Paolo Ruffilli nelle pagine di questo libro ricostruisce con amorevole cura l’ultimo tratto dell’esistenza di Ippolito Nievo, eroe garibaldino, diventato, dopo le battaglie, burocrate del nascente regno d’Italia, ed inviato nella “neo-annessa” Sicilia in veste di “intendente di prima classe” con il compito di amministrare la regione, come vice di Giovanni Acerbi. Dopo un primo periodo nell’Isola, Nievo è costretto a ritornarvi per raccogliere dei documenti e riportarli nella capitale. Purtroppo, come è noto, né i documenti né il giovane Nievo metteranno piede aNapoli, prima tappa del rientro. Ruffilli fa parlare l’eroe garibaldino e, soprattutto, l’uomo Nievo, mostrandolo in tutta la sua delicata essenza di scrittore, di uomo amante della natura e cultore della bellezza e dell’amore per il gentil sesso. Il periodo preso in considerazione in questa biografia – che oserei definire – romanzata, è quello che vede Ippolito imbarcato sul vaporeche lo sta conducendo per la seconda volta in Sicilia, come già accennato, e, di seguito, la manciata di giorni fra incarichi amministrativi, una nuova fiamma ad incuneare un dubbio nel cuore saldo dell’eroe, e il godersi la vita e il meritato riposo dopo le feroci battaglie. In questo breve lasso di tempo Ruffilli riesce a ricostruire tutta la vita di Nievo, fra ricordi e rimpianti, lungo le pagine del romanzo si snoda tutta l’esistenza, dalla scuola, alla battaglia, alla passione letteraria di colui che fu anche il cronista della spedizione dei Mille. Accanto alla passione patriottica di Nievo vediamo avere grande spazio la passione per la moglie del cugino, Bice Melzi d’Eril, casta amante e destinataria di numerose missive di Ippolito, ma che si vedrà offuscata proprio da una passione nata durante quel fatale ultimo soggiorno siciliano.
Ruffilli dà ampiamente voce ai moti del cuore del giovane Ippolito, come detto, ma ad infiammare il cuore del protagonista sono anche i luoghi amati, le sue terre d’origine, che egli ama con candore, ricordandosele in tutte le stagioni, e contrapponendo i cieli brumosi ed arcigni del Friuli natìo, con la chiarità quasi sfacciata del sud d’Italia ove la sua missione lo destina. Ed è appunto il confronto fra nord e sud, fra Friuli e Sicilia che spesso vela di rimpianto i giorni della missione del giovane Intendente – se oggi vi è un divario fra le due regioni, possiamo ben immaginare l’abissale distanza di quelli che all’epoca erano realmente due mondi distinti e lontanissimi.
Non mancano le frecciate all’indole lassista dei siciliani, ai quali, parole del Nievo, basta lo spirare del vento caldo per annientare ogni volontà lavorativa; ma poi tra le righe serpeggia un crescente amore per la Sicilia, che si rinforza via via che si fa più ampia la conoscenza dell’Isola e delle sue abitudini. La vita sicula diNievo si snoda così tra senso del dovere, ansia di tornare da Bice e desiderio di restare tra le braccia della bella Palmira, gettando nubi di dubb isull’animo di Ippolito, nubi che saranno, purtroppo, dissipate dall’ultima, fatale tempesta.
E così Ruffilli passa in rassegna l’intera esistenza del giovane eroe, senza tralasciare i ricordidell’impresa dei Mille, facendo la spola tra privato e pubblico, fra intimità e Storia creando un‘immagine tridimensionale di Ippolito Nievo, in un avvincente racconto che ha la precisione della biografia e la levità del romanzo. Inoltre il libro ben si colloca in quest’anno di commemorazione dell’unità d’Italia e dovrebbe essere letto dagli squallidi denigratori dell’evento, affinché capiscano quale enorme sacrificio di vite umane fu, e quanta tenace ed appassionata volontà c’era dietro il grande ideale di una Italia libera, unita e sovrana, poiché se il sud era nelle mani dei Borboni e tenuto in una arretratezza spaventosa che alimentò la rivolta, anche il nord, che oggi ritiene penalizzante far parte di uno stato unitario, a quei tempi era sotto il triste e doloroso giogo austriaco. Il Risorgimento fu un grande momento di libertà e di spinta per una modernizzazione del Paese, e Ruffilli, attraverso Nievo, che ne fu testimone diretto, tra un ricordo e l’altro, riesce ad impartirci anche questa piccola lezione di Storia, recente, ma un po’ “insabbiata”. Troviamo qui un romanzo avvincente che ci fa amare un personaggio importante della spedizione dei Mille, ma che fu anche bravo scrittore e poeta, nonché autore di un vasto epistolario che ci permette di ricostruire dalle piccole sfumature del quotidiano un evento di grande portata. Il linguaggio delRuffilli è molto elegante, poco ha a che vedere con una polverosa biografia, ma si veste dei colori di uno scattante romanzo, dall’ampio respiro e dalle delicate ed eleganti coloriture. L’autore non può fare a meno di mostrare l’altro suo lato, oltre che biografo e romanziere, egli è anche poeta, e così la scrittura assume talvolta l’aspetto cangiante dei versi. Sulle prime, in effetti, ho provato un piccolo spaesamento, leggendo con l’idea di leggere un romanzo, ripensando però alcuni passaggi in chiave poetica mi è diventato tutto più chiaro, e la lettura si è vieppiù arricchita, unendo al discorso romanzesco e ai particolari biografici le delicate note della poesia. Questa particolare miscela, creata con abilità e passione dall’autore rende il libro una piacevolissima, ed interessante, lettura.
Propongo che il libro venga inserito in una, ipotetica, lista delle letture da non perdere in questo 150° anniversario dell’unità d’Italia.
Per chi volesse approfondire i temi di questo libro, Paolo Ruffilli è anche il curatore di “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo e di una antologia di scrittori garibaldini.