Non condanno la rosa o la mora
che scelgono le spine per la difesa
e per finire vengono alle mani.
Assolvo il dovere raccapricciante
del dolore procurato per sopravvivere
allo strappo tra noi e la terra, se non che
le radici vive macchinano il riavvio
delle fioriture. Sembra che si rivolgano
al cielo da commilitoni. Come interrata
la prima vera mente sul miracolo in erba:
si ripete, quindi genera greggi e per tempo
adopera la santa veste verde per cogliere
spunti di nuove generazioni al passo corrente.
Tatto e udito dal punto di vista dell’odore
aspirano all’universo nei limiti della radura.
In questo piccolo spazio, dove annaspa
l’ex uomo del grano col suo numero per intero,
l’infinito prende parte perché tanto gli torna,
a noi rimane la spina del nome. E nel nome
più vuoto conquista una cosa per volta
all’oscuro che da tempo ci provoca.
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