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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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’Gli sdraiati’ di Michele Serra

Argomento: Letteratura

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 27/12/2013 13:23:36

Michele Serra “Gli sdraiati” Feltrinelli 2013

 

Sia che siate figli o che siate genitori, come lo sono gli uni così gli altri, e comunque figli o genitori di un’altra generazione che vi ritenete ignorati, alienati o quantomeno trascurati, affrettatevi a leggere questo libro di ‘osservazioni diaristiche’ valido per una infinità di ragioni che vi riguardano. In qual senso? Semplicemente perché vi si rispecchia una certa realtà che puntualmente, come genitori non digerite ma che, soprattutto, non digeriscono i vostri figli, perché – scrive l’autore – “..entrambi ci conosciamo poco e male, e il cui destino sfugge giorno dopo giorno dalle nostre mani, ovviamente perché così è (e così va) la vita.”

Perché come va la vita?

Incominciamo (da un punto bisogna pure incominciare) dalle vicissitudini personali del quotidiano, per poi considerare le incompatibilità generazionali (ogni generazione ne ha di sue), per concludere (ma non è una conclusione) con le incomprensioni dei padri nei confronti dei figli e viceversa. Con la differenza che i padri (o presunti tali) ne soffrono, mentre i figli … beh i figli non si accorgono neppure di questa sofferenza dei padri e dei genitori in genere, loro non ne hanno. Le loro ‘sofferenze’ sono altre, e non si chiamano neppure sofferenze, per lo più sono di tipo ‘astenico’, ‘astrofico’, ‘esegetico’, compatibili con il ‘mobbing’ da stress genitoriale (padre), da ‘puerperio costante’ (madre), da ‘parentocrazia’ (parenti e amici dei genitori), da quelle che sono le facce obliterate e pur sempre ‘inquietanti’ degli ospiti di Galimberti.

Non spaventatevi, il nichilismo, almeno per questa volta resta fuori della porta, perché l’autore accompagna personalmente il lettore tenendolo per mano, narrandogli con la sua risaputa ironia, il suo dileggio scrittorio misurato non sulle parole quanto sulla loro musicalità, senza risentimento, quasi da far sembrare che tutto ciò che gli capita di annotare, in fondo non accade a lui medesimo, che piuttosto egli è solo un “..impacciato testimone” che osserva nell’ombra. E che poi è quella raffigurata sulla copertina del libro, così ben calibrata che un osservatore attento intuisce fin da subito dell’avvenuto passaggio generazionale di padre in figlio e viceversa. Anzi, di più, come dire che il figlio è la ‘controfigura’ del padre, insomma che ognuno ha il padre/o il figlio che si merita.

Qua e là tendente al sarcasmo e, tuttavia, mai ‘acido’ quanto invece lo sono sempre le parole che i figli rivolgono ai genitori, assistiamo alla presa in atto di un sentimento (nascosto tra le righe) talvolta amaro di certi riscontri, che Michele Serra elenca in veste di scrittore, ma che non riesce a nascondere completamente nei panni di padre attento e fondamentalmente buono, come si evince dalle pagine di questo libro che si pregia di una lingua franca, disincantata, e per questo capace di cogliere sia i risvolti acri, sia le effusioni paterne senza lo stucchevole rammarico del diarista pedante e rimarchevole. Piuttosto del padre che comprende le manchevolezze dei figli, ma che non ha imparato a incassare; così come dello scrittore che ha impressa la cifra del testo ma che non riesce bene a limitarlo. Onde per cui egli non da risposte a domande (che certamente non si fa), quanto invece le sdoppia in quelle azioni che si trova a dover affrontare, siano realisticamente personali o semplicemente annotate, siano apprese dai racconti degli altri.

Ma quando gli ‘altri’ sono i propri figli la cosa cambia, prende un diverso risvolto, e la chiave di lettura non può (non riesce) ad essere altro che quella dell’amore, per cui l’approccio non è indipendente (semplicemente non può), anzi, lo diremmo piuttosto ‘impertinente’ rientrante in quella dimensione del mondo in cui come padre avrebbe voluto che … in cui come scrittore vorrebbe che … per poi ritrovarsi a fare tutto quello che per sé non avrebbe fatto, ciò che mai avrebbe consentito, nelle parole, negli atteggiamenti, nelle azioni, riguardante la propria ‘immagine’, il proprio corpo fisico, il proprio vestire, e che invece, volente o nolente, si trova oggi ad ‘accettare’ (non si sa bene come e sebbene con qualche riserva). In ciò riscontriamo come la società in parte rivoluziona se stessa, come la dimensione del tempo perde i suoi connotati di etica, perbenismo, moralità, amor proprio, rispetto, pudore ecc. ecc.

Non c’è che dire, oggi è possibile affermare (e Serra lo fa con cognizione di causa), che in fondo erano ‘solo parole’ di cui ‘forse’ era possibile fare a meno, di cui ‘si deve e si può’ fare a meno, senza una vera ragione, senza un perché (?) A rifletterci su, in realtà non c’è un perché o, almeno non sempre, e questa è appunto l’eccezione che conferma la regola, che non sempre va cercata una risposta, perché una risposta non c’è. A meno che non se ne voglia trovare una qualsiasi che, sarebbe poi, già obsoleta quanto inutile, per il fatto che sarebbe ‘moralista’ o che (per concessione) sarebbe alquanto ‘logica’, cioè ‘scontata’; come direbbe Odiffreddi “..per chi desidera ascoltare un’ora chi si interroga sul tema da una vita.

Ma chi sono ‘gli sdraiati’?

“..Forse sono di là, forse sono altrove. In genere dormono quando il resto del mondo è sveglio, e vegliano quando il resto del mondo sta dormendo. (..) I figli adolescenti, i figli già ragazzi” – scrive Serra. Sono figli di un germe (oggi lo diciamo virus) che si è incuneato nella società dell’ozio, del benessere, del consumismo, dei ‘quanti’ si radunano, si assemblano, si coagulano all’unisono, tutti vestiti allo stesso modo, con le stesse nuance, gli stessi piercing, gli stessi tagli di capelli, che si incontrano in un rave party, o che si ammassano all’interno di un pub o quant’altro, senza avere niente da dire e da fare, che sostano davanti a un boccale di birra ‘persi’.. No, ma cosa dici mai? Volevo dire ‘riflessivi’, intenti a decostruire ogni forma ‘viva’ del linguaggio e del pensiero (meditativo). Non è stato così anche per i ‘figli dei fiori’, dei ‘capelloni’, dei ‘punk’, e adesso dei ‘metallari’, dei …

Oh sì, certo, le mode cambiano, e chissà poi perché mai in meglio! Diremmo noi (dei una generazione precedente) e che probabilmente diranno loro guardandosi all’indietro tra cinque anni (perché è così in fretta che cambiano le cose). Un virus che da semplice malattia infettiva (sviluppatasi nella precarietà del dopoguerra) è però diventato letale, passando dall’alienazione allo squilibrio demenziale, alla de-costruzione di tutto ciò che poteva avere un senso, a tutto ciò che dava un senso … In letteratura (in breve) si è passati dal particolare stato di inerzia dell’ ‘oblomovismo’, da ‘Oblomov’, nome del protagonista dell’omonimo romanzo di Gončarov, all’atteggiamento di apatia dell’ ‘Uomo senza qualità’ di Musil; dalla fatalistica indolenza di Swann per la promessa di felicità sulla quale Proust costruì il suo capolavoro, fino alla precarietà dell’esistenza esibita nella ‘classe morta’ di Kantor, in cui egli riassume una caratteristica alquanto emblematica del significato ‘vita’. Come pure lo ha esposto Moravia in “Gli indifferenti” e Pasolini nella figura di Carlo protagonista di ‘Petrolio’ simbolo di contraddittorietà e, soprattutto, in quei “Ragazzi di vita” che sono la cruda testimonianza dell’esistenza che si consuma senza una speranza, senza un futuro.

Ma se l’indifferenza (verso tutto o quasi tutto ciò che non li riguarda) dei più giovani la discriminiamo come ‘apatia’ (malattia psichica), e che invece è solo ‘impassibilità’ che diversamente ha rilevanza virtuosa (stoicismo), allora il ‘problema’ (se mai lo sia stato) è di per sé risolto, perché strettamente legato al concetto di ‘provvidenza’, onde si viaggia in assenza di esaltazione e del conseguente abbattimento, che lascia chi ne è affetto, fermamente convinto che ogni evento, anche spiacevole, sia teso verso il bene, quindi nell’assenza di passioni sconvolgenti, nella totale indifferenza (stoica) che gli permette di evitare la successiva disillusione (tristezza). Non male per chi ha fatto della propria sopravvivenza uno ‘status’ perfettamente riconoscibile e riscontrabile di una fascia deresponsabilizzata d’età.

Chi dovrebbe assumersene le colpe?

Nessuno è la risposta (forse solo di alcune responsabilità). La vita è (va) così, ed è così che deve andare. Io padre tu figlio scoordinati in un dialogo che il tempo ‘rarefatto’ man mano assottiglia fino a non comprendersi più; in un sdoppiamento che non può essere come vogliamo o come lo abbiamo pensato, è altro, va per la sua strada, o forse per il suo cielo; come quell’aquilone che abbiamo costruito e che un bel momento ci sfugge di mano, è allora che bisogna lasciarlo andare, allora noi “..non altri, sono quelle due sillabe. Io sono quello che deve. Forse non vuole, forse non può, comunque deve.” Tu sei l’altro, tutto quello che vorrai essere … anche di poter restare sdraiato.

 

Dalla presentazione:

 

Miche Serra si inoltra in quel mondo misterioso. Non risparmia niente ai figli, niente ai padri. Racconta l’estraneità, i conflitti, le occasioni perdute, il montare del senso di colpa, il formicolare di un’ostilità che nessuna saggezza riesce a placare. Fra burrasche psichiche, satira sociale, orgogliose impennate di relativismo etico, il racconto affonda nel mondo ignoto dei figli e in quello almeno altrettanto ignoto dei ‘dopopadri’. “Gli sdraiati” è un romanzo comico, un romanzo di avventure, una storia di rabbia, amore e malinconia. Ed è anche il piccolo monumento a una generazione che si è allungata orizzontalmente nel mondo, e forse da quella posizione riesce a vedere cose che gli ‘eretti’ non vedono più, non vedono ancora, hanno smesso di vedere.

 

Michele Serra Errante scrive su “la Repubblica”, “L’Espresso”, “Vanity Fair” il teatro e la televisione. Di lui vanno ricordati almeno altri due romanzi: “Tutti i santi giorni” (2006) e “Breviario Comico” (2008) editi da Feltrinelli. Buona lettura!


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