Ogni prima domenica del mese si svolge, nella mia città, il cosiddetto “mercatino della memoria”, il quale espone diversi oggetti di uso quotidiano appartenenti al periodo della Bonifica delle Paludi Pontine. Ci sono persino dei libri, cartoline e francobolli sul Duce; il fine è sempre stato quello di non dimenticare le nostre origini. Ancora oggi, quel mercatino è situato nel bel mezzo della piazza centrale, dove uomini, donne, vecchi e bambini si aggirano con curiosità e stupore fra le bancarelle. Oltre a loro, c’è sempre chi rimane seduto sulla panchina a parlare dei vecchi tempi o a lamentarsi delle nuove generazioni; oppure c’è chi si gode la propria giovinezza gironzolando – o chattando – con i propri compagni di scuola.
Fin da quando ero piccola, ci andavo solamente per i libri; anche se c’erano già due librerie nelle vicinanze. Una di quelle la gestiva Pietro, un amico d’infanzia dei miei genitori, dal quale mi portavano spesso, dopo la scuola. Tutti i libri che avevo chiesto per il mio compleanno e per Natale venivano da lì.
Ogni volta che Pietro e i miei genitori ricordavano i tempi andati, gironzolavo fra gli scaffali per dare uno sguardo ai dorsi, alle copertine e alle sinossi. Inizialmente, la carta aveva un odore ostile alle mie narici, ma con il passare del tempo me ne innamorai.
Ogni volta che andavo da Pietro avrei voluto svuotare l’intero negozio, ma mi limitai a scegliere un solo libro.
Provai un certo dispiacere quando seppi che Pietro aveva chiuso bottega. Sarà stato perché, in quello stesso periodo, fu aperta una libreria appartenente alle grandi catene che vendevano anche DVD, Blue – Ray Disc e CD musicali; vendevano persino dei vinili, che a quanto pare erano tornati di moda.
Quando entrai per la prima volta in quella libreria nuova, mi era sembrato di tradire il povero Pietro, anche se non l’avevo più rivisto. Ciononostante comprai delle edizioni economiche dalle copertine flessibili, mentre al mercatino andavo a caccia di prime edizioni dai prezzi stracciati.
Alla fine degli anni duemila, frequentai il liceo classico e feci amicizia con una compagna di classe di nome Adriana. Era la più bella della classe; di certo lo era più di me. Era alta, snella, abbronzatissima e con dei capelli setosi; mentre io ero tozza, lentigginosa e miope, con dei capelli rossi.
Non so esattamente come nacque questo rapporto tra lei e me, dato che non avevamo gli stessi interessi; ad Adriana piacevano le boy band, i reality show del quinto e sesto canale e parlare di ragazzi che le correvano dietro. Ogni volta che le parlavo di letteratura, o quando l’aiutavo con le traduzioni di greco e latino, non faceva altro che dire <<ma basta co ‘sti libri!>>
In una di quelle prime domeniche del mese, la invitai persino al mercatino, ma non appena arrivammo, Adriana preferì andare nei negozi circostanti per fare shopping; mentre io decisi di proseguire con il mio solito giro.
In quel giorno arrivai ad acquistare due romanzi e una raccolta di poesie con la mia solita paghetta settimanale. Mentre cercavo di raggiungere Adriana, non resistetti all’idea di perlustrare un’altra bancarella, quella che vendeva dei testi introvabili. Fra questi trovai persino un testo giovanile del mio scrittore preferito in perfette condizioni. Era un romanzo breve che scrisse all’età di sedici anni e che venne pubblicato poco dopo la sua morte. Presi quel libro tra le mani, e gli accarezzai il dorso e la copertina rigida, prima di rimetterlo al suo posto.
Quando cercai di allontanarmi, il mio sguardo continuò a rivolgersi a quello stesso libro; sembrava che mi stesse chiamando. Mi pareva di sentire la voce rauca e gioviale dello scrittore che stava cercando di sedurmi. Non faceva altro che dire <<sfogliami! Sfogliami!>> Dopo qualche secondo, cedetti alla tentazione. Rimasi attratta dalla carta e dai caratteri del testo. L’incipit sembrava fedele allo stile del suo autore, oltre ad essere ben scritto.
Stavo quasi per chiedere il prezzo al proprietario della bancarella, ma in quell’istante il mio cellulare iniziò a squillare. Era Adriana. Diceva che si era stancata di stare in centro, e mi pregava di raggiungerla ad un suo negozio abituale.
Essendomi lasciata trasportare da quell’urgenza della mia cosiddetta amica, misi giù quel libro e iniziai ad affrettare il passo; quando mi trovai a metà strada, ebbi un ripensamento e tornai indietro, ma il libro non c’era più. Era già stato venduto un minuto prima del mio ritorno.
Ci rimasi molto male. Mi domandai il motivo per cui avevo esitato così tanto all’idea di comprarlo. Con quel prezzo stracciato poteva essere un affare!
Ci pensai giorno e notte, anche durante gli orari scolastici.
Nel tentativo di mettermi l’animo in pace, lo andai a cercare nelle poche librerie rimaste in città – anche in quelle che vendono dei testi scolastici – ma niente! Dicevano che era fuori catalogo.
Com’è possibile che un lavoro postumo di un grande artista possa avere minor vita rispetto agli altri?
In un pomeriggio come tanti, stavo facendo i compiti di matematica, fisica e inglese, mentre Adriana attendeva che si asciugasse lo smalto sulle unghie. All’inizio voleva che le facessi io i suoi compiti, ma le dissi di no perché i nostri professori se ne sarebbero accorti. Mentre studiavamo, le raccontai ancora una volta di quel libro e di come lo avessi cercato senza alcun risultato.
Adriana mi consigliò di cercarlo su Internet, ma all’epoca non sapevo che ci fossero delle librerie online. Davanti ai suoi occhi, sembravo appena riemersa dal Paese delle Meraviglie.
Dopo aver navigato per un paio di minuti, riuscimmo a trovare quel libro. Ero così contenta; ma il prezzo si avvicinava ai novanta euro, ed era rimasta una sola copia! Come se non bastasse, il pagamento avrebbe dovuto essere effettuato tramite una carta di credito.
<<Non ce l’ho una carta di credito! I miei genitori mi hanno detto che me la daranno dopo i miei diciott’anni!>>
<<E allora usa quella dei tuoi!>>
<<Ma sei pazza? Mi ammazzerebbero!>>
<<Stammi a sentire: sono giorni che parli di quel libretto e già m’hai rotto il cazzo! Perciò, prendilo e basta!>>
In quel momento, pensai di non avere altra scelta. Era pur sempre rimasta una sola copia; perciò decisi di usare la carta dei miei genitori; ma siccome lavoravano nel pomeriggio, aspettai fino a tarda notte per prenderne una dalla borsa di mia madre. Durante il pagamento, usai persino il suo nome sulla casella del titolare, e dopo aver compilato tutti gli altri dati, riuscii ad ordinarmi quel libro, che sarebbe arrivato dopo due settimane. Il conto invece arrivò su quello di mia madre il giorno seguente. Sapendo già che non era stato mio padre a spendere novanta euro per un libro, mi chiese se avevo qualche spiegazione da darle. Non appena confessai di averle rubato la carta, mi diede uno schiaffo così forte che mi rimase l’impronta della sua mano per diverse ore. <<Quella carta serve per le cose più importanti, e non per delle cazzate>> disse lei. Mi mise in punizione per un mese intero, e mi era concesso di uscire solamente per andare e tornare da scuola.
Quando arrivò il libro, mia madre se lo voleva tenere, ma mio padre – non so come – la convinse a lasciarmelo.
<<Spero che ne sia valsa la pena!>> disse mia madre, prima di lanciarmelo sul letto per poi chiudere la porta della mia stanza. Così passai il mio mese di punizione leggendo quel libro tanto agognato.
Continuai a pensare che lo stile di scrittura fosse quello del suo autore, ma rimasi altamente delusa dalla storia. Era qualitativamente inferiore rispetto ai suoi lavori più celebri; i personaggi erano bidimensionali, mentre i dialoghi non rispecchiavano le loro caratterizzazioni; tanto meno il loro contesto sociale.
Mi arrabbiai moltissimo con quel libro per avermi sedotta e ingannata. Pensai <<com’è possibile che uno dei miei autori preferiti abbia scritto una cosa simile?>> Pensai persino di essermi meritata quella punizione, dato che avevo derubato mia madre per nulla.
Sicuramente non ero in vena di parlare con lei o con mio padre, ma sentii comunque il bisogno di confidarmi con qualcuno. Telefonai ad Adriana, ma mi disse che non poteva stare al telefono perché stava uscendo con uno dei nostri compagni di classe che le faceva la corte. Dopo quella telefonata capii che quella ragazza non c’entrava niente con il mio mondo e che meritavo un’amica migliore; in effetti, dopo aver concluso l’anno della maturità, non la rividi più.
Alla fine mi accorsi che c’era solamente una persona che mi avrebbe potuto capire più di tutti gli altri, e quella persona sarebbe stata Pietro; ma non avevo il suo numero di telefono, e non sapevo nemmeno il suo indirizzo. Poco dopo lo ritrovai sui social e gli domandai se fosse possibile passare a casa sua nei prossimi giorni. <<Ti andrebbe bene per domani?>> mi scrisse Pietro sulla chat, e io gli risposi affermativamente.
L’appartamento dove viveva Pietro si trovava lontano dal centro, ma vicino a dove si trovava la sua ex libreria, che oggi è diventata un salone per barbieri.
Quando io e Pietro ci ritrovammo l’uno di fronte all’altra, si rivelò alquanto emozionato nel vedermi trasformata in un’adolescente. Mi disse che sembrava ieri da quando ero una bambina curiosa e loquace. Egli non ci pensò due volte nell’invitarmi ad entrare. L’appartamento era vecchio e molto piccolo, mentre il suo salotto era stracolmo di libri, che formavano delle colonne alte un metro e mezzo; molti di quelli erano in fase di lettura, altri invece erano semplicemente trascurati. Ricordo che a quei libri diede l’appellativo di “colonne infami”. In quello stesso appartamento ebbi l’occasione di conoscere sua madre, Bice, una signora di novant’anni di origini venete che, purtroppo, soffriva di demenza senile, dato che continuava a chiedermi come stessero i miei genitori ogni due minuti; a quella donna davo sempre delle risposte affermative e cordiali. Poco dopo, Pietro chiese impazientemente a sua madre di lasciarci soli.
Vedendo Pietro dopo tanti anni notai fin da subito che aveva perso qualche chilo, mentre i suoi capelli si erano diradati. La sua folta chioma scura sembrava un lontano ricordo. Dopo avergli raccontato dei bei voti che prendevo a scuola, Pietro mi riferì della sua vita da interinale e che aveva iniziato da poco a scrivere racconti e articoli per una rivista virtuale. Mi parlò anche di quanto fosse arduo trovare dei soldi per pagare le bollette e le spese mediche per sua madre. Oltre a ricorrere alla pensione della signora Bice, il povero Pietro doveva chiedere sostegno a sua sorella e vendere clandestinamente alcuni libri della sua ex libreria. Mi era sembrata un’operazione rischiosa, ma c’è di peggio in questo mondo.
<<Per il resto che mi dici?>> mi domandò Pietro, mentre io gli raccontai del libro e dell’odissea che avevo vissuto nel cercarlo. Subito dopo, Pietro si alzò dalla propria sedia, e iniziò a cercare qualcosa in mezzo a quelle colonne. A sorpresa mi passò una copia di quello stesso libro!
<<Potevi chiederlo a me invece di derubare tua madre!>>
<<Hai ragione. Ho sbagliato. È che … mi vergognavo.>>
<<Di che?>>
<<Per averti tradito con quelle librerie nuove.>>
<<Non lo devi dire neanche per scherzo! Qualsiasi libraio sarebbe fortunato ad averti come cliente.>>
<<È vero che in quella libreria mi diverto da matti, ma nessun’altra è come la tua.>>
Nell’istante successivo, Pietro mi domandò se quel libro mi fosse piaciuto, e io gli risposi negativamente, a costo di offendere uno scrittore defunto che ammiravo fin da quando ho memoria; ma Pietro mi rispose: <<capisco che è un’opera abbastanza acerba, ma è pur sempre il tuo autore preferito. Si è dovuto impegnare tanto per migliorare la sua tecnica e scrivere tutto ciò che hai letto fino ad oggi. Un giorno potrebbe capitare anche a te, sempre che tu voglia fare la scrittrice.>>
<<Sono anni che non ci penso! Però i miei professori dicono sempre che scrivo dei bei temi.>>
<<Non ne dubito affatto. Ricordo che quando eri bambina, dopo averti venduto le fiabe di Andersen, o qualche Roald Dahl o Harry Potter, avevi già cominciato a scrivere delle favole, e ce le leggevi ogni volta che venivo a cena da voi.>>
Non mi ricordavo di questo particolare, ma gli dissi di colpo che erano anni che sognavo di pubblicare un romanzo, ma i miei genitori desideravano che trovassi un impiego sicuro per il mio avvenire. Pietro mi consigliò di non smettere di scrivere e di non lasciarmi abbattere dalle critiche, a prescindere dal tipo di mestiere. Più continuerò a scrivere, più riuscirò a trovare il mio stile.
Dopo quell’incontro con Pietro, mi ritrovai ancora una volta con quel libro tra le mani, e capii che essendo stato scritto da uno dei miei riferimenti letterari avrei dovuto amarlo incondizionatamente; perché era pur sempre una sua creatura. Perciò presi una penna biro e ci scrissi il mio nome e cognome – e anche la data di acquisto – per poi inserirlo nel bel mezzo dell’intera opera del suo autore.
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