sollecitudine dal bianco di luce della mia scrittura” (p. 147). La scrittura è antidoto e memoria, puntello e conoscenza. “Grazie alla scrittura – dice a Mary una profetessa – hai rimosso quel velo /
che nasconde – i latini dicevano ‘concelat’ – / ai nostri occhi la conoscenza della realtà autentica”
(p. 167). È per questo che Mary/Maria Teresa Liuzzo può scrivere:
Mi hai attesa tutta la vita, o mia parola,
agitata come il vento tra le foglie d’autunno.
Nessun dono per te avevo tra le mani spoglie,
se non il tuo corpo fresco di corallo,
avvolto nei merletti di un lenzuolo.
Si torceva il verso dentro il corpo,
come il sangue trafitto di una cerva.
Ma all’atto di scriverlo ogni sensazione
nebulosamente infantile, eccessiva, puerile
lasciava sul foglio spazio a una magnifica
grafia tondeggiante, data dal roteare
della penna animata dallo Spirito (p. 170).
Il roteare della penna animata dallo spirito mi ricorda certi dettami della calligrafia cinese, dove esi
ste uno stretto legame fra la mente, il braccio e lo strumento di scrittura. Il tracciare la scrittura,
l’attenzione alla calligrafia, permettono la realizzazione del proprio essere, sicché Mary può dirsi
“domatrice / di parole” (p. 173) e possiede addirittura un dizionario suo (cfr. p. 178). Mary, che a un
certo punto esclama: “Benedetta sii parola” (p. 350), scrive “per non smettere di essere donna” (p.
312) e dona la sua scrittura a tutti, perché nulla va tenuto nascosto; perciò è significativo dove parla
delle “pagine di un diario, abbandonato aperto / con l’originalità della sua scrittura condivisa / con
chiunque avesse voluto leggerlo. Sfogliarlo. / […] / Scrivevo / pensando che un giorno avrei lascia
to quel diario / su di una panchina nel parco: come una confidenza / pubblica” (p. 246). La scrittura
ha una funzione sociale, perché deve raccogliere le grida degli animali (il popolo sofferente?): “il
loro urlo disperato doveva essere raccolto dalla poesia e dalla scrittura per avvertire del pericolo,
per ridare carica ai nervi logorati e intossicati da anni di menzogne politiche e civili” (p. 351).
Mary è personaggio poliedrico: attraversa spazi e tempi rivivendo avventure d’altre vite e d’altri se
coli: storie di pirati e vagabondaggi nei mari del Sud. Attende che la civetta raffigurata su un’antica
moneta greca si posi sulla quercia secca (cfr. p. 233). Gli elfi la trasformano in un vispo maschietto
e lui/lei può attraversare indenne sofferenze e raggiri (fugge dalla madre-strega tentatrice). In realtà
il suo è un “corpo radiale / o astrale” (p. 154). Quello che più conta, però, è che la sua nuova veste
maschile (il suo animus?) rende Mary più forte, sicché può denunciare dei vandali malavitosi che le
hanno distrutto un frutteto, riconoscendo uno di loro dalle iniziale incise su un accendino che costui
aveva perso. Anzi, addirittura li aiuta a trovare lavoro e permette loro di condurre una vita onesta,
favore di cui la ringrazieranno. Mi pare di capire che la controparte maschile di Mary è figura della
sua ombra, una parte complementare ma necessaria. L’ombra di Mary “diventava più forte quando
lei era più debole” (p. 159). Mary, essere completo di yin e yang, s’immerge nell’esperienza di vi
sione universale, si sente macrocosmo, e in tale immensità i mali terreni e gli accidenti della sua vi
ta sfumano e si disfano. Il suo status di viva-morta le consente di svelare (nel senso di togliere il ve
lo) l’essenza simbolica del reale, intuendone il mistero di morte e rinascita:
Ma eccola, dal regno d’alberi tralignante, ha portato fuori un brutto e grosso ramo, che per lei simboleggia il legno
storto dell’umanità, lo pone verticalmente nel fuoco che ha acceso al limitare del bosco, e osserva la pioggia d’oro, i
lapilli luminescenti della leggenda di Danae, trasformare quel legno in un rogo nel quale le sue membra, le fibre ultra
snelle si contorcono e anneriscono, fin che – in quella somma distruzione – la pura fiamma ha il pieno sopravvento. E
quando, sotto lo sguardo di Mary, tutto è andato distrutto, e l’elemento maligno, che faceva paura, è momentaneamente
scomparso, da quella culla di cenere nasce ancora nuova vita. un’acqua rinascente simile al fiotto che zampilla da sot
to un rovere, poco distante da quel falò, ricoperto alla radice di tanto muschio, con gibbosità di un bel verde acqua.
Mary amava soffermarsi a osservare quel minimo accadere, quello scorrere spontaneo, annesso alla forza di
quell’albero, su un tufo che sembra smalto o ceramica, di cui lei lodava i riflessi equorei, la lucentezza viva rispetto
alla smunta sostanza bruna del legno arso, al tanè dei rami avviluppati dalle fiamme (p. 234).
S’espande il racconto in fitti cespugli spinosi e fioriti, “Terapia o tragedia? Alchimia o nero sortile
gio?” (p. 200), resoconti quasi giornalistici, grotteschi e crudi da “teatro dell’assurdo” (ibidem), so-no inframmezzati da illuminazioni liriche estese in cieli immensi. Pare quasi di ascoltare un immor
tale cantastorie, una controparte maschile e popolare di Sherazade, che sdipana i suoi “conti” spa
ziando da Annibale alle storie del Corano o della Bibbia, da vicende di paese a squarci lirici. Ma i
versi dialettali assumono sostanza di proverbi o ritmi di danza, intrecciandosi con variato contrasto
alle prose e ai versi in lingua.
Maria Teresa Liuzzo insegue miti e storie ricavandone, come i veri poeti, lumi per illuminare il pre
sente. La poetessa, insieme a Mary, appassionata di mitologia, insegue il vario peregrinare di Ulisse
ritrovandone le orme nel mondo di oggi. Perciò i luoghi geografici s’incontrano e “la spiaggia cala
bra / diventava la sabbia del Sinai” (p. 241). È lo spazio dei pensieri, gelosamente preservato da
Mary, a poter contenere di tutto:
Il mio spazio interiore
era colmato da un presente stabile, pervasivo
nel cui fondo nessuna macchia si fermava,
e nessuna immagine… eppure c’era tanto posto
che vi entrava tutta la terra, con i suoi paesi,
le sue metropoli, le sue genti e i loro volti,
e le parole, i suoni (p. 253)
Mary, “soffio divino e pneuma” (p. 270), secondo le parole di un ammiratore, attraversa il mondo
con spirito panico di cui mi paiono chiari simboli il bosco e la farfalla, immagini presenti qua e là in
questo libro. Il bosco è il mondo, abitato da strane creature familiari a Mary; la farfalla, che spesso
Mary incontra e ammira, è l’intuizione poetica e profetica che accompagna lei e noi lettori nel corso
della narrazione. Nonostante lei viva una vita immersa nei mali del mondo (raccapricciante la de
scrizione della casa di Cecilia – un’amica di Mary – invasa dai topi!), vede sempre la vita fiorire:
“era primavera su ogni ramo” (p. 277); la luce in cui è immersa dopo la morte le mostra, come le
ombre di sole fra il fogliame del bosco, il lato positivo del reale e cita un’annotazione di Dostoev
skij: “Non comprendo come si possa passare davanti ad un albero senza essere felici…” (p. 278).
L’ultimo capitolo, il XXI (pp. 287-353) è il più poetico e ricco di contrasti e chiaroscuri, “il gioco
vorticoso dei toni chiari scuri e brillanti” (p. 336). Si accentua il conflitto fra dialetto e lingua, prosa
(anche in dialetto – pp. 321-22) e poesia (con versi ora lunghi ora brevi disposti come ad onde), ed è
qui che troviamo i versi riferiti al titolo del libro: “Caddero piogge verdi di smeraldi, / e la fantasio
sa personificazione dei poeti-profeti / pronunciò parole-elfi, un bouquet di gnosi / e fede rinnovata
nel meditativo mio viaggiare / per il cosmo” (p. 294). In questi versi mi pare riassunto il senso del
libro: le piogge verdi di smeraldi mi fanno pensare all’ispirazione poetica, preziosa come pietre ra
re; questa ispirazione si personifica, si incarna, nei poeti-profeti, che sono un po’ Mary, un po’ Ma
ria Teresa Liuzzo; il bouquet di gnosi rappresenta la conoscenza che la poesia dona a chi la inventa
e la scrive e a chi la legge o la ascolta; il meditativo viaggiare per il cosmo è la trasfigurata, mistica
e mitica vita di Mary, il cui sguardo “non era mai diretto a terra / ma in cielo” (p. 302). Il motivo ri
torna diverse pagine dopo, in un sogno in cui compare la nonna di Mary, che le fa capire l’oltre, ciò
che è al di là della morte: “Questo luogo per te sconosciuto e inaspettato, è uno spazio di beatitudi
ne, una pioggia verde di smeraldi – il mare agitato del mondo è solo sullo sfondo” (p. 348). Mary
ritorna nel mondo acquistando peso e plana nel mare dello stretto di Messina sentendosi felice e as
sorbendo amore dal sole. È un sogno? Lei sembra rivivere la sua vita mentre nuota per raggiungere
la costa calabra. È in questa simbolica traversata che si chiude il libro, che nelle pagine finali ha il
sapore del Paradiso dantesco. L’amor che muove il sole e le altre stelle diventa, qui, lo spazio co
smico visto attraverso le intuizioni scientifiche della fisica quantistica e delle onde gravitazionali.
Maria Teresa Liuzzo fa, in questo caso, uso del linguaggio scientifico piegandolo ad una significa
zione poetica e letteraria che esprime un afflato mistico. Giunti alla fine, ci accorgiamo che il libro è
un poema spiraliforme, che ritorna su storie già raccontate, ricordi poetici, motivi mitici e tragici.
Una spirale fatta di sole e di fango, ma che si espande verso la luce e nella luce trova la sua unità, e
con la parola luce il nostro viaggio termina nella pace: “Tutto è unità e l’unità è luce” (p. 353).
Antonio Risi

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- Letteratura

Raffaele Piazza - Alessia e Mirta di Marcella Mellea

Alessia e Mirta”

Ancora una volta, il poeta e scrittore  Raffaele Piazza ci stupisce con una raccolta poetica che racconta le vicende, glistati d’animo, le sfumature e i moti dell’animo di due donne, Alessia e Mirta –già protagoniste di altre sillogi poetiche –, e ne esplora la femminilità, ne evidenzia glielementi umani e materiali, ma anche  la loro  spiritualità edetereità.  

Si tratta di donne terrene , fatte  di carne, che commettono  errori, come tutti gli esseri umani, donne vere,  reali e vive, forti e fragili allo stesso tempo, che a volte,  non sopportando il peso dell’esistenza, come Mirta, scelgono un destino fatale.Mirta è una presenza viva, costante, nella vita dell’autore, una musa ispiratrice, il cui  ricordo dolorosotormenta il poeta, che non riesce a comprendere la tragicità del suo gesto: Amicizia fiore raro hai ancora per me dall’oltrecielo ora che non sei più carne ma solo anima. Il tuo suicidio mi turba e il giorno prima ridevi come una donna ma eri infelice…(Mirta dopo quasi un anno);Sei nel mio specchio, Mirta, campiti i nostri volti nel vetro che pare infinito. Ti sei uccisa, Mirta, e non ci credo e invece è lutto per la bandiera della mia vita… (Mirta nel mio specchio);Mi sorridi nell’estasi tua e poi ridi e mi dici: volta pagina, entra nella gioia e diventa felice perché lo si diventa quando lo si vuole!!! Amica Mirta, tersa è la tua luce a entrarmi nell’anima, Amica Mirta suicida e mi hai spezzato il cuore…(Mirta nell’anima).

La narrazione poetica, che percorre tutta la silloge, è fatta di visioni oniriche, di flashback, che catturano momenti, attimi di vita delle due donne. Di Alessia seguiamo passo dopo passo la storia d’ amore con Giovanni, la registrazione meticolosa di  date ed eventi precisi, tanto chesembra di  avere davanti  alcune pagine didiario.

Nel leggere le varie liriche,il lettore si incuriosisce, si pone delle domande, cerca di capire: il poeta ci parla di donne che ha realmente incontrato oppure si tratta di donne di cui ha sentito parlare o ha solo immaginato? Quello che veramente conta è che il poeta, attraverso le vicende, i gesti di queste due donne,  cosi diverse tra loro, ma sostanzialmente simili, in quanto donne, si sforza di penetrarne l’anima, di comprendere e carpirel’essenza del mondo femminile in generale,che potrebbe riflettereil suo alter ego,  la metà femminile del suo essere.

La monotematicità di questa  raccolta, e di altre dell’autore, dedicate a delle donne, appare come una sorta di ossessione,un desiderio intenso e prorompente da parte del poeta discandagliare i moti della natura umana e,soprattutto, dell’altra metà del cielo – il mondo femminile –,per scoprirne i segreti e l’ essenza. Le poesie dedicate alle donne da parte di un uomo esprimono, spesso, l’amore, la bellezza e l’ammirazione per l’ altro sesso. I componimenti di Piazza celebrano la femminilità, esplorano l’intensità delle emozioni e riflettono la forza e la grazia delle sue donne-amiche.

In generale, il poeta esprime attraverso espressioni poetiche l’ affetto,la  riverenza e il desiderio nei confronti di queste  due donne. Attraverso un linguaggio personale e originale,  con la  creazione di  parole  nuove,  la combinazione di  radici esistenti, il poeta esplora la sensualità e l’intimità dei personaggi. Diversepoesie, infatti, descrivono l’amore fisico, l’attrazione e le esperienze sensuali in modo dettagliato eappassionato : Secondo tempo della vita di ragazza Alessia, l’adolescenza tintadifragola sedici anni contati come semi nel fertile terreno a dare verdi piante (Il ficus, il salice e il filodendro); Di sangue il ciclo a natura ad avvicinarla. Alessia entra leggera nella stanza, si spoglia e fa l’amore…(Alessia e l’azzurrità);Anima di ragazza Alessia nell’intravedere dei mattini la continuazione prosegue dei baci la storia a ovest della vita e a est la nuova gioia nel presagire di stasera il letto con Giovanni. (Alessia verso settembre); Arrossisce Alessia ragazza davanti al commesso e calze nere autoreggenti chiede pensando a lui…(Alessia compra calze nere).

Nell’esplorare le emozioni, soprattutto quelle legate alla sessualità, il poeta ci offre una prospettiva artistica e sensuale dei rapporti umani.

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- Letteratura

Maria Teresa Liuzzo - Apeiron .- Poesie

Maria Teresa Liuzzo – Apeiron

Jason Editrice s.r.l. – Reggio Calabria – 1995 – pag. 207

 

         Maria Teresa Liuzzo, l’autrice della raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia). È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hunedoara). Poetessa, scrittrice, critico letterario e saggista ha all’attivo un grande successo per le sue opere di narrativa e poesia tradotte anche all’estero in numerosi Paesi.

         Apeiron è una corposa raccolta di poesie non scandita che mette in luce la coscienza letteraria di Maria Teresa Liuzzo che nel suo poiein realizza in ogni singolo verso forme articolate e composite, icastiche, leggere e cariche d’ipersegno.

         E poi è mirabile osservare come i versi si assemblino tra loro producendo tessuti linguistici complessi e movimentati connotati da fortissimo fascino magia e malia.

         Per Apeiron s’intende l’origine, il principio costituente dell’universo illimitato e infinito per grandezza e indefinito da cui tutto deriva e questo concetto bene si adatta al senso, all’etimo che sottende tutti i componimenti del volume.

         Spesso sono detti con urgenza il peggio possibile, il male incomprensibile, la morte e il dolore come in Ruanda, martoriata terra africana dove i bambini muoiono di fame: ma poi in questa poesia c’è un’accensione, una mistica apertura alla speranza quando sono nominate la luce e la Sapienza che hanno un tono biblico.

         Del resto un alone mistico connota tutta la produzione letteraria della Liuzzo a partire dai suoi romanzi mirabili e tradotti in numerose lingue in vari paesi del mondo.

         La raccolta non è scandita e presenta nel suo insieme una notevole compattezza e potrebbe essere considerata un poemetto,

         Fortissime sono le densità metaforiche e sinestesiche e notevole è l’icasticità dei versi che si realizza in un connubio meraviglioso con la leggerezza.

         Anche la natura detta in maniera raffinata, elegante e ben cesellata, inserita nel cronotopo trova la sua realizzazione in questa scrittura.

         La partita si gioca tra gioia e dolore e la morte e il disfacimento sono menzionati ed è detto anche il male che trova il suo contraltare in epifanie di rarefatta bellezza.

         Un tono suggestivo, sapienziale e intrigante connota questi versi suggestivi armonici e musicali.

         E in Lo specchio sono detti anche i morti che piangono, In Lutto e memoria serpeggia il pessimismo: - “strano gioco. Amore/ avere vita/ l’amara sorgente/ generata da un vomito di sangue/…”.

         Memorabile l’incipit de La voce dei giorni, componimento che apre la raccolta: - “Ora che libera torno/ in questa cava di pietra, / in questo fiume d’aria/ dalla crudeltà dei sogni mi dissocio/ e crollano le forme/ nel maledetto rogo dei pensieri/…”,

         Una scrittura avvertita, acuminata quella della Liuzzo sia in poesia che in prosa nel realizzare incantevoli affreschi di parole tra reverie e meravigliosa compiutezza che trova la cifra distintiva in un incontrovertibile originalità.   

         Si tratta sicuramente di una poesia neolirica ma la poetica di Maria Teresa è sottesa da intellettualismo che si coniuga ad una vena filosofica.

         Il lettore è rapito dal magma dei versi e nell’affondarvi è colto da un brivido vitalistico dovuto all’immensa forza espressiva e tutto pare giocarsi nel confine tra morte e vita, eros e thanatos che esprimono un inconscio controllato che viene alla luce,

alla superficie dopo che l’ansia ha toccato il fondo.

         Una splendida sintesi di materia, natura e sentimenti emerge per bellezza e nelle poesie è forte il senso del tempo che non è quello lineare degli orologi ma un non tempo che sottende tutto il discorso. 

         Veramente notevole e ricca di acribia la prefazione di Romeo Magherescu dell’Università di Craicava – Romania, che coglie nel segno.

         Scrive il professore che vista da vicino, con minuzia, questa raccolta poetica per un attimo ci fa provare un’aria di smarrimento, non sai come inquadrare un genere così estraneo al canone tradizionale, e anche alle ultime correnti della moda letteraria. Eppure a ricomporre il quadro poetico, basta indietreggiare di qualche passo, prendere le distanze e cogliere l’impressione d’insieme, come di fronte ai quadri d’ispirazione picassiana.

         Si percepisce un senso di continuità nei versi in lunga ed ininterrotta sequenza, un fluire armonico come di acque sorgive e primeve nello svilupparsi dei componimenti anche se è frequente la punteggiatura e il tutto può essere paragonato ad una partitura musicale di cui l’esecuzione avviene attraverso le battute.

         Avviene una continua ricerca dell’essenza delle cose come approdo quasi come dopo essersi smarriti come in Deforme realtà: - “Mi persi nella fuga del fiume/ il compiersi di trame/ d’inconscio/ e nel sussurro antico della pietra/ colsi la deforme realtà…”.

         Ma se la realtà è deforme, come se dai nostri occhi vedessimo attraverso lenti colorate allora il solo dato tangibile rimane il verbo, le parole dette con urgenza scattanti, luminose e armoniche che fanno questa poesia.

         Eppure si esce in rassicuranti passaggi dal caos e dall’entropia come quando nell’incipit del suddetto componimento la poetessa novella Saffo scrive: - “Modellai/ la fanghiglia del tempo/ nell’illuso cammino/ e breve/ percependo nell’aria azzurrata/ ugole d’acqua…”.

         Dalla natura si passa al sentimento e dal sentimento si passa alla natura in un non tempo in un’aurea di sospensione e continuo mistero tra neoclassicismo e neoromanticismo.

         Un tono assertivo, gnomico ed epigrammatico costella questi versi di grandissima bellezza e intensità nella loro precisione e nel loro nitore.

         Accanto ai testi sono inserite tavole che riproducono quadri che bene s’intonano alle poesie che sono tutte pervase da un incontrovertibile fascino.

         E anche il mare è una presenza quasi nell’atto dell’io-poetante del ritornare nel grembo materno quando la poetessa scrive in Medusa: - “Rivedo su conchiglia d’ombra/ sembianze di madre/ consunte dalla medusa dei giorni…”.

         Un modulato e fluttuante incanto in questi componimenti che emozionano fortissimamente il lettore nel farlo entrare in un magico mondo di meraviglia.

 

         Raffaele Piazza

 

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- Letteratura

Wanda Lombard Opera Omnia II Edizione

Wanda Lombardi

 

OPERA OMNIA

II edizione

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

Wanda Lombardi, scrittrice e poetessa, è nata e vive a Morcone (Benevento), pittoresca cittadella dell’Alto Sannio. Laureata in Pedagogia ha insegnato materie letterarie nelle scuole secondarie. Ha partecipato a concorsi letterari, nazionali e internazionali ottenendo numerosi riconoscimenti. Fa parte di Accademie e Associazioni Culturali. L’autrice in gioventù ha sofferto per malattie e incomprensioni, ma l’ha aiutata sempre la Fede in particolare la devozione a Padre Pio.

Come scrive Maria Rizzi nella sua prefazione approfondita e ricca di acribia «La presente Opera Omnia, arrivata alla seconda edizione (la prima è uscita nel 2018), è una scelta antologica molto vasta delle poesie di Wanda Lombardi, nella quale sono concentrati i suoi migliori motivi ispiratori». Data la vastità del volume, in questa sede preferisco soffermarmi sulle poesie di carattere religioso e su quelle dedicate ai giovani e ai loro problemi.

La poetica della Lombardi è pervasa da religiosità, misticismo e coscienza etica e si può considerare neolirica tout-court. L’autrice ha fiducia nei sentimenti autentici per Dio e per il prossimo, sentimenti che la portano a vincere il dolore e a varcare la soglia della speranza, speranza che si traduce nei suoi armonici, precisi e luminosi versi.

Ella si proietta in una felicità grandiosa e senza paura nella figura di Dio Creatore che, oltre a essere onnipotente e onnisciente, potrebbe essere inteso in senso immanente come amico per antonomasia dell’uomo roccia, rifugio, fortezza e giustiziere, protezione da ogni male per chi confida in Lui come si evince dalla lettura dei Salmi veterotestamentari.

Nella lirica Eterno leggiamo: «Ultimo rifugio sei Tu, Signore, / avvolgimi nella Tua luce / allevia il mio penoso andare. / La mia vita si vesta di Te…» a conferma della fortissima grande Fede della poetessa. Ci rendiamo conto della cifra distintiva del poiein di Wanda che si potrebbe definire realismo mistico e che è veramente unica e originalissima, per la sua chiarezza e le parole procedono per accumulo e per il lettore divengono come acqua sorgiva da bere per la loro luminosità, precisione e bellezza.

In Violenza giovanile leggiamo: «Nel labirinto dell’odio / inconsciamente ti aggiri, / giovane insicuro, / per superare la frustrazione, / la sofferenza, le difficoltà. / In cerca di affermazione, / violi la legge, il tuo istinto segui…». In questo testo ci si riferisce al disagio giovanile tipico della contemporaneità nella quale prevale la mentalità dell’avere su quella dell’essere, nel mondo alienato e non meritocratico ma consumistico e liquido in cui c’è stata una caduta di valori.  

Il lavoro della Lombardi va controcorrente nella produzione poetica contemporanea, perché gli scrittori del nostro tempo si esprimono prevalentemente tramite sperimentazioni e neo-orfismi connotati da complessità e spesso oscurità nella forma e nei contenuti, mentre la  poesia di Wanda Lombardi si distingue per limpidezza e chiarezza di linguaggio, per linearità dell’incanto, leggerezza e  notevole icasticità.

In questa sede, nello spazio di una recensione, è impossibile soffermarsi su tutte le raccolte pubblicate nell’Opera Omnia, tutte dense e caratterizzate da un magistrale controllo formale. Globalmente si intende, leggendo questi testi, che la figura della scrittrice è conscia che attraverso la Fede, strettamente legata alla poesia, può elevarsi da creatura a persona.

La Lombardi, che nei suoi versi sintetizza un discorso esteticamente valido e carico di bellezza e fascino, nutrito, come si diceva, da misticismo e anche da un grande amore per la natura, getta l’ansia e l’angoscia proprio su Dio che diviene amore e conseguentemente gioia, proprio perché ha donato la vita e ha fatto Lui il primo passo verso l’uomo; invito che Wanda accetta con gioia nell’esaltare proprio il Signore stesso, il creato e la natura.

Raffaele Piazza

 

 

 

Wanda Lombardi, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 200, isbn 979-12-81351-13-4, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Wanda Lombardi

 

OPERA OMNIA

II edizione

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

Wanda Lombardi, scrittrice e poetessa, è nata e vive a Morcone (Benevento), pittoresca cittadella dell’Alto Sannio. Laureata in Pedagogia ha insegnato materie letterarie nelle scuole secondarie. Ha partecipato a concorsi letterari, nazionali e internazionali ottenendo numerosi riconoscimenti. Fa parte di Accademie e Associazioni Culturali. L’autrice in gioventù ha sofferto per malattie e incomprensioni, ma l’ha aiutata sempre la Fede in particolare la devozione a Padre Pio.

Come scrive Maria Rizzi nella sua prefazione approfondita e ricca di acribia «La presente Opera Omnia, arrivata alla seconda edizione (la prima è uscita nel 2018), è una scelta antologica molto vasta delle poesie di Wanda Lombardi, nella quale sono concentrati i suoi migliori motivi ispiratori». Data la vastità del volume, in questa sede preferisco soffermarmi sulle poesie di carattere religioso e su quelle dedicate ai giovani e ai loro problemi.

La poetica della Lombardi è pervasa da religiosità, misticismo e coscienza etica e si può considerare neolirica tout-court. L’autrice ha fiducia nei sentimenti autentici per Dio e per il prossimo, sentimenti che la portano a vincere il dolore e a varcare la soglia della speranza, speranza che si traduce nei suoi armonici, precisi e luminosi versi.

Ella si proietta in una felicità grandiosa e senza paura nella figura di Dio Creatore che, oltre a essere onnipotente e onnisciente, potrebbe essere inteso in senso immanente come amico per antonomasia dell’uomo roccia, rifugio, fortezza e giustiziere, protezione da ogni male per chi confida in Lui come si evince dalla lettura dei Salmi veterotestamentari.

Nella lirica Eterno leggiamo: «Ultimo rifugio sei Tu, Signore, / avvolgimi nella Tua luce / allevia il mio penoso andare. / La mia vita si vesta di Te…» a conferma della fortissima grande Fede della poetessa. Ci rendiamo conto della cifra distintiva del poiein di Wanda che si potrebbe definire realismo mistico e che è veramente unica e originalissima, per la sua chiarezza e le parole procedono per accumulo e per il lettore divengono come acqua sorgiva da bere per la loro luminosità, precisione e bellezza.

In Violenza giovanile leggiamo: «Nel labirinto dell’odio / inconsciamente ti aggiri, / giovane insicuro, / per superare la frustrazione, / la sofferenza, le difficoltà. / In cerca di affermazione, / violi la legge, il tuo istinto segui…». In questo testo ci si riferisce al disagio giovanile tipico della contemporaneità nella quale prevale la mentalità dell’avere su quella dell’essere, nel mondo alienato e non meritocratico ma consumistico e liquido in cui c’è stata una caduta di valori.  

Il lavoro della Lombardi va controcorrente nella produzione poetica contemporanea, perché gli scrittori del nostro tempo si esprimono prevalentemente tramite sperimentazioni e neo-orfismi connotati da complessità e spesso oscurità nella forma e nei contenuti, mentre la  poesia di Wanda Lombardi si distingue per limpidezza e chiarezza di linguaggio, per linearità dell’incanto, leggerezza e  notevole icasticità.

In questa sede, nello spazio di una recensione, è impossibile soffermarsi su tutte le raccolte pubblicate nell’Opera Omnia, tutte dense e caratterizzate da un magistrale controllo formale. Globalmente si intende, leggendo questi testi, che la figura della scrittrice è conscia che attraverso la Fede, strettamente legata alla poesia, può elevarsi da creatura a persona.

La Lombardi, che nei suoi versi sintetizza un discorso esteticamente valido e carico di bellezza e fascino, nutrito, come si diceva, da misticismo e anche da un grande amore per la natura, getta l’ansia e l’angoscia proprio su Dio che diviene amore e conseguentemente gioia, proprio perché ha donato la vita e ha fatto Lui il primo passo verso l’uomo; invito che Wanda accetta con gioia nell’esaltare proprio il Signore stesso, il creato e la natura.

Raffaele Piazza

 

 

 

Wanda Lombardi, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 200, isbn 979-12-81351-13-4, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Letteratura

Oltre la luce, oltre il buio - Maria Teresa Liuzzo

                              OLTRE LA LUCE, OLTRE IL BUIO...

 

 

Maria Teresa Liuzzo

 

 

Mi accade frequentemente di domandare a me stessa cosa sia la poesia, quella singolare forma di mistero, che appare e si esprime, senza che alcuno la riveli, senza che il velo che la nasconde alla mente degli uomini, che pure la esprimono, si squarci. Accade un fenomeno strano, come se avessimo un cielo risplendente di abbagliante luce - ma senza la presenza del sole, posto forse al di là di impenetrabili cortine di nuvole - ma così benigna, da farsi sostenere dal nostro sguardo perché ne possiamo osservare le immagini, i ghirigori di fantasia, i colori, le ombre, i chiaroscuri e possiamo ascoltarne le voci, comprendere e decifrare i concetti, insiti nella stessa luce. Oppure, mi sembra che essa venga fuori dalla notte dal buio più denso, in una successione progressiva e sempre più imponente, da una fioca favilla, che si moltiplica indefinitamente e si potenzia di luminosità prodigiosa, fino a rendere quasi diurno il firmamento. Ma essi, il sole e le stelle, non sono che immagini esteriori, le sole visioni, che sono consentite ai sensi dell'uomo. Ma, cosa c'è oltre la luce, oltre il buio, dai quali la poesia sembra promanare? Come focalizzarla, come dare una risposta sulla sua essenza? Accade a me, ma certo a tutti coloro che fanno poesia, di sapere con certezza cos'è la poesia mentre la esprimiamo nei versi (sempre che - ma non è mai certo - che la nostra sia poesia) e di non saperla riconoscere più, quando il momento magico della creazione è già trascorso. Eppure so con certezza che esiste un'entità che è dentro di noi, quella che Giovanni Pascoli definiva come il fanciullino. Quella che io spesso menziono nella mia poesia e a cui attribuisco il nome di dàimon. Comunque la si voglia definire, questa entità ci suggerisce le parole, potenzia la nostra vista, perché noi possiamo vedere più in profondità e più lontano degli uomini comuni (comuni, nel senso che non hanno il dono dell'espressione della poesia), rende più acuta la nostra mente perché possiamo vedere dentro e, soprattutto, oltre i fatti, perché conosciamo l'animo degli uomini, intuirne e spesso carpirne i segreti interiori, quelli che essi non rivelano per pudore e per timidezza, come le sofferenze, i disagi, le contrarietà, ma anche spesso le intime gioie, il candore e le nebbie dell'anima. E tutto ciò che accade nel mondo, tramite questo dàimon, diventa oggetto di poesia, si fa poesia e giunge al poeta (a me stessa quando la poesia mi raggiunge) per piccoli segni, come un lieve soffio di vento, un flebile suono, un raggio di sole, una nuvola che percorre il cielo, una voce di strada che sembra soffocata in un vocio confuso, una corsa di bambini, una risata fragorosa o sommessa, ma anche una voce di pianto, un lamento che nessuno sente. E poi, i ricordi, non per rimpiangere il passato e nutrirmi di inutili nostalgie, ma per rinnovare la memoria, per non disperdere il passato, in quanto storia personale, in quanto elemento indispensabile della mia struttura, base fondamentale di ciò che sono: poiché l'esistenza si compone di varie stagioni, e nessuna di esse può essere cancellata, pena la mutilazione del nostro essere. Dal passato riemerge la fanciullezza, l'infanzia, l'innocenza, le gioie inconsapevoli, ma anche i luoghi, le persone, gli affetti: ritornano in una frase, un termine, in una parola riascoltata dopo anni, ma anche un odore, un profumo, la vista di una pianta o di un fiore. Tutti elementi che si legano alla sfera dell'intelletto e del sentimento, ma che in chi ama i versi, per chi li scrive, diventano poesia. Come credo si sia compreso fino a questo punto del mio discorso, al centro della mia poesia c'è l'uomo, in quanto essere singolo e in quanto umanità, e la natura, a cui l'uomo stesso appartiene, ma che in essa ha un ruolo privilegiato per intelligenza e consapevolezza, E, allora i miei versi, guardano all'umanità sofferente, alla espressione di tutti quei valori universali, che la mente e il cuore degli uomini sentono e esprimono. Cerca, con i versi, di compattare gli uomini, di eliminare nella mia considerazione, le differenze, che di fatto per natura non esistono, ma che la storia e gli uomini alimentano. Con lo stesso occhio e lo stesso animo, guardo all'umile, al diseredato e anzi, con più attenzione rispetto a coloro che hanno condizioni più floride, che sono più fortunati. La mia poesia, che è come dire la mia stessa persona, non fa differenza di razze (tutti gli uomini sono uguali) e si indigna e denunzia con i mezzi della poesia, le prevaricazioni e le ingiustizie, i crimini, le barbarie, tutto ciò che diminuisce l'umanità nell'uomo e lo avvicina alle belve. La mia poesia cerca di vivere il suo tempo e, come tale, è attenta a ciò che accade e cerca di darne un senso, di attribuirne un valore, ma è anche rivolta alla mia interiorità, perché io penso, io sento, io vivo ed ho un ruolo nell'umanità, che intendo svolgere con consapevolezza e senso critico. La poesia però, non è soltanto espressione di sentimenti, rivelazione di sensibilità, ma è anche parola scritta e, come tale, esprimersi in forma d'arte o essere tentativo di raggiungimento dell'arte, sicché nel corso degli anni il mio linguaggio si è modificato, forse evoluto, attraverso lo studio e la riflessione. Ho cercato di ordinare le forme e i pensieri, alla ricerca di un linguaggio chiaro ed essenziale, che eliminasse le scorie e la distanza tra ciò che è il mio intimo sentire e la espressione poetica e, soprattutto, mi potesse avvicinare al cuore degli uomini.

 

Maria Teresa Liuzzo

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- Letteratura

Racconto di Natale - Maria Teresa Liuzzo

RACCONTO DI NATALE

 

GRAZIE, MILO: DEDICA AL MIO CANE

 

 

di MARIA TERESA LIUZZO

 

 

 

Esistono nella vita di ciascun uomo, forse, momenti i quali - a causa di eventi imprevisti e sfavorevoli, che cancellano le certezze, che avevano fino ad allora informato la propria esistenza - modificano i rapporti con gli altri, anche dei familiari e ci si accorge che neppure i legami ritenuti più saldi, gli affetti più forti, anche quelli che uniscono i membri della stessa famiglia, non soltanto non giovano a lenire le conseguenze, dei citati eventi, ma creano un clima avverso nei confronti della vittima, che li ha subiti, e che quasi  deve giustificarsi e scusarsene. In una situazione simile mi trovai alcun tempo addietro, quando, per una sfortunata caduta, subii una frattura scomposta all'omero, due interventi e diverse ammaccature, insieme con una conseguente tendinite, non ancora risolta. Nei  momenti di maggiore disagio, si instaurò un clima particolare e spiacevole, per il quale io mi sentii, forse a torto, infelice e inutile: mi sembrava che tutti mi considerassero come se io fossi colpevole di ciò che era accaduto e mal sopportassero di non essere serviti alla stessa maniera di prima dell'incidente (cioè con abnegazione assoluta, con cura oltre l'ordinario, con la puntualità e l'amore che una madre di famiglia, istintivamente pone nel suo atteggiamento verso i figli), sebbene io mi adoperassi alla stessa maniera, affrontando notevoli ostacoli. Tale mia convinzione era forse dettata da un mio particolare stato d'animo; forse interpretavo in maniera non ortodossa gli atteggiamenti degli altri, ma tant'è, quella era la mia convinzione e tale permane anche a distanza di alcuni anni. Vicino a me, però, a non farmi sentire sola e con la sensazione dell'abbandono, c'era Milo, che ora, lo penso, e lo pensai nei momenti di crisi più nera, era entrato nella mia vita a consolarmi, a farmi capire che l'amore assoluto e disinteressato esiste ma, che non è, purtroppo, quello degli uomini, quello di Milo, del mio cane (che arrivò nella mia famiglia come un batuffolo bianco e tenero di ovatta e che ora è un torello, pur conservando la stessa vivacità, allegria, capacità di esprimere il proprio attaccamento). Questa impagabile creatura, nei giorni di maggiore sofferenza, non si spostò mai da me, mi seguì ovunque io andassi, mi si accovacciò vicino, guardandomi con occhi che sembravano voler condividere la mia sofferenza, in attesa di un mio miglioramento e contento soltanto quando mi rivolgevo a lui con parole tenere e tendevo la mano per accarezzarlo. Quando tardavo a volgere a lui la mia attenzione, mi richiamava con flebili, insistenti guaiti, o strofinava il muso sulla mia gamba.  Milo era giunto nella mia famiglia, dopo essere stato salvato da una morte sicura sulla strada, da mia figlia: sembrava uno scricciolo implume, denutrito e tremante, tutto occhi ed orecchi e in condizioni igieniche che lascio immaginare. Il suo arrivo creò un certo scompiglio in casa: dovemmo procurargli uno spazio tutto per lui e un giaciglio, evitare che la sua presenza e l'espletamento delle sue funzioni fisiologiche, contaminassero gli ambienti e, soprattutto, non causassero le lamentele del condominio. Milo sembrò avere una particolare predilezione a rosicchiare le gambe delle sedie e del tavolo, ad affilare le unghie, rigando i mobili. Né punizioni, però, né rimproveri, fecero sì che Milo modificasse il suo slancio d'affetto e d'amore nei miei confronti. Quando volgeva a me lo sguardo, gli occhietti dolci, umidi e tristi, sembravano esprimere sentimenti sublimi e di sensibile umanità. Il suo sguardo silente, nei momenti della mia sofferenza, rifletteva la condizione del dolore: compresi allora l'eccezionalità di questa creatura. Ma anche in seguito e tuttora, Milo si rivela come uno scrigno di vitalità, di gioia di vivere, di amore che, come i bambini, prima che perdano l'innocenza e il loro slancio d'amore venga disperso dalla stessa vita, è totale e incondizionato. E'geloso, Milo, quando volgo l'attenzione ai miei figli, quando rivolgo loro parole affettuose, quando li abbraccio: appare agitato, mi guarda e si agita, si rivolge a me con lo sguardo corrucciato e dolente e si calma soltanto quando lo accarezzo e gli indirizzo parole affettuose e tenere. Il suo atteggiamento, talvolta, muove al riso, ed è quando non sa cosa fare per attrarre la mia attenzione e va saltando e correndo per la casa e sembra un Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento. E' aristocratico, Milo, ed ha un certo gusto estetico e raffinato. Ama inoltre le comodità. Pretende la pulizia accurata; per sdraiarsi predilige i tappeti a colori vivaci, sui quali si mette in posa, come per farsi fotografare o per essere ritratto. Con ciascuno di noi ha un atteggiamento diverso, ma sempre affettuoso. Conosce gli orari di uscita e di rientro a casa di ciascuno di noi e ci attende davanti all'uscio, questo cucciolo di Labrador, colore del miele. Adora i balconi lunghi e larghi, attraverso i quali può correre e saltare; osserva le partenze degli aerei (la nostra casa è sita vicino all'aeroporto del quale godiamo un'ampia vista) e gli automezzi che sfrecciano sull'autostrada. Lo incuriosiscono gli uccelli che sostano sulla ringhiera del balcone o che piluccano il cibo sul pavimento: egli li lascia fare e sembra contento del loro nutrirsi. E' singolare, questo cane, che ama la musica, quella classica specialmente e sembra ascoltare attento, traendone gradimento, le romanze: allarga gli orecchi, scodinzola, muove il capo, come per non farsi sfuggire alcuna nota, alcuna particolare vibrazione. Non conosce la catena, Milo, perché è dolce e mansueto e non sopporta neppure il collare, del quale si libera continuamente, ma sa fare buona guardia. Ha gusti particolari: non mangia carne cruda, ma la preferisce cotta e gustosa, ama i latticini, la zuppa di latte con biscotti, i dolci, la frutta fresca e sbucciata, ma anche le minestre e la pasta asciutta: è, insomma, un buongustaio. Quando è l'ora della colazione o del pranzo, si avvicina alla ciotola e con un insistente, seppure tenue abbaiare, desta la nostra attenzione. Ed è anche discreto, ha pudore talvolta del proprio malessere: ricordo che un giorno, dopo essersi procurato una ferita alla zampa, sollecitò la mia attenzione e me la indicò, ma lontano dagli altri, come se ciò costituisse un segreto fra me e lui. Lo attraggono particolarmente gli odori, le fragranze, i profumi che si espandono durante il tempo che dedico alla preparazione del cibo: osserva a distanza e sembra pregustare la prelibatezza della parte che gli sarà riservata, proprio come un bambino, cui è stata promessa una leccornia. Gradisce particolarmente il pollo con i peperoni ed ha sempre rifiutato il cibo in scatola. Non soltanto, però, questa bestiola, è singolare per i gusti culinari, ma sembra provveduto di una particolare sensibilità (probabilmente, a quanto se ne sente  parlare, comune a tutti i cani): intuisce lo stato d'animo di tutti noi, il significato di un sorriso, un atteggiamento ipocrita. E' particolare il suo legame con la casa e con ciascuno di noi, nel senso che ha bisogno del nostro calore umano e mal si adatta ad esserne privato. Ricordo un episodio che conferma ciò che ho affermato: in una certa occasione, per qualche motivo che ora non riesco a rammentare, gli feci trascorrere la notte nella sua cuccia che è sistemata sul balcone. Malgrado piovesse, il nostro Milo attese l'alba con il muso attaccato alla porta a vetri della cucina, sopportando su di sé la pioggia impetuosa, che il Buon Dio, aveva fatto cadere. Si era ridotto in condizioni pietose e dovetti asciugarlo e farlo riscaldare vicino alla stufa, perché si potesse in qualche maniera riprendere. Da allora, specialmente durante i periodi di freddo intenso (ma, in realtà quasi sempre) trascorre la notte in casa, su un morbido materassino e ben coperto. D'estate, preferisce stare sul balcone e il suo sguardo appare rivolto verso le stelle, verso quelle luci palpitanti e intermittenti e sembra assorto in chissà quali meditazioni, come un filosofo. Per il resto, sembra essere mosso da impulsi di gelosia quando la nostra attenzione su altri suoi simili o quando spazzoliamo pupazzi di animali e di cani: crede forse che gli sottraiamo l'affetto che desidera tutto per sé. Se è vero che appare legato a tutta la famiglia, è certo però che con me ha un rapporto privilegiato, pretende ogni attenzione e ogni cura, ogni espressione di affetto che ricambia appassionatamente. In questo senso Milo mi ha dato e continua a dare più di quanto si possa credere ed è una presenza viva e attenta, un'espressione di amore assoluto, quell'amore forse che può sacrificare senza indugio la propria vita. Tanti uomini, in particolare, avrebbero bisogno di prendere esempio da una creatura come Milo, per poter dare l'amore che spesso negano, con l'ottusità dell'egoismo, con la chiusura in se stessi. Tale creatura mi è sempre vicina: quando leggo o scrivo, quando attendo alle faccende domestiche, quando riposo e soffre particolarmente la mia assenza da casa, anche brevissima. Quando ciò accade, mi attende accovacciato davanti alla porta e si scatena con salti e corse sfrenate di gioia, al mio ritorno: mi assale affettuosamente, mi abbraccia alzandosi sulle zampe posteriori, tentando di baciarmi. Non potrei immaginare la mia vita senza questa dolce, impagabile creatura. Anche se la cura di essa comporta disagi, l'amore che dà li supera di gran lunga e finisce con il costituire un benessere, anche fisico, perché distende e neutralizza le tensioni che si accumulano durante il giorno e quello ineffabile dell'anima. Mentre scrivo, sono i giorni che precedono il Santo Natale e Milo è attratto dal presepe, dall'albero con le sue luci multicolori e intermittenti; egli ne osserva affascinato la danza e appare sconcertato dall'alternanza di luci e ombre e ascolta le nenie e i canti, i suoni riprodotti dai cd che noi azioniamo ed io lo osservo, intenerita e pensosa. Rifletto sul tempo che scorre e passa oltre noi irreparabilmente: o, forse, no ed è solo un modo di pensare ad esso o una semplice espressione verbale o un moto della mente, chissà... Il tempo, forse, è sempre lo stesso, immutabile e fermo, con le sue sfaccettature e accompagna i desideri, gli slanci ed i sogni degli uomini ed anche le disillusioni e gli inganni, i drammi e le tragedie, le follie... E plasma gli esseri umani, che sono come gli alberi, che acquistano, fronde, gemme, fiori e frutti e che poi rimangono spogli, ma per rinnovarsi e rinnovare il dramma dell'esistenza. Ma creature come Milo, aprono il cuore alla speranza, ti fanno capire che l'umanità è fatta anche di amore e di comprensione, di condivisione ed è costituita da popoli diversi e lontani, ma tutti accumunati dall'appartenere alla stessa specie la cui connotazione fondamentale è l'amore. A giorni brinderemo al Natale (e Milo sarà con noi e parte di noi), esalteremo la gioia che nasce dal dolore, ci tenderemo verso il nuovo anno, con la speranza di una pace che appare lontana (ma non dispereremo!).

 

Milo è accovacciato accanto a me e io rifletto che, forse, questa sera è giunta troppo in fretta, ma s'accende la prima stella: brilla tanto da sembrare un sole, lontanissimo. Il cuore, ora, festeggia la sua solitudine, subito la cancella, per nuova gioia o per speranza di nuova gioia, per acque nuove e piante rigogliose che annullino il deserto ed appare sereno, palpitante e vivo. Miluccio è qui, col viso appoggiato sul mio braccio ed è soffice e leggero, come un fiocco di neve, una nuvoletta bianca di ovatta e caldo, come questo Natale, come tante parole che tardano ad arrivare, ma che poi colmano l'anima d'ineffabile felicità.

 

 

 

Maria Teresa Liuzzo

 

 

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- Letteratura

Del sognato - seconda edizione Raffaele Piazza

IL SOGNO MARINO DI RAFFAELE PIAZZA

di Carlangelo Mauro

Il Mediterraneo ha un forte presenza nella poesia di Piazza, nel suo “dire meravigliato” (Fresa) che offre al lettore un caleidoscopio del suo sogno marino, associato talvolta all’Eros, talvolta alla regressione al grembo materno, alla rinascita… Nella rilettura del volume Del sognato, grazie ad una nuova edizione (2023) con prefazione di Marcella Mellea per Guido Miano editore  ̶  il libro era uscito una prima volta nel 2009, con una nota critica di Gabriela Fantato, per La Vita Felice  ̶  si coglie la forte presenza di questo tema marino. Giustamente Fantato aveva sottolineato la presenza «in questi versi di piazza» di «un altro mondo» (corsivo nel testo), oltre a quello del Mediterraneo cui si intitola la prima sezione: «quello dei messaggi al cellulare, delle comunicazioni e-mail e di un muoversi (sovente senza spiegazione  e senza direzione)  nel bagliore azzurrino della rete Internet». C’è quindi, aggiunge, un «doppio sguardo» tra «dimensione locale (il mare, la costa campana)» e «dimensione mondiale» della «globalizzazione». Tra l’una e l’altra dimensione, aggiungerei, fa da cerniera quella presenza insistente della figura femminile, su cui si sofferma nella prefazione anche Mellea:  «la donna […] sembra essere tutt’uno con l’ambiente circostante, un paesaggio caldo, ricco di sfumature, di luci, di ombre, di colori mediterranei, di mare e di sole». Si possono leggere, infatti, nella raccolta versi come i seguenti: «lei ride come una donna / sul bordo del Mediterraneo / lui è la sua eco, felice nello specchio».

Leggendo gli altri libri di Piazza, si comprende che questa figura femminile, da un lato, è celebrata come essere sacrale, al contempo sposa e madre; dall’altro  ̶  anche qui la presenza di un “doppio sguardo”  ̶  come felice, innocente figura adolescenziale, libera e deresponsabilizzata, che corrisponde alla protagonista della seconda sezione eponima del libro, Alessia. La prima figura è quella dà senso, armonia, unità interiore all’io lirico, salendo dal fondo del sogno marino per esprimersi in parola:

 

Sparsa nel sogno di marea attende lei,

fondali di scrittura, liberazione

di unità a farsi parole […].

I paesaggi marini sono contemplati dalla città in cui risiede il poeta, Napoli, oppure dall’isola amata, Capri; per anni l’isola è stata, concretamente, luogo di vacanza e di riflessione di Piazza. Ad apertura di pagina nel libro si colgono riferimenti al mare o all’elemento dell’acqua, trasformati, direbbe Bachelard, nella materia del sogno. Nella poesia “Il mare che continua” Piazza scrive:   

si scivola lungo l’infinità del sentiero

dei sogni e della veglia

per giungere all’azzurro degli scogli [...];

in un altro testo, “Trittico a Capri”:

Poi riscopri i greti, una liquidità di pensieri

levigati: i diari li riprendono gli angeli

si deve elaborare l’attesa a delta

gioirne dopo e prima dell’incontro […].

Nella poesia “La rotta del mare domestico” il tema marino si salda a quello della casa, spazio protettivo e prediletto:

 

Si spiana la distesa acquorea e rimaniamo

senza altre parole che quelle che solcano la liquidità

della percorrenza rinata tra le cose di sempre […].

La «liquidità di pensieri» e di parole non è da prendere, mi riferisco però al contesto specifico di questo testo e non all’intera raccolta, nell’accezione, ormai vulgata, di Bauman. Condivido l’osservazione della Fantato che dice di una «identità fluida», presente nel libro, «immersa in un mondo liquido», citando il celebre filosofo e sociologo polacco; ma Piazza vuole riferirsi in questo testo alla sua ossessione marina che sfocia nella quotidianità, nella vita domestica «tra le cose di sempre», perché ogni angoscia, ogni marea dell’anima trova pace in essa, nel nido familiare, in cui “il mare continua”, come scrive in un’altra poesia della raccolta.

Un termine, poi, che ricorre più volte nella raccolta è “delta”; lo sbocco nel mare, «nel delta della gioia» (cfr.“Domenica infiorata”) attraverso varie ramificazioni di materiali e rivoli tematici, è la cornice in cui si colloca tutta l’esperienza poetica di Piazza. Non è certo un caso che la raccolta uscita nel 2022, sempre per Guido Miano Editore, si intitoli “Nel delta della vita”.

Nel libro le due dimensioni del sogno e della veglia sconfinano l’una nell’altra e le due sezioni, in cui si articola la struttura del libro, intitolate: “Mediterranea” e “Del sognato”, sono anch’esse speculari. I contorni sfumano, la quotidianità familiare viene investita dal flusso marino, la persona cara porta “il mare delle parole senza male”, le parole consolatrici arrivano nella casa (“La rotta del mare domestico”). Poesia del mare infinito che si ribalta quindi in “poesia della home”. La sposa, la famiglia, nell’ambito di quel cattolicesimo domestico di Piazza, che ho già messo in risalto altre volte, rimangono porto sicuro contro il naufragio, centro a cui ritornare dopo il sogno, l’errare altrove dietro i sogni di Alessia, proiezione della libertà dell’adolescenza. In fin dei conti la casa e lo spazio familiare costituiscono un unico esorcismo, che Piazza celebra come una endiadi contro l’angoscia del vivere. Basta leggere con attenzione la sua poesia-preghiera che ho citato più volte, “La rotta del mare domestico”, che viene ad essere centrale nel libro e che è una delle più belle, in cui il poeta evoca il

 

foglio di carta velina verde

resistentissimo

dove mai affondare nelle maree dell’anima.

La metafora marina in Piazza non si lega ad avventura esotiche o pericoli di naufragi per viaggi verso terre ignote, ma ai luoghi conosciuti. Il viaggio si avvolge su stesso ed è sempre un ritorno a casa, agli affetti familiari («Tu tocchi la mia solitudine e dalla ferita / viene fuori una combinazione di noi»), un ritorno al tavolo dove poter scrivere su fogli fragili («di carta velina») le poesie, come scrive anche nel testo d’apertura intitolato “Piacere”, specificando alla fine che si tratta di tutt’altro «piacere» rispetto a quello dannunziano; di un «piacere / di redenzione»:

 

Aprile in verde esce di scena ci lascia

il tavolo di lavoro con le copie dell’anima [...].

 

La ripetizione, il discorso tautologico richiedono poi l’apertura di una finestra su un’evasione innocente, fanstamatica, rispetto alla prigione familiare, meta di ogni viaggio o allontamento. La figura di Alessia («sta nel file segreto / il suo nome», “Camere per internet”), proiezione del vissuto adolescenziale («le finestre dell’adolescenza», “Adolescenza di fragola”), viene ad essere questa necessaria apertura e variazione del discorso poetico. Ma dopo «il gioco di trasgredire» (cfr. il testo “Collezione”), il discorso ritorna al suo centro, alla «casa del sogno» come nella poesia “Adolescenza di fragola”:

sconfina la traccia del libro,

ma poi si ritorna, con la fotografia in tasca

e la conchiglia s’intravede della nascita

sulla mensola che adesso dà parole

se non rifugio, casa del sogno a sfibrarlo

a raccoglierlo, archiviarlo ancora nell’albero

della notte  […].

 

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- Letteratura

Antonio Sartor - Il padre ritrovato - Romanzo

Antonio Sartor – Il padre ritrovato

Piazza Editore – Silea (TV) – 2018 -  pag. 311 - € 14,00

 

 

         Il padre ritrovato, il romanzo di Antonio Sartor che prendiamo in considerazione in questa sede, è redatto in terza persona.

         Il testo è strutturato in cinquantadue capitoli brevi che rendono ariosa e piacevole la lettura, ai quali seguono le note aggiuntive del Narratore.

         Come leggiamo in quarta di copertina la narrazione ha per oggetto famiglie che si estinguono e famiglie che rinascono. L’involontario protagonista è Diego, cresciuto senza conoscere il padre che ritrova in Italia. Insieme contribuiranno a dar fiato ai loro sentimenti. Figli che nascono, amicizie e amori che fioriscono, aziende e attività che si sviluppano e crescono: errori e dimenticanze divengono il presupposto per una rinascita, uno spazio vitale per le nuove generazioni.

         L’autore da narratore onnisciente con uno stile che coinvolge il lettore, che finisce nell’affondare nelle pagine, sa orchestrare magistralmente situazioni e atmosfere alle quali danno vita i numerosi personaggi tutti descritti in modo introspettivo nel loro differenziarsi tra loro per indole e carattere.

         L’andamento del plot che si sviluppa è movimentato e il libro si legge tutto d’un fiato.

         Si evidenzia nelle parole ben dosate una cura dei particolari e per i colpi di scena e la forte umanità delle figure descritte il volume ha qualcosa di teatrale.

         Un protagonista invisibile della diegesi pare essere il tempo attraverso il susseguirsi delle generazioni e i flashback che rendono vivace la lettura nel tornare indietro nel tempo stesso per riattualizzarlo sono curatissimi.

         Il fatto saliente della storia narrata, quello che in tutti i romanzi diventa il fulcro dell’opera stessa, è un’agnizione un riconoscimento di una persona nella definizione e nell’essenza della sua identità.

         Si tratta della scoperta del tutto casuale e imprevista da parte del personaggio Sandro, il titolare di un’azienda, di avere un figlio sulla ventina cosa che inizialmente da incredulo lo turba ma che poi sa riconoscere come fatto del Caso con la c maiuscola come lo definisce lo scrittore.

         Sandro convive con Marta con la quale nonostante numerosi tentativi non è riuscito ad avere un figlio e quindi Diego da lui concepito ai tempi del liceo, in un amplesso che aveva completamente rimosso, diviene figura centrale nel suo imparare ad amarlo, affetto che è contraccambiato dal ragazzo.

         Tutto ha inizio un’antivigilia di Natale quando l’imprenditore tornato in ufficio dopo un viaggio di lavoro va a guardare la fotografia della festa aziendale dei suoi dipendenti e nota nel gruppo un ragazzo nel quale scopre il suo sosia in forma giovanile.

         Il suo primo impulso è quello dello stupore per l’incredibile coincidenza davanti alla quale si trova e tuttavia non immagina minimamente che quel ragazzo venuto dal Venezuela sia suo figlio.

         Sarà Lorenzo, amico di Sandro dai tempi del liceo, con un fare da investigatore, a tornare con la memoria proprio agli anni della fine della scuola e a ricordargli di una festa goliardica nella villa della disinibita Greta, durante la quale la ragazza aveva sedotto Sandro e in un frenetico amplesso era stata da lui messa incinta.

         Sandro è incredulo ma poi gli torna la memoria e dopo essersi sottoposto al test del DNA insieme a Diego test che conferma la paternità diviene amico e confidente di quel giovane che è suo figlio mentre la madre era morta nel partorirlo in Venezuela dove era emigrata dopo la bancarotta dell’azienda di suo padre, cosa che aveva portato l’uomo al suicidio.

         Una girandola di eventi che culminerà lietamente nel matrimonio di Sandro con Marta e in quello di Diego con la propria amata.

 

         Raffaele Piazza

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- Letteratura

Francesco Terrone - Quando dinisce la luce- Poesia

Francesco Terrone

 

QUANDO FINISCE LA LUCE

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

 

Francesco Terrone è nato a Mercato San Severino (SA); è autore di numerose raccolte di poesia. La sua produzione poetica è trattata in varie opere pubblicate da Guido Miano Editore tra cui Storia della Letteratura Italiana. Il Secondo Novecento, vol. IV (2015), Itinerario Organico delle Critiche Letterarie alle Poesie di Francesco Terrone (2016). Dizionario Autori Italiani Contemporanei (2017), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Francesco Terrone.

Quando finisce la luce (Guido Miano Editore, Milano 2019) il libro di poesia di Francesco Terrone che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Nazario Pardini esauriente e ricca di acribia. L’opera è illustrata con fotografie di dipinti eseguiti con varie tecniche e di sculture in legno di molteplici autori. Si crea così una interessante osmosi tra poesia e arti figurative anche se non necessariamente le poesie hanno un’attinenza con le sculture e i dipinti. Del resto è indicativo a tale proposito l’inserimento nel testo prima della prefazione dello scritto Parallelismo delle arti di Michele Miano.

Il titolo della raccolta è tratto dall’ultimo verso del primo componimento intitolato La rondine e la zanzara: «Un sogno non muore / quando è guidato / da ali d’amore. / Le rondini volano in aria / alla ricerca / di piccoli insetti / che volano anch’essi nell’aria, / ma il loro volo, / pur essendo utile, / è fastidioso e senza speranza: / finisce / quando finisce la luce». Lo stesso titolo evoca un senso di perdita e di pessimismo un sentore di spleen che è tipico nelle opere anche di poeti contemporanei. Del resto i poeti sono spesso ultrasensibili e la loro produzione poetica stessa diviene il viatico per superare le difficoltà della vita che non è arte e spesso dà scacco all’individuo.

La raccolta non scandita potrebbe essere letta come un poemetto o canzoniere amoroso e se è vero che l’amore stesso fa soffrire può riservare gioie ineffabili connesse alla capacità di controllare le emozioni e tutto questo discorso è connesso alla capacità d’amare che è espressione nelle persone di intelligenza e sensibilità nel manifestare i propri sentimenti.

Le poesie di Terrone neo liriche tout-court sono sempre in bilico tra gioia e dolore nel relazionarsi dell’io-poetante alla figura dell’amata nel creare situazioni nelle quali tutti potrebbero identificarsi. È struggente il pathos espresso da Francesco in molte poesie per il manifestato timore di non essere ricambiato dalla sua donna.

Come contraltare incontriamo anche componimenti nei quali l’autore manifesta intima e profonda gioia vincendo la malinconia nel vivere lasciandosi andare nella sua passione.

Nella lirica Ti amo il poeta ci presenta la rima cuore-amore che è tipica di molti poeti del passato. L’amore stesso trova sfondo in contesti naturalistici anche idilliaci e le emozioni provate dal lettore si amplificano attraverso la contemporanea fruizione delle opere figurative che sono di grande pregio.

Il poeta esprime una notevole linearità dell’incanto attraverso composizioni che sfiorano anche l’elegiaco e si esprime con un versificare luminoso e narrativo nella sua forte chiarezza e immediatezza che ha una forte presa sul lettore.

Raffaele Piazza

  

 

Francesco Terrone, Quando finisce la luce, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2019, pp. 80, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

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- Letteratura

Francesco Terrone - Tra i miei sogni-Guido Miano- Poesia

Francesco Terrone

 

TRA I MIEI SOGNI

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

 

Francesco Terrone è nato a Mercato San Severino (SA) il 05 giugno 1961. Ha conseguito la Laurea in Ingegneria Meccanica presso l’Università Federico II di Napoli e vi ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione. Ha fondato con orgoglio la Società di Ingegneria Sidelmed S.p.A.

È autore di numerose raccolte di versi. La sua produzione poetica è trattata in varie opere pubblicate da Guido Miano Editore tra cui Storia della Letteratura Italiana. Il Secondo Novecento, vol. IV (2015), Itinerario Organico delle Critiche Letterarie alle Poesie di Francesco Terrone (2016). Dizionario Autori Italiani Contemporanei (2017), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Francesco Terrone.

Tra i miei sogni (Guido Miano Editore, 2018), la raccolta di poesie di Francesco Terrone che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Gualtiero De Santi esauriente e ricca di acribia intitolata L’impromptu del leone.

Il volume non è scandito, e per la sua unitarietà contenutistica, stilistica e semantica può essere considerato un poemetto o un canzoniere amoroso.

L’io poetante è sempre in bilico tra gioia e dolore nel suo vivere l’amore nel lanciare messaggi alla sua lei nella perenne ansia e pena della paura dell’abbandono o di non essere ricambiato nei suoi sentimenti sublimati tramite la parola poetica.

Tra eros e pathos si gioca la partita e si avverte continuamente la tensione del poeta verso il suo oggetto meta dei desideri, la sua amata, che lo fa soffrire e a tratti lo riempie di gioia quando spera di essere corrisposto soavemente e sensualmente nello stesso tempo.

In una maniera che ricorda quella degli stilnovisti, del Dante de La vita nova e a tratti anche di Petrarca, il poeta effonde nei versi il suo animo delicato e sensibile nelle tribolazioni e le gioie del suo vissuto sentimentale.

Da notare che l’opera è illustrata con dipinti a olio, disegni e opere di legno policromo di vari autori che bene si amalgamano con le poesie.

Come scrive Gualtiero De Santi «pensieri, riflessioni e emozioni sentimentali e congiuntamente scorci e profili di figure (interiori ed esterne) e insieme ambienti: queste le molteplici e variamente ripartibili tematiche. In più, una qual certa distanza da qualsivoglia compiacimento oltremodo formale e tecnicista come da esigenze non altro che dettate dalle convenzioni del momento animano i componimenti».

Nettamente neolirica ed elegiaca l’ispirazione di Terrone in questo libro che come dal titolo consapevole Tra i miei sogni ha un tono onirico e a tratti rasenta la magia con una parola detta sempre con urgenza icastica e leggera nello steso tempo.

Ma il dolore serpeggia sempre come ad esempio nella lirica Corteccia d’amore quando il poeta scrive: «Vivo con rassegnazione / questa profonda ferita / che insiste / senza pietà / in fondo al mio cuore. / Capirai un giorno / il male che / mi hai fatto. / Ormai per me / sei solo una corteccia / che galleggia / sulle onde di un oceano / senza pace!».

E il poeta talvolta torna all’infanzia come in Cuore bambino: «Ho dipinto / i fiori / con il cuore / di un bambino, / la mia vita / con la luce / della tua anima».

Sembra quasi atemporale l’ordine del discorso di Francesco in questa sua raccolta e qualsiasi lettore che abbia vissuto la dimensione amorosa può empaticamente e facilmente identificarsi nell’io - poetante.

Raffaele Piazza

 

 

 

Francesco Terrone, Tra i miei sogni, pref. di Gualtiero De Santi, Guido Miano Editore, Milano 2018, pp. 100, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

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- Letteratura

Francesco Terrone - Le valli del tempo -Miano Editore Poesia

Francesco Terrone

 

LE VALLI DEL TEMPO

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

 

Francesco Terrone è nato a Mercato San Severino (SA): è autore di numerose raccolte di poesia. La sua produzione poetica è trattata in varie opere pubblicate da Guido Miano Editore tra cui Storia della Letteratura Italiana. Il Secondo Novecento, vol. IV (2015), Itinerario Organico delle Critiche Letterarie alle Poesie di Francesco Terrone (2016). Dizionario Autori Italiani Contemporanei (2017), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Francesco Terrone.

Le valli del tempo (G. Miano Editore, 2015), la raccolta di poesie di Francesco Terrone che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una premessa dell’Editore ed è suddivisa in cinque parti che sono precedute ciascuna da uno scritto introduttivo.

I suddetti brani sono: L’incanto della memoria nei testi di Francesco Terrone e Juan Ramòn Jiménez a firma di Angela Ambrosini, Le problematiche dell’essere in Francesco Terrone e Jorge Gullén della stessa Ambrosini, Il tema dell’amore nei testi di Francesco Terrone, Franz Werfel e Martinus Nijhoff di Guido Miano, Il percorso della spiritualità in Francesco Terrone e Guido Gezelle di Enzo Concardi e Il tema della Natura Medicatrix in Francesco Terrone e Johannes Bobrowski di Fabio Amato. Seguono, in appendice, la prefazione al libro Pitagora, sempre opera del Nostro, intitolata Una poesia “interlocutoria” a cura di Gaetano Iaia e la presentazione al libro Via Crucis di Giuseppe Agostino Arcivescovo Emerito di Cosenza-Bisignano.

Tutti i componimenti racchiusi nel volume presentano il titolo della raccolta da cui sono tratti e l’anno di pubblicazione.

Quindi il testo può considerarsi un’antologia di poesie composta da eterogenee composizioni della copiosa produzione di Terrone pubblicate prima del 2015.

Si prenderà in considerazione la sublime poesia eponima situata nella terza scansione, componimento rarefatto e concentrato verticale tout-court in quanto alcuni versi sono composti da un solo vocabolo. Si tratta di una poesia luminosa e magica icastica e leggera che sorprende nella sua metafisica bellezza in un panorama come il nostro dominato dagli sperimentalismi e dai neo - orfismi.

 Vale la pena riportare integralmente il testo perché si tratta davvero di un momento alto nella sua chiarezza ed è doveroso mettere in rilievo che la composizione è tratta dalla raccolta Pitagora del 2014. Ecco la poesia: «Bagno / le mie mani / nell’acqua / delle tue acque / ed accarezzo / la vita / che da secoli / riempie le valli / del tempo. / Leggere diventano / le mie mani / come ali / spiccano il volo / e conducono / il mio cuore / verso / l’infinito mare / verso / l’infinito amore» (Le valli del tempo).

Protagonista del componimento sono le mani dell’io - poetante in questa poesia neolirica come del tutto neolirica è la cifra della poetica di Terrone di raccolta in raccolta.

Quando il poeta dice con urgenza di bagnare le sue mani nell’acqua delle acque del tu al quale si rivolge si assiste ad un interanimarsi mistico-naturalistico dell’io poetante con lo stesso tu al quale si rivolge del quale ogni riferimento resta taciuto e che è presumibilmente l’amata.

Del resto l’archetipo dell’acqua riporta ad amniotiche fonti dalle quali sgorga la vita. Sembra di uscire dal tempo lineare leggendo questa composizione e questo è un fatto affascinante quando il poeta afferma di accarezzare la vita che da secoli riempie le valli del tempo ed è detto l’infinito non a caso come attimo dell’atemporalità che sottende l’intero componimento.

Raffaele Piazza

 

 

 

Francesco Terrone, Le valli del tempo, a cura di Angela Ambrosini, Guido Miano, Enzo Concardi, Fabio Amato; Guido Miano Editore, Milano 2015, pp. 84, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Letteratura

Wanda Lombardi Volo nell’arte Poesia Raffaele Piazza

Wanda Lombardi

VOLO NELL’ARTE

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

 

«La pittura può risultare poesia muta, e la poesia pittura parlante. Per secoli sono prevalsi i principi dell’arte poetica di Orazio e l’assioma di Simonide di Ceo, riferito da Plutarco. E sono numerosi nella storia dell’arte i rapporti di amicizia tra pittori e poeti…»; così scrive Michele Miano nell’introduzione al volume che prendiamo in considerazione in questa sede: Wanda Lombardi, Volo nell’arte, Guido Miano Editore 2021.

La coesione e forza sinergica di pittura e poesia, il loro fondersi, sovrapporsi e intersecarsi è un capitolo affascinante nelle espressioni estetiche contemporanee che diventano ipertesti secondo le due linee di codice creando connubi affascinanti e non si tratta solo di pittura ma anche di scultura in immagini che suscitano effetti felici esaltando la sana immaturità del pensiero divergente.

L’Editore Guido Miano con questa pubblicazione e con altre della collana “Parallelismo delle Arti” ha capito la funzione catartica della poesia e dell’arte in generale come strumenti per esaltare giustamente la leggerezza della vita e che l’arte stessa è portatrice di serenità nel nostro liquido, consumistico e alienato postmoderno occidentale.

Entrando nel merito di Volo nell’arte di Wanda Lombardi è doveroso sottolineare che presenta una prefazione di Rossella Cerniglia esauriente e ricca di acribia. Il volume si dipana come una sintesi di parole e segni giocati sulla tastiera delle immagini pittoriche e scultoree e delle poesie nel realizzarsi di un felicissimo effetto globale per la qual cosa può essere letto come un ipertesto. Scorrendo il sommario del testo si nota che le poesie sono talora accostate ad immagini con le quali si creano rapporti osmotici di ispirazioni reciproche, magiche armonie esteriori e interiori e di rimandi che producono malia e sospensione.

Nella lirica Dipinto di poesia, titolo che racchiude l’essenza suddetta del testo, leggiamo: «Specchio della parola / una stupenda tela / ove il sorriso e la malinconia / soave s’intrecciano / al fascino di un paesaggio, / alla grazia di un interno. / Coinvolgenti storie / descritte con colori / ad ammaliar lo sguardo…»; questa poesia ben si accosta al dipinto Il poeta di Filippo Pirro che raffigura uno scrittore sognatore mentre dipinge parole sul mare.

Tra le tavole inserite, molto suggestiva è anche quella del pittore Franco Ruggero, Ragazza che si pettina, quadro suadente dalle tinte tenui e sfumate che riproduce una giovane donna dai bei lineamenti e dalle belle mani, dalle vesti policrome campita su uno sfondo che tende al carminio; affiancata alla riproduzione d’arte possiamo leggere la poesia di Wanda Lombardi Vanità: «Sentimento mai sopito vanità. / Esso serve a rinnovarsi, / ad apparir sempre migliori e in forma. / Come quello interiore, / ognor l’aspetto fisico è importante, / più giovane fa apparire, aitante / e nella cura del corpo più attraente. / Vanità talvolta estendesi ai pensieri / scelti con cura, molto raffinati / tesi a stupire e di sicuro effetto. / Ben venga allora sobria vanità / se essa almeno, breve tratto, / al mondo darà / parvenza di nitore».

I rapporti tra immagini e icone sono sottesi a qualcosa di indefinibile e di incerta identificazione che parrebbe trovare l’etimo nel concetto di tensione e di ricerca della bellezza come punto di coagulo di tensioni che tendono ad esaltare i valori dell’essere e non quelli dell’avere.

Nella lirica Note nell’aria leggiamo: «Manciate di fiori / soavi note si diffondono nell’aria, / e al vento ondeggiando affidano, / qual poesia, ritmi, accenti, dolci silenzi. / Profumo imprecisato di magia / quasi a rincorrere chimere / a lontananze arcane giunge / come speranza mai stanca di viaggiare…». I «dolci silenzi» e il «profumo di magia» si possono scorgere anche nel quadro Anna Maria del pittore pavese Attilio De Paoli da Carbonara che raffigura la moglie seduta vicino ad un albero, immersa in un’atmosfera incantata e sognante, mentre contempla un fiore tenuto in mano.

La poetica di Wanda Lombardi può essere considerata come neolirica tout-court e il suo poiein è sempre elegante e ben controllato e si articola come un esercizio di conoscenza implicitamente ispirato dalle immagini di autori eterogenei.

Raffaele Piazza   

 

 

 

Wanda Lombardi, Volo nell’arte, prefazione di Rossella Cerniglia; Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 80, isbn 978-88-31497-38-1; mianoposta@gmail.com.

 

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- Letteratura

Edmonda Aldini Medaglia d’oro al merito europeo

EDMONDA ALDINI

MEDAGLIA D’ORO AL MERITO EUROPEO

TRITTICO GASSMANIANO

 

TRA COLOSSI DELL'ARTE E DELL'INGEGNO UMANO

COMPAGNIA EDITORIALE ALIBERTI (R. E.)

Di Maria Teresa Liuzzo

 

È con immensa gioia che ricevo l’atteso volume “Trittico Gassmaniano”, della mia cara amica Edmonda Aldini. Scorrendo le pagine con viva emozione, trovo la sua autobiografia, ricca di storie inedite delle quali mi aveva accennato – durante la stesura del libro – che riguardano la sua straordinaria e singolare carriera di Artista.

Edmonda Aldini : un gigante del teatro italiano, come è stata ben definita dalla stampa italiana e straniera, cui è stata conferita la “Medaglia d’oro al Merito Europeo” per avere, nel corso della sua straordinaria carriera, divulgato nei maggiori Teatri d'Europa e non solo, al più alto livello professionale, artistico e conoscitivo, la cultura classica italiana, attraverso l’Arte Scenica, portando un validissimo contributo a quella politica di scambi culturali che rendono fratelli i popoli d’Europa e del mondo. Tale eccezionale – se non unico – riconoscimento è stato personalmente consegnato alla eletta attrice dal Presidente della Federazione del “Merito Europeo”, Senatore François Visin, nel corso di una suggestiva manifestazione d’Arte che ha avuto luogo al Teatro “Valli” di Reggio Emilia, città natale dell’attrice, il cui nome, celebratissimo, corrisponde a: Edmonda Aldini. La “Medaglia d’oro al Merito Europeo” che le è stata consegnata, rappresenta la più alta onorificenza rilasciata dalla C.E.E. Io, che ho avuto modo di conoscerla e di averla accanto, posso affermare che Edmonda Aldini è dotata di una eclettica personalità, di grande sensibilità e di vasta cultura. Recita, canta, scrive, compone pregevoli testi che si prestano ad essere musicati. Poco più che quindicenne fu ammessa ai Corsi dell'Accademia d’Arte Drammatica e accolta da Silvio D'Amico. Ebbe ottimi maestri tra i quali Vittorio Gassman. E poco dopo divenne Ambasciatrice del Teatro Italiano nel Mondo. Grandi registi la vollero al suo fianco nei loro Cast: Giorgio Albertazzi, Giorgio Strehler, Giuseppe Patroni Griffi, Luchino Visconti, lo stesso Gassman, che la seguì in Accademia, e la volle con sé anche all'estero, nella realizzazione di importanti lavori drammatici. Si occupò con Duilio Del Prete di regia Teatrale: cantò con entusiasmo e sensibilità Theodorakis, presentò per la prima volta in Italia Léo Ferré, cantò l'America Latina con Astor Piazzolla che la diresse (per Ricordi) nell’incisione del 33 giri “Rabbia e Tango”; vinse moltissimi premi in Italia e all’Estero. Non possiamo sottacere quello di “Migliore attrice straniera” – Buenos Aires – per tutte “l’Eroina” de “Il gioco degli eroi” con Vittorio Gassman, e dallo stesso diretto. Fu molto apprezzata in televisione per i lavori di cui si è prodotta: Albertina (di Bacchelli), Mila, Cassandra, Madonna d’Ambreuse, Yerma (di Federico Garcia Lorca ). Infine, Edmond Aldini si è rivelata un'artista completa e, per molti aspetti, inimitabile. Anche io ho avuto modo di apprezzare le eccelse doti della “Regina del palcoscenico” in occasione del suo Recital durante l'intrattenimento della presentazione della mia poesia – della quale fu insuperabile interprete – nella circostanza sono stata presentata dal Principe Wilhelm Hohenzollern di Prussia, uomo di brillante vasta cultura. La cerimonia ebbe luogo il 24 marzo del 2007 nel “Salone dei Lampadari” di Palazzo San Giorgio, di Reggio Calabria, organizzata dall'Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende” e dalla rivista letteraria “Le Muse”, che ha consegnato alle note personalità del mondo dell'Arte e della Cultura intervenute i “Tetradramma di Anassila”. Nell'occasione si è prodotta in un recital che comprendeva le opere di poesie pubblicate; da “Radici” – prima pubblicazione – a “L'ombra non supera la luce”, del 2006. Nel fortunato quanto felice incontro, Edmonda Aldini, con la smagliante grazia che le è propria e con sicura professionalità Scenica, ha fornito agli astanti un saggio delle sue eccezionali doti artistiche, suscitando nei presenti viva e profonda emozione, nonché fervidi consensi. Edmonda Aldini è una donna di successo. Un gigante del Teatro Italiano che ha saputo cantare, vivere, e farci vivere tutte le vibrazioni dell'amore. Il “Trittico Gassmaniano” è un libro di sicuro successo che va letto con grande interesse dalla prima all'ultima pagina.

A nome mio e della rivista “Le Muse”, le auguriamo lunga vita e fortuna.

 

Maria Teresa Liuzzo (Poetessa, scrittrice, Direttrice della rivista di arte e cultura internazionale “Le Muse”, editore)

 

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- Letteratura

Raffaele Piazza Alessia Recensione di Roberto Casati

RAFFAELE PIAZZA, Alessia, prefazione di Antonio Spagnuolo, Associazione Rosso
Venexiano, Roma 2014, pp. 120, € 12,002.
Raffaele Piazza, apprezzato poeta e prolifico critico letterario, pubblica nel 2014 per
l’Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano, “Alessia”, con una preziosa
prefazione di Antonio Spagnuolo, raccolta con la quale vince nel 2016 il primo premio ex
aequo al prestigioso “Premio Tulliola Renato Filippelli”.
Il poeta scrive testi che, in una sequenza temporale che si va dal 1984 al 2014, celebrano
una storia d’amore, raccontando un diario meticoloso, dettagliato e didascalico fatto di
immagini della vita quotidiana in cui l’elemento Alessia è parte fondamentale e di cui
Giovanni (è esso stesso il poeta?) è la controparte cercata, attesa ed infine conquistata, sia
cerebralmente che fisicamente.
La ripetitività di alcune parole diventa la nenia che accompagna il racconto del giovanile
amore e regala alla lettura una speciale musicalità. L’utilizzo del canone lirico è l’impronta
decisa ad un testo che si fa canto nella più tradizionale accezione del termine.
Procederò qui alla lettura di alcuni testi che più mi hanno colpito e che definiscono la
poetica di Raffaele Piazza.
Alessia a Capri presenta i due personaggi che definiscono questa storia d’amore. Nel
testo sotto riportato c’è racchiuso il significante che dalle parole arriva alla pelle, alle
sensazioni di una stanza in cui il calore dei corpi innamorati ha definito uno schermo di
vapore sui vetri della finestra. La pelle di Alessia è talmente leggera da ricordare l’acqua ed
il vino bevuto dopo l’amore inebria come un altro bacio avuto da Giovanni. La felicità di
questo momento è il punto di partenza per un tempo nuovo.
….
Si dissolve dai vetri il vapore
dopo l’amore, Alessia con carta
e forbici ritaglia la vita, rigenerata
in infinite guarigioni, pelle
di pesca, nel tratto bello del suo
volto, mi ricorda l’acqua.
….
momenti irripetibili
il vino e il bacio di Giovanni
a portarle in dono rosa conchiglia
lì dove iniziano il tempo
di rinascita e una cesta di fortuna.
Alessia all’Università ci presenta la protagonista negli ambienti universitari. Viene
definita “rosavestita” (espressione che con eventuale cambio di colore ci accompagnerà in molte altre pagine), e fa da contraltare al temporale ormai passato il luminoso arcobaleno.
Terminato il momento dello studio Alessia ritorna bambina inseguendo il sapore
dolciastro dello zucchero filato. Infine l’anima brillante sullo scuro di personaggi seduti sui
fili della luce. Viene rimarcato che siamo nel 1984 (anche questo è un marchio consueto
in questa raccolta) e che ci sarà raccolto: è una definizione che non è ben chiara a cosa si
riferisca, di che raccolto si tratti. La mia personale interpretazione è un “va tutto bene”,
oppure “ho fatto un passo verso il raggiungimento del mio obiettivo”.
Quadriportico di settembre adiacente
Corso Umberto serale, Università
Federico II, matricola Alessia nel
fiorevole restare nel quadriportico,
pari a spazio scenico sulle cose
di sempre. Alessia rosavestita e
sul Corso l’odore dello zucchero
filato a poco a poco e i bambini.
Alessia col Canzoniere di Petrarca
tra le mani in vivido arcobaleno
dopo il temporale di settembre.
Alessia, anima di stella nel nero
dei rondoni sui fili della luce
a scrivere parole con i voli.
È il 1984, scivola l’auto nell’azzurra
strada e ci sarà raccolto.
Alessia e amicizia ci mostra Serena come esempio di amica, di confidente con la quale
parlare di quelle cose che non si possono dire ai genitori, che toccano direttamente il senso
della crescita: le prime volte, la ricerca della felicità legata anche all’acquisto delle
mutandine più adatte per l’incontro che avverrà dopo aver dato l’esame. Se poi l’esame
porta un 30 invece del 28 sperato la felicità è doppia, gustare il panino con Serena e sentire
vicino Giovanni e il ricordo dell’ultimo orgasmo.
….
Alessia e Serena, il vero bene,
oltre allo squadernarsi delle gioie
e dei dolori e i giardini segreti
si scoprono in incantesimi duali
di lune e di misteri (la prima volta,
il primo mestruo, il primo all’estero
viaggio, la prima sigaretta) e quello
squillare di telefono ogni mattino
per dirsi come va con i ragazzi,
se sei in forma, se hai sognato e sei felice,
se hai comprato e quali mutandine.
….Alessia in ansia per l’esame di latino
che non le basta la gonna corta per un 28
almeno a fare media, la media felicità
felicità di una vita intera: portati la reliquia
di Santa Teresa, le dice Serena.
….
Gioia di Alessia, 30 in latino e il quadriportico
sorride, dell’Università e ci sarà raccolto
duale con Serena al Mc Donald a gustare
il panino più buono di un’intera vita. Campita
nell’aria di marzo una grandiosa nuvola
le ricorda il letto con Giovanni, il bianco
del piumone e l’ultimo orgasmo.
….
Alessia e il futuro definisce il senso del tempo di questi testi. La storia si svolge in una
sensazione di volo, di non definizione temporale, tanto è vero che qui si dice che tutto
accade in un attimo così breve, tra il prima e il dopo dello squillo del telefono. Il racconto
inizia nel 1984 e finisce nel 2014 ma i riferimenti di Alessia non cambiano in questi trenta
anni, tutto si svolge in un attimo.
….
tutto accade in quell’attimo tra
prima e dopo dello squillo
del telefono.
Alessia e l’allodola ci lascia alcune considerazioni in merito all’ambiente naturale che fa
da sfondo ai personaggi della storia. Il Mediterraneo come riferimento per l’inizio di una
vita nuova, l’isola di Ischia, i sempreverdi, le onde sulle scogliere, che sono anche limiti
per i pensieri, i ricordi. Lo scrivere di Alessia con incerta grafia ci riporta alla difficoltà di
seguire la rotta, il proprio percorso di vita che si va sviluppando dalla giovinezza all’età
adulta.
….
Si sperde un lume elettrico acceso
sul bordo del Mediterraneo prima di
salpare per la vita, l’isola di Ischia
intravista tra le lunazioni e le cose
di sempre. A poco a poco Alessia
scorge dei sempreverdi le linfe e pensa
agli attimi di gioia colti occhi negli occhi
con Giovanni, di colpo lo specchio
riflette l’azzurro delle onde tra scogliere
di memoria, mano affilata di Alessia
nello scrivere il diario con incerta grafia.….
Alessia e la cometa ci presenta una situazione particolare in cui diventa Giovanni
protagonista, anche se non in presenza diretta, con la scritta lasciata sulla parete bianca
come regalo all’amata. Le tristezze che pure sono presenti in un amore trovano soluzione
leggendo il messaggio che da solo è in grado di riempire il cuore.
….
Alessia in rito battesimale
di rigenerazione con la luce
e tutto va a posto nelle camere
dell’anima dove su una parete
bianca Giovanni ha scritto:
ti amo!!!!
Alessia e Internet parte dalla navigazione su un sito web di poesia per arrivare a definire
un percorso, mentale e fisico, nel prepararsi ad una serata d’amore con Giovanni. Anche
le calze e le scarpe sono riferite al web in quanto lì sono state acquistate, ed anche la ricetta
per la pizza è stata ricercata su Internet. Così come il bagnoschiuma con cui Alessia gioca
sotto la doccia, solitaria anteprima dell’amore che arriverà al culmine con Giovanni tra
poco.
Sera serrata, alta densità dell’anima
di vetro. Dinanzi al visore, Alessia,
colei che protegge. Sono arrivate le stelle
e le comete, portatrici di presagi fortunati,
Alessia e Internet nel farsi della sera
per nuove navigazioni sul sito di poesia
Sussurri e grida, (l’indirizzo avuto da Veronica).
Sera di limbo nel leggere poesie di Pasolini,
Alda Marini, Sylvia Plath, Dario Bellezza.
Dietro un visore di cielo accade una mattina
di verdi giorni tra i pascoli celesti a inazzurrarsi,
poi slavata aurora di Aprile nella pelle
un fiorire oltre il tempo gioia fisica nell’indossare
le calze autoreggenti e gli slip neri per
prepararsi all’amore della sera.
Marca di calze vista su un sito internet,
giunte per corrispondenza il giorno di un
postino in divisa azzurra ha bussato
alla porta.
Marca di scarpe captata da un sito internet
profumo della pizza del forno preparatadalla mamma (Alessia ha visto la ricetta
per cucinarla su internet su suggerimento di Silvia).
Alessia nuda sotto la doccia, bagnoschiuma
alle rose, marca vista sul sito della
bellezza delle cose, del bagno oltre le fragole
della marea al fiore della grazia, affilarsi
in sesso e piacere anche da sola Alessia
(ha letto un libro).
Si spalancano i cancelli della sera
oltre il contenitore del tramonto
e ci sarà raccolto.
Alessia e febbraio 2014 è la poesia conclusiva ed ancora una volta si passa da elementi
esterni quali il freddo sulla pelle, la neve che ci accompagna sullo sfondo, allo scrosciare
successivo della pioggia, all’atto culminante dell’amore con Giovanni, nello spazio angusto
di un’utilitaria ed una stanza d’albergo più confortevole che li attende. A trent’anni
dall’inizio del loro amore.
Freddo bianco sulla pelle
e nelle fibre di ragazza
Alessia. Passa il mese del
nevaio a pervaderla
si candore nell’inalvearsi
il pensiero sul viale
della gioia, presentita
nello scrosciare della
pioggia al culmine
dell’amore con Giovanni.
Alberate di pini
Al Parco Virgiliano,
l’auto stretta dove farlo
per rigenerarsi
e l’Albergo degli angeli,
camera n.8 attende.
In conclusione Raffaele Piazza ci canta una storia di tutti i giorni, fatta di momenti che si
infrangono sui passi del tempo, meticoloso andare attimo dopo attimo nel desiderio per
la donna amata. Racconto che ci lascia davanti alla porta della vita, a noi fare il passo avanti
che ci scalderà il cuore, che darà un senso compiuto alle parole cuore ed amore.
RAFFAELE PIAZZA, Alessia, prefazione di Antonio Spagnuolo, Associazione Rosso
Venexiano, Roma 2014, pp. 120, € 12,002.
Raffaele Piazza, apprezzato poeta e prolifico critico letterario, pubblica nel 2014 per
l’Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano, “Alessia”, con una preziosa
prefazione di Antonio Spagnuolo, raccolta con la quale vince nel 2016 il primo premio ex
aequo al prestigioso “Premio Tulliola Renato Filippelli”.
Il poeta scrive testi che, in una sequenza temporale che si va dal 1984 al 2014, celebrano
una storia d’amore, raccontando un diario meticoloso, dettagliato e didascalico fatto di
immagini della vita quotidiana in cui l’elemento Alessia è parte fondamentale e di cui
Giovanni (è esso stesso il poeta?) è la controparte cercata, attesa ed infine conquistata, sia
cerebralmente che fisicamente.
La ripetitività di alcune parole diventa la nenia che accompagna il racconto del giovanile
amore e regala alla lettura una speciale musicalità. L’utilizzo del canone lirico è l’impronta
decisa ad un testo che si fa canto nella più tradizionale accezione del termine.
Procederò qui alla lettura di alcuni testi che più mi hanno colpito e che definiscono la
poetica di Raffaele Piazza.
Alessia a Capri presenta i due personaggi che definiscono questa storia d’amore. Nel
testo sotto riportato c’è racchiuso il significante che dalle parole arriva alla pelle, alle
sensazioni di una stanza in cui il calore dei corpi innamorati ha definito uno schermo di
vapore sui vetri della finestra. La pelle di Alessia è talmente leggera da ricordare l’acqua ed
il vino bevuto dopo l’amore inebria come un altro bacio avuto da Giovanni. La felicità di
questo momento è il punto di partenza per un tempo nuovo.
….
Si dissolve dai vetri il vapore
dopo l’amore, Alessia con carta
e forbici ritaglia la vita, rigenerata
in infinite guarigioni, pelle
di pesca, nel tratto bello del suo
volto, mi ricorda l’acqua.
….
momenti irripetibili
il vino e il bacio di Giovanni
a portarle in dono rosa conchiglia
lì dove iniziano il tempo
di rinascita e una cesta di fortuna.
Alessia all’Università ci presenta la protagonista negli ambienti universitari. Viene
definita “rosavestita” (espressione che con eventuale cambio di colore ci accompagnerà in molte altre pagine), e fa da contraltare al temporale ormai passato il luminoso arcobaleno.
Terminato il momento dello studio Alessia ritorna bambina inseguendo il sapore
dolciastro dello zucchero filato. Infine l’anima brillante sullo scuro di personaggi seduti sui
fili della luce. Viene rimarcato che siamo nel 1984 (anche questo è un marchio consueto
in questa raccolta) e che ci sarà raccolto: è una definizione che non è ben chiara a cosa si
riferisca, di che raccolto si tratti. La mia personale interpretazione è un “va tutto bene”,
oppure “ho fatto un passo verso il raggiungimento del mio obiettivo”.
Quadriportico di settembre adiacente
Corso Umberto serale, Università
Federico II, matricola Alessia nel
fiorevole restare nel quadriportico,
pari a spazio scenico sulle cose
di sempre. Alessia rosavestita e
sul Corso l’odore dello zucchero
filato a poco a poco e i bambini.
Alessia col Canzoniere di Petrarca
tra le mani in vivido arcobaleno
dopo il temporale di settembre.
Alessia, anima di stella nel nero
dei rondoni sui fili della luce
a scrivere parole con i voli.
È il 1984, scivola l’auto nell’azzurra
strada e ci sarà raccolto.
Alessia e amicizia ci mostra Serena come esempio di amica, di confidente con la quale
parlare di quelle cose che non si possono dire ai genitori, che toccano direttamente il senso
della crescita: le prime volte, la ricerca della felicità legata anche all’acquisto delle
mutandine più adatte per l’incontro che avverrà dopo aver dato l’esame. Se poi l’esame
porta un 30 invece del 28 sperato la felicità è doppia, gustare il panino con Serena e sentire
vicino Giovanni e il ricordo dell’ultimo orgasmo.
….
Alessia e Serena, il vero bene,
oltre allo squadernarsi delle gioie
e dei dolori e i giardini segreti
si scoprono in incantesimi duali
di lune e di misteri (la prima volta,
il primo mestruo, il primo all’estero
viaggio, la prima sigaretta) e quello
squillare di telefono ogni mattino
per dirsi come va con i ragazzi,
se sei in forma, se hai sognato e sei felice,
se hai comprato e quali mutandine.
….Alessia in ansia per l’esame di latino
che non le basta la gonna corta per un 28
almeno a fare media, la media felicità
felicità di una vita intera: portati la reliquia
di Santa Teresa, le dice Serena.
….
Gioia di Alessia, 30 in latino e il quadriportico
sorride, dell’Università e ci sarà raccolto
duale con Serena al Mc Donald a gustare
il panino più buono di un’intera vita. Campita
nell’aria di marzo una grandiosa nuvola
le ricorda il letto con Giovanni, il bianco
del piumone e l’ultimo orgasmo.
….
Alessia e il futuro definisce il senso del tempo di questi testi. La storia si svolge in una
sensazione di volo, di non definizione temporale, tanto è vero che qui si dice che tutto
accade in un attimo così breve, tra il prima e il dopo dello squillo del telefono. Il racconto
inizia nel 1984 e finisce nel 2014 ma i riferimenti di Alessia non cambiano in questi trenta
anni, tutto si svolge in un attimo.
….
tutto accade in quell’attimo tra
prima e dopo dello squillo
del telefono.
Alessia e l’allodola ci lascia alcune considerazioni in merito all’ambiente naturale che fa
da sfondo ai personaggi della storia. Il Mediterraneo come riferimento per l’inizio di una
vita nuova, l’isola di Ischia, i sempreverdi, le onde sulle scogliere, che sono anche limiti
per i pensieri, i ricordi. Lo scrivere di Alessia con incerta grafia ci riporta alla difficoltà di
seguire la rotta, il proprio percorso di vita che si va sviluppando dalla giovinezza all’età
adulta.
….
Si sperde un lume elettrico acceso
sul bordo del Mediterraneo prima di
salpare per la vita, l’isola di Ischia
intravista tra le lunazioni e le cose
di sempre. A poco a poco Alessia
scorge dei sempreverdi le linfe e pensa
agli attimi di gioia colti occhi negli occhi
con Giovanni, di colpo lo specchio
riflette l’azzurro delle onde tra scogliere
di memoria, mano affilata di Alessia
nello scrivere il diario con incerta grafia.….
Alessia e la cometa ci presenta una situazione particolare in cui diventa Giovanni
protagonista, anche se non in presenza diretta, con la scritta lasciata sulla parete bianca
come regalo all’amata. Le tristezze che pure sono presenti in un amore trovano soluzione
leggendo il messaggio che da solo è in grado di riempire il cuore.
….
Alessia in rito battesimale
di rigenerazione con la luce
e tutto va a posto nelle camere
dell’anima dove su una parete
bianca Giovanni ha scritto:
ti amo!!!!
Alessia e Internet parte dalla navigazione su un sito web di poesia per arrivare a definire
un percorso, mentale e fisico, nel prepararsi ad una serata d’amore con Giovanni. Anche
le calze e le scarpe sono riferite al web in quanto lì sono state acquistate, ed anche la ricetta
per la pizza è stata ricercata su Internet. Così come il bagnoschiuma con cui Alessia gioca
sotto la doccia, solitaria anteprima dell’amore che arriverà al culmine con Giovanni tra
poco.
Sera serrata, alta densità dell’anima
di vetro. Dinanzi al visore, Alessia,
colei che protegge. Sono arrivate le stelle
e le comete, portatrici di presagi fortunati,
Alessia e Internet nel farsi della sera
per nuove navigazioni sul sito di poesia
Sussurri e grida, (l’indirizzo avuto da Veronica).
Sera di limbo nel leggere poesie di Pasolini,
Alda Marini, Sylvia Plath, Dario Bellezza.
Dietro un visore di cielo accade una mattina
di verdi giorni tra i pascoli celesti a inazzurrarsi,
poi slavata aurora di Aprile nella pelle
un fiorire oltre il tempo gioia fisica nell’indossare
le calze autoreggenti e gli slip neri per
prepararsi all’amore della sera.
Marca di calze vista su un sito internet,
giunte per corrispondenza il giorno di un
postino in divisa azzurra ha bussato
alla porta.
Marca di scarpe captata da un sito internet
profumo della pizza del forno preparatadalla mamma (Alessia ha visto la ricetta
per cucinarla su internet su suggerimento di Silvia).
Alessia nuda sotto la doccia, bagnoschiuma
alle rose, marca vista sul sito della
bellezza delle cose, del bagno oltre le fragole
della marea al fiore della grazia, affilarsi
in sesso e piacere anche da sola Alessia
(ha letto un libro).
Si spalancano i cancelli della sera
oltre il contenitore del tramonto
e ci sarà raccolto.
Alessia e febbraio 2014 è la poesia conclusiva ed ancora una volta si passa da elementi
esterni quali il freddo sulla pelle, la neve che ci accompagna sullo sfondo, allo scrosciare
successivo della pioggia, all’atto culminante dell’amore con Giovanni, nello spazio angusto
di un’utilitaria ed una stanza d’albergo più confortevole che li attende. A trent’anni
dall’inizio del loro amore.
Freddo bianco sulla pelle
e nelle fibre di ragazza
Alessia. Passa il mese del
nevaio a pervaderla
si candore nell’inalvearsi
il pensiero sul viale
della gioia, presentita
nello scrosciare della
pioggia al culmine
dell’amore con Giovanni.
Alberate di pini
Al Parco Virgiliano,
l’auto stretta dove farlo
per rigenerarsi
e l’Albergo degli angeli,
camera n.8 attende.
In conclusione Raffaele Piazza ci canta una storia di tutti i giorni, fatta di momenti che si
infrangono sui passi del tempo, meticoloso andare attimo dopo attimo nel desiderio per
la donna amata. Racconto che ci lascia davanti alla porta della vita, a noi fare il passo avanti
che ci scalderà il cuore, che darà un senso compiuto alle parole cuore ed amore.
RAFFAELE PIAZZA, Alessia, prefazione di Antonio Spagnuolo, Associazione Rosso
Venexiano, Roma 2014, pp. 120, € 12,002.
Raffaele Piazza, apprezzato poeta e prolifico critico letterario, pubblica nel 2014 per
l’Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano, “Alessia”, con una preziosa
prefazione di Antonio Spagnuolo, raccolta con la quale vince nel 2016 il primo premio ex
aequo al prestigioso “Premio Tulliola Renato Filippelli”.
Il poeta scrive testi che, in una sequenza temporale che si va dal 1984 al 2014, celebrano
una storia d’amore, raccontando un diario meticoloso, dettagliato e didascalico fatto di
immagini della vita quotidiana in cui l’elemento Alessia è parte fondamentale e di cui
Giovanni (è esso stesso il poeta?) è la controparte cercata, attesa ed infine conquistata, sia
cerebralmente che fisicamente.
La ripetitività di alcune parole diventa la nenia che accompagna il racconto del giovanile
amore e regala alla lettura una speciale musicalità. L’utilizzo del canone lirico è l’impronta
decisa ad un testo che si fa canto nella più tradizionale accezione del termine.
Procederò qui alla lettura di alcuni testi che più mi hanno colpito e che definiscono la
poetica di Raffaele Piazza.
Alessia a Capri presenta i due personaggi che definiscono questa storia d’amore. Nel
testo sotto riportato c’è racchiuso il significante che dalle parole arriva alla pelle, alle
sensazioni di una stanza in cui il calore dei corpi innamorati ha definito uno schermo di
vapore sui vetri della finestra. La pelle di Alessia è talmente leggera da ricordare l’acqua ed
il vino bevuto dopo l’amore inebria come un altro bacio avuto da Giovanni. La felicità di
questo momento è il punto di partenza per un tempo nuovo.
….
Si dissolve dai vetri il vapore
dopo l’amore, Alessia con carta
e forbici ritaglia la vita, rigenerata
in infinite guarigioni, pelle
di pesca, nel tratto bello del suo
volto, mi ricorda l’acqua.
….
momenti irripetibili
il vino e il bacio di Giovanni
a portarle in dono rosa conchiglia
lì dove iniziano il tempo
di rinascita e una cesta di fortuna.
Alessia all’Università ci presenta la protagonista negli ambienti universitari. Viene
definita “rosavestita” (espressione che con eventuale cambio di colore ci accompagnerà in molte altre pagine), e fa da contraltare al temporale ormai passato il luminoso arcobaleno.
Terminato il momento dello studio Alessia ritorna bambina inseguendo il sapore
dolciastro dello zucchero filato. Infine l’anima brillante sullo scuro di personaggi seduti sui
fili della luce. Viene rimarcato che siamo nel 1984 (anche questo è un marchio consueto
in questa raccolta) e che ci sarà raccolto: è una definizione che non è ben chiara a cosa si
riferisca, di che raccolto si tratti. La mia personale interpretazione è un “va tutto bene”,
oppure “ho fatto un passo verso il raggiungimento del mio obiettivo”.
Quadriportico di settembre adiacente
Corso Umberto serale, Università
Federico II, matricola Alessia nel
fiorevole restare nel quadriportico,
pari a spazio scenico sulle cose
di sempre. Alessia rosavestita e
sul Corso l’odore dello zucchero
filato a poco a poco e i bambini.
Alessia col Canzoniere di Petrarca
tra le mani in vivido arcobaleno
dopo il temporale di settembre.
Alessia, anima di stella nel nero
dei rondoni sui fili della luce
a scrivere parole con i voli.
È il 1984, scivola l’auto nell’azzurra
strada e ci sarà raccolto.
Alessia e amicizia ci mostra Serena come esempio di amica, di confidente con la quale
parlare di quelle cose che non si possono dire ai genitori, che toccano direttamente il senso
della crescita: le prime volte, la ricerca della felicità legata anche all’acquisto delle
mutandine più adatte per l’incontro che avverrà dopo aver dato l’esame. Se poi l’esame
porta un 30 invece del 28 sperato la felicità è doppia, gustare il panino con Serena e sentire
vicino Giovanni e il ricordo dell’ultimo orgasmo.
….
Alessia e Serena, il vero bene,
oltre allo squadernarsi delle gioie
e dei dolori e i giardini segreti
si scoprono in incantesimi duali
di lune e di misteri (la prima volta,
il primo mestruo, il primo all’estero
viaggio, la prima sigaretta) e quello
squillare di telefono ogni mattino
per dirsi come va con i ragazzi,
se sei in forma, se hai sognato e sei felice,
se hai comprato e quali mutandine.
….Alessia in ansia per l’esame di latino
che non le basta la gonna corta per un 28
almeno a fare media, la media felicità
felicità di una vita intera: portati la reliquia
di Santa Teresa, le dice Serena.
….
Gioia di Alessia, 30 in latino e il quadriportico
sorride, dell’Università e ci sarà raccolto
duale con Serena al Mc Donald a gustare
il panino più buono di un’intera vita. Campita
nell’aria di marzo una grandiosa nuvola
le ricorda il letto con Giovanni, il bianco
del piumone e l’ultimo orgasmo.
….
Alessia e il futuro definisce il senso del tempo di questi testi. La storia si svolge in una
sensazione di volo, di non definizione temporale, tanto è vero che qui si dice che tutto
accade in un attimo così breve, tra il prima e il dopo dello squillo del telefono. Il racconto
inizia nel 1984 e finisce nel 2014 ma i riferimenti di Alessia non cambiano in questi trenta
anni, tutto si svolge in un attimo.
….
tutto accade in quell’attimo tra
prima e dopo dello squillo
del telefono.
Alessia e l’allodola ci lascia alcune considerazioni in merito all’ambiente naturale che fa
da sfondo ai personaggi della storia. Il Mediterraneo come riferimento per l’inizio di una
vita nuova, l’isola di Ischia, i sempreverdi, le onde sulle scogliere, che sono anche limiti
per i pensieri, i ricordi. Lo scrivere di Alessia con incerta grafia ci riporta alla difficoltà di
seguire la rotta, il proprio percorso di vita che si va sviluppando dalla giovinezza all’età
adulta.
….
Si sperde un lume elettrico acceso
sul bordo del Mediterraneo prima di
salpare per la vita, l’isola di Ischia
intravista tra le lunazioni e le cose
di sempre. A poco a poco Alessia
scorge dei sempreverdi le linfe e pensa
agli attimi di gioia colti occhi negli occhi
con Giovanni, di colpo lo specchio
riflette l’azzurro delle onde tra scogliere
di memoria, mano affilata di Alessia
nello scrivere il diario con incerta grafia.….
Alessia e la cometa ci presenta una situazione particolare in cui diventa Giovanni
protagonista, anche se non in presenza diretta, con la scritta lasciata sulla parete bianca
come regalo all’amata. Le tristezze che pure sono presenti in un amore trovano soluzione
leggendo il messaggio che da solo è in grado di riempire il cuore.
….
Alessia in rito battesimale
di rigenerazione con la luce
e tutto va a posto nelle camere
dell’anima dove su una parete
bianca Giovanni ha scritto:
ti amo!!!!
Alessia e Internet parte dalla navigazione su un sito web di poesia per arrivare a definire
un percorso, mentale e fisico, nel prepararsi ad una serata d’amore con Giovanni. Anche
le calze e le scarpe sono riferite al web in quanto lì sono state acquistate, ed anche la ricetta
per la pizza è stata ricercata su Internet. Così come il bagnoschiuma con cui Alessia gioca
sotto la doccia, solitaria anteprima dell’amore che arriverà al culmine con Giovanni tra
poco.
Sera serrata, alta densità dell’anima
di vetro. Dinanzi al visore, Alessia,
colei che protegge. Sono arrivate le stelle
e le comete, portatrici di presagi fortunati,
Alessia e Internet nel farsi della sera
per nuove navigazioni sul sito di poesia
Sussurri e grida, (l’indirizzo avuto da Veronica).
Sera di limbo nel leggere poesie di Pasolini,
Alda Marini, Sylvia Plath, Dario Bellezza.
Dietro un visore di cielo accade una mattina
di verdi giorni tra i pascoli celesti a inazzurrarsi,
poi slavata aurora di Aprile nella pelle
un fiorire oltre il tempo gioia fisica nell’indossare
le calze autoreggenti e gli slip neri per
prepararsi all’amore della sera.
Marca di calze vista su un sito internet,
giunte per corrispondenza il giorno di un
postino in divisa azzurra ha bussato
alla porta.
Marca di scarpe captata da un sito internet
profumo della pizza del forno preparatadalla mamma (Alessia ha visto la ricetta
per cucinarla su internet su suggerimento di Silvia).
Alessia nuda sotto la doccia, bagnoschiuma
alle rose, marca vista sul sito della
bellezza delle cose, del bagno oltre le fragole
della marea al fiore della grazia, affilarsi
in sesso e piacere anche da sola Alessia
(ha letto un libro).
Si spalancano i cancelli della sera
oltre il contenitore del tramonto
e ci sarà raccolto.
Alessia e febbraio 2014 è la poesia conclusiva ed ancora una volta si passa da elementi
esterni quali il freddo sulla pelle, la neve che ci accompagna sullo sfondo, allo scrosciare
successivo della pioggia, all’atto culminante dell’amore con Giovanni, nello spazio angusto
di un’utilitaria ed una stanza d’albergo più confortevole che li attende. A trent’anni
dall’inizio del loro amore.
Freddo bianco sulla pelle
e nelle fibre di ragazza
Alessia. Passa il mese del
nevaio a pervaderla
si candore nell’inalvearsi
il pensiero sul viale
della gioia, presentita
nello scrosciare della
pioggia al culmine
dell’amore con Giovanni.
Alberate di pini
Al Parco Virgiliano,
l’auto stretta dove farlo
per rigenerarsi
e l’Albergo degli angeli,
camera n.8 attende.
In conclusione Raffaele Piazza ci canta una storia di tutti i giorni, fatta di momenti che si
infrangono sui passi del tempo, meticoloso andare attimo dopo attimo nel desiderio per
la donna amata. Racconto che ci lascia davanti alla porta della vita, a noi fare il passo avanti
che ci scalderà il cuore, che darà un senso compiuto alle parole cuore ed amore.

*

- Letteratura

Maria Teresa Liuzzo Danza la notte nelle tue pupille Poesia

Maria Teresa Liuzzo – Danza la notte nelle tue pupille

A.G.A, R. Editrice – Reggio Calabria – 2022 – pag. 121   

 

 

Maria Teresa Liuzzo, l’autrice del poema d’amore che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia). È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hunedoara).

Danza la notte nelle tue pupille, la raccolta di poesie di Maria Teresa Liuzzo che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una postfazione di Mauro D’Castelli intitolata “Mio libro mia sfera” LA GALASSIA INNAMORATA che per le sue dimensioni notevolissime può essere considerata un vero e proprio saggio esauriente e ricco di acribia corredato da moltissime citazioni.

Il volume non è scandito e per la sua unitarietà contenutistica, formale, stilistica e semantica potrebbe essere considerato un poemetto.

Ritroviamo un continuum tra i motivi ispiratori di questo libro di poesia e quelli precedenti della Liuzzo come per esempio Miosòtide del 2009.

Quanto suddetto si rivela nella vena neolirica ed elegiaca di questa scrittura permeata da un afflato, una stabile tensione per l’amore che è sia personale per l’amato, sia cosmico per una natura interiorizzata e introiettata nell’anima della poetessa, sia amore mistico, con esiti nello stesso tempo teneri e numinosi, luminosi e umbratili sempre caratterizzati da una vaga e splendida bellezza.   

Ma sotteso a quanto suddetto c’è un discorso profondissimo un livello densissimo intellettualisticamente che si evince nel libro che è frutto dell’avvertita e straordinaria coscienza letteraria dell’autrice che viene decriptata magistralmente dallo stesso postfatore nella sua complessità.   

Già il titolo della raccolta pare evocare qualcosa di magico e misterioso nell’essere detta con urgenza la notte, metafora e simbolo delle tenebre ma che per altri modi porta consiglio e riposo per il corpo e l’anima.

Originale e affascinante l’immagine di una notte danzante nelle pupille del tu al quale l’autrice si rivolge che presumibilmente è l’amato.

Come scrive il critico la metafora luzziana interessata alla poetica ha non di rado un carattere teoretico e dischiude le sue immagini (come quella naturale della fulgida rosa in un giardino fiorente) trasformandole, dal mondo della natura al mondo dello spirito senza soluzione di continuità.  

Del resto a questo discorso s’intona anche l’immagine della copertina nella quale ritroviamo il dipinto di Waterhouse del 1908 intitolato Lo spirito della rosa del 1908 che raffigura una donna nell’atto di annusare proprio una rosa.

Del resto la rosa cresce negli infiniti giardini della poesia e diviene spesso simbolo dell’amore e della vita per molti poeti anche del passato.

In bilico tra gioia e dolore la poetica della Liuzzo e la natura ha un ruolo importante a fare da sfondo ai sentimenti.

La maggior parte delle poesie appartiene al genere dell’haiku praticato magistralmente dalla poetessa e scrittrice.

Un tono di sospensione e di mistero pare prevalere in atmosfere di onirismo purgatoriale sempre molto evocative.

A volte si ritrova il tema della scrittura nella scrittura che diviene fatto anche etico quando Maria Teresa afferma con urgenza che scrive perché la stagione glielo impone e l’anima lo richiede e che la libertà del verso pretende d’essere cantata.

L’ordine del discorso si sdipana tra accensioni e spegnimenti subitanei che hanno una forza magica e ammaliante.

E il tema mistico si rivela quando viene detto nel canto sempre raffinato e ben cesellato che l’anima è libro fremente perfezione oltre la scrittura e quando si parla di musica degli angeli o quando rivolgendosi ad un tu del quale ogni rifermento resta taciuto la Liuzzo gli dice che ascolta la voce del Divino e che lo spirito sposa la Parola nell’inverarsi d’immagini molto suggestive che sgorgano le una dalle altre sempre in maniera alta e sublime.

Come scrive D’Castelli la poesia di Maria Teresa parla sempre in modo nuovo e potente ma esige una duttile preparazione, Infatti si deve saper invertire il flusso delle parole di tutti i giorni e trasformare le parole in emergenze di luce.  

La galassia innamorata, sottotitolo che dà D’Castelli alla poderosa postfazione, ci fa intendere l’idea di un amore cosmico che, poiché si nomina l’immensità potrebbe essere amore anche per Dio e lo stesso amore per Dio come hanno scritto alcuni filosofi può essere anche interessato.

Se l’innamoramento è un attimo di grazia fugace, un incontrarsi negli occhi dell’amato, l’amore stesso è il motore, la casa scatenante e fondante della poetica e del poiein della Liuzzo.

La densità metaforica e sinestesica oltre che semantica ha un ruolo importante e comunque i versi sono permeati da leggerezza, leggibilità e chiarezza sottese ad una fortissima linearità dell’incanto.

Anche una natura fatta di epifanie primeve di gemme, di fiori e frutti detti magicamente con urgenza emoziona il lettore e la poesia nell’articolarsi dei versi assume toni magici e tutto è permeato da un vibrare dell’anima che si traduce in versi icastici, armonici e ben risolti a livello stilistico e formale.

Notiamo una fortissima, abissale differenza tra la produzione in prosa e quella in versi della Liuzzo.

Infatti mentre i libri di poesia dell’autrice sono idilliaci e ottimistici nel cantare un inno rassicurante alla vita e sono un’emanazione del bene anche se c’è il tema dell’angustia, insomma la gioia e il dolore dell’esistere, nei romanzi predomina il tema del male che si svela con storie nelle quali comunque l’eroina Mary tra innumerevoli traversie si salva sempre con l’aiuto della poesia e dell’arte, dell’angelo Raf e di Dio stesso che come scrive la Liuzzo Mary porta al collo.

Se un lettore qualsiasi leggesse la poesia e la prosa della Liuzzo per puro caso stenterebbe a credere che sono opera della stessa letterata per l’impronta sempre sublime ma diversissima con la quale la Liuzzo si esprime nei due generi.

Ma c’è un comune denominatore tra le due espressioni letterarie ed è quello della vivissima e profondissima e poliedrica intelligenza della Liuzzo che si traduce in meravigliosa affabulazione nella prosa e in scintillante elaborazione nella poesia.

Inoltre va messa in luce la grandissima originalità della produzione in toto dell’autrice che costituisce un vero unicum.

Anche il sogno qui si trasforma in linfa vitale anche se non ne conosciamo i contenuti.

Inoltre serpeggia sempre il tema della reverie, del sogno ad occhi aperti che dà bellezza alle pagine e rende l’ordine del discorso oltre il limite del possibile nella sua perfezione.

Una verginità morale trapela dalle poesie e anche dai romanzi ma il lettore intende che chi scrive conosce bene la vita e le sue regole oltre a conoscere il bene e il male.

Se in poesia tutto è presunto dagli haiku traspare massimamente questo assunto nel crearsi una fortissima dose d’ipersegno che deborda dalle magiche poesie.

L’io-poetante pare interanimarsi con la natura elegiaca che l’avvolge e anche l’uomo è natura e la natura è superiore all’uomo.

Nel volume è presente il tema anche di un dolce e pacato erotismo quando la poetessa si rivolge al tu e tutto è pervaso da stupore il discorso e le parole sembrano danzare come nel titolo della raccolta stessa.

Se la danza stessa è arte qui trattandosi di poesia si ha la sensazione attraverso le parole dette con urgenza sempre raffinate e bel cesellate che tutto sia pervaso da una luce selenica e siderea pulsante per un gioco di natura e tutto è armonico nello svelarsi del sentiero dell’anima dove l’io poetante s’incammina trepido e veloce danzante anche lui in una danza panica.

E del resto trapela nell’anima del lettore il desiderio di una fusione con la natura come un tempio attico costruito su una collina.

Maria Teresa Liuzzo rimbaudianamente dimostra che il vero poeta è un veggente e forse aveva ragione Maria Luisa Spaziani quando affermava che la poesia è la forma più alta di scrittura.

 

Raffaele Piazza  

*

- Letteratura

Maria Teresa Liuzzo La luce del ritorno Romanzo

Maria Teresa Liuzzo – La luce del ritorno

DOPO TANTO BUIO FUOCO UN’ALBA DI LUNA

A.G.A, R. Editrice – Reggio Calabria – 2022 – pag. 183  

 

 

         Maria Teresa Liuzzo, l’autrice del romanzo che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia). È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hunedoara).

         Danza la notte nelle tue pupille, la raccolta di poesie di Maria Teresa Liuzzo che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una postfazione di Mauro D’Castelli intitolata “Mio libro mia sfera” LA GALASSIA INNAMORATA che per le sue dimensioni notevolissime può essere considerata un vero e proprio saggio esauriente e ricco di acribia corredato da moltissime citazioni.

         Il volume non è scandito e per la sua unitarietà contenutistica, formale, stilistica e semantica potrebbe essere considerato un poemetto.

         Ritroviamo un continuum tra i motivi ispiratori di questo libro di poesia e quelli precedenti della Liuzzo come per esempio Miosòtide del 2009.

         Quanto suddetto si rivela nella vena neolirica ed elegiaca di questa scrittura permeata da un afflato, una stabile tensione per l’amore che è sia personale per l’amato, sia cosmico per una natura interiorizzata e introiettata nell’anima della poetessa, sia amore mistico, con esiti nello stesso tempo teneri e numinosi, luminosi e umbratili sempre caratterizzati da una vaga e splendida bellezza.   

         Ma sotteso a quanto suddetto c’è un discorso profondissimo un livello densissimo intellettualisticamente che si evince nel libro che è frutto dell’avvertita e straordinaria coscienza letteraria dell’autrice che viene decriptata magistralmente dallo stesso postfatore nella sua complessità.   

         Già il titolo della raccolta pare evocare qualcosa di magico e misterioso nell’essere detta con urgenza la notte, metafora e simbolo delle tenebre ma che per altri modi porta consiglio e riposo per il corpo e l’anima.

         Originale e affascinante l’immagine di una notte danzante nelle pupille del tu al quale l’autrice si rivolge che presumibilmente è l’amato.

         Come scrive il critico la metafora luzziana interessata alla poetica ha non di rado un carattere teoretico e dischiude le sue immagini (come quella naturale della fulgida rosa in un giardino fiorente) trasformandole, dal mondo della natura al mondo dello spirito senza soluzione di continuità.  

         Del resto a questo discorso s’intona anche l’immagine della copertina nella quale ritroviamo il dipinto di Waterhouse del 1908 intitolato Lo spirito della rosa del 1908 che raffigura una donna nell’atto di annusare proprio una rosa.

         Del resto la rosa cresce negli infiniti giardini della poesia e diviene spesso simbolo dell’amore e della vita per molti poeti anche del passato.

         In bilico tra gioia e dolore la poetica della Liuzzo e la natura ha un ruolo importante a fare da sfondo ai sentimenti.

         La maggior parte delle poesie appartiene al genere dell’haiku praticato magistralmente dalla poetessa e scrittrice.

         Un tono di sospensione e di mistero pare prevalere in atmosfere di onirismo purgatoriale sempre molto evocative.

         A volte si ritrova il tema della scrittura nella scrittura che diviene fatto anche etico quando Maria Teresa afferma con urgenza che scrive perché la stagione glielo impone e l’anima lo richiede e che la libertà del verso pretende d’essere cantata.

         L’ordine del discorso si sdipana tra accensioni e spegnimenti subitanei che hanno una forza magica e ammaliante.

         E il tema mistico si rivela quando viene detto nel canto sempre raffinato e ben cesellato che l’anima è libro fremente perfezione oltre la scrittura e quando si parla di musica degli angeli o quando rivolgendosi ad un tu del quale ogni rifermento resta taciuto la Liuzzo gli dice che ascolta la voce del Divino e che lo spirito sposa la Parola nell’inverarsi d’immagini molto suggestive che sgorgano le una dalle altre sempre in maniera alta e sublime.

         Come scrive D’Castelli la poesia di Maria Teresa parla sempre in modo nuovo e potente ma esige una duttile preparazione, Infatti si deve saper invertire il flusso delle parole di tutti i giorni e trasformare le parole in emergenze di luce. 

         La galassia innamorata, sottotitolo che dà D’Castelli alla poderosa postfazione, ci fa intendere l’idea di un amore cosmico che, poiché si nomina l’immensità potrebbe essere amore anche per Dio e lo stesso amore per Dio come hanno scritto alcuni filosofi può essere anche interessato.

         Se l’innamoramento è un attimo di grazia fugace, un incontrarsi negli occhi dell’amato, l’amore stesso è il motore, la casa scatenante e fondante della poetica e del poiein della Liuzzo.

         La densità metaforica e sinestesica oltre che semantica ha un ruolo importante e comunque i versi sono permeati da leggerezza, leggibilità e chiarezza sottese ad una fortissima linearità dell’incanto.

         Anche una natura fatta di epifanie primeve di gemme, di fiori e frutti detti magicamente con urgenza emoziona il lettore e la poesia nell’articolarsi dei versi assume toni magici e tutto è permeato da un vibrare dell’anima che si traduce in versi icastici, armonici e ben risolti a livello stilistico e formale.

         Notiamo una fortissima, abissale differenza tra la produzione in prosa e quella in versi della Liuzzo.

         Infatti mentre i libri di poesia dell’autrice sono idilliaci e ottimistici nel cantare un inno rassicurante alla vita e sono un’emanazione del bene anche se c’è il tema dell’angustia, insomma la gioia e il dolore dell’esistere, nei romanzi predomina il tema del male che si svela con storie nelle quali comunque l’eroina Mary tra innumerevoli traversie si salva sempre con l’aiuto della poesia e dell’arte, dell’angelo Raf e di Dio stesso che come scrive la Liuzzo Mary porta al collo.

         Se un lettore qualsiasi leggesse la poesia e la prosa della Liuzzo per puro caso stenterebbe a credere che sono opera della stessa letterata per l’impronta sempre sublime ma diversissima con la quale la Liuzzo si esprime nei due generi.

         Ma c’è un comune denominatore tra le due espressioni letterarie ed è quello della vivissima e profondissima e poliedrica intelligenza della Liuzzo che si traduce in meravigliosa affabulazione nella prosa e in scintillante elaborazione nella poesia.

         Inoltre va messa in luce la grandissima originalità della produzione in toto dell’autrice che costituisce un vero unicum.

         Anche il sogno qui si trasforma in linfa vitale anche se non ne conosciamo i contenuti.

         Inoltre serpeggia sempre il tema della reverie, del sogno ad occhi aperti che dà bellezza alle pagine e rende l’ordine del discorso oltre il limite del possibile nella sua perfezione.

         Una verginità morale trapela dalle poesie e anche dai romanzi ma il lettore intende che chi scrive conosce bene la vita e le sue regole oltre a conoscere il bene e il male.

         Se in poesia tutto è presunto dagli haiku traspare massimamente questo assunto nel crearsi una fortissima dose d’ipersegno che deborda dalle magiche poesie.

         L’io-poetante pare interanimarsi con la natura elegiaca che l’avvolge e anche l’uomo è natura e la natura è superiore all’uomo.

         Nel volume è presente il tema anche di un dolce e pacato erotismo quando la poetessa si rivolge al tu e tutto è pervaso da stupore il discorso e le parole sembrano danzare come nel titolo della raccolta stessa.

         Se la danza stessa è arte qui trattandosi di poesia si ha la sensazione attraverso le parole dette con urgenza sempre raffinate e bel cesellate che tutto sia pervaso da una luce selenica e siderea pulsante per un gioco di natura e tutto è armonico nello svelarsi del sentiero dell’anima dove l’io poetante s’incammina trepido e veloce danzante anche lui in una danza panica.

         E del resto trapela nell’anima del lettore il desiderio di una fusione con la natura come un tempio attico costruito su una collina.

         Maria Teresa Liuzzo rimbaudianamente dimostra che il vero poeta è un veggente e forse aveva ragione Maria Luisa Spaziani quando affermava che la poesia è la forma più alta di scrittura.

 

         Raffaele Piazza  

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- Letteratura

Maria Teresa Liuzzo Non dirmi che ho amato il vento

Maria Teresa Liuzzo – Non dirmi che ho amato il vento!

A.G.A, R. Editrice – Reggio Calabria – 2021 – pag. 207

 

 

         Maria Teresa Liuzzo, l’autrice del romanzo che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia). È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hinedoara).

         Non dirmi che ho amato il vento! presenta un’introduzione di Mauro Decastelli intitolata Figlia di sé stessa dall’abisso, scritto sensibile, acuto e ricco di acribia che, per le sue dimensioni notevoli, si può considerare un vero e proprio esauriente saggio, una particolareggiata analisi e ricognizione del testo.

         Lo stesso contenuto del volume, scritto in terza persona, per la sua forte complessità strutturale, richiederebbe da parte di chi scrive, un lavoro che dovrebbe andare ben oltre le dimensioni di una recensione, per entrare nel merito complessivo di quelle che potrebbero definirsi le travagliate e dolorose vicende di Mary e c’è da notare che gli ultimi capitoli del libro appartengono al genere della poesia. 

         Si deve sottolineare l’originalità del romanzo per la materia trattata che ne fa un unicum nel panorama letterario di tutti i tempi e non a caso il libro dell’autrice sullo stesso argomento …E adesso parlo! è stato tradotto in inglese e i due volumi hanno avuto successo nelle vendite, la diffusione e a livello della critica.

         Il volume si può intendere come connesso al romanzo precedente della Liuzzo …E adesso parlo! 2019ed è possibile che al libro Non dirmi che ho amato il vento! con le stesse tematiche, ne seguirà un altro per quella che si potrebbe definire la trilogia de La saga di Mary, che è la protagonista indiscussa nella scrittura in prosa di Maria Teresa e che si può considerare un’eroina dei nostri giorni.

         Ad avvalorare quanto suddetto non a caso il titolo di questo volume della Liuzzo era già scritto nel primo libro quando Mary diceva a Raf, che sembra essere un angelo anche se l’amore tra i due ha anche una forte carica di vaghissima sensualità ed erotismo: “Se devi lasciarmi attenta a non ferirti mentre mi trafiggi. Continuerò a donarti il mio amore mentre mi addormento nel tuo cuore. Non dirmi che ho amato il vento! “, pag. 196 del romanzo …E adesso parlo!

         Mary aveva previsto tutto con largo anticipo a conferma della cifra misteriosa e magica che connota il plot stabilmente creando atmosfere veramente suggestive e non mancano passaggi in cui Mary tramite le parole di Raf si apre all’ottimismo.

         Il tema del vento, vocabolo nominato nel titolo, fa venire in mente il notissimo assunto di Pascal L’uomo è canna al vento ma canna pensante e in un contesto religioso oltre che laico nella narrazione il vento simbolicamente è la somma degli eventi negativi che travolgono Mary, lei e tutti quelli che sono sotto specie umana, e quindi le parole del titolo significano che la protagonista nega decisamente, colloquiando con Raf di amare il male che porta all’infelicità e che può essere lo stesso male di vivere metaforizzato dal vortice di un’aria che soffia violenta.

         Ovviamente il vento per Mary è particolarmente gelido e tagliente per il destino ingrato che il caso le ha assegnato a partire dalla constatazione del fatto che i bambini sono generalmente amati con affetto da genitori e parenti mentre Mary da bimba subisce solo violenze fisiche e morali non solo da parte dei suoi congiunti.

         Quello della presenza del male subito da Mary sembra essere in infinite sfaccettature il filo rosso della diegesi a partire dal primo capitolo Lettera a mia madre nel quale il personaggio urla affermazioni gravissime nei confronti della genitrice alla quale rinfaccia di averla maledettamente costretta ad uccidersi almeno mille volte.

         E così ritornano in questo romanzo i temi dell’infanzia negata con la distruzione dei sogni di una bambina maltrattata anche dal padre nella sua anima in formazione e quindi vulnerabilissima.

         Anche la corporeità ha un ruolo importante nella storia di Mary per esempio quando sente nel sonno le mani della madre soffocarla ad ogni respiro e subisce le violenze del padre, ma tra i due genitori la più snaturata è proprio la madre.

         In un accadimento dolorosissimo ma in fondo realistico e verosimile alla morte del padre Mary deve rinunciare alla sua quota di eredità e, davanti alle lusinghe dei beni materiali ereditati, la madre riesce incredibilmente a diventare ancora più arcigna nella vita della figlia, una vera aguzzina.

         Veramente inquietante la sequela di fatti descritti nel libro come la vicenda della sorella indemoniata e anche fratelli e sorelle sono contro Mary e sue fedeli compagne sono la notte e la Morte oltre Raf.

         Non mancano descrizioni di tetri paesaggi notturni che hanno qualcosa di gotico e che bene s’intonano come scenografia all’esistenza di Mary nei suoi tragici accadimenti. 

         Caratteristica saliente dei tessuti linguistici della Liuzzo è la loro densità semantica per la quale il lettore ha l’impressione di affondare nella lettura nelle pagine seguendo i toccanti episodi della vita di Mary.

         È una scrittura magmatica e densissima quella di Maria Teresa e Mary passa da un successo letterario all’altro attirandosi l’immensa invidia dei familiari e trova la sua salvezza proprio nella pratica della poesia.     

         È fondante sottolineare che Mary pur vivendo in una società, nel mondo con il ruolo di moglie e di madre oltre che di letterata, è una mistica e che le scende copioso dalla fronte al seno il sudore freddo dei mistici di chi vuole parlare con Dio e la sua relazione con Raf avvalora questo aspetto della sua personalità che si rivela anche in espressioni come Mary sfogliava il diario dell’anima.

         C’è sicuramente una relazione tra la letteratura attività di Mary come sublimazione del dolore e raggiungimento dell’estasi e la sua personalità di mistica e non a caso la poesia stessa è spesso preghiera che viene dal profondo dell’inconscio come fatto catartico.

         Mary diviene simbolo universale della persecuzione e come una donna rinchiusa in un lager nazista trova la forza proprio nella scrittura come testimoniato storicamente da vittime scampate alla Shoà.

 

         Raffaele Piazza

        

 

        

 

 

 

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- Letteratura

Maria Teresa Liuzzo .L’ombra affamata dells madre Romanzo

Maria Teresa Liuzzo – L’ombra affamata della madre

A.G.A, R. Editrice – Reggio Calabria – 2022 – pag.139

 

 

         Maria Teresa Liuzzo, l’autrice del romanzo che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia).

         È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hinedoara).

         L’ombra affamata della madre è il terzo romanzo della fortunata trilogia di Maria Teresa Liuzzo che comprende, oltre al volume suddetto, gli altri libri…E adesso parlo!  e Non dirmi che ho amato il vento.

         I tre volumi hanno come filo rosso che li collega il personaggio della protagonista Mary con le sue tribolatissime vicende e si può parlare a questo proposito di una vera e propria saga di Mary.

         Come i libri che l’hanno preceduto anche questo è scritto in terza persona e presenta un’introduzione di Mauro D’Castelli coltissima, esauriente e ricca di acribia e citazioni nel cogliere acutamente e in profondità gli aspetti della vicenda con grande maestria.

         Costante in tutti e tre i volumi la presenza del personaggio Raf, creatura dalla vaga essenza angelica, amico di Mary e conforto nella sua vita.

         E nella sua esistenza la nostra eroina subisce delle vere e proprie persecuzioni vivendo terribili situazioni senza mai perdere la speranza della vittoria sulle tragiche circostanze.

         Anche Mary stessa negli struggenti colloqui con Raf lo incoraggia e tra loro si stabilisce un rapporto simile ad una relazione basata sull’erotismo mistico e la comunione delle anime.

         In tale rapporto i due sono fuori dal tempo e dallo spazio e in una dimensione di struggimento emotivo e non a caso nel secondo capitolo intitolato Era passata la vita l’autrice scrive che il loro pianto si confondeva con la pioggia.

         La stessa Mary è poetessa come la Liuzzo stessa e potrebbe essere considerata il suo alter ego secondo il celebre detto di Flaubert la signora Bovary sono io, che sta ad indicare che si è sempre quello di cui si scrive, e tuttavia si deve essere cauti in questa affermazione forse troppo generica.

         Elemento fondante per entrare nel merito della comprensione del senso profondo dell’opera è quello di sottolineare che in essa l’autrice realizza una nuova tipologia di scrittura non ispirata da nessuno, che sgorga come acqua di sorgente e automatica come se vivesse una trance incarnandosi nelle vicende. 

         Nell’introduzione ritroviamo una riflessione sul tempo che parte dall’assunto del poeta Sandburg: il passato è un occhio di cenere e rimanervi incatenati uccide il nostro futuro, riflessione che inevitabilmente si riferisce alla storia di Mary, ma che si potrebbe riferire anche ad altri vissuti.

         Ci si chiede a questo punto quale sia il ruolo del presente, l’attimo heidegeriano, quell’intercapedine tra passato e futuro perché il passato può riattualizzarsi affiorando dall’inconscio con un effetto negativo.

         Viene in mente che nella scrittura veterotestamentaria è detto che non si deve farsi affascinare dal passato e di non guardare né a destra né a sinistra ma guardare avanti.

         Si deve tenere presente che si sta facendo qualcosa di nuovo. per realizzarsi con saggezza nel cammino della vita e pare che Mary faccia tesoro di questo insegnamento nell’affrontare stoicamente le difficoltà.

         Tuttavia dal passato personale e privato, come da quello storico, bisogna trarre la famosa lezione per non ripetere gli stessi errori che spesso sono stati inevitabili per la natura stessa dell’essere umano.

         Nella diegesi il passato stesso diviene fondante nella fusione della provenienza di Mary con il presente e il futuro.

         Tutto è sotteso da parte della protagonista alla ricerca della sua identità e della sua salvezza che coincidono con l’aiuto della poesia e di Dio, categorie che sono in intima relazione tra loro. 

         Ogni singola parola che incontriamo nel romanzo in interazione con le altre è precisa e si crea un’armonica polifonia e questo fa parte della nuova scrittura suddetta nella densità stessa delle parole se nella Bibbia è scritto anche che non ci sarà parola detta (ma si potrebbe aggiungere anche scritta) che sarà senza effetto.

         Non a caso la scrittura di Maria Teresa Liuzzo è di natura mistica e profetica, di denuncia sociale e si muove contemporaneamente su tre livelli di percezione (Peter Russel).

         Ciò si evince anche da questo suo ultimo romanzo “L’ombra affamata della madre” che nella non facile descrizione anticipa la guerra (quindi la Storia) e descrive il particolare della donna incinta che fa rabbrividire per la sconvolgente esposizione.

         Ogni parte è mondo e non è necessario il luogo geografico dove l’atto oltraggioso fa da padrone.

         La trama sembra surreale come i personaggi magistralmente descritti.

         Scopriamo che la storia di Mary è simile a quella di Blanche Monnier tenuta segregata in casa dalla madre e dal fratello per 25 anni (il padre era morto da poco).

         Questo crimine voluto dalla famiglia era per evitare che Blanche sposasse un uomo benestante con molti più anni di lei, del quale era innamorata.

         La giovane si spense all’età di 64 anni nella più sconcertante solitudine. Così la trovò la Polizia dell’epoca essendo ormai ridotta a uno scheletro, coperta di escrementi e sporcizia di ogni genere.

         A nulla servirono le cure prestate dai sanitari: la sua mente l’aveva abbandonata giungendo prima della morte.

         Ma il trauma è un marchio a fuoco e da quelle “prigioni” si esce soltanto da morti.

         Blanche come Mary aveva avuto in comune un certo tipo di madre: una belva che prima accarezza e poi sbrana.

         Blanche fu rinchiusa e poi segregata come Mary a 24 anni, nel 1877. Mary provò le bastonate, sberle, calci, pugni e bacchette spezzate sul suo esile corpo a soli 5 anni.

         A sedici tentò il suicidio per la prima volta e la seconda volta a 19 anni. Neanche lei si doveva sposare ma lo scopo era diverso (doveva finire nelle grinfie del padre d’accordo con la megera madre).

         E pensare che Mary scansò anche i proiettili quando il padre le sparò. Era il giorno del suo compleanno.

         Le madri delle due giovani donne o meglio “deportate” incarnavano le Gorgone, ma il cammino delle due ragazze aveva una denominazione diversa.

         Blanche era in balia della madre e di qualche parente stretto, mentre Mary era in balia di tutta la famiglia d’origine e dell’intero villaggio commisto con le “imprese” della famiglia dalla quale ricavava enormi benefici,

         Anche la madre di Mary voleva farla passare per pazza col terrore che la figlia potesse rivelare segreti oscuri, ma sappiamo che la follia rimane tale solo se resta emarginata. Fu per questo che la mente di Blanche cedette, ancora prima del suo corpo.

         Mary reagì seppur bambina attraverso la Fede e la scrittura che furono antidoto per la sua Resurrezione.

         Dopo circa un secolo e mezzo sembra che l’anima dell’una si sia incarnata nell’altra, almeno simbolicamente o per comodità di linguaggio.

         Mary pur con il corpo martoriato, pieno di ecchimosi e fratture ai polsi per essere stata a lungo legata e trascinata, bastonata e fatta mettere in ginocchio per chiedere perdono ai suoi carnefici e con la schiena curva per essere stata costretta “ad accucciarsi” come un cane in un angolo buio e tetro trovò una forza sovrumana di reagire animando anche le cose morte intorno a sé, dando un corpo e un’anima. Così visse in trance episodi censurabili anche relativi a Blanche.

         Queste due madri così perfide e simili negli intrighi, complici nella loro belvinità si comportarono da sadiche per anni.

         Si continua a parlare di Giuda e ci dimentichiamo che anche Gesù Cristo fu tradito da San Pietro.

         Mary trasse la vita dalla morte che chiamò “Madre Oscura” e proprio da quell’oscurità ricevette la “Luce”. “Più crepe mi fate, più luce mi entra”, scriveva Mary ai suoi aguzzini.

         Le donne sono molto più dure degli uomini, sotto la superficie. Chiamare le donne il sesso debole è una solenne sciocchezza (Carl Gustav Jung). Una scrittura nuova quella della Liuzzo, che bisogna sapere interpretare e approfondire. Tra letterati e non la Liuzzo è “l’agnello sacrificale” (Antonio Catalfamo Le Muse dicembre 2021).

         Come Pasolini la scrittura della Liuzzo fa perdere il sonno ed è quindi scomoda a qualcuno?  Rimarranno con l’amaro in bocca perché lo spirito della VERITA’ non può essere processato né la parola essere interdetta (Raffaele Piazza).           

         Perché il titolo L’ombra affamata della madre? Effettivamente c’è in questo nominare qualcosa d’inquietante e c’è da notare che viene detto madre e non mamma, forse per non dire matrigna.

         L’ombra in sé stessa è il contrario della luce e nella sinestesia ombra affamata si coglie il pathos di una situazione non risolta nel bene naturale che hanno le madri per i figli ma che invece sfocia nel male, nel disamore e nel demoniaco.

         La prosa della Liuzzo è complessa e intellettualistica nella sua apparente linearità e il fortunato lettore ha l’impressione di affondare nella pagina.

         Costante è un’atmosfera di reverie, di sogno ad occhi aperti e scrive l’autrice che Mary chiudeva gli occhi per non alterare le distanze temporali o infrangere l’attimo creativo.

         Si ha l’impressione nella lettura frequentemente di trovarci di fronte a espressioni che potrebbero essere definite di prosa poetica e non mancano passaggi che sfiorano la linearità dell’incanto.

         Pare di riscontrare un fattore x in questa prosa elemento che dà magia e vaghezza al contesto che si rivela più surreale che realistico e connotato dallo stile neo orfico che attraverso il dono del turbamento si riconsegna al trepido lettore.

         Globalmente il testo rimanda ad atmosfere di onirismo purgatoriale e nelle prime pagine del primo capitolo intitolato L’argilla di una ferita antica ritroviamo Mary con in braccio il suo bambino inserita in uno scenario apocalittico di guerra sullo sfondo di una tetra natura di alberi inquietanti.

         La stessa Mary assume una tipologia cristologica quando viene detto che potrebbe essere crocifissa ad un albero. 

         Sono centrali gli slittamenti temporali come quando nel terzo capitolo la Liuzzo scrive che Mary tornava bambina come una lucida lucertola al sole.

         Lo stesso nome della protagonista Mary presumibilmente è stato scelto per un riferimento alla Madonna che si chiama Maria e come Mary ha sofferto atrocemente anche se per altri motivi.

         È interessante che la Liuzzo abbia chiamato il suo personaggio con la denominazione inglese o americana e la ragione di questa scelta potrebbe riscontrarsi nella ricerca, nel consapevole tentativo riuscito di accrescere il suo carisma e il suo mistero.

         Anche il tema della metamorfosi è accennato come quando è detto che la donna era un fiore in solitario nel vento e schiuso tra le onde dell’etere.

         Nel tredicesimo capitolo, quello eponimo, si apre uno dei vari spiragli di redenzione nella vita di Mary quando Maria Teresa scrive che il tempo in maschera – allegoria eccessiva e però misericordiosa – bussò alla memoria e subito un periodo lontano decenni fu davanti agli occhi si Mary.

         Il lettore resta ammaliato dalla parola prodotta dalla Liuzzo detta sempre con immensa urgenza e fluttuante come onde del mare che affiorano da un inconscio controllato e si fanno espressione dello scavo in un’anima che non si arrende e proprio l’atto stesso dello scrivere salva e molti potrebbero identificarsi in Mary.

         La scrittura sembra essere espressa come dettata da una voce di conchiglia da portare all’orecchio per la sua naturalezza che raggiunge esiti altissimi e unici.

         Una parola per giungere alla chiave interpretativa dell’intero romanzo è sospensione, una forza prodotta senza sforzo dalla scrittura della Liuzzo che affascina e intriga e tra i protagonisti in modo incontrovertibile pare esserci la lotta del bene contro il male.

         La tensione si gioca proprio nella capacità di Mary di rimanere attaccata alla vita nonostante tutto e come scrive l’autrice l’amore le apriva l’anima e le aumentava il respiro.

         Tutto è pervaso da una vaga e numinosa bellezza in questo libro e si può dire che la Liuzzo abbia inventato un genere letterario con genialità e forse altri scrittori, assimilando la sua lezione, produrranno opere ispirate dalla trilogia di Mary.

 

         Raffaele Piazza

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- Letteratura

Maria Teresa Liuzzo - ,,,E adesso parlo! Romanzo

Maria Teresa Liuzzo - …E adesso parlo!

A.G.A.R. Editrice – Reggio Calabria – 2019 – pag. 179

 

 

         …E adesso parlo! l’opera di Maria Teresa Liuzzo che prendiamo in considerazione in questa sede, ha per protagonista Mary che nelle prime pagine incontriamo bambina.

         Il libro è spiazzante per i suoi contenuti, prima di tutti quello dell’infanzia negata di Mary stessa.

         La scrittura dalla prima all’ultima pagina è carica di suspense e carica di tensione emotiva e il lettore ha la sensazione di affondare nel testo che presenta un’esauriente prefazione di Mauro Decastelli ricca di acribia.

         Il libro può essere definito tout-court un romanzo di formazione che verte sulla travagliatissima vita di Mary, esistenza che la mette a dura prova tanto che tenterà due volte il suicidio.

         La scrittura della Liuzzo ha un tono realistico e nello stesso tempo sognante e intriso di misticismo e protagonista insieme alla nostra eroina è il male dal quale ella viene perseguitata incarnato da suo padre innanzitutto, da sua madre, da tutti i parenti, tranne la nonna, e perfino dalla figlia Priscilla.

         Non a caso Priscilla, traviata da una storia con un malavitoso, tratta malissimo la madre nel momento in cui è inferma e ha bisogno di una badante.

         La prosa della Liuzzo precisa, icastica e nello stesso tempo leggera si fa spesso poetica con accensioni e spegnimenti subitanei lirici ed efficacissimi ed è sottesa ad una grandissima cultura non solo per le frequenti citazioni.

         Per il padre Mary era biblicamente la figlia della colpa e fin da piccola viene dal genitore malmenata con feroce violenza e poi quando cresce diviene preda anche dei suoi perversi istinti sessuali ai quali si ribella energicamente per poi essere ulteriormente percossa.

         Per difendersi dal suo contorno di persone malefiche neanche il matrimonio che poteva sembrare salvifico per la donna riesce a regalarle gioia; invece avvilimento e ulteriore dolore le vengono elargiti da suo marito che è l’amante di Fiamma la sorella di Mary che glielo aveva fatto conoscere.

         Due potenti armi ha Mary per difendersi dal suo baratro, la Fede in Dio e la scrittura e nonostante tutto diviene una scrittrice affermata, poesia che salva e Mary in questo può essere paragonata ad una donna scampata ai campi di sterminio nazisti che ha testimoniato che durante l’atroce prigionia scriveva.

         Non mancano le figure nel plot che sono alleate di Mary, uomini e donne che l’aiutano ad uscire dal suo disagio come il secondo marito che però muore tragicamente in un incidente.

         Anche il tema del misticismo come si accennava è fondamentale nel libro insieme a quello del sogno che può essere anche ad occhi aperti.

         Ed ecco entrare qui in scena la presenza-assenza della figura di Raf che risulta essere l’unico vero amore per Mary.

         Vaghe e affascinanti sono le parti del romanzo che narrano i dialoghi tra Mary e Raf che sembra essere un angelo anche se l’amore tra i due ha anche una forte carica di vaghissima sensualità ed erotismo.

         Altra figura è quella del labrador, il cane affezionatissimo di Mary ormai matura e la morte dell’animale provoca in essa un fortissimo dolore.

         Libro alto e originale, carico di pathos, eros e thanatos e altissimo è il risultato raggiunto da Maria Teresa nel creare un personaggio fragile e al tempo stesso fortissimo nel quale tutti noi potremmo identificarci.

 

         Raffaele Piazza

                   

 

 

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- Letteratura

Alcyone 2000 - n. 17 - Recensione di Raffaele Piazza

ALCYONE 2000 – QUADERNI DI POESIA E DI STUDI LETTERARI, vol.17

Guido Miano Editore, Milano 2023

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

La composita, corposa ed eclettica pubblicazione, che prendiamo in considerazione in questa sede, “Alcyone 2000 - vol.17”, costituisce un volume che per la sua essenza, vista la commistione di saggi di critica letteraria, recensioni, sillogi poetiche, con articoli su pittori e scultori, corredati da belle riproduzioni a colori delle opere, si può considerare un ipertesto, per l’infinito gioco di rimandi tra le varie parti per la qual cosa il fortunato lettore immergendosi nella lettura affonda nelle pagine incantato da tanta bellezza e intelligenza.

I volumi “Alcyone 2000”, pubblicati da Guido Miano Editore, pur essendo impaginati come una rivista sono dei veri e propri repertori di critica letteraria e poesia e si occupano anche di arte: si distinguono per la qualità dei saggi pubblicati, la cura e la professionalità. Per esempio i nomi dei critici letterari e dei poeti nonché dei pittori e degli scultori che hanno firmato le parti letterarie e figurative sono tutti importanti nel panorama letterario, artistico e culturale non solo italiano. Un simile repertorio, nel mare magnum di una società postmoderna, globalizzata, liquida e consumistica come la nostra, che vede la caduta dei valori e il prevalere della mentalità dell’avere su quella dell’essere, come già stigmatizzato da Erich Fromm negli anni ottanta del secolo scorso, nella sua fruizione può divenire un’ancora di salvezza per ogni suo lettore, antidoto contro l’alienazione tipica nella vita attuale, attraverso una salutare immersione a trecentosessanta gradi nell’arte e nella cultura.

Ben vengano questi quaderni quasi come espressione del pensiero divergente anche perché cartacei, non destinati solo a un limitato numero di cultori, ma a chiunque abbia voglia di fare propri felicemente gli alti contenuti eterogenei del repertorio, che evoca per il lettore atmosfere simili a quelle degli oceani della tranquillità lunari, o la vicinanza con i grandi laghi portatori di pace allo spirito per usare delle metafore.

 

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Non avendo la possibilità, nello spazio di una recensione, di analizzare tutti gli articoli presenti nel volume, ci si limita ad esaminare - a livello esemplificativo -  per la saggistica l’articolo Paesaggio di Quasimodo di Giuseppe Zagarrio; per l’arte l’articolo sullo scultore e poeta Don Marco Morelli e per la poesia la silloge di Cinzia Magarelli, per me una scoperta, una nuova poetessa di Milano alla sua prima pubblicazione.  

In Paesaggio di Quasimodo il saggista scrive sul tema affascinante del senso della notte per il Premio Nobel siciliano, la sua percezione anche di paura della notte, una notte che partendo dal dato fenomenico delle atmosfere del buio del firmamento, redento dalle stelle e dalla luna viene interiorizzata dal poeta e ovviamente diviene occasione per i componimenti poetici di Quasimodo stesso che il critico cita: «…Dammi vita nascosta / e se non sai me pure occulta, / notte aereo mare…» (Vita nascosta). «…mobile d’astri e di quiete / ci getta notte nel veloce inganno: / pietre che l’acqua spolpa ad ogni foce…» (Mobile d’astri e di quiete). Scrive Giuseppe Zagarrio che Quasimodo è poeta che ama a questo modo la notte per quella sensazione che da essa viene: di pienezza nell’annullamento e di delirio nell’angoscia. Per il poeta il timore di sperdersi nella notte, fa venire in mente L’infinito leopardiano e in particolare il verso «e il naufragar mi è dolce in questo mare», ma se il recanatese trova dolce la sua fusione con il cosmo, Quasimodo la vive anche con dolore e inquietudine: «…Ti cammino sul cuore / ed è un trovarsi d’astri / in arcipelaghi insonni, / notte, fraterni a me / fossile emerso da uno stanco flutto…» (Dammi il mio giorno). La notte è per Quasimodo ambivalente portatrice di un sogno ad occhi aperti pauroso e soave nello stesso tempo, residenza per l’anima in un misticismo naturalistico vissuto e sentito con tutti gli strumenti umani.

 

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Per la sezione arte ci soffermiamo sull’articolo di Enzo Concardi riguardante Don Marco Morelli scultore, poeta e filosofo, del quale sono inserite varie riproduzioni di opere in terracotta e in bronzo. Nato nel 1942, il Nostro come scultore autodidatta ha avuto la prima commissione pubblica nel 1973 e ad essa sono seguite decine di commissioni per varie chiese. Dalle forme armoniche e plastiche in altorilievo le sue sculture hanno qualcosa di neoclassico; tra queste spicca una Crocefissione in bronzo, originale perché in essa Cristo, accolto dal Padre, è circondato da vari Santi e Sante che condividono il suo atrocissimo dolore per consolarlo. Come afferma lo stesso Don Morelli nella sua arte ritroviamo una commistione di Fede e filosofia che sottendono una consapevole coscienza artistica che non a caso raggiunge esiti mirabili.

 

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La poetessa Cinzia Magarelli è presente con la silloge La carezza della vita composta da poesie brevi e concentrate neo liriche tout-court. Scrive nella sua nota Concardi: «…e vita è la dimensione, il luogo esistenziale, l’esperienza emotiva più visitata nel dipanarsi della sua ricerca di una serenità vissuta e forse conquistata…». Un ottimismo intelligente pervade queste liriche nel senso di ammirazione per il Creato e la pratica della poesia stessa fa in modo che la creatura diventi persona.  È forte il tema dell’amicizia in Amica componimento pervaso da gioia: «Aperta era la porta / selvatica amica / dal cuore gitano / rifugio, / minuti rubati / alla vita che era / luce negli occhi / cuore intelligente. / La vita è bella». Nella lirica Per mio marito leggiamo: «Oggi ti vedo / luce nuova / vera promessa / le mani ti ho dato / arrese nelle tue, / coraggioso compagno / ti seguo». Il poiein di questa opera prima della Magarelli brilla per bellezza, originalità, icasticità, leggerezza e luminosità. 

Raffaele Piazza

 

 

Alcyone 2000 – Quaderni di Poesia e di Studi Letterari, n°17; Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 108, isbn 979-12-81351-16-5, mianoposta@gmail.com.

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- Letteratura

Raffaele Piazza - Alessia - Recensione di Marcella Mellea

Alessia- Raffaele Piazza

Raffaele Piazza, scrittore e critico letterario, è anche poeta maturo e di ampia esperienza. Nella sua raccolta poetica che porta come titolo Alessia stupisce, ancora una volta, per i suoi versi insoliti, ricchi d’immagini tratte da situazioni reali e oggetti del mondo contemporaneo. Una silloge pregna di allusioni, di forme e idee, d’intrecci che si dipanano e si sciolgono nel tempo e nello spazio. Alessia, musa ispiratrice e protagonista di tutte le liriche presenti nella raccolta, è declinata in tante e differenti  forme: donna dalle mille sfumature, donna amata,  desiderata, piena di energia, sensuale, bella, capace di intrigare, di appassionare, ma anche donna fragile, piena di dubbi, di attese, aspettative, figura eterea, effimera, evanescente, come un sogno. Ogni lirica presente nella silloge ci fa conoscere qualcosa di Alessia: le sue passioni, i suoi gusti, i suoi gesti quotidiani, le sue attese, le sue delusioni, i luoghi che visita, le persone che incontra, le sue elucubrazioni mentali, e ci fa diventare suoi compagni di viaggio, per  un lungo arco di tempo, che si sviluppa in un trentennio (  1984-2014).

Attraverso Alessia, il poeta costruisce un mondo, un mondo femminile, fatto di chiaro-scuri e sfumature di tutto quello che la circonda. Raffaele Piazza usa un linguaggio molto originale, mai banale, crea  parole nuove, accosta aggettivi e sostantivi insoliti, allude, evoca, suggerisce; attraverso la parola dice e non dice, crea tempi sospesi, apre spazi all’immaginazione, spesse volte  ci sorprende, usa ossimori: “Scaldare la vita d’inverno/ di neve in brividi densi/ oltre la fabula/ a resistere al vento/(Alessia e il fuoco).

Conosciamo Alessia adolescente, la vediamo crescere  e maturare,  da studentessa diciottenne innamorata di Giovanni, alle prime esperienze con l’amore (amore scoperto, atteso, desiderato), a donna matura. In questa poesia Alessia è una adolescente alla scoperta del mondo…Alessia nel rigenerarsi/ nel sogno e nel sonno/ dopo il mal d’aurora/ o a trarre dall’amniotica del lago/ la pace per rinascere/ all’esame di latino (amo, amas, amat)/ e dell’otto marzo la mimosa /essiccata nello zaino ride/ come una donna/ dove il tempo sgretola/ le acque di battesimo /nell’entrarvi nuda nel mattino / con Giovanni /per giochi di ragazzi/Alessia, diciotto anni /contati come semi /o incidere con la luce del temperino/ una A. e una G. sul ramo /dell’arancio dei buoni frutti/…(Alessia verso aprile).

Alessia ama Giovanni, i tanti luoghi visitati, le camere d’albergo, tutti i luoghi in cui l’amore li chiama  registrano sospiri, affanni, l’essenza del loro amore. Di grande musicalità e dolcezza è la poesia Alessia e i giorni, ricca di immagini evocative, immagini delicate e di effetto, per descrivere lo scorrere dei giorni e della vita, l’attesa e il sogno: “… Sera a schiudere la vita/ in disadorna via serale” […]tra il prima e il dopo il nulla/ a trovare senso e pace/ nello scorgere la rosa/ nel condominiale giardino della vita./ Attimi di limbo nella stella cometa /del destino di fragola/ e  tra la mensole lunari/ a Nord della vita la stella/ polare della fortuna/ ad entrare negli occhi/ di Alessia a toccare /mani per altre navigazioni,/ se era scialuppa lungo una/ corrente dall’estuario al mare/...”.

Originale è l’approccio dell’autore alla poesia. Alessia è un veicolo per parlare di tante cose, le poesie hanno, infatti, temi vari:  il sole, il mare, la natura, l’epifania, solo per cintarne alcuni, il mondo è  sempre visto dal di dentro di Alessia. Tutte le poesie hanno una forte connotazione psicologica, il mondo esterno è strumento per registrare le sensazioni di Alessia e le sue reazioni a specifiche situazioni, la risposta soggettiva al mondo esterno. Alessia donna matura torna sempre,  con la mente,  alla sua adolescenza; sono passati trenta anni, ma per Alessia tutto è sullo stesso livello, siamo difronte a un tempo soggettivo, orizzontale, in cui passato e presente sono sullo stesso piano, si incontrano e si mescolano. Alessia ha sempre un animo da adolescente che sogna, immagina e desidera, distesa in un tempo  che non ha tempo, in cui tutto compare e scompare, un mondo che solo la poesia sa costruire:“Tutto accade nella liquida luce tra le/ ali intermittenti di un jet che passa/ sul bordo delle cose e infinitamente/ sta in cielo ad eclissarsi ma non sconfina/ in un’altra galassia/ in quell’aereo c’è Giovanni, pensa Alessia,/ rosavestita per la vita, ad immaginare come/ è vestito, se porta il jeans che gli ha/ regalato per Natale e/ trasale nell’incanto di un dono d’ali /di gabbiano nell’urlare: Attenzione/ e a poco a poco, nel limbo dell’estate/ 2012 sorride Alessia alla chiave della/ nebbia dove era già stata tra i condomini/ nel giardino della magnolia a poco a poco e/ freddo nella pelle di ragazza ad incantarsi/ nello specchio con nuovo taglio di capelli /Alessia fino ai sereni colli dell’anima/ adolescente nel trarre nutrimento/ dalla forza dei posto accanto/ del sogno bello l’albereto incontrato/ con lo sguardo oltre il sembiante a sperdersi/ e naufragare di una siepe e/ sta infinitamente e depositaria del file segreto dell’amore /Alessia il sette gennaio per l’università/ riparte con il pullman e ci sarà/ raccolto nel mese del nevaio”.(Alessia e gennaio 2012).

Marcella Mellea

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- Letteratura

Maria Teresa Liuzzo - In veglia d’armi e parole . Poesie

Maria Teresa Liuzzo – In veglia d’armi e parole

- Sogno ancora di te ciò che non muore –

A, G.A.R. Editrice – Reggio Calabria – Italy  2023 – pag. 152

 

         Maria Teresa Liuzzo, l’autrice della raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Saline di Montebello e risiede a Reggio Calabria (Italia). È presidente dell’Associazione Lirico-Drammatica “P. Benintende”, giornalista, editore, Direttore Responsabile Rivista Letteraria “Le Muse”, scrittrice, Dr. in psicologia, Leibnitz University Santa Fe, New Messico, USA, prof. filosofia e lettere moderne, USA, corrispondente de: “Il ponte italo – americano” – USA, Nuova Corvina, Europa (Hunedoara). Poetessa, scrittrice, critico letterario e saggista ha all’attivo un grande successo per le sue opere di narrativa e poesia tradotte anche all’estero in numerosi Paesi.

         Emerge in maniera incontrovertibile nella scrittura di Maria Teresa Liuzzo il dato onirico, frutto ed espressione di un inconscio controllato sia che si tratti di narrativa, sia che si tratti di poesia.

         Nella recentissima raccolta dell’autrice, che prendiamo in considerazione in questa sede, il suddetto elemento si evince a partire dal titolo e dal sottotitolo: In veglia d’armi e parole e Sogno di te ciò che non muore.

         Nel titolo viene nominata la veglia che è l’antitesi del dormire e quando si dorme si può sognare e le armi e le parole nominate, dette con urgenza, denotano metaforicamente il lato e l’aspetto della lotta nell’epica del quotidiano nel quale tutti noi siamo immersi nel nostro liquido e alienato postmoderno occidentale, come se fossimo eroi o eroine: si tratta della risoluzione dei problemi della vita in ogni suo settore e una delle definizioni d’intelligenza è proprio quella di capacità di risolvere i problemi.

         Si tratta di stabilire delle strategie per riuscire in ogni campo esistenziale (da quello degli affetti, vedi in primis la capacità d’amare la persona amata, poi gli amici, la natura, l’arte in tutte le sue manifestazioni da apprezzare, veri valori per l’essere umano).

         Quanto suddetto si può definire anche nel senso inteso da Italo Calvino leggerezza ed è implicito che non sia l’unico insieme dei dati della vita da risolvere perché esistono e sono fondanti nell’esistenza i campi lavorativi ed economici: in ogni caso la fede non solo in Dio ma anche nella poesia può salvare e la grandissima Maria Teresa Liuzzo questo lo sa benissimo e del resto la parola è il Verbo e ogni parola della Liuzzo è magistralmente dosata e incastonata nell’ordine del discorso, a conferma della straordinaria coscienza letteraria dell’Autrice.

         Nel sottotitolo si disvela ancora l’onirismo purgatoriale della poetessa quando rivolgendosi ad un tu del quale ogni riferimento resta taciuto Maria Teresa afferma di sognare la parte immortale di questo essere che presumibilmente è l’amato.

         Il misticismo è una costante in tutte le opere della Liuzzo, un misticismo non astratto ma immanente sia che la protagonista sia Mary, sia che sia Mia sua figlia nei romanzi, sia che sia l’io-poetante come accade nelle raccolte di poesia.     

         Del resto c’è una stretta connessione tra l’aspetto onirico dei sogni e misticismo e il sogno stesso che ha affascinato il genere umano dall’antichità può essere mistico e a volte è sotteso alla teoria della sincronicità di Jung e può essere anche reverie precipitato di una sovrapposizione e fusione di conscio, preconscio e inconscio premonitore di eventi soprattutto quando sono i defunti ad apparire in sogno.   

         È la categoria del mistero la protagonista della scrittura della Liuzzo in tutte le sue espressioni e manifestazioni con le quali l’Autrice magistralmente crea atmosfere che affascinano i suoi fortunatissimi lettori.

         Non solo per la poesia, in ogni espressione letteraria della Liuzzo, c’è una fortissima densità metaforica e sinestesica e il discorso si apre sempre nel senso della meraviglia per cui il lettore mai come in questa autrice è catturato dal vortice delle sue immagini.

         Parole come tessere musive di superlativi mosaici, come note di sinfonie romantiche più che classiche. 

         C’è certamente anche sensualità nella scrittura di Maria Teresa, un erotismo spesso mistico e non mancano atmosfere inquietanti come quando l’ansia si specchia sul fondo in raffigurazioni estreme e dolorose anche se poi si tornano a prendere tra le mani le redini dell’esistere una volta risaliti in superficie.   

         Il testo presenta un’introduzione dell’illustre critico Mauro D’Castelli, redattore della rivista internazionale Le Muse intitolata Io ero in compagnia delle mie rime.

         Scrive con acutezza il Nostro che per Maria Teresa Liuzzo le parole sono gocce meteoriche di un “alfabeto amante”, segni che lasciano lo strascico come lumache, parole come scaltri attori, loro malgrado sulla scena della vita, segni di felicità e di sperimentazione linguistica, la scoperta del nonsense che le impone un’assoluta malinconia, in un cammino di sempre più metafisiche sofferenze e inquietudini; ha per contraccolpo anche una più contenuta e sottile speranza.

         La postfazione è della Prof. Wafaa El Beih ordinaria di letteratura moderna e contemporanea. Già direttrice del Dipartimento di Italianistica presso la facoltà di lettere, università di Helwal al Cairo e inserita nel comitato di redazione della rivista internazionale Le Muse.  

          Superlativi e autorevolissimi i giudizi critici sulla poesia della Liuzzo come quelli del poeta russo Eldar Achadov e del critico Antonio Catalfano.

         Scrive Achadov che la poesia della Liuzzo permette al lettore di sentire l’invisibile e di distinguerlo dai miraggi della realtà fittizia. A proposito del libro di poesie della Liuzzo “Danza la notte nelle tue pupille” il poeta scrive che la grazia divina della poesia ne adombra ogni pagina frutto del suo genio straordinario.

         Ha scritto Catalfano che l’autrice è presente da tanti anni nel campo delle lettere come poetessa e come autrice di opere in prosa, come operatrice culturale impegnata, segnatamente, nella rivista internazionale Le Muse.

         Una personalità di letterata a trecentosessanta gradi unica quella di Maria Teresa Liuzzo per i contenuti dei suoi romanzi e per la sua poetica per cui potrebbe essere battezzata come novella Saffo per l’assolutezza delle sue parole pur lontane anni luce da quelle della sua collega greca.

         E allora non resta da dire che si potrebbe parlare anche per l’ecletticità della personalità di miracolo Liuzzo.

 

         Raffaele Piazza        

 

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- Letteratura

Le Muse Rivista Internazionale ottobre 2023

 

Le Muse Bimestrale per il mondo dell’arte e della cultura – Anno XXIII – ottobre 2023

 

 

         Le Muse è una rivista d’arte e cultura fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo ventitré anni fa e quindi può considerarsi storica nel nostro panorama letterario, scenario nel quale molte riviste di questo genere terminano il loro iter dopo poco o pochissimo tempo dai loro inizi.

         Le Muse è organo ufficiale dell’Ass.ne Lirico – Drammatica Arte e Cultura Pasquale Benindende.

         Maria Teresa Liuzzo ricopre i ruoli di Editore, Direttore Responsabile e Direttore Pubbliche Relazioni.

         Il vicedirettore è Davide Borruto e lo stesso Borruto è Direttore della Redazione e gestisce i rapporti con gli Istituti Culturali.

         Molto nutrito il Comitato Letterario di Redazione del quale ha fatto parte la figura di spicco di Giorgio Bàrberi Squarotti.

         Le Muse annovera Corrispondenti Esteri in Romania, Spagna, U.S.A. e Argentina.

         La Direzione e l’Amministrazione di Le Muse sono a Ravagnese di Reggio Calabria e tra le riviste artistiche cartacee italiane, quella che prendiamo in considerazione in questa sede, può considerarsi una delle più serie, eclettiche e affermate.

         Ricchissimo il sommario che presenta l’importante Editoriale dell’Avvocato Davide Borruto sul tema del cinema italiano contemporaneo. Scrive Borruto che la presentazione di una serie tv, è stata di recente, occasione per un interessante scambio di opinioni tra Carlo Verdone e Aurelio De Laurentis sullo stato di salute del cinema italiano. Verdone rimarcava – giustamente – come i recenti incassi stratosferici di Oppenheimer di C.  Nolan e Barbie di G. Gerwig non possano considerarsi significativi per il rilancio del cinema italiano, cercando pure di insinuare il dubbio sull’effettiva meritevolezza di tali lavori rispetto a quelli dei nostri registi e produttori. Si inseriva De Laurentis, il quale bacchettava l’approccio alla questione mostrato dall’amico attore, invitandolo a considerare come invero la cinematografia italiana degli ultimi anni abbia portato in scena film scritti male e certamente non paragonabili, per innovatività e temi, ai lavori di Nolan e della Gerwig.

         Personaggio del mese in autori italiani del terzo millennio è Irene Ferraro sulla quale scrive Francesca d’Errico.

         È doveroso soffermarsi sui successi che la direttrice di Le muse continua ad avere all’estero anche come autrice di decine di articoli che parlano della sua arte.

         I suddetti articoli sono pubblicati su Alb – Spirit (Tirana), su NTV TELEVIZION – quotidiano” PERQUAISE” (Tirana), su “Dridare” “ALBANIA PRESS” con sede anche a Roma su “GAZETA DESTINACIONI” - VALONA (ALBANIA), su “ORFEU PRISTINA” - (ALBANIA), su “GAZETA DESTINACIONI” (Tirana), su “AUTUNIS” (BELGIO-BRUXELLES), su MAGAZINE “ALESSANDRIA TODAY” (ITALIA), su siti e giornali arabi, russi, argentini, romeni, ecc.

          Interessanti gli articoli di Mauro D’Castelli, Antonio Catalfano, Wafaa El Beih, Antonella Di Siena, Galasso, Popescu George su Zanzotto.   

         Ma non mancano bravi giornalisti come Artur Nura, Cerciz Loloci, Agron Shele, Gezim Llojdia, Gjin Musa disponibili a dare spazio e pubblicità alle opere della Liuzzo e ai suoi scritti.

         Un legame con la nostra dirimpettaia Albania con la quale la Liuzzo ha legami d’affetto e culturali anche con il famoso artista albanese Gjergj Kola e la sua famiglia da lungo tempo. Meritevole di menzione anche il poeta e scrittore Rifat Ismaili, Lirian Dahri, Mimoza Agrosta, Mehmet Rrema, Ismail Iljasi e il sottoscritto con articoli sulla Frenna e Terrone. Si ringraziano la D’Errico, Sframeli, Imma Kurti e tutto lo staff, nessuno escluso.   

         Nei romanzi della Liuzzo sono dette le tribolatissime vicende della stessa Mary redenta e salvata dal male con gli antidoti della poesia e del misticismo rappresentato dall’angelo Raf con il quale ha intimi e struggenti colloqui.

         Dopo la trilogia nella quale protagonisti sono il male e il dolore l’autrice ha pubblicato il romanzo che si apre alla speranza intitolato La luce del ritorno del quale si dicevasottotitolato Dopo tanto fuoco un’alba di luna nel quale dopo la morte della stessa Mary protagonista è Mia, sua figlia. Uscirà a breve il nuovo romanzo della Liuzzo nel quale ci saranno di nuovo i personaggi di Mia e Mary.       

         Una lettura impegnata, un caleidoscopio di articoli e testi poetici connotati dal comune denominatore della qualità a dimostrazione che ancora una volta scommettere sulla poesia e l’arte in generale con espressioni cartacee si rivela una scelta vincente per i valori dell’essere che sono ancora in piedi in un mondo dominato dalla mentalità dell’avere.

         Un’immersione tout-court nella bellezza e nella cultura che superano di gran lunga la mentalità del mero apparire.

 

     Raffaele Piazza

 

Le Muse Bimestrale per il mondo dell’arte e della cultura – Anno XXIII – ottobre 2023

 

 

         Le Muse è una rivista d’arte e cultura fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo ventitré anni fa e quindi può considerarsi storica nel nostro panorama letterario, scenario nel quale molte riviste di questo genere terminano il loro iter dopo poco o pochissimo tempo dai loro inizi.

         Le Muse è organo ufficiale dell’Ass.ne Lirico – Drammatica Arte e Cultura Pasquale Benindende.

         Maria Teresa Liuzzo ricopre i ruoli di Editore, Direttore Responsabile e Direttore Pubbliche Relazioni.

         Il vicedirettore è Davide Borruto e lo stesso Borruto è Direttore della Redazione e gestisce i rapporti con gli Istituti Culturali.

         Molto nutrito il Comitato Letterario di Redazione del quale ha fatto parte la figura di spicco di Giorgio Bàrberi Squarotti.

         Le Muse annovera Corrispondenti Esteri in Romania, Spagna, U.S.A. e Argentina.

         La Direzione e l’Amministrazione di Le Muse sono a Ravagnese di Reggio Calabria e tra le riviste artistiche cartacee italiane, quella che prendiamo in considerazione in questa sede, può considerarsi una delle più serie, eclettiche e affermate.

         Ricchissimo il sommario che presenta l’importante Editoriale dell’Avvocato Davide Borruto sul tema del cinema italiano contemporaneo. Scrive Borruto che la presentazione di una serie tv, è stata di recente, occasione per un interessante scambio di opinioni tra Carlo Verdone e Aurelio De Laurentis sullo stato di salute del cinema italiano. Verdone rimarcava – giustamente – come i recenti incassi stratosferici di Oppenheimer di C.  Nolan e Barbie di G. Gerwig non possano considerarsi significativi per il rilancio del cinema italiano, cercando pure di insinuare il dubbio sull’effettiva meritevolezza di tali lavori rispetto a quelli dei nostri registi e produttori. Si inseriva De Laurentis, il quale bacchettava l’approccio alla questione mostrato dall’amico attore, invitandolo a considerare come invero la cinematografia italiana degli ultimi anni abbia portato in scena film scritti male e certamente non paragonabili, per innovatività e temi, ai lavori di Nolan e della Gerwig.

         Personaggio del mese in autori italiani del terzo millennio è Irene Ferraro sulla quale scrive Francesca d’Errico.

         È doveroso soffermarsi sui successi che la direttrice di Le muse continua ad avere all’estero anche come autrice di decine di articoli che parlano della sua arte.

         I suddetti articoli sono pubblicati su Alb – Spirit (Tirana), su NTV TELEVIZION – quotidiano” PERQUAISE” (Tirana), su “Dridare” “ALBANIA PRESS” con sede anche a Roma su “GAZETA DESTINACIONI” - VALONA (ALBANIA), su “ORFEU PRISTINA” - (ALBANIA), su “GAZETA DESTINACIONI” (Tirana), su “AUTUNIS” (BELGIO-BRUXELLES), su MAGAZINE “ALESSANDRIA TODAY” (ITALIA), su siti e giornali arabi, russi, argentini, romeni, ecc.

          Interessanti gli articoli di Mauro D’Castelli, Antonio Catalfano, Wafaa El Beih, Antonella Di Siena, Galasso, Popescu George su Zanzotto.   

         Ma non mancano bravi giornalisti come Artur Nura, Cerciz Loloci, Agron Shele, Gezim Llojdia, Gjin Musa disponibili a dare spazio e pubblicità alle opere della Liuzzo e ai suoi scritti.

         Un legame con la nostra dirimpettaia Albania con la quale la Liuzzo ha legami d’affetto e culturali anche con il famoso artista albanese Gjergj Kola e la sua famiglia da lungo tempo. Meritevole di menzione anche il poeta e scrittore Rifat Ismaili, Lirian Dahri, Mimoza Agrosta, Mehmet Rrema, Ismail Iljasi e il sottoscritto con articoli sulla Frenna e Terrone. Si ringraziano la D’Errico, Sframeli, Imma Kurti e tutto lo staff, nessuno escluso.   

         Nei romanzi della Liuzzo sono dette le tribolatissime vicende della stessa Mary redenta e salvata dal male con gli antidoti della poesia e del misticismo rappresentato dall’angelo Raf con il quale ha intimi e struggenti colloqui.

         Dopo la trilogia nella quale protagonisti sono il male e il dolore l’autrice ha pubblicato il romanzo che si apre alla speranza intitolato La luce del ritorno del quale si dicevasottotitolato Dopo tanto fuoco un’alba di luna nel quale dopo la morte della stessa Mary protagonista è Mia, sua figlia. Uscirà a breve il nuovo romanzo della Liuzzo nel quale ci saranno di nuovo i personaggi di Mia e Mary.       

         Una lettura impegnata, un caleidoscopio di articoli e testi poetici connotati dal comune denominatore della qualità a dimostrazione che ancora una volta scommettere sulla poesia e l’arte in generale con espressioni cartacee si rivela una scelta vincente per i valori dell’essere che sono ancora in piedi in un mondo dominato dalla mentalità dell’avere.

         Un’immersione tout-court nella bellezza e nella cultura che superano di gran lunga la mentalità del mero apparire.

 

     Raffaele Piazza

 

Le Muse Bimestrale per il mondo dell’arte e della cultura – Anno XXIII – ottobre 2023

 

 

         Le Muse è una rivista d’arte e cultura fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo ventitré anni fa e quindi può considerarsi storica nel nostro panorama letterario, scenario nel quale molte riviste di questo genere terminano il loro iter dopo poco o pochissimo tempo dai loro inizi.

         Le Muse è organo ufficiale dell’Ass.ne Lirico – Drammatica Arte e Cultura Pasquale Benindende.

         Maria Teresa Liuzzo ricopre i ruoli di Editore, Direttore Responsabile e Direttore Pubbliche Relazioni.

         Il vicedirettore è Davide Borruto e lo stesso Borruto è Direttore della Redazione e gestisce i rapporti con gli Istituti Culturali.

         Molto nutrito il Comitato Letterario di Redazione del quale ha fatto parte la figura di spicco di Giorgio Bàrberi Squarotti.

         Le Muse annovera Corrispondenti Esteri in Romania, Spagna, U.S.A. e Argentina.

         La Direzione e l’Amministrazione di Le Muse sono a Ravagnese di Reggio Calabria e tra le riviste artistiche cartacee italiane, quella che prendiamo in considerazione in questa sede, può considerarsi una delle più serie, eclettiche e affermate.

         Ricchissimo il sommario che presenta l’importante Editoriale dell’Avvocato Davide Borruto sul tema del cinema italiano contemporaneo. Scrive Borruto che la presentazione di una serie tv, è stata di recente, occasione per un interessante scambio di opinioni tra Carlo Verdone e Aurelio De Laurentis sullo stato di salute del cinema italiano. Verdone rimarcava – giustamente – come i recenti incassi stratosferici di Oppenheimer di C.  Nolan e Barbie di G. Gerwig non possano considerarsi significativi per il rilancio del cinema italiano, cercando pure di insinuare il dubbio sull’effettiva meritevolezza di tali lavori rispetto a quelli dei nostri registi e produttori. Si inseriva De Laurentis, il quale bacchettava l’approccio alla questione mostrato dall’amico attore, invitandolo a considerare come invero la cinematografia italiana degli ultimi anni abbia portato in scena film scritti male e certamente non paragonabili, per innovatività e temi, ai lavori di Nolan e della Gerwig.

         Personaggio del mese in autori italiani del terzo millennio è Irene Ferraro sulla quale scrive Francesca d’Errico.

         È doveroso soffermarsi sui successi che la direttrice di Le muse continua ad avere all’estero anche come autrice di decine di articoli che parlano della sua arte.

         I suddetti articoli sono pubblicati su Alb – Spirit (Tirana), su NTV TELEVIZION – quotidiano” PERQUAISE” (Tirana), su “Dridare” “ALBANIA PRESS” con sede anche a Roma su “GAZETA DESTINACIONI” - VALONA (ALBANIA), su “ORFEU PRISTINA” - (ALBANIA), su “GAZETA DESTINACIONI” (Tirana), su “AUTUNIS” (BELGIO-BRUXELLES), su MAGAZINE “ALESSANDRIA TODAY” (ITALIA), su siti e giornali arabi, russi, argentini, romeni, ecc.

          Interessanti gli articoli di Mauro D’Castelli, Antonio Catalfano, Wafaa El Beih, Antonella Di Siena, Galasso, Popescu George su Zanzotto.   

         Ma non mancano bravi giornalisti come Artur Nura, Cerciz Loloci, Agron Shele, Gezim Llojdia, Gjin Musa disponibili a dare spazio e pubblicità alle opere della Liuzzo e ai suoi scritti.

         Un legame con la nostra dirimpettaia Albania con la quale la Liuzzo ha legami d’affetto e culturali anche con il famoso artista albanese Gjergj Kola e la sua famiglia da lungo tempo. Meritevole di menzione anche il poeta e scrittore Rifat Ismaili, Lirian Dahri, Mimoza Agrosta, Mehmet Rrema, Ismail Iljasi e il sottoscritto con articoli sulla Frenna e Terrone. Si ringraziano la D’Errico, Sframeli, Imma Kurti e tutto lo staff, nessuno escluso.   

         Nei romanzi della Liuzzo sono dette le tribolatissime vicende della stessa Mary redenta e salvata dal male con gli antidoti della poesia e del misticismo rappresentato dall’angelo Raf con il quale ha intimi e struggenti colloqui.

         Dopo la trilogia nella quale protagonisti sono il male e il dolore l’autrice ha pubblicato il romanzo che si apre alla speranza intitolato La luce del ritorno del quale si dicevasottotitolato Dopo tanto fuoco un’alba di luna nel quale dopo la morte della stessa Mary protagonista è Mia, sua figlia. Uscirà a breve il nuovo romanzo della Liuzzo nel quale ci saranno di nuovo i personaggi di Mia e Mary.       

         Una lettura impegnata, un caleidoscopio di articoli e testi poetici connotati dal comune denominatore della qualità a dimostrazione che ancora una volta scommettere sulla poesia e l’arte in generale con espressioni cartacee si rivela una scelta vincente per i valori dell’essere che sono ancora in piedi in un mondo dominato dalla mentalità dell’avere.

         Un’immersione tout-court nella bellezza e nella cultura che superano di gran lunga la mentalità del mero apparire.

 

     Raffaele Piazza

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- Letteratura

Raffaele Piazza - Del sognato - Seconda Edizione

Raffaele Piazza - Del sognato - II edizione - Guido Miano  Editore - Milano - pag. 61 - € 15,00   

 

La raccolta poetica di Raffaele Piazza ha un titolo, Del sognato, che diventa la chiave si lettura dell’opera stessa. Nella lettura prevale la sensazione di un’ispirazione fortemente onirica, dove le immagini, le associazioni, secondo la migliore tradizione simbolista, si susseguono, generandosi le une dalle altre .Il poeta si lascia condurre da una serie di suggestioni che si incentrano su alcuni temi fondamentali: la natura con la sua bellezza, la donna, suscitatrice di desiderio e di vitalità e l’aspirazione ad una felice compiutezza,che sola può scaturire dalla sintesi di questo duplice amore, per la natura e la donna.

La prima sezione della raccolta, Mediterranea, trova i suoi momenti più alti nell’elogio del mare che viene cantato con accenti di purissima poesia, come elemento primigenio in cui rigenerarsi. Esemplari  in questo senso le poesie’ Il mare che continua’ o ‘La messe nel deserto’, che esprimono la complessità mitopoietica di questo tema, centrale nella immaginazione di Raffaele Piazza.

Un libro da leggere con attenzione, così come ci suggerisce, nella bella prefazione, Marcella Mellea, che ci invita a riflettere  sulle mille implicazioni di questa raccolta, capace di evocare emozioni profonde e suggestive.

Anna Cacciarore

Raffaele Piazza - Del sognato - II edizione - Guido Miano  Editore - Milano - pag. 61 - € 15,00   

 

La raccolta poetica di Raffaele Piazza ha un titolo, Del sognato, che diventa la chiave si lettura dell’opera stessa. Nella lettura prevale la sensazione di un’ispirazione fortemente onirica, dove le immagini, le associazioni, secondo la migliore tradizione simbolista, si susseguono, generandosi le une dalle altre .Il poeta si lascia condurre da una serie di suggestioni che si incentrano su alcuni temi fondamentali: la natura con la sua bellezza, la donna, suscitatrice di desiderio e di vitalità e l’aspirazione ad una felice compiutezza,che sola può scaturire dalla sintesi di questo duplice amore, per la natura e la donna.

La prima sezione della raccolta, Mediterranea, trova i suoi momenti più alti nell’elogio del mare che viene cantato con accenti di purissima poesia, come elemento primigenio in cui rigenerarsi. Esemplari  in questo senso le poesie’ Il mare che continua’ o ‘La messe nel deserto’, che esprimono la complessità mitopoietica di questo tema, centrale nella immaginazione di Raffaele Piazza.

Un libro da leggere con attenzione, così come ci suggerisce, nella bella prefazione, Marcella Mellea, che ci invita a riflettere  sulle mille implicazioni di questa raccolta, capace di evocare emozioni profonde e suggestive.

Anna Cacciarore

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- Letteratura

Gabriella Frenna - Amata terra - Guido Miano Editore

Gabriella Frenna – Amata terra

Mosaici di Michele Frenna

Guido Miano Editore – Milano – 2023 – pag. 73 - € 16,00

 

 

         Gabriella Frenna è nata a Messina e risiede, fin dall’infanzia a Palermo. È stata sempre affascinata dai narratori, dal modo di descrivere e di trasportare il lettore all’interno delle loro creazioni. Dalla dipartita dal mondo terreno della sua amata sorella maggiore e del padre Michele si è interessata alle opere che proiettano l’animo umano verso il mistero del divino, proponendosi di diffondere i principi cristiani impressi mirabilmente nei mosaici.

         Il volume presenta una prefazione di Enzo Concardi acuta e ricca di acribia che ne mette in luce i molteplici aspetti

         Alle poesie della Frenna sono associate le immagini dei mosaici con tasselli di vetro del padre Michele raffigurazioni che diventano tout – court motivi ispiratori dei componimenti stessi e per le due linee di codice parallele che interagiscono tra loro, in un certo senso, l’opera nel suo insieme potrebbe essere considerata un ipertesto.

         Strutturalmente le composizioni sono genericamente improntate alla verticalità che ne determina la compattezza e l’icasticità nel loro decollare sulla pagina per poi planare dolcemente nelle chiuse.

         Cifra essenziale della poetica di Gabriella pare essere quella della scelta neolirica ed elegiaca nella sua assoluta onestà e il lettore da composizione a composizione si stupisce per la capacità salutare della poetessa nel sapersi meravigliare della realtà che la circonda.

         E la suddetta realtà pare trasfigurarsi nel cronotopo spazio – tempo e nel dualismo natura –storia.

         Innamoratissima della sua lussureggiante Sicilia la Frenna la decanta su due piani congiunti quello della stessa esuberante bellezza naturalistica soprattutto con l’esaltazione di specie vegetali nelle tinte magiche di alberi e frutti, e quello dei monumenti architettonici che l’abbelliscono che dal sacro pagano giungono anche a costruzioni cristiane come quella dedicata alla Madonna.

         E nell’ordine del discorso s’inseriscono gli splendidi mosaici del padre a movimentare la fruizione e il piacere del testo e Michele spesso diviene il tu al quale Gabriella si rivolge e si ha l’impressione che l’autrice veda in lui una guida per addentrarsi nei suoi percorsi della scrittura. 

         Una caratteristica del poiein della Frenna è quella dell’estrema chiarezza e immediatezza dei suoi dettati, modalità che raramente s’incontra nel nostro panorama letterario contemporaneo dominato dai nei – orfismi e dagli sperimentalismi che arrivano ad esiti oscuri difficili da decriptare.

         Qui invece domina incontrastata la linearità dell’incanto come intelligenza evidente del lavoro della Frenna che trova nell’effusione spontanea dell’io –poetante il suo modo per dire con gioia i suoi sentimenti di amore per la terra amata della quale sa mirabilmente cantare gli aspetti elegiaci e di vaga e spesso numinosa bellezza producendo emozioni che a loro volta emozionano il lettore.

         E l’elemento religioso di cui si diceva si stempera a partire dalla creaturalità dell’io – poetante stesso, trampolino di lancio per diventare persona nel filtrare natura e arte nell’esperienza creativa della scrittura poetica.     

 

         Raffaele Piazza

 

 

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- Letteratura

Raffaele Piazza - Nel delta della vita - Guido Miano Editore

Raffaele Piazza                 Nel delta della vita

 

Nel delta della vita, un titolo originale che ci catapulta immediatamente nel cuore della raccolta poetica e ci induce a riflettere su alcune tematiche e circostanze. Raffaele Piazza, attraverso i suoi versi, ci prende per mano e ci conduce attraverso un metaforico viaggio: il viaggio della vita, fatto di fisicità, materia, sensi, ma anche di sentimenti, sogni, rimpianti; è il viaggio di un’anima inquieta, alla ricerca di senso nel caotico mare della vita. La silloge, dotata della pregevole prefazione del critico letterario Enzo Concardi, si dipana attraverso varie tematiche, che percorrono il cammino della vita, con i suoi dolori, le sue contraddizioni, i desideri realizzati e quelli inespressi, i sogni infranti, le fughe verso un ideale. Emblematiche, dei contrasti presenti nella silloge, sono due figure femminili, Mirta e Selene, presenze fondamentali nella vita del poeta: la prima sceglie la morte, la seconda la vita; Mirta, “Amica Vera” (n. 16) “Amicizia erotica la nostra” (n.17), sempre presente nei ricordi del poeta, non regge il peso della vita e soccombe; Selene, al contrario, “…e tu, Selene, dal bel seno vivida immagine nell’immane pioggia e pozzo di novembre…” ( n. 18) “Ti chiedo felicità, Selene,/ e tu farfalla rosa di sorriso/ mi restituisci e tutto resta pari a sé./ Si diradano le ombre /e il fare leggero dei tuoi scalza passi per la casa/ e in prossimità del lago della pace /che nonostante tutto esiste”(n. 23),  rappresenta la donna vera, che regala al poeta momenti di gioia e felicità e rappresenta l’amore vero, di carne e spirito. Le due donne simboleggiano il filo sottile che unisce vita e morte, elementi che nella vita e nella poesia coesistono. Nella poesia numero 2 l’autore afferma che la vita è un viaggio avventuroso: “ Avventura e viaggio è questa vita/ che non è esistere nuotando /e studio alla scuola dei tuoi occhi/ e tu mi chiedi la parola/ e io dico Amore visto /dalla camera dell’anima,/ luce dello sguardo delle lunghissime/ tue ciglia se sfioro/ materia elementare il selciato/ polito della strada dove mi porti/ guidando come una donna/ e il gioco è fatto/ e vengono i morti (anche Mirta) e gli angeli.” nel quale vita e morte si sovrappongono . In diverse poesie l’autore menziona “il delta”, quasi a simboleggiare come il cammino della vita, che fluisce come un fiume, ci porta, talvolta, a situazioni che prendono direzioni e versi differenti, strade parallele, che decretano un futuro inaspettato. L’opera, dedicata a una cara amica, Mirta, che nel corso della lettura scopriamo si è tolta la vita, è  costituita da 50  poesie, semplicemente numerate; è tutta pervasa da ambiguità, forti contrasti con parole come: luce-oscurità, vita-morte, pesantezza-leggerezza, bellezza-bruttezza, oriente-occidente; ad ogni cosa, infatti, corrisponde il suo esatto opposto, solo cosi si ha unità, un tutt’uno, concetto filosofico antico  che si riflette in ogni aspetto della natura: giorno-notte, gioia-dolore. Mirta ha probabilmente infranto le regole della vita “… attenzione a non infrangere/ della vita le regole/ la prima quella dell’amore/ secondo natura e in altri modi/ se ai posti di partenza il delta/ duale il bene e il male/ e la luna del libero arbitrio avviene…” (Prologo) e diventa l’emblema di come la vita possa essere  imprevedibile, inspiegabile, e come possa condurre, a volte, su sentieri dai quali non si può tornare indietro (il delta)  e  una scelta può diventare imperdonabile, a tal punto da far soccombere. Il poeta inizia la sua silloge con un prologo, quasi a volerci suggerire che ci si accinge a leggere un’opera teatrale: la rappresentazione della vita, che è finzione, un palcoscenico dove ognuno recita la propria parte. Attraverso il prologo, come nelle opere teatrali, l’autore ci introduce i vari argomenti dell’opera: Tempus fugit, il tempo che non torna indietro, poiché  tutto fluisce, Panta rei; le cose belle e le cose  brutte della vita; il tema della natura “…Cammino nell’erba verde fusione con la natura scalzo…”, di cui  l’autore è parte integrante, e poi la funzione del poeta, uomo con le tasche piene di sogni …e poi con altri fare il poeta/ con le tasche piene di sogni,/ uscito allo scoperto dalla selva per il gemmante varco/ Il bello e il brutto tempo/ domino dove ero già stato…”, in grado di dominare gli eventi della vita e uscirne vittorioso. L’autore usa sempre un linguaggio semplice, quello della quotidianità, ma le parole sono pregne di simbologia, una simbologia spesso oscura, che non fa comprendere fino in fondo quello che l’autore ci vuole comunicare, forse questo è il suo scopo: confonderci, offrirci spunti,   frammenti, e visioni, per farci riflettere e percepire il caos interiore dell’animo umano e della modernità dei tempi a cui solo la natura, con la sua bellezza e armonia, può donare ordine,   All’ombra del cipresso e del destino si apre la speranza…” ( n. 15), in quanto riflesso di DIO. “Tutto viene a chi sa aspettare/ e il segreto è non avere paura/ (spalancare le porte a Gesù)” ( n. 38).

Marcella Mellea

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- Letteratura

Grazia di Alessia

Grazia di Alessia nello

spargere la fragola nel campo

animato di mature 

per  il pane spighe

per il pane del digiuno

a poco a poco s'inelveano

i pensieri nella Grotta Azzurra

di Capri e ci sarà raccolto

oltre il sembiante

di un cielo freddo

azzurro all'anima di ragazza

al colmo della grazia Alessia. 

 

 

 

 

 

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- Letteratura

La grazia di Alessia

Grazia di Alessia nello

spargere la fragola e ci sarà raccolto

di grano per il pane

e l'angelo tesse le sue tele

d0ali candide nel panneggiare

al vento.

Grazia di Alessia

nel risalire ls via serale

e tutto resya uguale

nell'intessersi il pensiero

con il tetto azzurro del cielo

nell'accadere della quinta stagione

e si ferma il tempo ai blocchi

di partenza della villa sul mare.

A poco a poco per esatta meraviglia

pace nell'anima di Alessia

che non ka paura.

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- Letteratura

Recensione a Del sognato di Raffaele Piazza di Roverto Casat

Raffaele Piazza, Del sognato, II edizione, prefazione di Marcella Mellea, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 60,  € 15,00, ISBN 979-12-81351-08-0


Raffaele Piazza, apprezzato poeta e prolifico critico letterario, pubblica nella collana “Alcione 2000” di Guido Miano Editore, “Del sognato”, con una importante prefazione di Marcella Mellea. Questa è la seconda edizione, rivisitata e ritoccata in alcuni testi, di una raccolta uscita nel 2009 presso la casa editrice La Vita Felice.

 

Nella quarta di copertina Marcella Mellea scrive che:

Tutta la silloge “Del sognato” è pervasa da una forte sensualità, da desiderio profondo ed intenso, da forte attrazione fisica; la donna che traspare dai versi sembra quasi essere un tutt’uno – per i suoi tratti belli e armoniosi – con l’ambiente, un paesaggio caldo, ricco di sfumature, di luci, di ombre, di colori mediterranei, di mare e di sole.

 

La cifra stilistica di Raffaele Piazza è fondata su versi di forte impatto, che nella realtà di questa raccolta si trasforma nel racconto di un’età sognante, affollata dalla prepotente forza del mare e dall’intrigante pulsione sessuale della giovinezza.

Quella rappresentata è una poesia che è possibile definire come didascalica, lascia tracce evidenti del percorso in cui l’adolescenza entra nelle riflessioni dell’età ormai adulta.

 

La raccolta è divisa in due sezioni.

 

Nella sezione “Mediterranea”  è evidente il rapporto incentrato sul mare, metafora della vita con i suoi movimenti, i suoi silenziosi stati che mutano nel tempo, elemento primario di generazione e rigenerazione fisica e dell’anima.

 

Nel testo “La rotta del mare domestico” viene rappresentato un paesaggio che è insieme concreto ed onirico, con riferimenti a fantasie erotiche definite in tutta la raccolta dalla parola “fragola/fragole” che riportano ad un frutto goloso da cogliere.

 

 E poi ti accorgi tra sentieri

di quando la tua barca vince il mare

foglio di carta velina verde

resistentissimo

dove mai affondare nelle maree dell’anima.

….

è il buon inizio che combacia con una gioia

di estive fragole.

Poi tutto inizia nella mente e si parte

nella sera che ha un cominciamento

e non una fine.

 

Il testo è ricercato, poeticamente musicale, con una attenzione dettagliata e molto particolare per ogni singolo verso.

 

Nella poesia “Dare” i due contenuti, natura ed eroticità, si fondono (“Lei ride come una donna sul bordo del Mediterraneo”), racconto di estasiata felicità in versi di rara ricercatezza.

 

….

Poi lei nuda descrive il risveglio in tele

e di diari: la foglia della magnolia

del 1987, quell’ago dall’abetaia, quel petalo

di rosa nell’erbario nella camera della

mente dopo le cose dell’amore.

….

A poco a poco il battesimo amniotico

di pioggia irregolare, bagna il tempo:

lei ride come una donna sul bordo del Mediterraneo

lui è la sua eco, felice nello specchio.

 

In “Fondali”, ultima poesia della sezione, viene travalicato il limite del mare nostrano per riferirsi al sud degli oceani, alla Patagonia, alla fine del mondo, dove rinasce il sogno d’amore, l’attrazione di una fisicità nascosta sotto traccia.

 

Sparsa nel sogno di marea attende lei,

fondali di scrittura, liberazione

di unità a farsi parole: testi

di telefonate da brivido di pesca,

film della vita nell’insieme

esatto nel senso di una voce che dà oltre

le liberazioni delle lune dei confini,

da Occidente alla Patagonia

al mondo alla fine

nel mondo: nell’oggetto che ne resta

di pietra (farsi sillaba).

 

Nella sezione “Del sognato” la scrittura definisce il rapporto con l’universo femminile, Alessia (riferimento che compare 20 volte nella raccolta), trattato anche nelle successive pubblicazioni di Raffaele Piazza. Il racconto si snoda anche attraverso la rete, le comunicazioni telematiche, la posta elettronica in un misto di visioni immaginate e virtuali, come in “Camere per internet”.

 

….

E nella gioia ne scrivi il nome

accomunato a velocità di guarigioni

nel giocare al millennio:

si chiama Alessia sta nel file segreto il

suo nome, nelle tasche a fotografie

di quanti saranno i suoi figli

come le linee della sua mano portano ceste

di fortuna lineare lungo presagi

di camminate vegetali da cliccare

in meraviglia di tinte dal carminio al giallo

alla purezza del cobalto.

….

 

In “Adolescenza di fragola” gli elementi naturali (fuoco, conchiglia, sale) si uniscono ad elementi della vita moderna (fotografia, telefonino) in immagini di accorata sensualità riferite ad Alessia, al sapore di fragola ed alla preziosa reliquia di contatto sessuale.

 

….

l’abbraccio di fuoco nel lento o altro

senza volerlo, gli attimi,

nell’abitare dove sconfina la traccia del libro,

ma poi si ritorna, con la fotografia in tasca

e la conchiglia s’intravede della nascita

….

tu sei Alessia, sei nel tempo

al sapore della fragola:

ti porto sul mare che risponderà,

aspetta un attimo di sale, il telefonino

devo rispondere.

Poi regalami una goccia del tuo fiume,

pari a reliquia: e allora proseguiamo…

 

Invece in “Pervasivo giardino (prologo)” è preponderante la presenza femminile, ma anche qui viene rappresentato l’elemento naturale (rosa, fiume) e l’elemento tecnologico (internet interrotto). Il finale mette a fuoco una didascalia fotografica per Alessia, pare di vederla questa scheda che informa il lettore di chi sia e cosa voglia la musa di Raffaele Piazza.

 

….

Ragazzine di rosa, sbocciate in linfe

insegnano a tessere trame

mosaici, arabeschi, il senso del tempo

della vita e il fiume si ferma: riproviamo

messaggio su internet interrotto.

 

Lei indossava nel 1984 i jeans, si

chiama Alessia, ama il mare, studiava

medicina, aveva avuto 21 ragazzi,

non mi ha donato amuleti,

voleva avere un bambino.

 

Simile il racconto in “Non ho mal d’aurora”, con alcune sfumature che rendono meno precisa l’immagine, più sfocata, nel senso di una maggiore fusione tra realtà e sogno.

 

Non ho mai scritto un diario

diceva lei attonita in quel cerchio

virtuale di semi di silenzio,

neanche un archivio di mail

ho preservato nel presentire

le lettere di fragola

 

nuda dopo l’amore, pareva un

gioco ed era struttura di vita il

piacere

nel tempo del nero d’indumenti

sulla superficie del pavimento e dell’Eden

….

 

Riguardo ad “Alessia (in Francia)” il testo raccoglie emozioni riferite al rapporto con l’elemento femminile del racconto, con dettagli di particolare raffinatezza (“al nido delle ore dorma”, “il limite della pelle nelle calze”, “l’ora blu”, “il senso nella sigaretta”) che danno al lettore il percorso da seguire nel rapporto amoroso.

 

Ora dietro al nido delle

ore dorme

nell’esattezza di una meraviglia

Alessia: porta il limite

della pelle nelle calze

dell’inverno francese,

di campagna nella polvere

di storia

ancora medita

sulla mistica sera, l’ora blu

a poco a poco

consumato in fughe di salvezza

(corse sulle cose della bicicletta),

vendemmie e vini d’aurora,

aspetta nella camera per amare

e trarre il senso nella sigaretta.

 

“Tavoli di lavoro” è il testo che chiude la raccolta. Nel finale ancora Alessia, non solo con elementi tecnologici ma addirittura inserita nell’ambiente di lavoro, pronta ad inviare una mail entro una precisa data. Per questo sarà ringraziato dio, connivente e disposto a stare dalla parte del poeta, in questo sogno che a volte è fin troppo reale, in questa realtà che molte volte ha bisogno del sogno per sopravvivere.

 

….

Alessia salta l’angoscia col bianco

del cavallo: adesso, lunedì a sudare nell’antro

di un ufficio: i tavoli

nel corrodere memorie.

 

Alessia manderà la mail, non temere,

sarà entro il 31 agosto,

sulla spiaggia della città si ringrazierà

il dio connivente.

 

 

In conclusione concordo con quanto scrive Marcella Mellea nella prefazione: “Del sognato, di Raffaele Piazza, dunque, è un libro che merita sicuramente di essere letto, attentamente e lentamente; un libro che va meditato e sul quale val la pena riflettere, perché un’attenta riflessione è quello che ne fa apprezzare ancor di più le tante e diverse implicazioni emotive che esso contiene e che suggerisce, con delicata efficacia, ai lettori”


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Roberto Casati