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Commenti al testo di Lorena Turri
Un verbo

Sei nella sezione Commenti
 

 Loredana Savelli - 30/08/2010 18:03:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Potrebbe essere il verbo scegliere. ciao Lorena

 Nando - 29/08/2010 22:31:00 [ leggi altri commenti di Nando » ]

Secondo me il verbo è: sperare. La speranza nell’Essere che è Amore, e come tale non conosce finitudine, è eterno e fedele.
La speranza è una forza che modifica la percezione che abbiamo delle apparenze della realtà; anche la morte non sappiamo che cosa sia in positivo, ne vediamo soltanto il negativo. Non ne abbiamo un’esperienza diretta, la interpretiamo; ciò accade anche per la vita, ignoriamo tutto della nostra origine. Siamo ignoranti che vivono nell’ignoranza. Noi interpetiamo tutto, secondo gli schemi mentali che la cultura sedimenta nella nostra mente. La religioni ci forniscono una chiave di lettura; il Cristianesimo ci ha portato un ’evento, la Risurrezione del Cristo. Il Cristo Verbo di Dio a differenza della Parola (per analogia quello che avviene nel linguaggio) è dinamico, trasmette vita. Appunto, possiamo scegliere la Speranza, che dà "una ragione alla foglia secca e rigenera Lazzaro".

 Guglielmo Peralta - 29/08/2010 19:32:00 [ leggi altri commenti di Guglielmo Peralta » ]

In nessun vocabolario è il verbo che dà senso alla vita e alla morte. Perché questo verbo non esiste, se non come Parola, ed è l’Essere, del quale il verbo esistere è un surrogato che figura anche come verbo essere. L’Essere, dal quale viene l’esistenza (ex-sistenza: stare fuori dall’Essere), è inconiugabile appartenendogli solo il modo dell’infinito e il tempo dell’eternità, ovvero della non-esistenza, che lo fa, appunto, Essere eterno, Presente a sè stesso e Prima Persona in senso assoluto (Io Sono Colui che Sono), e dunque Vita, Via, Verità, ove è riposto e custodito quel senso della vita e della morte intese, rispettivamente, come non-Essere e come ritorno all’Essere.

 pietromenditto - 29/08/2010 17:34:00 [ leggi altri commenti di pietromenditto » ]

Di verbi ce ne sono tanti e uno in particolare: amare. Ma anche l’amare come la foglia, come Lazzaro, può seccare, può morire. Allora, dove troveremo, questa volta al di fuori del vocabolario, qualcosa che ridìa una ragione all’amore, che lo rigeneri? La risposta è tanto semplice quanto pericolosa: nell’Altro, fatto di corpo, anima e spirito (secondo la sensatissima tripartizione tradizionale che non si fermava regressivamente e illuministicamente, al corpo e all’anima). Ma, come dicevo, c’è un grande pericolo, che è quello di considerare l’Altro un “chiunque altro”, per il desiderio di uscire subito dal circolo vizioso. Quale potrebbe essere, allora, il criterio per distinguere l’Altro da un “ altro qualsiasi”, per riconoscerlo con la certezza di non sbagliare? Non esiste, come è ovvio, una formula matematica – non siamo nel campo delle scienze – ma il criterio non può essere che quello di affidarsi all’istinto o all’intuito, che dir si voglia. Un piccolo-grande aiuto, però, potrebbe venire dalla fenomenologia dell’Altro, perché questi si presenta di solito con i tratti oggettivi di un fenomeno naturale, che ti sconvolge, non in quanto possieda l’abilità conquistatrice di un Casanova o di un don Giovanni, ma solo per il fatto di rappresentare l’Essere, non affetto dal suo contrario, immune dalla forza dissolutrice del non-Essere, del pensiero della morte, della presenza di questa anche solo come elaborazione negativa. La foglia secca e Lazzaro muoiono per mancanza d’Essere, semplicemente non sono più. L’Essere è capace di svegliarti come un terremoto, un temporale, un fulmine per i quali – è duro affermarlo – tu potresti anche non esistere ma, una volta che ti hanno scosso, sono da te riconosciuti come fenomeni positivi, vitali e allora tu foglia cominci a rinverdire e tu Lazzaro (o figlia di Giàiro) ti alzi, chiedendoti perché sei avvolto in bende mortuarie. Solo attraverso l’Essere possiamo riaccostarci all’Amore e, quindi, ascendere dal sepolcro nuovamente alla Vita e, perché no?, al più che Vita.