Sapevo che c’è un limite nel punto che ti mento
tra le guance. Appena sotto il labbro sporto
in un imbuto lungimirante data la caduta
di stille: depressione che mostra resistenze,
si racconta deserto, d’una che cumula grami
di colpa e spinte temerarie a commetterne
ancora. “Mi fai sabbia perché la rabbia
scompaia, Tempo?” E mi sposto dal venerdì
alla nuova settimana in un amen in pronunciato.
Lei di molti anni ma di molti più giovane,
eppure così prossima da venire a bordo.
A momenti la moltiplico per ufficio, siamo ora
e sono per pochi momenti. Sfuggo al cielo
che mi bracca. Ho l’aspetto di un ladro;
e quella del derubato. C’è, tra noi, più aria
che prigione, però i polmoni sgomitano
per contrarsi e lo sterno fa da perno.
Niente di troppo, beninteso; tirano come idrovore
il tuo fluido che mi è necessario. Non bevo più
da me, per l’inguaribile siccità della vecchiezza:
la precipitazione dei giorni evapora nel buio
così dentro di me io levo te.
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