Pubblicato il 18/01/2017 22:23:34
CRISTIANA FISCHER … o la forma ‘poetica’ del levare.
“Finalmente non ho altro da fare che scrivere poesie…”, annuncia l’autrice di un certo numero di liriche inviate e pubblicate sulle pagine di larecherche .it , la rivista letteraria intitolata all’opera magistrale di Marcel Proust che nelle sue pagine annovera, oltre a una sezione specifica dedicata alla poesia, anche un Premio annuale “Il Giardino di Babuk”, quest’anno giunto alla sua IV edizione. In realtà non conosco se la poetessa le abbia mai inserite in una raccolta o se abbia mai partecipato al suddetto Premio, al quale altresì le rinnovo l’invito. Tuttavia, poiché in alcune sporadiche occasioni ha rivolto la sua attenzione con particolare sensibilità e profondità a testi pubblicati da altri poeti presenti nella rivista, e nello specifico ai miei, ho pensato di rivolgere uno sguardo attento alla sua produzione letteraria, seppur riferita alle sole poesie, non tantissime, che mi è dato leggere, nella speranza di farle cosa gradita. Inutile dire che non conosco di persona l'autrice e che quindi non so nulla di lei, l’unico fatto rilevante della sua scrittura è contenuto in quell’incipit cui ella affida la sua esistenza poetica, quasi fosse nebbia notturna di una memoria antica, nella quale si smarrisce e si ritrova, barricata o forse protetta, dietro un argine che divide due sponde: l’amore cosmico fervido e instabile per tutto ciò che ruota attorno al creato, con particolare attenzione alla natura arborea e floreale in cui ha scelto di vivere; e la mite animalità corporale che si scioglie nell’ascolto di echi deliranti e perduti come per un convito di adescamenti dentro lo specchio imfranto del tempo …
‘Ma la morte non ha cuore se il cuore non muore’ - scrive la penna della poesia universale. È allora che nella vana ricerca della propria esistenza l’eco che dal bosco profondo sale, sollecita l’orecchio all’ascolto interiore dei propri ‘spazi frattali’, di quegli interstizi ‘transgenici e transcorporei’ che danno forma al soggetto impersonale che s’agita nell’anima corporale del suo essere ‘perdutamente umana’:
“ah non sono io né qui né lì, né viva né mai più io.. (...) brava! brava! mi dicono è così difficile capire che amo e si capisce se si ascoltano parole dell’amore tra parole che d’amore non parlano se non per amore rivolte e indirizzate (...) che nel campo d’onde collegato non entra in risonanza né in interferenza piane virtuose verdeggianti infiorate che l’aria non impregnano (...) l’infinito sentire del reale chiamare domandare il mio cieco amore incapace di dare”
Non siamo ancora alla ‘forma poetica del levare’, abbiamo solo sfiorato lo specchio infranto dell’acqua amniotica in cui la vita conosce la sua germinazione, e ne trascrive le ‘note’ sul pentagramma della futura esistenza:
“…è la poesia che scrive me, (...) ballando leggerezza sulle punte" (...) ‘ma accoglie la memoria altrui cercando la bellezza nel creato’ (nota d’autore) (...) "metti il tono del verso dove vuoi..”
Quel ‘levare’ che in musica anticipa e segue il ‘battere’ determinando l’andamento ‘lento’ o ‘presto’ del tempo, qui espresso come tempo assoluto: ‘afferente e discendente’ che s’intende perseguire nella vita e che, a mio parere, è la chiave di lettura del connubio musica-poesia di Cristiana Fischer, per quanto frutto di una rivisitazione che la rapporta a un presente mai definitivamente accettato. E, tuttavia ricca di una scrittura paritetica tipica del ‘canto e controcanto’ nell’uso che ne facevano gli antichi aedi, con la quale evocavano gli déi, gli spiriti dei boschi e le ombre dei defunti o, anche, la turgida fertilità dell’inverno davanti al rigenerarsi del creato:
“siamo gli spiriti dell’aria ci distingue fogliolina all’ascella del ramo siamo ospiti invisibili in corpi penetrabili siamo incontri e influssi di sostanze viventi siamo rari natanti in vortice vitale ci incalza la tempesta infernale e scorrendo memoria rendiamo tributo al Maestoso tremore siamo come i viventi nel liquore della profondità in densità oscura corpi di marea colonie di organi radici e architetture di ingegno in misure di conoscenze vere che certezza chiama in vari modo primario riconoscimento relazione ai vivi orientamento figurale in intrico d’ampiezza”
C’è una sorta di verità sottesa in ciò che la poetessa Cristiana Fischer scrive ma che non riesce ad esternare appieno in una compiuta ‘simmetria concettuale’, causa la quale il suo linguaggio si scompone in ‘incertezza simbologica’, pur nella volontà “di ampliare la distanza del rapporto” e nello “sforzo di nominare la differenza dove sembra esserci in-differenza”. Un’incertezza questa che, riflessa nello specchio-magico dell’alterità, è inevitabilmente soggetta alle più diverse interpretazioni, quasi le molteplici immagini in essa sollecitate trasfondano in una unica identità … come appunto nella lirica qui riportata:
“guardami e guardati allo specchio io profondità del tempo tu segno invertito in simmetria io misura tu i meandri del tratto io trasparenza tu il riflesso e sia lucemateria o gibigianna io invisibile nella distanza tu immagine cieca in lontananza apri un varco alla mia figura e fissa la mutevole sembianza ferma le danze del pensiero in forma artiglio del vero”
Tanto basta a descrivere l’addivenire di ‘viaggi interiori’, di un superamento di ‘soglie’ che, oltrepassato il muro del silenzio, introducono alla musica delle sfere, vicine a quel ‘levare’ che s’apre alla creazione, in cui cede l’incertezza di essere alla prerogativa del sapere, onde la conoscenza si trasforma in luce, dove finanche la morte diventa spoglia vivente:
“..ascolta – mi dice – il silenzio ascolta l’eterno il vuoto che insidia i tuoi sensi (...) ..mi concentrerò per non morire non in meditazione che condensa la mente e il corpo in materia densa secca e imbalsamata in materia abbandonata al suo scadere in sostanza naturale trasformata a sola essenza spirituale (...) ..mi solleverò per non morire sarà beato lasciare le spoglie viventi alla materia inerte e volare in trasformato ente spirituale”
Ma all’assenza invocata fa riscontro la presenza cosciente d’essere qui ed ora a confrontarsi col quotidiano, con la cronaca dei giorni che infligge frequentazioni e continue domande sulla perplessità del vivere: “memoria da creare … allevare ricordi?”. Come un grido levato a chiedere perché?, che pure è scritto tra le righe delle sue poesie ma che non leggiamo e forse non leggeremo mai, perché la sua forza (o forse la sua debolezza) ricade nell’incapacità di quel ‘levare’ la voce a sostegno o al diniego di una qualche affermazione che la poesia non richiede e non concede ad alcuno:
“prima cadranno le foglie dei frassini colore d’arancio e di vino e gli aceri color di mora e il sorbo rosso trionfale un solo giorno spoglierà di vento
l’ulivo resta nei suoi fumi grigi versanti. Intorno la foresta di rami all’aria bianca (...) attesa d’inverno che asciuga nuovi succhi di carne artiglio d’ignoto sulle vesti in fila i migranti respinti come antichi popoli che hanno perso la terra le luci e il freddo in una morsa (...) che stringe gente libera alla fatica a obbedire e servire perfino”
‘fratelli di una schiavitù nuova’ (nota d’autore)
Sul levare * (C. Fischer) “..se seguito a sottrarre – nel comporre poesia / resterà un testo di premesse / di avvertimenti e rimandi … all’inespresso / allusioni al senso del tutto / illusione che sia sostanza (del) reale / non fiato e finzioni … di parole / nel sacchetto di pelle gusci secchi / ai confini dell’intonazione / segno l’accento dove tu / l’intento: è sempre ‘forma del levare’ sul rumore …”
Il ‘lavoro’ del poeta: “.. una grande stanza / un musicista d’avanguardia con le iridi blu // e un’ampia pupilla / soffice come un cuscino / in effetti stavo dormendo / e nessuno guardava fuori / (…) tutto avveniva in un vecchio appartamento /(…) lavoro sullo schermo con cinque finestre / la posta una conversazione (anche due) / i testi poetici e un articolo / di scienza o di filosofia / splendidamente si intrecciano / scherzo sorprese e fantasia / e quel trasporto mentale / che la realtà virtuale dispone / nella contemporanea fruizione / di affetti ragione e armonia /(…) la poesia è scrittura concentrata / in cui le parole si concertano non solo / si rinforzano di significato / si contraddicono si innamorano / l’una dell’altra e cercano parentele / e lontane amicizie e procreano / succedanei curiosi o progettano / cattedrali e teorie /(…) se rinasco divento musicista / non parlo più / scompongo inseguo afferro / mi arrendo mi confonde mi consuma / il tempo /(...) ah la poesia, che eterna, / felicità del parlare del pensare / e del ragionare! /(…) segno l’accento dove tu … / metti il tono del verso dove vuoi / (…) ma io rido e vedo conflitti / aspetto paziente sfortuna e malanni / e scherzo sul tempo che mangia la vita /(…) ma ora da sveglia c’è solo il presente / e un anchilosante futuro /(…) non oggi non ho fantasia / solo tragici avvertimenti di follia /(…) ma un dio inconoscibile e muto / ascolta!, mi dice nell’anima mia”
Cristiana Fischer ha scelto di vivere in un bellissimo bosco delle montagne abruzzesi, “dove finalmente – come lei stessa scrive – non ho altro da fare che scrivere poesie “, che pubblica in rete sul sito Poliscritture, su Facebook e sulle pagine di La Recherche.it , sezione ‘poesia’.
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