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I viali dell’infanzia

di Natan Zach 

Proposta di Loredana Savelli »

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Pubblicato il 26/01/2013 07:41:21

I
Suonavano le orchestre nel parco. Il secolo marciava verso sé stesso
e noi sempre più lontani dalle origini.

Quand’ero ragazzino, mio padre mi prese sottobraccio. Nel suo
tono pratico mi disse, lo vedi, qui per noi non c’è futuro.
Tua madre ed io abbiamo deciso di emigrare.
Non capii. Non conoscevo ancora il futuro, ma solo il tedesco.
Mangiavo noccioline ed amavo lo zoo. Aspettavo le scimmie
ma annottava già e non uscivano dal loro nascondiglio. Luci
brillavano sui ponti. Pesci dorati guazzavano nell’acqua della vasca
e le fioraie avevano stille di rugiada nei capelli. Berlino. Città da cui
ricorderò di fuggire e fuggire ancora verso la mia città
da cui non si può fuggire.

Poi il fanciullo maturò, accumulò un po’ di forza,
i suoi incubi divennero realtà, i viali dell’infanzia
si fecero macerie o case dai molti piani.
Ora non scorderà più la parola futuro,
che sempre tornerà,
paurosa come orfanezza.
Qualcosa come alzarsi, partire, ricordare –
di pauroso come morire.

2
Un uomo non sa in fondo ciò che vuole. Un uomo
mette le sue radici, vede la sua fatica fruttificare o viene estirpato e racconta
ai propri figli storie, oppure no. Egli non cambia, il tempo non si ferma per lui.
di anno in anno mente meno a se stesso, impara
a dominare il corpo finché il corpo non domina lui, parla poco e impara
a dimenticare. Ora
non vuol fuggire più. Solo un po’ di memoria
che forse ad altri permetterà di crescere, germogliare
scordando tutto ciò che lui lasciò dietro di sé.

*

E questo è un capitolo, un capitolo solo della trama,
della ragnatela che tentammo di filare qui
nel tumulto di molti anni, nei quali
si deve pur far ordine, non ricongiungendo le cose con la frode
e neppure sfilacciando, senza odorare
il profumo di un fiore prima che avvizzisca o di un seno di donna
che s’apre toccato da una mano indagatrice,
che rimesta e fruga nella carne viva
cercando di trovare un momentaneo sfogo alla sua solitudine.
Siamo tutti prodotti etichettati nel grande supermarket
della creazione e quella sua stupidità – per la quale
l’anno divora l’anno e l’attimo e il minuto –
è appunto l’eternità che consuma ogni cosa.






(http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2012/02/24/natan-zach-sento-cadere-qualcosa-poesie-scelte-1960-2008/)

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