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Momenti d’Autunno / 4 foglie, musica,castagne, vino e libri

Argomento: Libri

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 30/10/2019 04:59:16

Momenti d’Autunno / 4
(..foglie gialle e buona musica, castagne arrostite, film, vino e pagine di libri).

'foglie'

esauste
hanno vibrato nel vento
nelle sere della torrida estate
per poi sfronzolarsi
e ingiallire …
silenziose
hanno atteso la pioggia
sperando
in una concessione di vita
che non potevano ottenere
(GioMa)

Le osservo cadere mentre affacciato dalla porta finestra che guarda al giardino, ricoprono di un tappeto giallo e bruno la terra che le reclama …
«Per l’intera giornata d’Autunno le nuvole hanno pesato grevi e basse nel cielo […] ed in fine, mentre s’avvicinavano le ombre della sera, mi trovai in vista della malinconica Casa Usher …», quella di E.A.Poe, per intenderci.
Sì, proprio quella, tradotta da Decio Cinti dal francese, nella versione di Charles Baudelaire. Il piccolo ed elegante libro era in cima alla pila dei desiderata, anche se in verità è solo una rilettura, successiva alla visione del film omonimo del 1928, per la regia di Jean Epstein (*) in DVD e mai visto prima.

Come tutti sappiamo “Per avere paura non occorre un motivo preciso, [...] ma quando si ha paura è bene sapere perché” recita un aforisma di Èmile Ajar (alias Romain Gary) che bene si adatta all’atmosfera ricreata in questo libro postumo, ‘assemblato’ a distanza di centocinquanta anni circa dalla morte di Poe, in “I viaggi immaginari”: Esplorazioni stravaganti e impossibili in giro per questo e altri mondi. (*)
Un libro che raccoglie numerosi racconti, tra i meno conosciuti dell’autore, e sottotitolato da una ipotizzabile quanto insolita chiave di lettura che ne permette per intero la godibilità. Con questa raccolta, infatti, si delinea l’importanza di un’operazione editoriale che restituisce al lettore un altrettanto valido ‘materiale letterario’, altrimenti destinato al macero, in una nuova veste critica e rispettiva traduzione. Lo ‘sgomento’ su cui E. A. Poe fa leva in questi racconti, e che ben possiamo definire ‘paura’ in nuce, a uso e consumo per i successivi racconti ‘horror’ più complessi che segneranno la sua produzione di maggior respiro, è qui fruita come ‘esercizio di stile’ più propriamente detto, cui l’autore si rifarà costantemente nei suoi scritti successivi.
In realtà non c’è una ragione specifica che lega questi racconti all’ ‘orrifico’, pur tuttavia in essi si discopre quella che è la ‘madre di tutte le paure’, la ragione fondamentale della ‘paura’, e cioè ‘il timore del male’ che porta in sé la morte:
"Ah, la Morte, lo spettro che si sazia a tutti i banchetti! Quante volte ci siamo persi in considerazioni sulla sua natura! Che mistero quel suo frenare la felicità umana dicendole «fin qui, ma non oltre!»” Come pure è detto nel racconto “Colloquio di Monos e Una”, presente in questa raccolta, e che, ancora oggi, suona di grande attualità – chi mai l’avrebbe detto? – soprattutto quando Poe affronta il suo avvicinamento a Dio:
«Come è facile ipotizzare dall’origine del disordine, chi era stato contagiato dal sistema e dall’astrazione si era avvolto nelle generalità. Fra le altre idee strane, aveva guadagnato terreno quella dell’uguaglianza universale e di fronte all’analogia e a Dio, a dispetto dell’alta voce ammonitrice delle leggi [...] che pervadono così vivamente ogni cosa del Cielo e della Terra, nei tentativi selvaggi fatti per far prevalere la ‘democrazia’ su tutto. Purtroppo questo male era scaturito fatalmente dal male principale, la ‘Conoscenza’.
Per poi riscontrare che: “L’uomo non poteva che conoscere e soccombere. [...] In verità, l’uomo che vuole ammirare nel modo giusto la gloria di Dio sulla terra deve ammirare quella gloria in solitudine”. [...] E dal momento che noi vediamo chiaramente che la vitalità di cui è dotata la materia è un principio, anzi a voler estendere il nostro giudizio, è il principio fondamentale dell’opera di Dio, mi sembra quasi illogico immaginare che sia limitato alle regioni dell’infinitamente piccolo, dove quotidianamente lo rintracciamo, e non si estenda a quelle dell’infinitamente grande.»

Ma forse all’epoca di riferimento di questo racconto la ‘purificazione’ doveva ancora avvenire e Poe non sembra qui andare alla ricerca di un riscatto che non arriverà: “Le parole «..sono cose vaghe [...] e l’uomo, come razza, per non estinguersi del tutto doveva ‘rinascere’ [...] e si trasformerebbe, alla fine, nell’uomo purificato dalla morte, dell’uomo il cui intelletto sublimato non sarebbe più avvelenato dalla conoscenza, dell’uomo redento, rigenerato, beato e immortale, ma pur sempre dell’uomo materiale” – afferma. Per poi andare incontro alla propria ‘morte spirituale’ dicendo: “Il dolore era poco, molto era il piacere. Ma nessun dolore o piacere era di natura morale” e il termine ‘purificazione’ qui usato fa riferimento alla radice greca ‘fuoco’ divoratore, ...la fine di tutto”».
«Siamo destinati ad avanzare nelle tenebre. Siamo noi stessi elementi di tenebra. Strisciamo nel fango e mormoriamo affannosi salmi tra inesauribili smarrimenti di senso. […] L’essere umano non attende più la resurrezione né altro compimento. È la notte senza illusione quella che qui viene narrata. È la sofferenza che ritorna sul confine oscillante tra dolore e angoscia» – scrive Flavio Ermini (*) nel suo “Della fine: la notte senza mattino”.

Come avverte Zigmunt Bauman (*) in “Paura liquida”: «Esiste uno e un solo evento che renda metaforico ogni altro impiego delle parole, l’evento che conferisce a certi termini il loro significato primario, originario, incontaminato e non diluito –Quell’evento è la ‘morte’. [...] La morte incute paura per via di quella sua qualità diversa da ogni altra: la qualità di rendere ogni altra qualità non più superabile. Ogni evento che conosciamo o di cui siamo a conoscenza – ogni evento, eccetto la morte – ha un passato e un futuro. Ogni evento – eccetto la morte – reca una promessa, scritta con inchiostro indelebile anche se a caratteri piccolissimi, secondo cui la vicenda «continua». [...] Soltanto la morte significa che d’ora in poi niente accadrà più, niente potrà accadere, niente che possa piacere o dispiacere. È per questa ragione che la ‘morte’ è destinata a restare incomprensibile a chi vive, e anzi non ha rivali quando si tratta di tracciare un limite realmente invalicabile per l’immaginazione umana.
L’unica e la sola cosa che non possiamo e non potremo mai raffigurarci è un mondo che non contenga noi che ce lo raffiguriamo”. È dunque questa la vera leva su cui fa pressione Poe nei suoi racconti e romanzi più apprezzati: la ‘paura della morte’. Ecco che allora, per dirla ancora con Bauman, quella ‘materialità’ instabile che Poe prende qui a riferimento, si trasforma in ‘immaterialità liquida’ del suo e del nostro tempo. A voler dire che in fine nulla è cambiato, che la ‘rinascita’ dell’uomo è ancora sospesa nelle alte sfere di un ‘di là a divenire’ di cui non siamo che spettatori estatici e sgomenti. E così resteremo fino ai nostri giorni, irrimediabilmente, fatalmente, inevitabilmente. Ma a che cosa fa riferimento Poe in questi suoi “Viaggi Immaginari”, improbabili quanto incredibili (?) – ci si chiede. E la risposta ci giunge immediata, essendo la più scontata che ci si possa aspettare: ‘al sogno’.

Quel sogno che non rinnega i suoi risvolti visionari, allucinati, deliranti, che lo tengono legato al vagheggiamento, alla brama utopica, alla chimerica bellezza, sinonimi specifici della visione onirica; e che lo proiettano nell’incubo ‘orrifico’ d’una bellezza illusoria, irraggiungibile, il cui splendore abbaglia la ‘realtà’, trasformandola in desiderio, speranza, aspirazione, fino allo stordimento, all’accettazione dell’irreale, del soprannaturale ch’è nel ‘profondo’ di ognuno di noi. Per cui le esplorazioni potrebbero non finire mai e, infatti, non finiscono mai e ‘l’immaginale’ di riferimento insito in questi racconti diventa la realtà di una scoperta affascinante che Poe svolge all’interno di se stesso:
“Allora questo non è un sogno..” – fa dire l’autore ad Eiros personaggio metafisico di un altro felice racconto intitolato “Conversazione di Eiros e Charmion” dal risvolto ‘mitologico’ che, come nei “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese (*), successivi di almeno un secolo, si narra di un ‘mistero racchiuso nel mistero della morte’. Per lo più derivati dalla fascinazione, tipica dell’epoca, del ‘mesmerismo’ di Franz Anton Mesmer (*) vissuto nel Settecento, che ne aveva elaborato la teoria basata sul ‘fluido’ magnetico (fisico) e che, secondo le sue teorie, era all’origine del corretto funzionamento del’organismo umano, in armonia con quello universale.

Fascino che ritroviamo nel racconto “Rivelazione mesmerica”, presente in questa raccolta di Poe, in cui un soggetto ‘mesmerizzato’ in punto di morte descrive la vita nell’aldilà, parlando del regno delle ombre, e che lo scrittore riprenderà in “La verità sul caso di Mr. Valdemar” cui farà riferimento ricorrente nella sua produzione letteraria. Mitologia dell’aldilà, regno delle ombre, enigma e ‘suspense’ della vita, mistero dell’esistenza, non sono che mondi estremi di cui Poe scrive riciclando un modello poi divenuto ‘archetipo’ del romanzo ‘poliziesco’, del ‘giallo enigmatico’, dell’ ‘incompiuto gotico’ caratterizzato dal carattere ‘misterioso’ o ‘macabro’ delle vicende descritte, o meglio, verosimilmente ‘sognate’, in cui logora la propria breve vita di scrittore.
Sviluppatosi dopo la seconda metà del Settecento, il genere narrativo ‘romantico / orrifico’ era caratterizzato dall’unione di elementi romanzeschi della letteratura cosiddetta ‘gotica’, riferita alla tendenza culturale anglosassone di ambientazione tenebrosa del ‘romanzo nero’ (noir), i cui temi portanti sono l’amore perduto, i conflitti interiori, il soprannaturale, il cui iniziatore è considerato Horace Walpole (*) con il suo romanzo “Il Castello di Otranto” del 1764. Dopo H. Walpole (*), la cui influenza è inequivocabile negli scrittori polizieschi, e non solo, fin dalle origini, E. A. Poe si pone come diretto continuatore del genere. Fin dal suo "I delitti della Rue Morgue", pubblicato per la prima volta su Graham's Magazine nel 1841, è considerato uno dei primi racconti polizieschi.

Al quale faranno seguito l’inglese R. L. Stevenson “Lo strano caso del dott. Jekyll e del signor Hyde” (1886), l’irlandese Bram Stoker “Dracula il vampiro” (1897), lo scozzese A. Conan Doyle, “Le avventure di Sherlock Holmes” (1892); gli americani Agatha Christie “Assassinio sull’Orient Express” (1934); e Rex Stout “Orchidee Nere” (1942), solo per citare i più noti, per giungere infine agli scrittori statunitensi H. P. Lovecraft con “L’ombra venuta dal tempo” (1934) considerato il ‘Poe cosmico’. E inoltre Stephen King “Le notti di Salem” (1979), Patricia Highsmith (*) di “Sconosciuti in treno” (1987) nei quali vi è un’esplicita metafora dell’eterna lotta fra il bene e il male:
«Hai mai avuto voglia di ammazzare qualcuno? – da questa fatidica domanda prenderà l'avvio un'inquietante vicenda al limite del surreale, il cui esito, secondo il piano preciso di Charles, sarebbe stato un duplice omicidio in cui ciascuno avrebbe dovuto uccidere per l'altro.»
Un thriller avvincente che analizza parallelamente la meccanica del delittoe la psicologia dei due uomini che finiranno per essere legati l'uno all'altro da un rapporto morboso che li condurra definitivamente alla rovina. Da questo libro Alfred Hitchcock (*) trasse il film “L’altro uomo” 1951, riproposto successivamente con il titolo “Delitto per delitto”. Di Hitchcock, voglio qui suggerire la visione di almeno due film poco frequentati dai critici e dal pubblico “I 39 scalini” (1935) e “Notorius” (1946), almeno non di recente.

Ecco l’altro punto critico di ogni thriller: “l’orrore universale”. Nel contesto ‘liquido-moderno’ innescato dal grande sociologo Z. Bauman (op.cit.), il pensiero metodologico rincorre la ‘paura’ e ne sviscera i numerosi aspetti: dalla sua origine (la paura della morte e la paura del male), alla dinamica d’uso (volontà e necessità della paura); dall’orrore dell’ingestibile (precarietà e insicurezza come derivati della paura), al terrore globale (problematicità e catastrofismo insiti nella paura): arrivando, nella sua efficace analisi, a proporci i ‘rimedi’ o, perlomeno, le precauzioni e i suggerimenti per affrontare quelle che sono le ‘paure’ più diffuse, che egli ritiene nate e alimentate dalla nostra costante insicurezza.
Aspetti questi che interagiscono e s’influenzano a vicenda, con la conseguenza che le emozioni costituiscono esperienze multiformi, anche conflittuali e ambigue, che attraversano tutto il nostro potenziale investigativo e che ci spingono alla crescita culturale e all’evoluzione conoscitiva. Perché, ammettiamolo, il ‘richiamo del viaggio’, per sfuggire sia al ‘sogno’ come ‘allucinazione’ in cui si confonde «..il piacere che deriva dalla dolcezza dei suoni con la capacità di crearli», è per Poe innegabilmente affascinante e rigenerante: «La musica, infatti, più di ogni altra attitudine, è in grado di dare completo godimento per i suoi vantaggi spirituali, ma c’è un godimento che si trova sempre alla portata degli sconsolati mortali, ed è forse l’unico che ha bisogno del sentimento accessorio della solitudine.»

Per quanto, nella scoperta dei diversi significati del ‘viaggio’, ci siamo abbandonati a quello che ‘lo spirito’ in libertà ci riserva, e cioè a quella ‘musica’ che pur sentiamo ‘dentro e attorno a noi’ come un richiamo, senza chiederci il perché del suo fluttuare nell’universo sonoro che ci circonda, e che infine ci permette di comprendere e utilizzare al meglio la nostra esistenza, tra ‘l’essere e il divenire’, di quei viaggiatori instancabili che in fondo noi siamo.
Decisamente ‘emozionali’ sono i due album del gruppo rock Enigma “MCMXC a.D.” (1990) loro album d’esordio che includeva brani di canto gregoriano, e “The Cross of Changes” (1993), e “Voyageur”, quinto album del gruppo pubblicato nel 2003, cui seguiranno altri non allo stesso livello. La firma del gruppo (flauti shakuhachi), mix di canti gregoriani e canti tribali, che tanto hanno caratterizzato i primi album sono sparite in “Voyageur”. Rispetto ai primi quattro album, infatti, la loro produzione musicale ha segnato un vero cambiamento nello stile del gruppo. In compenso, la maggior parte delle canzoni sono indirizzate verso il mondo del pop. Infatti Michael Cretu, il producer di Enigma ha affermato che a partire da di “Voyageur'” la loro colocazione sarebbe stata nel "pop più sofisticato".

Ma se «Il sentiero dell'eccesso conduce alla torre della saggezza.» (W. Blake).
Se « Il piacere di soddisfare un istinto selvaggio non dominato dall'ego, è incomparabilmente molto più intenso di quello di soddisfare un istinto addomesticato. Il motivo sta diventando il nemico che ci presenta molte possibilità di piacere.» (Freud)
«Se tu credi nella luce, è a causa dell'oscurità, se credi nella felicità è a causa dell'infelicità, se credi in Dio, allora devi credere nel diavolo.» (Father X – Exorcist Church of Notre Dame, Paris).
Al diavolo devono aver creduto quei Cantores medievali che raccolsero dalla tradizione i canti contenuti nei “Carmina Burana” (*), nella loro forma mistico-religiosa originale, basata sul culto Gregoriano (*), solo successivamente riproposti nella versione ‘gogliardica’ da Carl Orff (*) (1974), col sottotitolo ‘Cantiones profanae’; nonché la versione rock proposta da Ray Manzareck (*) (1983). Al linguaggio della liturgia ufficiale si rifà molta della produzione musicale contemporanea di altissimo livello: The Hilliard Ensamble (*) in “Officium” (1993) con la partecipazione del saxofonista Jan Garbarek.
Ancora the Hilliard Ensamble con “Morimur” 2001 di grande rilievo formale, dedicato alla ‘Passione di Cristo’ di J. S. Bach (Partita D Minor per violino solista, accompagnata dal violinista barocco Christoph Poppen. Ma è con Arvo Pӓrt: “Passio” (1988), “Miserere” (1991), “Litany” (1996), “Lamentate” (2005) ed altre composizioni, che si raggiunge la vetta finora inusitata della concertazione ed esecuzione … ‘autore di opere sublimi, di straordinaria profondità e bellezza compositiva’.

Inoltre, e non in ultimo, propongo l’ascolto di due compositrici davvero ‘ispirate’ alle tematiche fin qui espresse: la georgiana Giya Kancheli (*) con “Caris Mere” (1997) dal significato in tema con questo scritto – ‘After the wind’, cui prendono parte fra gli altri Kim Kashkashian (viola), e Jan Garbarec (soprano saxophone), con la Stuttgarter Kammerochester D. Russell-Davies. Nonché la compositrice greca Eleni Karaindrou (*) con “Music for Films” … dalla potenza musicale dirompente.
Come dirompente è l’esecuzione pianistica del geniale Ezio Bosso (*) nel suo “The 12th Room” in cui propone oltre a sue composizioni, brani di Bach ‘il filosofo dell’armonia’, passando per Chopin e Gluck ovviamente rivisitati nel suo modo interpretativo; fino al decostruzionismo (derridiano) del contemporaneo Cage, quasi a formare un'unica partitura per ‘piano solo’, senza presunzione di sospensione e di contaminazione.
Può sembrare incredibile come qui la fusione dei diversi stili dia forma a un unicum la cui rivisitazione ‘colta’ offre spunti di intervento per assoli jazzistici alla Ellington, al minimalismo di Newman o alla miscellanea quantistica di Glass. Tuttavia possiamo credere all’evoluzione musicale di un genio della nostra era, la cui versatilità stilistica nell’uso del piano ‘accelerato’ ricorda il Glenn Gould delle ‘Variazioni Goldberg’ (Bach) e delle strenue ‘3 Piano Sonatas’ (Hindemith), ma ed anche, le ‘variations in jazz’ elaborate da Keith Jarrett e da Cick Corea.
Ciò a cui personalmente tendo, quale recensore di musica e di libri, non censore di generi, a far sì che la ‘poesia’ insita nella parola che lega la letteratura alla musica, il sogno all’illusione di viaggiare, ‘che sia in questo o in altri mondi’, si aggiunga al piacere sottile che viene dallo ‘spirito del viaggio’ ché, finalmente libero dagli orpelli del quotidiano, si libra ‘in solitudine’ e prende a volare.

“Molti viaggeranno, e la conoscenza ne sarà accresciuta” – scriveva il Profeta Daniele (circa 610 a.C.) (*). Di fatto, l’esperienza del ‘viaggiare’ insita in questi racconti restituisce al lettore quanto ho già avuto modo di esprimere in “Lo spirito del viaggio” (Etnomusica n.10 su questo stesso sito), è di tipo antropologico, e pone in risalto alcune verità della ragione che valgono per ognuno di noi come per uno sdoppiamento della personalità, quel “dentro di me, fuori di me” che ci permette di confrontarci con ciò che ci sta attorno, e che ci procura quel ‘brivido di bellezza’ che a volte ci fa trasalire, all’origine dell’entusiasmo che releghiamo al ‘vivere insieme’. Quell’emozione momentanea e passeggera che dà senso ai perché della vita, congiuntamente al nostro sistema neurobiologico, soggettivo, relazionale e culturale, che carica di importanti significati l’idea che abbiamo del ‘viaggio’ in musica e poesia’.
“La musica, per come la conosciamo oggi – ci rammenta Bosso – è sostanzialmente il risultato di ciò che siamo stati in grado di conservare nella cultura della musica scritta e trascritta, perché era quello sostanzialmente l’unico strumento a disposizione per poter conservarne tutta la bellezza. È acclarato che Bach, Mozart e Beethoven fossero degli eccezionali improvvisatori, tuttavia questo non significa che fossero semplicemente dei filosofi trasposti in musica, capaci di dedicarsi esclusivamente alle composizioni scritte sulla carta in quanto più vicino ai massimi sistemi, già propri della cultura classica”. […]Una ‘stanza’ “..che non è solo dei poeti, a chi non è capitato di chiudersi in camera propria a piangere un amore, o di ascoltare la musica ad alto volume per isolarsi dal mondo esterno, ed entrare nel piano dell'immaginazione guardando al di fuori della finestra della camera, del treno, del pullman, o dell'auto, e scoprire di non vedere l'orizzonte, (..) ma ciò che rende possibile l'appropriazione, in forma di visione e di parola, ciò di cui altrimenti il soggetto mai potrebbe appropriarsi.” […] Nel suo insieme, è la concretizzazione e il simbolo di tale dimensione, lo spazio che contiene e rende possibile la relazione fra il poeta e i fantasmi del suo desiderio, lo spazio attraverso il quale l'esperienza esistenziale comunica con il suo ‘oltre’, e cioè con quel tessuto di visioni, immagini e parole che è il rovescio della trama del reale e la materia prima della poesia” (*).

Inoltre la ‘stanza’ in sé, contiene tre diverse dimensioni: l'ambiente in cui il poeta si ritira per creare, lo spazio della dinamica interiore da cui la parola poetica scaturisce e la forma che essa assume traducendosi in scrittura. In essa, quindi: “..è dato cogliere, sul piano figurale, l'unità di un'esperienza che si presenta contemporaneamente come esistenziale, visionaria e verbale; in altre parole come reciproca implicazione e reversibilità di realtà, fantasma e parola in seno all'atto creativo” (*).
È qui, in questa esatta dimensione che s’inserisce Ezio Bosso compositore ed esecutore, attraverso le sue esibizioni ‘uniche e irripetibili’, che possiamo attribuire ad ogni suo singolo incontro dal vivo con la musica e con il pubblico. Con “The 12th Room” Ezio Bosso avanza supposizioni musicali ‘altre’ che vanno dal razionalismo al minimalismo per quanto rimangano indubbiamente letterarie e poetiche, lì dove la letteratura e la poesia classiche sposano l’inquietudine e la solitudine individualista della cultura dei nostri giorni.

“Allora George, sei pronto alla partenza?” – domanda Ann (mia moglie) al telefono.
“Sono sveglio e non mi sembra poco.” – rispondo io.
“È sicuramente un segno. Bene, quindi passo a prenderti e partiamo subito, diciamo fra mezzora.”
“Stai dicendo sul serio? Vedo che sta ancora piovendo, facciamo fra un’ora, o magari più tardi, quando smetterà di piovere!” – prendo tempo per finire di bere un’ultimo calice di buon rosso e di leggere una poesia di Umberto Morello (*) tratta da”Nuvolas”:

“Sola suite”

Tra figure angolari e piovane
Che offuscano uno scomodo risveglio,
e non credono che aprire gli occhi
sia chiudere
uno strumento sbagliato,
due porte non sempre
s’innamorano di una distanza.

E proseguire nell’ascolto di “Landscape” di Cage-Bosso mentre mi preparo.
Sarà, ma sembra «Come se Virgilio avesse preconizzato il mondo virtuale del quale ci stiamo conducendo …», che potrebbe essere l’incipit del libro di Eco . Ma non lo è. Rimando alla prossima puntata.

Note:

Libri.
(*) Edgar Allan Poe, “La caduta di Casa Usher” – cofanetto 2volumi + 10 tavole illustrate di A. Alexeieff – Stampa Alternativa (anno?)
(*) Jean Epstein, “La caduta di Casa Usher” – film DVD – Griffe 1928/ 2004
(*) Edgar Allan Poe, “I viaggi immaginari” – Gargoyle 2013
(*) Flavio Ermini, “Della fine: la notte senza mattino” –Formebrevi Edizioni 2016
(*) Zigmunt Bauman, “Paura liquida” – Laterza 2009
(*) Cesare Pavese, “Dialoghi con Leucò” – Mondadori 1982
(*) Horace Walpole, “Il Castello di Otranto” – Marsilio 2008
(*) Alfred Hitchcock, film “L’altro uomo” – film DVD Warner Bros 1951
(*) Umberto Morello, ‘Sola suite’ in “Nuvolas” – Anterem Edizioni / Cierre Grafica 2018
(*) Ezio Bosso, “The 12th Room Tour” – Sferisterio di Macerata, Agosto 2016 –
Giorgio Mancinelli – articolo in Larecherche.it.
(*) Note su 'stanza' in 'Letteratura Italiana' - Einaudi e 'Storia della Musica' - Oxfors-Feltrinelli.

Musica.
(*) Gruppo ‘ENIGMA’, “MCMXC a.D.” (1990) “The Cross of Changes” (1993), e “Voyageur” (2003)
(*) Sator Musicae, “Musicals Scientia” – CD Tactus (1987)
(*) Clemencic Consor, “Carmina Burana”, 2CD Harmonia Mundi (1990)
(*) Kantores 96, “Il Gregoriano”, 3CD EMI (1996)
(*) Carl Orff, “Carmina burana - Cantiones profanae – CD Philips (1974)
(*) Ray Manzareck, “Carmina Burana” – CD AM + (1983)
(*) The Hilliard Ensamble / Jan Garbarek, “Officium” CD ECM (1993)
(*) Hilliard Ensamble / Christoph Poppen, “Morimur” CD ECM (2001)
(*) Hilliard Ensamble / Arvo Pӓrt, “Passio” CD ECM (1988), “Miserere” CD ECM (1991), “Litany” CD ECM (1996), “Lamentate” CD ECM (2005)
(*) Giya Kancheli, “Caris Mere” – CD ECM (1997)
(*) Eleni Karaindrou, “Music for Films” – CD ECM (1991)
(*) Schola Hungarica Janka Szendrei, “Ludus Danielis” – CD Hungaroton (1983)
(*) Ezio Bosso, (*) dal booklet incluso nell'album "The 12th Room" - Incipit Music (?)




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