Per Sergey Nigoyan*, poeta
e gli altri caduti di Kiev durante le manifestazioni dello scorso gennaio, in opposizione alle leggi repressive del governo Yanukovich.
Ti uccideranno in pieno giorno, ai bordi
della città, vicino al commissariato, dietro
un ufficio, ti uccideranno con premeditazione,
scrupolosamente, affinché nessuno proprio
nessuno riesca a riconoscerti, a sapere
che lavoro fai, se hai segni particolari,
quale Polonia non è ancora morta in te.
Ancora non è morto in me il veleno
dell’onestà, e quel fischio di locomotiva
di cui parla il poeta nel suo verso suicida:
per questo spesso mi siedo alla frontiera
del paese, per guardare quell’aquila impalata
le cui ali a poco a poco cambiamo
in monetine da cinquanta groszy.
[ Poesia tratta da “Nowa Fala - Nuovi poeti polacchi”, Guanda, Milano 1981; a cura di Giorgio Origlia. ]
* Sergey Nigoyan, il cui corpo ucciso da proiettili d’arma da fuoco è stato trovato in una strada vicino al parlamento, era un giovanissimo poeta di origini armene. Per i versi scritti sulle proteste in Piazza Maidan (da cui il nome del movimento Euromaidan di cui faceva parte) era stato soprannominato “il nostro Shevchenko” nel paragone col poeta ucraino dell’ottocento Taras Shevchenko. Il clima e le modalità di queste morti ci hanno fatto tornare alla mente i versi di Kornhauser per la sua Polonia degli anni settanta.