(a mia figlia)
Ti ho dato la vita e l’insidia,
nascita amata e rischio del vuoto:
una mano d’appiglio, un andito buio
oltre il quale slittare e chiamarmi
nuotando eterni giri, una tua barca.
Ti ho soffiato la vela, cucito su un nome
poi ti ho spento la stella polare.
Ti ho dato la vita e l’insidia,
navigando pericoli in grembo:
ho deposto ai tuoi piedi in partenza,
sperando, zattere zitte di salvezza
per poi partorirti e ti ho attesa alla riva
col vento ammainato sul petto, finché
altre braccia ti han deposto nelle mie.
Ti ho dato la vita e l’insidia, come il mare.
Asciugandoti il viso ho saputo il riscatto,
e ti ho acquistata senza prezzo
emersa a nuova sfida dalle acque.
E sempre ti tengo su in alto,
come prisma di luce migliore,
al centro esatto in cui pulsa la terra.
(Perdoni, vivendo, i miei occhi,
lo spazio stretto, il dubbio
la nebbia illune della rotta.)