Pubblicato il 17/07/2013 14:12:35
In bilico tra il sacro e il profano, sapientemente o inconsapevolmente sospesa in una zona grigia, la scrittura di Lorenzo Bonadé traccia la traiettoria di un percorso tutto umano, seppure pervaso da una spiritualità primigenia che sembra riportare al grado zero l'afflato religioso. Bestemmiando Dio e invocando il Diavolo, l'uomo che percorre le pagine di Bonadé è un pellegrino diretto ad una terra promessa dove l'unica verità da rivelare è l'uomo stesso. Attraverso l'esperienza dell'ombra alla fine del verso è sempre intravista la luce; attraverso il sesso, la droga, qualsiasi forma di abiezione diviene strumento di catarsi. E' il corpo la prima fonte di sacralità e tutto ciò che il corpo insegna riscatta l'esistenza dall'inganno. Ecco che la carne viene sostituita all'anima, la terra al paradiso; così anche la droga può divenire ascensione al sublime: “Ogni religione | sposa una propria droga | non ho tempo per la realtà baby | lasciami pregare”.
Non stupisce quindi che la sola via al canto passi dalla strettoia dei sensi, anzi, dall'apparente imbarbarimento del desiderio. Fedele all'insegnamento di Pasolini Bonadé trova la radice della poesia nel fango e seppur riconoscendo tutta la vacuità del sublime, ad esso non può sfuggire: “ho orrore dei fiori | ma | devotamente | li canto”.
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