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Bla, bla, bla ’tutto cambia per non cambiare niente’

Argomento: Società

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 19/06/2018 06:33:48


Bla ,bla, bla … dissoi logoi, tutto cambia per non cambiare niente.

Il ‘circo’ degli innovatori si è ormai stabilito definitivamente (?) nella grande piazza del Parlamento, e tutti festeggiano, ballano e cantano sulle note di ‘abbiamo vinto!’; ma, come si dice, ‘quando il gatto non c’è i sorci ballano’, a voler dire che senza un vero leader (il gatto), gli altri (i corci) si danno un gran ‘da fare ad arraffare’ a più non posso. Cioè fanno il mestiere che vestendo i panni dei clown (del circo mediatico), in fondo è l’unico che sanno fare bene, in ragione del fatto che non hanno mai fatto altro nella vita.

Non c’è che dire, sotto certi aspetti (la destra, il centro e la sinistra) fanno il loro mestiere, si rendono, chi più chi meno tutti quanti ridicoli e, così facendo, fanno anche ridere quei zuzzerelloni degli italiani che li stanno a sentire, senza rendersi conto del danno che stanno facendo in fatto di credibilità, di responsabilità ecc. (leggi di figure di merda) che facciamo nel mondo. Del resto non facciamo altro che confermare quei buontemponi, burloni, matterelloni, pazzarelloni che effettivamente noi italiani siamo, cioè quei mattacchioni che ‘pur di negare l’uccello alla propria moglie finiscono per tagliarselo’.

Ma va bene così, anzi va male (malissimo), perché per voler cambiare le cose in modo cos’ drastico finiamo per non cambiare niente. Come si dice ‘dissoi logoi’, in cui “Gli uni dicono che altro è il bello e altro è il brutto, differenti come di nome, così di fatto; altri invece che bello e brutto sono la stessa cosa”. per ora stiamo a vedere chi avrà ragione, ma come si dice ‘ il buogiorno si vede dal mattino’ e in questo periodo ancora (a distanza di tempo) non mi sembra di aver visto un qualche bella giornata. Speriamo in meglio, se pure non siamo nuovi a questi cambiamenti repentini che non hanno portato a nulla di fatto. Ricordo qui di seguito uno spettacolo musico-teatrale del geniale duo Dario Fo e Franca Rame andato in scena negli anni ‘60/’70, dal titolo ‘Ma che aspettate a batterci le mani’(*):

"Ma che aspettate a batterci le mani a metter le bandiere sul balcone? Sono arrivati i re dei ciarlatani, i veri guitti sopra un carrozzone. Venite tutti in piazza fra due ore, vi riempirete gli occhi di parole, la gola di sospiri per amore e il cuor farà seimila capriole. Napoleone primo andava matto per 'sto dramma e ogni sera con la sua mamma ci veniva ad ascoltar. Napoleon di Francia piange ancora e si dispera da quel dí che verso sera ce ne andammo senza recitar. E pure voi, ragazze, piangerete se il dramma non vedrete fino in fine dove se state attente imparerete a far l'amore come le regine. E non temete se la notte è scura: abbiamo trenta lune di cartone con dentro le lanterne col carburo, da far sembrar la luna un solleone. Napoleon francese, per vederci da vicino, venne apposta sul Ticino contro i crucchi a guerreggiar. Napoleone primo, che in prigione stava all'Elba, vi scappò un mattino all'alba per venirci a battere le man. Ma che aspettate a batterci le mani, a metter le bandiere sul balcone, sono arrivati i re dei ciarlatani, i veri guitti sopra un carrozzone. Vedrete la regina scellerata, innamorata cotta del figlioccio, far fuori tre mariti e una cognata e dar la colpa al fato del fattaccio. Ma che aspettate a batterci le mani, a metter le bandiere sul balcone? Sono arrivati i re dei ciarlatani, i veri guitti sopra un carrozzone. Venite tutti in piazza fra due ore, vi riempirete gli occhi di parole, la gola di sospiri per amore e il cuor farà seimila capriole".

E un altro, ‘Tutta brava gente’ (*) di Carpi – Fo:
"Qui si parla di ufficiali piuttosto compromessi: tutta brava, tutta brava, tutta brava gente, e qui ci saltano fuori almeno sei processi per miliardi, a questo stato che è così indigente, qui si parla di una banca insediata in un convento, qui c'è un tal che alla Marina ha fregato un bastimento, qui un tal altro che a fatica ha corrotto un gesuita, assegnati quattro appalti a un'impresa inesistente, concessioni sottobanco contro assegni dati in bianco, truffe sui medicinali, sulle mutue e gli ospedali, sopra i dazi, le dogane, i tabacchi e le banane. Oh, che pacchia, che cuccagna: bella è la vita per chi la sa far! Ma tu, miracolato del ceto medio basso, tu devi risparmiare, accetta sto salasso: non devi mangiar carne, devi salvar la lira e, mentre gli altri fregano, tu fai l'austerità!"

Non avete anche voi la sensazione che nulla sia cambiato o che stia cambiando? Io ce l’ho, tant’è che non riesco più a raccapezzarmi se stiamo facendo la strada in avanti o all’indietro, proprio ‘ come un gambero!’ direbbe Umberto Eco, del quale riporto qui di seguito alcune note tratte dal suo ‘Pape Satàn Aleppe’ - Cronache di una società liquida (*):

Fin dall’introduzione l’autore (tanto di cappello) avverte il lettore trattarsi della raccolta delle sue Bustine di Minerva apparse sull’Espresso fin dal 1985 e in altre precedenti raccolte (brevi) e che oggi: “..non tanto per colpa mia quanto per colpa dei tempi, è sconnessa, va – come direbbero i francesi – dal gallo all’asino, e riflette la natura liquida di questi (ultimi) quindici anni”. Se è lui a dirlo dovremmo quantomeno credergli, e che invece nulla risulta di più concettualmente ordinata di questa. Figuriamoci se ‘il professore’ avrebbe mai potuto mettere assieme qualcosa di sconclusionato che lo riguardasse in prima persona. Comunque crediamocgli utilizzando quel suo senso autocritico che lo vedeva sempre insoddisfatto e compiaciuto di esserlo, fino a fermare la rotativa di stampa dei suoi libri per cambiare una frase o il finale di una storia solo perché non gli piaceva. Ma come sappiamo è questa una pratica solo dei ‘grandi’ e solo a loro giustamente concessa.

Un avvertimento al lettore riguarda il titolo, ripreso dalla citazione dantesca (Inferno, VII,1) che fa pensare a una sorta di ‘vademecum satanico’ cui solo Eco sarebbe stato capace di redarre; ed anche la ragione, io credo, per cui molti lettori si astengano dallo sfogliare, per paura forse di esserne contaminati fino a perdersi nei labirinti della sua ragionevolezza (difficoltà di lingua, argomentazioni occulte ecc.) dei suoi precedenti libri. Tutt’altro, siamo qui di fronte a alle fusa di un gatto sornione fin troppo arguto e bizzarro nelle sue scelte e nei suoi lazzi che, nelle pur brevi pagine (minimal stories) delle sue ‘cartine’, riesce a introdursi nelle vene della società pulsante di vita, utilizzando una nota definizione del sociologo Zigmunt Bauman (*) riferita alla ‘società liquida’, essere invero uno stilema della modernità che ci è data di vivere in questo terzo millennio.

“C’è un modo per sopravvivere alla liquidità? C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno.Anche per questo Bauman rimane per ora una ‘vox clamantis in deserto’” - scrive Eco, e l’insegnamento potrebbe sembrare non pertinente con la missione del professore, ma che certamente lo è, in quanto Eco è stato un insegnante di vita la cui esperienza lo ha portato a discernere, nella completezza dello scibile universale, quella che ha dimostrato essere la sua erudizione a tutto tondo e non un semplice opinionista da strapazzo come quelli che spesso si gongolano sui canali televisivi, capaci di parlare a senso unico su questo o quell’argomento. Cioè di tutto e su tutto senza sapere (a volte e sempre più spesso) neppure di quello cui stanno parlando. Che ci si chiede se non farebbero meglio a starsene zitti (?)

(Abbrevio)
“I giornali sono spesso succubi della rete, perché ne raccolgono notizie e talora leggende, dando quindi voce al loro maggiore concorrente – e facendolo sono sempre in ritardo su Internet. Dovrebbero invece dedicare almeno due pagine ogni giorno all’analisi di siti Web (così come si fanno recensioni di libri <che pochi leggono> o di film <che nessuno vede>, indicando quelli virtuosi e segnalando quelli che veicolano bufale o imprecisioni. Sarebbe un immenso servizio reso al pubblico e forse, anche un motivo per cui molti nevigatori in rete, che hanno iniziato a snobbare i giornali, tornino a scorrerli ogni giorno. (..) È un’impresa certamente costosa, ma sarebbe culturalmente preziosa, e segnerebbe l’inizio di una nuova funzione della stampa”.

Eco centra quasi con mira infallibile il problema o un dubbio contestabile pur esistente in noi esseri sociali offrendoci spesso un possibile sguardo risolutivo nei risvolti inclusivi dei diversi ‘capitoli’ che formano il corpus narrante. Per così dire ‘liquifacendoli’ dentro un linguaggio accessibilissimo a tutti, comprensivo di religione e filosofia, razzismo e odio, morte e miracoli, educazione e scuola, letteratura e poesia, stupidità e follia, politica e potere, cinema e musica, Web e telefonini, vecchiaia e ricambio generazionale, Europa e il resto del mondo, e non si ferma qui, tant’altro e tale è ogni volta l’incognita del suo spaziare che riesce a smuovere il pensiero del lettore, finanche in inezie da megalomane, di cui forse non si sarebbe mai preoccupato. Ma che invece investono tutti in ogni momento della giornata e della notte, in quanto riguardano la vita di tutti i giorni, le necessità e le esigenze di noi esseri sociali (ed anche di asociali) nel vivere comune.

Umberto Eco (come pochi altri) ha dato e può ancora darci lezioni (attraverso i suoi scritti) su quel che siamo noi italiani, su ciò che siamo capaci di inventare, di creare artisticamente parlando, anche di fare autocritica ma soltanto quando chi vuole insegnarci qualcosa ha le palle per farlo, allora tanto di cappello. Mi chiedo cosa avrebbe scritto Eco sulle ultime vignette apparse su Charlie Hebdo, lui che spesso citava il buon gusto dei cugini francesi? Ma forse ne avrebbe riso, valutandola una scivolata del bon ton che alla fin fine non può offenderci, perché tocca delle verità che egli stesso avrebbe condiviso. Magari individuando nelle ragioni di una simile caduta di stile, quelle che sono le pecche di una Nazione addormentata che sta ancora in piedi crogiolandosi sulla grandeur del Re Sole usando gli stecchini da tavola per tenere gli occhi aperti.

Davvero interessante la sua affermazione sullo stato della follia che imperversa questo primo ventennio del secolo: “Però mi pare abbia scritto una volta Saul Bellow che in un’epoca di pazzia credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia. Quindi non prendete per oro colato le cose che avete appena letto”, sembra voler concludere questo lungo escursus letterario che lo riguarda e ci riguarda, ma non è la fine, è ancora del 2015 la cartina “Gli imbecilli e la stampa irresponsabile” che, strano a dirsi, assume maggiore validità in questi nostri giorni se riferita alle vignette di Charlie: “Mi sono molto divertito con la storia degli imbecilli del Web. Per chi non l’ha seguita, è apparso on line e su alcuni giornali che nel corso di una cosiddetta lectio magistralis a Torino avrei detto che il Web è pieno di imbecilli. È falso. La lectio era su tutt’altro argomento, ma questo ci dice come tra giornalisti e Web le notizie circolino e si deformino”.

(Abbrevio)
“Ammettendo che su sette miliardi di abitanti del pianeta ci sia una dose inevitabile di imbecilli, moltissimi di costoro una volta comunicavano le loro farneticazioni agli intimi o agli amici del bar – e così le loro opinioni rimanevano limitate a una cerchia ristretta. Ora una consistente quantità di queste persone ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni sui social network. Pertanto queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli. (..) Nessuno è imbecille di professione (tranne eccezioni) ma una persona che è un ottimo droghiere, un ottimo chirurgo, un ottimo impiegato di banca può, su argomenti su cui non è competente, o su cui non ha ragionato abbastanza, dire delle stupidaggini. Anche perché le reazioni sul Web sono fatte a caldo, senza che si abbia avuto il tempo di riflettere. È giusto che la rete permetta di esprimersi anche a chi non dice cose sensate, però l’eccesso di sciocchezze intasa le linee.”

Pronto … pronto … siete connessi? In fine, eccoci giunti ai saluti di rito, e voi …
“Ma che aspettate a batterci le mani!”



Note:
(*) Dario Fo e Franca Rame, ‘Ma che aspettate a batterci le mani’ e ‘Tutta brava gente’ di Carpi – Fo sono due spettacoli andati in scena negli anni ‘60/’70.
(*) Umberto Eco, ‘Pape Satàn Aleppe’ - Cronache di una società liquida – La nave di Teseo 2016.
(*) Zigmunt Bauman, ‘Modernità liquida’, Edit. Laterza 2002 - (ristampa 2015)

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