I desideri sono ossigeno per il futuro, ma è il presente l’unico istante in cui è possibile essere felici per davvero. Rimpiangere quel che è stato o preoccuparsi di ciò che ancora non è accaduto è faticoso per l’anima: la sfinisce.
Aspettavo, devo ammetterlo, questo nuovo romanzo di Nicola Lecca, un po’ come si aspetta la piacevole consuetudine di quelle cose che si amano per gli amati sapori un poco familiari. Come le birre e i dischi di Murakami, le colonie e le donne isteriche di Maugham, così i toni diafani, la leggerezza e certe ripetizioni musicali di Lecca, sono quanto ci si aspetta in un suo romanzo. In questo nuovo lavoro però Nicola si supera, mi sembra di notare, con una sorta di inspessimento della costruzione, di maggior solidità di impianto. Non voglio insinuare mancanze dei romanzi precedenti, solo sottolineare come certe rarefazioni di alcuni scritti, che potevano assottigliare sino a rendere un po’ evanescente il gusto della lettura, qua sono sparite. Restano la leggiadria e l’eleganza, ma il tutto acquista un peso maggiore, ma la narrazione si mantiene lieve e conserva quell’incanto quasi fanciullesco cui Lecca ci ha abituati. La storia non ha confini, come l’autore giramondo; comincia in un ambiente spesso utilizzato come luogo triste ed avvilente per antonomasia, un orfanatrofio, però raccontato nei suoi momenti di gioia, serenità, fino a diventare un sicuro e confortevole approdo e non una sorta di segregazione come spesso è visto. Senza perdere di vista i bimbi dell’istituto l’occhio dell’autore si sposta in una grande e moderna città, luogo in cui il piccolo protagonista Imi ripone tutte le sue speranze per un futuro radioso. Nel raccontare la metropoli e i suoi abitanti non manca qualche gustosa pennellata dickensiana ma i lugubri tuguri diventano scintillanti ed efficienti negozi, senza perdere però, nella trasformazione, i caratteri di luogo di sfruttamento. Imi ha dalla sua parte un formidabile ottimismo e una grande scorta di felicità che cerca di arricchire anche con frammenti che luccicano, sebbene siano “patacche”.
Perché della felicità, dice Lecca: è bene che ne facciano scorta, che l’accumulino in una specie di dispensa interiore: un magazzino dove poterla conservare al sicuro, per disporne durante gli inverni dell’anima. Che verranno presto”. La felicità, ecco il tratto sottile che lega questo bellissimo romanzo, la ricerca di essa, ma anche il viverci immersi. Cercarla, attraverso l’ingenuità, anche dove non può esserci. I vari personaggi la inseguono e ci si appollaiano per viverne il tepore: la donna che ospita il protagonista, la stramba vicina londinese, l’anziana scrittrice e gli altri personaggi cercano la felicità della vita a modo loro. E Imi, il giovane, di scorta deve averne fatta parecchia per trovare affascinante il lavorare in una grande compagnia dallo stampo dittatoriale, in cui ogni atto è scandito dalle regole di spietati manuali, fatti per cancellare il pensiero e la dignità delle persone. E se i manuali sono gli aguzzini, i libri saranno in qualche modo anche i salvatori di Imi. E nella ricerca della felicità dei protagonisti, nel loro voler vedere il mondo come un luogo che può essere il migliore per vivere appare la speranza, linea sottile, aurea, che attraversa tutto lo scritto, sostiene anche il bimbo vessato che si immagina di ammazzare con uno stratagemma il padre violento, diventa quasi un simbolo del futuro per chi ha un passato talmente oscuro da non essere visibile, trasformando il domani nell’unica ricchezza possibile e vera.
Ho delineato alcuni dei tratti principali del romanzo: speranza, felicità e il mondo dei libri. Accanto a questi temi non posso non menzionare la dignità, condizione indispensabile per i protagonisti, e la denuncia verso le spietate leggi del mercato, che fanno diventare il bisogno di lavorare, per potersi assicurare una vita dignitosa, simile alla schiavitù, con ritmi frenetici e superiori che badano al profitto e al rispetto di fantomatiche, quanto aleatorie regole, senza tenere conto del fattore umano. Ed è qua l’ultimo degli aspetti del libro che mi premeva sottolineare, l’umanità, il conservare la propria dimensione salda anche nel tumulto quotidiano e la corsa verso quel bene effimero ed inconsistente che è il successo, così come è visto oggi.
Ho volutamente cercato di non svelare troppo della trama del romanzo perché è assolutamente da scoprire, molto bella e dolce, e dove si intrecciano le storie di più personaggi, accanto a quelli principali, i quali popolano il libro rendendolo ancor più ricco e sorprendente. Ho iniziato queste note parlando dello stile di Lecca, ci ritorno brevemente per sottolineare la sensazione musicale che si ha durante la lettura, potrà sembrare paradossale, ma si ha netta la sensazione che la storia sia sussurrata, non ci siano strilli, né stridore, l’autore conduce con dolcezza il lettore nel viaggio del racconto, dove si alternano parti anche amare, ma sempre raccontate con levità. Lo stile è una qualità che si dice innata, penso che Nicola Lecca abbia avuto questo dono, e che sappia coltivarlo bene, visto che ha posto questo romanzo su di uno scalino ancor più elevato dei precedenti. La storia fa riflettere ed a tratti riscalda il cuore, riesce a commuovere, anche con la sua eleganza. E’ bello leggere un autore italiano, giovane, scevro da certi sensazionalismi, da certe sguaiataggini di stampo televisivo e con uno stile molto personale, e che soprattutto ha qualcosa da dire. Chiudo con un’altra frase rubata dal libro e che ne racchiude l’aspetto principale: nella certezza che il più grande privilegio, in questo mondo gelido e senza speranza, è quello di riuscire a scatenare una scintilla: un’emozione capace di far battere forte il cuore. E di sicuro il libro è capace di scatenare la scintilla e far battere il cuore, un po’ più forte.
I miei complimenti a Nicola Lecca
Ho letto il libro in formato Kindle.