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Piero Ciampi: il suo tempo ... il nostro tempo.

Argomento: Musica

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 15/12/2011 16:08:38

PIERO CIAMPI: il suo tempo … il nostro tempo.

Rivisitazione di un articolo apparso su “Nuovo Sound”, 18 Novembre 1974 col titolo: “Il paroliere questo sconosciuto”.

20.000, 40.000, 100, 1milione, 2milioni, 3milioni, 4milioni. Merda! La fortuna è dall’altra parte, chissà mai perché? E tu Piero non l’hai giocata tutta. Fra tante tiritere volte unicamente a un facile consumo, c’è da stupirsi come il conformismo non abbia ancora soffocato gli sporadici casi di talento!”.

È il caso di Piero Ciampi, come dice il testo di una sua canzone. Nato a Livorno il 28 settembre di qualche tempo fa, dopo le scuole regolari si iscrive a Ingegneria e comincia a studiare la chitarra mentre suona il contrabbasso in un piccolo complesso locale. E pur avendo il “senso” della musica come si suol dire “dentro”, non è soddisfatto della via intrapresa. Seguono anni di incertezza e di delusioni, soprattutto è deluso delle grandi città. Dopo Roma e Milano, si reca a Parigi, dove si accosta al modello culturale degli chansonnier francesi Brel, Brassens e altri. Fatto questo che lo vedrà interprete sofisticato e tuttavia amaro di un certo essere non proprio ma che lo condurrà a formarsi un suo stile originale e che caratterizzerà il suo genere. È tuttavia nella capitale francese che Piero comincerà a raccogliere i primi riconoscimenti, tanto da divenire popolare prima all’estero che in Italia col nome di Piero Litaliano (senza apostrofo) e con il quale firma le sue prime canzoni: “Fra cent’anni”, “Autunno a Milano”, “Fino all’ultimo minuto”, “Confesso”, “Lungo treno del Sud” musicate da G. F. Reverberi.
Le sue a dire il vero non sembrano, o forse non vogliono essere canzoni, o almeno, non solo canzoni. Piuttosto affascina l’intensità delle sue interpretazioni “recitate” più che “cantate” pur contenendo quella indissolvibile musicalità che è insita nella poesia delle sue parole, che anzi, dobbiamo considerare più come “poesie che parlano d’amore” che semplici canzonette. Sebbene, l’amore di cui Piero parla e fa parlare è un amore al limite del sentimento d’amore, fatto di quotidianità, di piccole cose e di grandi affetti. L’amore, questa parola magica che fa soffrire, anche quando, o forse soprattutto quando: “… non ho una lira e tu lo sai, perdonami, sono uno strano uomo che può frequentare solo te.. abbracciami.. se ti procuro dei guai.. il dolce non lo mangi quasi mai.. perdonami, il segreto di un amore in dissolvibile fatto di piccole cose.. una presenza.. una carezza, un bacio”.
Le canzoni di Piero potrebbero esistere anche senza note, perché, come dicevo pocanzi, possiedono un colore proprio, una cadenza musicale naturale: "egli canta il suo mondo vero, che non gli risparmia la tristezza che raccoglie intorno a sé, pur annientando senza lasciare scorie, ogni superflua malinconia, ogni accademia del dolore, che nelle sue parole diventa disperazione o più semplicemente verità (sociale); scontata se volete, e che pure ci restituisce quel certo sarcasmo (molto livornese) che è racchiuso in ogni sua frase". Ciò che più colpisce noi ascoltatori (di ieri e di oggi) è sentire il gravo dei tanti stupidi pensieri che affollano la nostra esistenza, il tarlo della coscienza che graffia l’antica indifferenza: “… cosa resta di noi due, resta un’ombra che fugge nel mattino e un bel viso nella testa, è successo un caso strano non ti ho amato e non ti amo, ma non capisco la tua scelta.. perché vai sempre contro il tuo destino”; “impariamo ad amare la vita con le sue manchevolezze, leggerezze, piccole soddisfazioni senza soddisfazione..”.
È così che Piero ci racconta le piccole grandi verità della vita di tutti i giorni, tragiche e no nel contrasto e nel compromesso esistente tra vigliaccheria, ipocrisia, pregiudizio, ignoranza; non a caso parla dell’amore come del solo stato d’animo capace di farci continuare a vivere o, forse, soltanto a sperare. Ma parlare a un “paroliere” suona oggi cacofonico, come dire, fuori luogo, se non addirittura un controsenso. Tuttavia, se vogliamo rendere giustizia a un autore di “testi di canzoni” quale Piero Ciampi in fondo è stato, o solo per soddisfare la necessità di fare luce su questo “sconosciuto della penna”, se non altro per rendere giustizia alla sua capacità di sensibilizzare entro delle semplici frasi i propri e gli altrui sentimenti frustrati, richiede qui di dover dare una valutazione letteraria, o quanto poetica, della sua stessa personalità artistica. Tuttavia, volendo qui tratteggiare un suo ritratto, mi viene da dire che la sua figura come “autore” si rivela inquieta, sradicata da un contesto sociale propriamente detto, che indubbiamente riguardava una certa società degli anni in cui ha vissuto, e di quanti come lui che non erano propensi a concedere né a sacrificare nulla alla notorietà o a un discorso esclusivamente discografico.
Il suo percorso, anzi togliamolo anche da questa cornice, assomiglia a quello di un “ubriaco della vita” che a un certo punto del suo peregrinare incontra il favore di un altro artista straordinario, Gino Paoli, anch’egli autore di tante bellissime canzoni, che s’innamora dei versi delle sue “poesie” e le trasforma in altrettanti successi: “Hai lasciato a casa il tuo sorriso”, “Fino all’ultimo minuto”, “Lungo treno del Sud” che fece conoscere Piero al grande pubblico dandogli quella notorietà che come autore meritava:

Lungo treno del Sud /che a mezzogiorno/passa accanto al mio campo/distruggendo un silenzio..
È tardi/per pensare all’amore/e per andare sui monti/a parlare col sole di noi due..”
“Gira la ruota/e la fune del tempo/ci fa far l’altalena/e un bel giorno si spezza..”
“Ora che non ci sei più/io desidero silenzi,/infiniti silenzi/infiniti deserti/ usignoli tutti bianchi e pensieri sereni/ su una strada piena di luce/ che non ha mai fine..”
“La polvere si alza/nasconde la tua ombra e chiude i miei ricordi/in fondo a questa strada.. La polvere si alza, nasconde queste pietre/è come la mia voce che non ha più parole ..”
“Non chiedermi più/chi di noi due ha ragione/ma pensa a quel tempo/che abbiamo vissuto insieme/pensa alla pazienza/che ho dovuto avere..”.

Ma si era nel lontano 1961 quando grazie all’amico Paoli ci si accorgeva di Piero Ciampi, di questo paroliere schivo e arrabbiato rimasto fedele ai suoi principi, alle sue idee spontanee e illuminate che non danno mai la sensazione di un lavoro fatto “a tavolino” quanto invece lasciano all’immediatezza del momento creativo. Seguiranno altre canzoni, altri accostamenti musicali, come ad esempio la sua collaborazione con Gianni Marchetti, determinante nella continuazione e nella traduzione visiva di certe atmosfere notturne (sfigate) e degli stati d’animo dell’autore.
Dopo verranno gli anni di “L’amore è tutto qui”, “Io e te, Maria”, “L’incontro”, “Ma che buffa sei”, o delle più socialmente impegnate come “Andare, camminare, lavorare”, “Ha tutte le carte in regola”, “In un palazzo di giustizia”, “L’assenza è un assedio”, solo per citarne alcune, in cui il “paroliere, questo sconosciuto” è l’interprete, o se preferite il protagonista della propria storia, per lo più autentica, che possiamo definire autobiografica, di un autore che ha fatto della propria realtà “la storia della propria vita”. Paragonabile, solo per certi versi, ai francesi Brel e Brassens, Piero Ciampi ha fatto scuola tra i nostrani “cantautori” che hanno visto in lui un precursore dei tempi, e pur essendo in molti ad essersi messi sulla sua strada, non tutti possono dirsi suoi continuatori.
Oltre all’intramontabile Gino Paoli, troviamo Umberto Bindi, Luigi Tenco e, per un certo verso, il più originale, musicalmente parlando, Paolo Conte. Si dovrà attendere Sergio Endrigo per ritrovare il senso “intimistico” profondo della canzone d’autore e, più recentemente, affidarci a Sergio Cammariere e certamente a Gianmaria Testa che, a ragione, considero il suo più diretto continuatore, sebbene abbia ampliato lo spazio d’azione del Piero introverso, liberando la sua ispirazione oltre i confini in cui era segregata, al di fuori di quel mondo piccolissimo che in Ciampi era il suo “io”, seppure limitato e allo stesso tempo grandissimo. Così come possiamo vedere nella sequenza dei testi trascritti qui di seguito.

Delicato e infrangibile come in “Bambino Mio” di Ciampi /Pavone/Marchetti:
"Pian piano/per la strada/tu mi tieni /per la mano./Caro caro/ nel giardino/tu mi vieni/ più vicino./Forte forte/con amore/tu ti stringi/sul mio cuore./Senti senti/vuoi tornare/ da quell’uomo dei palloni./Piano piano/dici sì/poi finisce/tutto qui./Lento lento/passa il tempo/non so proprio/cosa fare./Tu capisci/e vai a giocare/col bambino più vicino./Quando vedi/che ti parlo/tu fai finta di volare./Fai due passi /tocchi terra/per il mio compiacere./Io ti guardo/faccio sì/poi finisce/tutto qui./Piano piano/viene sera/tu mi tieni/per la mano./Senza dire/una parola/noi sappiamo/di tornare./Forte forte/con amore/tu ti stringi/sul mio cuore./Senti senti/mi fai tu/che la mamma/viene su./Torna presto/faccio sì/poi finisce/tutto qui".

Così come in “Te lo faccio vedere chi sono io” dove si rintraccia un certo straordinario Jannacci:

"Una regina come te in questa casa?/Ma che succede?/Ma siamo tutti pazzi./Ma io adesso sai che cosa faccio?/Che ore sono, le undici?/Io fra, guarda, fra cinque ore sono qua/e c’è una casa con 14 stanze./Te lo faccio vedere chi sono io./E che sono quei cenci che hai addosso, ma che? Ma fammi capire,/ma se, ma io, ma come/tu sei la mia e stiamo in questa stamberga coi cenci addosso?/Ma io adesso esco,/sai che cosa faccio?/Ma io ti porto/una pelliccia di leone con l’innesto di una tigre./Te lo faccio vedere chi sono io./Senti però, tanto però c’è un problema./Siccome devo uscire/mi puoi dare mille lire per il tassì,/in modo che arrivo/più in fretta a risolvere questo problema volgare che abbiamo./Te lo faccio vedere chi sono io./Lascia fare a me, lascia fare a me,/lascia fare a me, perché?/Ti devi fidare./Ma che cosa ti avevo detto, una casa?/Ma io sai che cosa faccio?/Ma io ti compro un sottomarino./Perché, se qui davanti a casa nostra/quelli hanno una barca/e rompono le scatole/io ti compro un sottomarino./Così sei, li fai ridere tutti questi, hai capito./Intanto facciamo una cosa./Io tra cinque minuti sono qua./Tu metti la pentola sul fuoco/ci facciamo un bel piatto di spaghetti al burro/mentre aspettiamo il trasloco./Poi ci mettiamo a letto e/te lo faccio vedere chi sono io./Ti sganghero!/Te lo faccio vedere chi sono io./Te lo faccio vedere chi sono io./Sono un uomo asociale, ma sono un uomo che ti../Io non te lo compro un sottomarino/ti compro un transatlantico./basta che tu non scappare,/perché se scappi col transatlantico/ti affogo nell’Oceano Pacifico./ Dai, dai coricati che te lo faccio vedere chi sono io".

Mentre in “Andare camminare lavorare”, c’è già incluso Rino Gaetano, e Adriano Celentano della Via Gluck e tanti altri:

"Andare camminare lavorare/andare a spada tratta/banda di timidi/di incoscienti d’indebitati/di disperati./Niente scoramenti/andiamo/andiamo a lavorare./Andare camminare lavorare./Il vino contro il petrolio./Grande vittoria,/grande vittoria/grandissima vittoria./Andare camminare lavorare./Il meridione rugge./Il Nord non ha salite./Niente paura/di qua c’è la giustizia./Andare camminare lavorare./Rapide fughe, rapide fughe, rapide fughe./Andare camminare lavorare/i prepotenti tutti chiusi a chiave./I cani con i cani nei canili./Le rose sui balconi/I gatti nei cortili./Andare camminare lavorare./Andare camminare lavorare./Dai, lavorare!/ E che cos’è questo fuoco?/Pompieri, Pompieri!/Voi che siete seri,/puntuali,/spegnete questi incendi/nei conventi/nelle anime/nelle banche./Andare camminare lavorare./Queste casseforti che infernale invenzione./Viva la ricchezza mobile./Andare camminare lavorare./Andare camminare lavorare/ lavorare, lavorare, lavorare./Andare camminare lavorare./Il passato nel cassetto chiuso a chiave./ il futuro al totocalcio per sperare/ il presente per amare/ non è il caso di scappare./ Andare camminare lavorare/ Andare camminare lavorare./Dai, lavorare!/Nutriamo il lavoro, alé/ Gli agnelli pascolare con le capre./Fra i nitriti dei cavalli/questi rumorosi!/Vigilarsi tutti./La truppa dei pastori./Andare camminare lavorare./Niente paura./ Azzurri!/Azzurri!/Attaccare, attaccare, /attaccatevi a calci nel sedere, che cazzo!/La domecica tutti sul Bordoi a pedalare/lavorare, pedalare, lavorare./Con i contanti/all’osteria con i contanti/ tanti tanti tanti auguri agli sposi./Andare camminare lavorare./La penisola in automobile,/tutti in automobile al matrimonio/alé la penisola al volante/ Questa bella penisola/è diventata un volante./Andare camminare lavorare./Andare camminare lavorare".

Ma siamo già oltre, oltre il suo tempo … nel nostro tempo, e ciò che di Piero rimane, oltre a qualche canzone, la quieta poesia del ricordo. Grazie.

Discografia essenziale:
“Piero Litaliano” – LP Amico ZSLF 55041 (1961)
“Io e te abbiamo perso la bussola” – LP Amico ZSLF 55133 (1963)
“Il mondo di Piero Ciampi” – CD RCA-BMG 512452 – (1997)
“Piero Litaliano” – CD CGD 9031 712933333-2 – (1993)


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