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GINO PAOLI ... una lunga storia d’amore.

Argomento: Musica

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 26/10/2012 17:53:55

GINO PAOLI . . .una lunga storia d’amore.
(elaborazione dell’articolo apparso in: ‘Panorama della Musica Italiana’ – Super Sound 22 Luglio 1974)

Si era agli inizi degli anni ’60 vicino alla Foce, a Genova, un bar conobbe la più bella e importante stagione musicale di quegli anni. In una piccola sala dal vago gusto ‘bohèmien’ si incontravano coloro che avrebbero definitivamente infranto gli schemi della canzone italiana...


...sull’innesto della cultura d’oltralpe, sviluppatasi dalla Rive Gauche della Senna negli anni successivi all’ultima guerra, e detta ‘esistenzialismo francese’. Era già in voga a Parigi, sulla scia delle nuove idee della ‘metafisica’ da cui prendeva le mosse, al che giovani filosofi emergenti si fecero artefici di questo ‘movimento di pensiero’ sorto attorno alla ‘ricerca dell’essere’, all’ ‘essere e il nulla’, sul procedimento di ‘performance’, ecc.. Molti i nomi roboanti che ne facevano parte: Jean-Paul Sartre, Boris Vian, Albert Camus, Simone de Beauvoir, M. Mulean-Ponty, H. Bergson, e sulla scia dei ‘poeti maledetti’ forse il più sconsolato di tutti Jacques Prévert e molti altri, solo per citarne alcuni, che influenzarono la allora cultura dominante, in Francia come nel resto dell’Europa. Erano gli anni ‘50/’60 della contestazione anarchica e della esuberanza giovanile, sedata più volte con autorevolezza dai governi in diverse nazioni che risposero con arresti e violazioni dei diritti di libertà. Nel frattempo, però, il virus della contestazione aveva innescato una sorta di rivoluzione sottile che era penetrata nel tessuto sociale e già mieteva le sue vittime e i suoi trionfi. Inevitabilmente il vero ‘trionfo’ giunse nel campo dello spettacolo e della musica, lì dove il teatro-cabaret aveva piantato le sue bandierine di vittoria, e non solo tra i così detti bohemien dell’ultima ora.


Con l'arrivo del Be-bop i jazzisti francesi avevano affinato i loro strumenti e dato vita a un genere originale che aveva coosciuto un grande successo internazionale con: Sidney Bechet, Claude Luter, Django Reinhardt, Stéphane Grappelli, Michael Legrand, Jacques Loussier, che avevano affiancato i colleghi d’Oltreoceano, e che imperversavano nella Parigi di quegli anni: Charley Parker, Thelonius Monk, Dizzie Gillespie, Bud Powel e tantissimi altri. Né vanno dimenticate le ‘voci’ della canzone popolare come Charles Trenet, Ray Ventura, Tino Rossi, Edith Piaf, George Brassens, Léo Ferré, Jacques Brèl, Juliette Grèco, Yves Montand, Serge Reggiani che da Parigi invasero i luoghi della musica (radio, teatri, manifestazioni di piazza ed altro) e spesso anche le pagine dei quotidiani.

 

Ma torniamo in quel Bar della Foce, a Genova, dove... in una piccola sala dal vago gusto ‘bohèmien’ si incontravano coloro che avrebbero definitivamente infranto gli schemi della ‘canzone’ popolare, i cui nomi sono ancora oggi tra i più noti e affermati: Fabrizio De André, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Luigi Tenco, Umberto Bindi ed altri, che avrebbero definitivamente infranto gli schemi della mediocrità musicale dell'epoca. Il loro era un ‘poeticare’ decisamente diverso e diversificato, in senso di originalità e innovazione, pervasi da una struggente partecipazione e sentimenti autentici da essere universalmente accettati, e che noi tutti, almeno quelli che li ascoltavamo, non potevamo che esserne coinvolti. Erano quelli temi che, in alcuni casi suggerivano risposte, proprio a quegli ideali che andavamo perseguendo in quegli anni, intrisi di contrapposizione alla guerra, di apertura ai sentimenti, alla libertà di parola e di informazione, di giustizia ecc.

 

Lì, accomunati dalla stessa fede e dallo stesso rifiuto per i luoghi comuni e per le convenzioni, gli ‘esistenzialisti’ nostrani andarono controcorrente... non curandosi di assecondare il gusto facile e inquinato del pubblico, abituato com’era alla rima facile cuore-amore. Non fu per niente facile farsi ascoltare e comprendere dal grande pubblico. A volte le loro canzoni vennero fraintese e rifiutate nelle competizioni canore e gli stessi autori accusati di appartenere ad una cerchia elitaria che non aveva senso di esistere. Anche per questo venne attributo loro l’epiteto di ‘maledetti’ com’era stato per i loro colleghi francesi. Ma se di èlite vogliamo parlare, facendo un classismo fuori luogo, questa divenne irrimediabilmente una cerchia alla quale tutti finimmo per appartenere, se non altro perché rispecchiava un certo sentire che avevamo fatto nostro.

 

E qui, nel piccolo Bar della Foce che incontriamo per la prima volta Gino Paoli e le sue canzoni... Con lui c'era Luigi Tenco che lo accompagnava al piano e che già, per proprio conto, era destinato a diventare un ‘grande’ inseguitore di sogni impossibili da rivestire di parole. E fu Gino Paoli stesso a rispondere alla domanda di come ricordava quegli anni: “Distribuisco inquietudini, io, solletico dubbi, pongo domande. Se mi guardo alle spalle, perché non so mai che cosa aspettarmi dal passato. E c’è chi vorrebbe leggere il futuro! Io faccio fatica a sapere che cosa è stato ieri, con l’oggi mi arrabatto, il domani è una sbronza di possibilità”.

 

Ma è anche vero che oggi, nessuno ricorda quegli anni se non li ha vissuti, e forse è giusto che sia così. Tuttavia Gino Paoli non ha mai smesso di scrivere canzoni d'amore e, forse, a distanza di tempo posso dire che nessun’altro ne ha più scritte come lui, con partecipazione completa e senza riserve; chi non avverte il disagio di vivere in un mondo che lascia sempre indietro qualcosa, non può capire il suo ‘mondo’ poetico, e quel suo solitario grido di dolore e di solitudine di cui sono intrise le sue canzoni. Certo, è passato del tempo e, in molti possiamo dire di conoscere Gino Paoli attraverso le sue canzoni...

 

...ed è con questi ricordi e pensieri nella testa che alla fine di Maggio (198?) siamo andati in molti ad ascoltarlo a Roma, CLUB 84 dove si esibiva: “I tavolini ancora vuoti, la luce soffusa, il barman che fa tintinnare il ghiaccio nel bicchiere di Gino che seduto su un alto sgabello, se ne sta in penombra nell’angolo del bar. È vestito di nero, pantaloni e maglia ‘dolce vita’, e con gli occhiali scuri che gli avvolgono il viso e lo fanno sembrare un gatto avvolto dall’oscurità che, sornione e schivo, trattiene la vitalità felina della riservatezza e piena indipendenza da ciò che lo circonda. Eppure, vivo e guardingo, attento a cogliere i suoi momenti indimenticabili che poi racchiude nel suo mondo di ‘poeta’ e trasferisce nelle sue ‘canzoni-poesie'. Al tavolo siede con noi, intervistatori improvvisati, e ci parla delle sue canzoni. Gli ricordiamo dei primi anni genovesi e delle sue disavventure, lui si schernisce dicendo che è tutto normale quando si è giovani, ma noi sappiamo che non è così, che ci è voluto un gran coraggio e cuore per stare dall’altra parte della barricata.

 

Oggi Gino Paoli è un artista affermato anche senza aver rincorso il successo, tuttavia è arrivato dove è arrivato con le canzoni-storie che tanto lo hanno reso famoso. Lontano da certi atteggiamenti di moda e da certe polemiche che a quel tempo gli avevano fatto male...

 

...Seduto al tavolino con noi beve di tanto in tanto piccoli sorsi di whisky che sembrano rincuorarlo dei suoi molti ‘passati’, il festival di Sanremo, gli incontri, le sue storie, e i molti suoi amori, mai dimenticati del tutto, dice: – “Un mestiere difficile il mio, alle prese con gli ambienti più disparati, (..) ma il vero compito dell'artista è quello di attivare le idee e di dare un calcio in culo alle coscienze”. È allora che Gino ripercorre partenze e ritorni, digressioni e interludi della sua musica e della sua vita, come di un lungo viaggiare che ha il sapore di un’epoca. Il bicchiere è ormai vuoto quando, trattenendo la mano su di esso, si scusa per quel suo ‘dover andare’ e ancora una volta lo fa silenziosamente, senza far rumore, proprio come il gatto che è sempre stato e che, non a caso, ha dato il titolo alla sua prima canzone ‘La gatta’. Ci siamo, è mezzanotte, il locale adesso rigurgita dei fan venuti ad ascoltarlo, lui vive nella nebbia delle molte sigarette accese e che ha creato una cortina di fumo che lo separa dal pubblico, riservandolo a quella privacy che necessita alle sue canzoni. La musica attacca ‘Senza fine’ col suo lento giro armonico che ritorna e introduce alle sonorità che ci ha abituato la sua voce trascurata pur così profondamente sentita che scalda i cuori degli uomini ed eccita le signore presenti. Una dietro l’altra riascoltiamo le sue poesie-canzoni più note: ‘In un caffé’, ‘Sassi’, ‘Il cielo in una stanza’, ‘Un amore di seconda mano’, ‘Invece no’, ‘Basta chiudere gli occhi’, ‘Che cosa c’è’, ‘Le cose dell’amore’ e ci convinciamo, una volta di più, che esse hanno un ruolo imprescindibile dalla sua interpretazione.

 

Ancor più Gino lo dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, interpretando due canzoni fuori del suo repertorio: ‘Reginella’ e ‘Ma se ghe pensu’ con classe veramente consumata e che egli dice: “..avrebbe voluto scriverle lui”...

 

...Ed è stato a questo punto che un giovane cantautore, Piero Ciampi, gli ha gridato: “Vai fuori classe!”, un’espressione convincente per un artista ‘out’ da certi schemi e lontano dal tiro di certi ‘incensati’ cantautori nostrani. L’atmosfera creata dalle sue canzoni: ‘Devi sapere’, ‘Anche se’, ‘Albergo a ore’, ‘Un uomo vivo’, Non andare via’, ‘Due poveri amanti’, ‘Ieri ho incontrato tua madre’, ‘Rileggendo vecchie lettere d’amore’, ‘La nostra casa’ ci hanno rivelato l’origine ‘bohemien’ della sua lunga stagione passata, che non è mistificazione di quell’esistenzialismo d’oltralpe che in lui diventa intimistico, si fa prezioso dell’opacità del fumo delle sigarette, del vetro crinato di pioggia (fuori è iniziato a piovere), del tepore del camino acceso nella hall che la fiamma, altresì sembra avvolgere la sua voce mite, così come la sua figura mitigata di poesia, contenuta nell’ombra del suo mondo di artista e di uomo.

 

Ho tralasciato volutamente di elencare le sue innumerevoli canzoni, perché sono ormai radicate nel tessuto della storia di noi tutti. In particolare una, però, non posso non citarla, ed è quel ‘Sapore di sale’ che – ricordo – mi fece conoscere la voluttà che può venire da un corpo di donna che si stende al sole e che ti giace accanto, con le sue calde promesse d’amore; e un’altra, permettetemi, quella ‘Come si fa, a non vendersi l’anima, quando sei tu che vorresti comprarmela, come si fa a sprecare anche un attimo, quando ti da la maniera di vivere”; oppure ‘Averti addosso’.

 

Ma basta, so che devo smetterla qui, altrimenti dovrete leggermi almeno per altre quindici pagine di ricordi e di sensazioni, di amori e quant’altro. A cominciare da quel ‘Insieme’ il grande concerto tenuto al Sistina di Roma nel 1985 con Ornella Vanoni, sua musa ispiratrice, prodotto da Sergio Bardotti (che va necessariamente citato per ciò che ha dato alla musica italiana), e con l’orchestrazione di Peppe Vessicchio, magistrale arrangiatore delle canzoni contenute nel doppio album che confermò il successo di quella serata indimenticabile. Voglio invece parlarvi di un primo ‘incontro’ avvenuto proprio nei primi anni ’50 tra Gino Paoli e Lea Massari in occasione della messa in scena di una commedia di Luigi Squarzina “EMMETI” al Teatro Stabile di Genova che segnò fortemente il Paoli compositore strumentale. Infatti i pezzi orchestrali ‘Il traffico’, ‘N°8’, ‘Eccetera’, poi arrangiati da Piero Soffici erano originali del cantautore genovese d’adozione.

 

Ricorda Luigi Squarzina: “Le cantilene di Gino Paoli scritte per “EMMETI” sembrano aver vinto l’usura del consumo più di tutta l’altra musica leggera italiana dal suo esplodere verso la fine degli anni ’50. Chi si è sentito nelle ossa in una ormai favolosa estate il ‘lieto fine’ della guerra fredda, svaniva il predominio della storia, si annunziava con la coesistenza pacifica l’irrompere di un vitalismo sfacciato e di un tecnicismo oltre le note, che associava le prime melopée di Paoli balbettate dai grammofonini fioriti dovunque, al sole delle spiagge d’estate”.

 

Il grande regista e commediografo teatrale (giustamente qui ricordato), aggiunse in riguardo a quella felice collaborazione: “Ci siamo parlati poco e ci siamo capiti molto, lo dimostra la sua penetrazione musicale di tutti i temi della mia storia: sia che abbia espresso in jazz l’incubo del traffico urbano o la banda di paese lo squallore di un luna-park ; o la canzone del titolo, una delle più belle dicono, che egli abbia mai composto, evitando da artista le trappole della canzone impegnata o da cabaret o weilliana; ed evocando tutti i suoni che ci divertono e stufano oggi, dalla bossa nova del ‘Gatto d’Angora’ allo shake di ‘Eccetera’. Se un canzoniere come il suo resiste alle spallate del ‘nuovo’, alla impazienza e volubilità del gusto adolescienziale, è per qualche valore di fondo, io credo, per l’impasto di sensualità e beffa e invocazione, per aver difeso l’amore con una piccola voce accanita e insinuante nel freddo e nel frastuono della morale capitalistica. E proprio per questo ho domandato a Paoli di riempire il juke-box di EMMETI che, oltre alla sua, ha permesso di conoscere la voce di Lea Massari, così lancinante, spiritosa, sbrigativa: un accoppiamento che da solo varrebbe a giustificare la vita di questo disco”. Un reperto archeologico questo disco, uscito nel 19... per la CGD – Messaggerie Musicali.

 

Scrive Gino Paoli, nella presentazione dell’album “Senza contorno solo...per un’ora”: “Se c’è una cosa che non mi va è guardare indietro, ricordare. Questo però è uno strano momento. Un momento di confusione, di delusione, di smarrimento ed io ho sentito il bisogno di riguardae quello che è stata la mia vita. Ricordarmi i visi, le situazioni, gli amici, gli atti, i modi di pensare e di vivere. Forse per rendermi conto del perché insieme a tutti anche io sono arrivato a questo capolinea. Come se un uomo vince, tutti gli uomini vincono (e questo è il vero significato dello sport), quando altri uomini perdono anche tu perdi. Allora è necessario trovarsi delle colpe o forse trovarsi degli alibi. Questo, quindi, potrebbe essere un esame di coscienza, un riguardare le cose in cui credevo, le cose che pensavo e che forse penso ancora o che forse non riesco più a pensare. Tutto oggi è contorno, tutto è rumore, tutto è confezione e io ho preferito togliere a quello che sono stato ogni abbellimento, ogni alibi, ogni struttura per lasciare la verità sola. Adriano Pennino (arrangiatore e produttore) mi ha aiutato come un catalizzatore perfetto a essere quello che volevo. Saenza contorno, solo un pianoforte. Poteva anche questo essere un titolo: ‘solo’. Mi sento sempre più solo, diverso da tutti, non d’accordo con nessuno. Sempre più isolato nel rifiuto. Rifiuto della violenza, che ci assale da tutte le parti, di tutti i tipi di violenza. È un uso, un costume: la violenza delle opinioni, delle urla, dell’aggressione, la violenza di volerti far pensare come fa comodo ad altri, la violenza dell’informazione che non ti da fatti ma opinioni, la violenza dell’inutilità e della stupidità. Anche la violenza dello spettacolo. Ho voglia di chiudere la porta. Ma Paola dice che se qualcuno venisse a bussare per parlarne un po’, io probabilmente la riaprirei di nuovo. Forse.

 

Quand'ecco la porta è stata da lui riaperta. Parliamo quindi dell’ultimo Gino Paoli, quello che va riscoprendo il jazz o, forse, dovrei dire, che più recentemente il jazz ha riscoperto lui. È del 2007 l'uscita della raccolta Milestones ‘Un incontro in jazz’, con la collaborazione di artisti come Emilio Rava, Danilo Rea e Roberto Gatto; riproposto nel 2011 all’Auditorium di Roma con Flavio Boltro, Danilo Rea, Rosario Bonaccorso, Roberto Gatto. È del 2009, quando Paoli ha compiuto i cinquant'anni di carriera artistica, l’uscita dell'album ‘Storie’; al 2012 risale la pubblicazione dell’album con Danilo Rea ‘Due come noi’. Beh che dire? Una riscoperta che sa di recupero del tempo perduto, dove l’amalgama col passato non è che un aroma che dal profondo sale alle labbra, per accorgersi che il ‘sale’ del tempo non ha perso il suo gusto, quel sapore che, a tratti, ci ha scaldato la vita.


Scrive ancora Gino Paoli: “Non potrei mai cantare la medesima canzone da più di quarant’anni, se ogni volta non fosse per me un’emozione diversa. E può succedere l’impensabile; che una serata, un certo pubblico, o un sogno fatto la notte prima, oppure un sorriso inaspettato che qualcuso mi ha rivolto durante la giornata, mi sbattano contro la canzone con un’intensità e un avvertimento di irripetibilità tali che, quando ci sono dentro fino al collo, non so più se l’ho già cantata, o se la sto scrivendo lì su due piedi. Magari mi sta componendo lei”.


Biblio - discografia utilizzata:
Gino Paoli, “Sapore di note”, una biografia. Editori Laterza 2005.
Gino Paoli e Lea Massari, “Le canzoni per EMMETI” – CGD – FGP 5027
Ornella Vanoni e Gino Paoli, “Insieme” 2Lp – CGD 21213
Gino Paoli, “Senza contorno solo ... per un’ora” – WEA LC 4281

Numerosi sono i premi riconosciutigli che è quasi inutile qui elencarli, pertanto rimando alla sua ‘biografia’ che si trova nelle pagine web a lui dedicate.
Vanno inoltre ricordati gli indimenticabili Giorgio Calabrese, Sergio Bardotti, Paolo Conte ed altri.

Molte le canzoni di sua composizione portate al successo da altri cantanti, come: Ornella Vanoni, Mina, Iva Zanicchi, Patti Pravo, Zucchero Fornaciari, ed altri ancora.

 


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