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Il rito della Pasqua - nella Musica Contemporanea

Argomento: Religione

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 28/03/2017 08:40:48

Equinozio di Primavera / Aspettando la Pasqua.
(musica ‘contemporanea’ per una festa)

“Dixit Dominus Domino meo … ”,
“Laudate pueri Dominum: laudate nomen Domini …”
“Confitebor tibi Domine in toto corde meo …”,
“Te Deum laudamus, te Dominum confiteremur … “
“Magnificat anima mea Dominum … ”,

Proiettati nella festitità della liturgia cristiana per la Santa Pasqua, sebbene spogliata di quegli ornamenti ridondanti lasciati dalla patina del tempo, ritroviamo qui quel legame affettivo che durante le funzioni del culto, nelle feste e nei vesperi domenicali, ci vedeva intonare in coro i versetti melodiosi e solenni dei Salmi sotto la volta della chiesa, mentre il turibolo andava e veniva come un pendolo davanti all’altare maggiore, mandando al cielo grate nuvole d’incenso. Sarà un fatto emotivo, forse, che certe ‘prime messe’ siano legate ai ricordi del tempo di Pasqua, ma ancora oggi, nel riascoltarli, li riscopro pieni di tono, quasi che in essi si rivelasse l’anima semplice partecipata della gente, a conferma dello stretto legame che da sempre unisce l’uomo (questo strano essere inintellegibile) alla divinità che dimora fra la terra e il cielo, in quello spazio pur silente dove non c’è il vuoto.

«Una cultura – scrive Raymond Williams – mentre viene vissuta, è sempre in parte sconosciuta , in parte incompresa. Il formarsi di una cultura comunitaria è pur sempre un tentativo, perché la consapevolezza non può precedere la creazione, e non esiste una formula per la’esperienza ignota. Una comunità sana, una cultura viva, proprio per questo non soltanto accoglierà, ma attivamente incoraggerà tutti, e chiunque sia in grado di contribuire al progresso della consapevolezza, che è la necessità comune.»

«I riti religiosi rituali della Settimana Santa – scrive Diego Carpitella docente di etnomusicologia alla facoltà di lettere dell’Univesità di Roma – ricalcano consuetudini di origine chiaramente precristiane, sotto il punto di vista della ritualità e periodicità calendariale legata agli eventi della natura. Su queste radici il Cristianesimo delle origini ha quindi conformato i suoi riti che celebrano la ‘passione’e la ‘morte’, ma anche la ‘resurrezione’ di Cristo, e che altro non è che il germogliare del seme della vita. Senzaltro l’interiorizzazione dell’aspetto penitenziale delle ‘Lamentazioni’ e del ‘Compianto’, poi sfociati nell’evento processionale della ‘Via Crucis’, dove i fedeli sono chiamati a farsi partecipi della Passione di Cristo così come la descrivono i Vangeli, sono stati la fonte ispiratrice dei ‘canti’ che l’accompagnano. Non meno delle pagine di musica tra ‘Oratori’ e ‘Messe’ di grande bellezza suggestiva che oggi possiamo ascoltare in esecuzioni di più ampio respiro artistico.»

L’atmosfera meditativa dei grandi misteri del ‘triduo pasquale’ (giovedi, vederdì, sabato, santi) , elaborata nelle melodie gregoriane dai monaci cistercensi e la perfetta risonanza delle volte delle chiese, è qui ricreata nell’addolorato e toccante ‘Stabat Mater’ attribuito a Jacopone da Todi e musicato da G. B. Pergolesi:

«Stabat Mater dolorosa
Iuxta crucem lacrimosa,
dum pendebat Filius …
Quis est homo, qui not fleret,
Christi Matrem si videret
In tanto supplicio? …
Quis non posset contristari,
piam Matrem contemplari
dolentem cum Filio?»

Respiro artistico, dunque, che mette in risalto il fulcro della solennità della Pasqua e che, accolto all’interno del rito liturgico della Chiesa ufficiale, ne conserva l’afflato, il momento estatico, celebrativo e trascendentale dell’assemblea dei cristiani riuniti. Leggiamo insieme il seguente testo tratto dall’ ’Introitus’:

“… Egli, dunque nacque
e il suo pianto risuonò come un grido
levato nella profondità della notte:
un’eco lontana che ripeteva nel sussulto d’un attimo
il sorgere strepitoso della vita.
… Egli era il seme
il germoglio e la causa del germogliare
la ragione e la volontà del prevalere
la sospensione cosmica del tempo
che attendeva la primeva luce-
… Egli, era il Figlio
L’inequivocabile continuità del Padre
sua immagine e somiglianza
l’acquisita coscienza dell’umano volere
la sua suprema speranza.
… Egli, era l’unica volontà possibile
il dono elargito con generosità
l’ineluttabile gesto del suo grande amore:
la conoscenza e l’armoniosa proporzione del tutto
l’inizio e la fine di ogni cosa.
… Egli, era l’Agnello del sacrificiuo
l’amaro sudario della fine
l’estremo abbandono, l’ultimo castigo
l’eterno sepolcro della carne
prima della resurrezione.
… Egli, dunque morì e fu sepolto
e il suo pianto si levò al di sopra del mondo
come un inno levato alla divinitàceleste del Padre
che lo aveva reso all’umano volere
nell’inconsavevole reminiscenza dell’affanno
… del dolore più grande.»

* Arvo Pärt è indubbiamente il compositore del cambiamento e della trasformazione della musica liturgica, il più ascoltato, il più eseguito, il più aderente alla tradizione coreutica del gregoriano, il più rigoroso lettore delle Scritture Sacre: «..ai cui testi – egli afferma – mi sono sempre sentito molto vicino e dai quali ricevo ispirazione per i miei componimenti, in quanto contengono verità che hanno un valore secolare e comunque sempre fortemente attuali.» Le sue architetture strumentali prendono avvio e si formano su una componente distintiva ‘classica’, ma sono molti i brani ‘singoli’ come ‘Arbos’, ‘Fratres’ e ‘Alina’, ma anche quello delle tracce 5 ‘Solitudine’ e 11 ‘Fragile e conciliante’ contenute in ‘Lamentate’ (ECM 2005) che, ad un ascolto attento, presentano per così dire ‘difformità fuorvianti’ dalla regolarità di una partitura cosiddetta sinfonica.

Altre, ad esempio, almeno quelle contenute in ‘Orient e Occident’, oppure ‘Tabula rasa’ o ‘Cantus’, sono tali da sembrare concepite su una ‘scala dilatata’ piuttosto che sul consueto pentagramma, peculiare delle ultime tendenze nichilistiche più vicine a Peter Eötvös di ‘Replica’ e György Kurtág di ‘Movement’; come anche alle elaborate sonorità dei Kronos Quartet quando affrontano gli ‘String Quartet’ di Górecki o di Philip Glass dal titolo omonimo o il Michael Nyman di ‘The piano concerto’ . Dilatata a tal punto da sembrare libera da qualunque inflessione accademica eppure non meno rigorosa di quelli che sono i ‘canoni’ dettati dallo studio e dalla percezione. «Alla base della mia tecnica compositiva è la sostanza musicale stessa per cui il colore sonoro può diventare secondario. Da tutto ciò si sviluppano delle libertà legate ad alcune scelte, che possono indurre successivamente a una serie di sviluppi e a infinite rielaborazioni. Così come del resto dev’essere senzaltro avvenuto con le opere di quei compositori che mi hanno accompagnato, quali sono stati Bach, Mozart e Schubert nel corso di tutta la mia vita, e lo fanno tuttora.»

Dopo i tanti ‘segni più’ attribuitigli, nel 2016 Arvo Pärt ne ha aggiunto un altro, quello d’essere per il sesto anno consecutivo indicato nelle classifiche come ‘il compositore vivente più eseguito al mondo’. Ciò non toglie che possiamo attribuirgli qualche ‘segno meno’, quale, ad esempio: ‘il meno abusato’ e quello del ‘meno contaminato’ che, a quanto sembra non sempre è un bene, in ragione di un’avvicendarsi sulla scena musicale mondiale di una contaminazione influente quanto creativa di suoni ‘altri’ che stanno cambiando l’orecchio degli ascoltatori e soprattutto il gusto. Così come nella musica vocale sacra si sta tornando alla forma medievale del ‘discanto’ o ‘discantus’ che poteva essere improvvisato secondo una prassi dalle regole ben codificate, ma che non si riteneva opportuno annotarlo.

D’altra parte anche le partiture vocali e polifoniche di Arvo Pärt risultano non poco impegnative sul piano dell’ascolto e molto probabilmente su quello dell’esecuzione: i suoi pianissimo da ‘canto firmus’ giocate sulla sospensione prolungata della voce e del suono che talvolta rasentano il silenzio, quasi a voler affrontare quel mondo estremo che solo appartiene aldilà interiore. Sospensione che permette al compositore di eludere la voce con sonorità prolungate sostitutive della voce stessa, efficienti nell’esternare il ‘sacro’ indicibile contenuto, in quei momenti, nell’afflato corale e che ogni volta ritorna come per una ‘resurrezione’.

Non si può dire che le sue maggiori composizioni dedicate al ‘fatto religioso’ non raggiungano lo scopo voluto, tuttaltro; opere quali ‘Litany’, ‘Lamentate’, ‘Miserere’, ‘De profundis’, ‘Stabat Mater’, ‘Passio secundum Joannem’, ‘ Te Deum’ e quel ‘Kanon pokajanen’ basato sul canone di penitenza recuperato da antichi manoscritti di origine greco-ortodossa, attribuito a Sant’Andrea da Creta prima dell’VIII sec d.C.,
sublimano l’effetto evocativo, quasi che il tutto stia lì per accadere nell’imminenza del ‘sacro’: “..ci si innalza verso la luce che sta arrivando, la stessa luce che nel momento culmine della Messa, splenderà con tutta la sua forza nel corso della liturgia. Anche per questo Arvo Pärt è il più significativo dei compositori, come è già stato detto l’autore ‘del cambiamento e della trasformazione’ in atto nel XXI secolo.

Colui che ha permesso alla ‘musica sacra’ di conformarsi alla svolta della contemporaneità e raggiungere sonorità fin’ora inusitate, quasi “.. l’auge della potenza e della gloria” che da sempre Pärt sembra perseguire, e che ha portato alla ribalta della musica internazionale. Le sue composizioni sono oggi fatte oggetto di ‘cult’ presso le giovani generazioni alla ricerca di emozioni epidermiche e talvolta superficiali ma che rispondono alla suggestiva emotività e le tensioni del tempo attuale. Non c’è davvero una categoria nella quale iscrivere la sua musica, tanto è ricca di riferimenti, di tensioni, di colori che sfugge a una sommaria quanto inutile classificazione. Ed è proprio questa la sua caratteristica più affascinante, la magica alchimia di suoni e assonanze che sostiene ogni sua composizione, elaborata con pazienza e dedizione nei molti anni della sua avventura musicale.

Per comprendere l’opera di Arvo Pärt è però necessario fare più di un passo indietro nel tempo e tornare alle origini della sacralità del Canto Gregoriano, comprenderne gli sviluppi e le trasformazioni successive. Sebbene qui sarà fatto per brevi linee, è fuor di dubbio che l’impronta penitenziale del gregoriano per la Santa Pasqua risente dell’atmosfera lugubre in cui è immerso, per quanto non manchino in esso ampie ‘schiarite’ di gloria, soprattutto in quegli ‘oratori’ che sono motivo di ‘grazia’ operata dalle anime dei giusti, nel raggiungimento del culmine massimo della celebrazione rappresentato dalla sopraggiunta ‘enfasi estatica’ di pieno splendore. È allora che il ‘canto firmus’, pur nel timore supplichevole che incombe, avverte lo sguardo indagatore del divino sopra di sé, ed esprime nel ‘de profundis’ la volontà di mostrare la propria anima, profondamente addolorata e contrita. O, come spesso accade durante le commemorazioni liturgiche popolari, lasciando sciogliere il dolore in un fiotto di lacrime (e di grida tipiche), per poi recuperare quella felicità interiore che la ritrovata voce infonde nel canto che si leva ‘alto’, a raggiungere le vette del sentimento più puro.

* Molteplici e notevoli sono le trascizioni eseguite dell’antico Canto Gregoriano delle ‘Messe per il Venerdì Santo’ dalle ‘Schola Cantorum’ attive in tutta Europa, oggi reperibili in registrazioni qualitativamente apprezzabili, sebbene l’ascolto diretto, in latino, eseguito da Corali professionali sia tutt’altra cosa. L’invito quindi è di cercare i luoghi e le occasioni di dette esibizioni corali che in questo periodo non mancano nelle chiese che rispettano la tradizione. Di vero interesse e, soprattutto, di grande effetto rappresentativo sono le parti cosiddette ‘a responsorio’ dove la voce solista (solitamente un narratore) si interroga sui ‘fatti’ della Passione e interpella il popolo (coro) che risponde, aggiungendo all’enfasi della richiesta il proprio risentito dolore.
Dalla Messa ?In Passione et Morte Domini’ leggiamo un passaggio significativo:

Tractus.
«Domine, audivi auditum tuum, et timui;
Consideraavi opera tua, et expavi.
In medio duorum animalium innotescéris:
dum appropinquaverint anni, cognoscéris;
dum advenirit tempus, ostendéris.
In eo dum conturbata fuerit anima mea:
in ira, misericordiae memor eris.
Deus a Libano veniet,
et Sanctus de monte umbroso et condenso.
Operuit caelos maistas eius:
et laudis eius plena est terra.»

Responsorium-Graduale.
«Christus factus est pro nobis obediens
Usque ad mortem, mortem autem crucis.
Propter quod Deus exaltavit illum,
Et dedit illi nomen quod est super omne nomen.»

Improperia.
«Popule meus, quid feci tibi?
Aut in quo contristavi te?
Respondi mihi.
Hagios o Theos.
Sanctus Deus.
Hagios Ischyros
Sanctus Fortis.
Hagios Athanatos, eleison hymas.
Sanctus Immortalis, miserere nobis.
Qua eduxi te de terra Aegypti;
Parasti Crucem Salvatori tuo.»

Adoratio Sanctae Crucis.
«Ecce lignum Crucis,
In quo salus mundi pependit,
Venite adoremus.»

* Tuttavia non siamo ancora alla definitva conclusione, dal Medioevo qui appena rivisitato, per tornare ad Arvo Pärt dobbiamo fare non uno bensì molti passi in avanti, allorché altri compositori si affacciarono sulla scena della musica d’ispirazione liturgica per arrivare all’mpianto della Messa contemporanea, rivolta per lo più all’evidenza laica, e che sono rispettivamente Pierre Schaeffer e Pierre Henry, che conversero le loro ricerche in una medesima esperienza. Compositore e allievo di Olivier Messiaen e Nadia Boulanger, Pierre Henry già collaboratore del Club d'Essai fondato da Pierre Schaeffer presso la RTF francese, col quale ha anche composto la “Symphonie pour un homme seul” (1949-50), è considerato uno dei teorizzatori della ‘musica concreta’ basata su suoni pre-esistenti, uno dei primi modelli di manipolazione del suono per fini compositivi (in quel caso magnetofoni), che aprì alla cosiddetta ‘musica elettronica’ e che di fatto, ampliava gli orizzonti musicali a confini mai intravisti prima.
Tale opportunità si collocava in contrapposizione all'idea di ‘astrazione’ che secondo Pierre Schaeffer caratterizzava l'approccio musicale dominante (musica elettronica, musica strumentale): cioè, il pensare la musica per criteri astratti (armonia, contrappunto, notazione, dispositivi logici, etc.) piuttosto che elaborarla concretamente attraverso il suono e l'ascolto. Schaeffer parlava di ‘musica concreta’ intendendo il suono nella sua completezza; ovverosia il fatto di ascoltare il suono in tutti i suoi aspetti (attacco sonoro, durata, inviluppo, densità di massa sonora, andamento, timbro, frequenza, ampiezza etc.). I suoni potevano provenire dalle fonti più varie della realtà acustica (rumori, strumenti tradizionali, voci e molti altri) e in gran parte dei casi venivano captati tralasciando la ‘risonanza’ in un dato punto dello spazio. A differenza della musica elettronica ‘pura’, la ‘musica concreta’ non era basata su sonorità ottenute direttamente da frequenze elettroniche. Questa attività gli permise di utilizzare il vasto archivio discografico della radio della RTF in cui lavorava come ingegnere del suono e di cominciare a fare esperimenti sul suono ed il rumore, ma soprattutto cominciò a maturare dei nuovi metodi compositivi, come dimostrarono i suoi saggi: “Introductrion à la musique concrète” e “A la recherche d'une musique concrète”.

Egli inoltre è autore inoltre, del primo brano di musica concreta: “Étude aux chemins de fer” del 1948: un breve studio sul ritmo per giradischi che riproduce i suoni provenienti da un treno in movimento (fischi, suoni di vapore, e altri). Ad esso seguirono negli anni successivi altre composizioni non troppo diverse e sempre di breve durata quali “Étude aux tourniquets”, “Étude au piano I (Étude violette), Étude au piano II (Étude noire), ed Étude aux casseroles (Étude pathétique)”. Durante questa fase, Schaeffer lavorò quasi completamente da solo. A partire dal 1949, iniziò una collaborazione con Pierre Henry che fruttò composizioni più lunghe, ambiziose (e, a detta di molti, più mature) quali la “Symphonie pour un homme seul”. Iniziata nel 1949 e terminata l'anno seguente, (sebbene sia stata oggetto di più revisioni) essa è un altro esempio di musica concreta in cui suoni strumentali si mescolano a suoni presi dalla vita quotidiana di un uomo (respiri, passi, fischi, porte che sbattono ecc.). La ‘musica concreta’ di questo periodo è poco o per nulla strutturata e meno ‘rigida’ di quella che seguirà.

Nel 1951, in seguito all'introduzione di nuove apparecchiature, Schaeffer, Henry e il fisico Andrè Moles fondarono il Gruppo di ricerca di musica concreta (futuro Gruppo di ricerche musicali) che era finanziato dallo studio parigino RTF, che fu il primo studio costruito per comporre musica elettronica:

«Noi abbiamo chiamato la nostra musica concreta, poiché essa è costituita da elementi preesistenti, presi in prestito da un qualsiasi materiale sonoro, sia rumore o musica tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a realizzare una volontà di composizione senza l'aiuto, divenuto impossibile, di una notazione musicale tradizionale. Fra i nuovi macchinari erano inclusi magnetofoni e quattro apparecchiature speciali: la prima controllava i suoni nello spazio esecutivo, la seconda era un registratore in grado di riprodurre riverberazioni, mentre le ultime due permettevano di variare la velocità di riproduzione del nastro e di "trasporre il materiale registrato su ventiquattro altezze, (esse erano nominate rispettivamente pupitre de relief spatial, il morphophone, e le phonogènes). I magnetofoni, che da allora rimpiazzarono il giradischi, permisero al compositore di suddividere i suoni in più parti al fine di adoperare solo quelli necessari alla composizione.»

* Fu in quello stesso periodo, che emersero altri studi di musica elettronica. Altri musicisti iniziarono a comporre seguendo la loro stessa filosofia ed esperienza. Fra essi Karlheinz Stockhausen, che realizzò nel 1955 la prima composizione di musica concreta a presentare sonorità provenienti da segnali generati elettricamente: “Gesang der Jünglinge im Feuerofen”, mentre “Desert” del 1954, una composizione di Edgar Varèse per fiati e percussione, è invece considerata il primo capolavoro di questo metodo compositivo. In seguito all'uscita di Henry dal GRMC, che decise di fondare lo Studio Apsome nel 1958, Schaeffer intraprese, ispirandosi a Varèse, un percorso di ricerca molto più rigoroso e meno ‘empirista’ di quello dei suoi primi lavori. Da questo momento, i membri della ‘scuola’ francese si concentrarono maggiormente sull'analisi dei suoni registrati e iniziarono a comporre una musica realizzata da suoni "presi così come vengono percepiti".

* Di questa fase, caratterizzata da composizioni più astratte rispetto a quelle degli esordi, si ricordano il lunghissimo “Traitè des objets musicaux”, terminato nel 1966 (ma iniziato quindici anni prima) e registrato da Schaeffer con musicisti quali Abraham Moles, Jacques Poullin più altri ricercatori. A differenza di Schaeffer, Pierre Henry proseguì gli ideali originari della ‘musica concreta’ degli esordi. Con “Variations pour une porte et un soupir” del 1963 e, successivamente con “Messe pour le temps present” composta con Michel Colombier per il coreografo Maurice Béjart, contenente il brano ‘Psyche-Rock’, utilizzato poi nella colonna sonora di « Z: l’orgia del potere » di Costa Gravas del 1969; e la “Messe de Liverpool” del 1967 registrato dal vivo in occasione dell’inaugurazione nella Cattedrale Metropolitana del Crist-Roi di quella città; nonché “Musique pour une Fete” del 1971 in occasione della Festa dell’Umanità tenutasi alle Tuileries di Parigi e danzata dal Ballet du 20° Siècle di Maurice Béjart, siamo di fronte ad una vera e propria apoteosi celebrativa di questa musica che s’avvia alla sua esperienza conclusiva a partire dai primi anni settanta, periodo in cui i compositori, interessati ad approfondire l'analisi dei suoni con nuovi mezzi, iniziarono ad adoperare apparecchiature quali sintetizzatori e computer etichettata poi come ‘progressiva’, e che da questo momento in poi abbraccia ogni genere musicale che si avvale della strumentazione elettrificata e di apparecchiature elettroniche nel mixage.

* Questo fenomeno ebbe come principale conseguenza quella di annettere il concetto di ‘musica concreta’ a quello più generale di ‘musica elettronica’ almeno altre due esperienze, separate tra loro da anni di vuoto, e che hanno portato alla ribalta gli Eela Craig, un gruppo rock austriaco degli anni 1970 e 1980, che ha unito ‘progressive rock’ con influenze jazz e di musica classica e ‘testi liturgici’ cristiani. Il nome della band pur senza significato nota riprende il discorso abbandonato da Henry delle ‘Messe’, infatti il loro album più importante ‘Missa Universalis’ del 1978 è confluita in quella New Age di più largo consumo. L’altra esperienza di un certo livello, maturata a cavallo tra gli anni ‘60 e il 1980, è senza ombra di dubbio quella di Hans Werner Henze compositore tedesco vissuto in Italia, noto per le sue opinioni politiche marxiste e il loro influsso sulla sua opera. Il suo stile compositivo abbraccia il neo-classicismo, il jazz, la tecnica dodecafonica, lo strutturalismo e alcuni aspetti della musica popolare e del rock. In seguito però, ribellatosi agli obblighi dello strutturalismo e dell'atonalità, al punto che nella sua opera "Boulevard Solitude" del 1951 sono presenti elementi riconoscibili provenienti dal jazz nonché dalla canzone francese dell'epoca.

* Laltro suggerimento è ancora più toccante, si tratta della colonna sonora del film “Passion: The last temptation of Christ” (Virgin / Realworld 1989) di Martin Scorsese, con i pur bravi Willem Dafoe e Harvey Keitel. Composta e diretta dal ‘mostro sacro’ del rock-progressivo Peter Gabriel, cantante, polistrumentista, compositore, produttore discografico e attivista britannico che, dopo aver raggiunto il successo negli anni settanta nel celebre gruppo dei Genesis e aver intrapreso una carriera solista di successo sperimentando numerosi linguaggi musicali, negli anni ottanta si è impegnato nella promozione della ‘world music’ attraverso la sua etichetta Real World, andando alla ricerca di moderne tecniche di incisione e nello studio di nuovi metodi di distribuzione della musica online. È anche noto per il suo costante impegno umanitario. La colonna sonora de ‘L'ultima tentazione di Cristo’, pubblicata un anno dopo l’uscita del film sotto il nome di ‘Passion’ voluto da Peter Gabriel, è oggi considerata un capolavoro dell’allora neo-nata world music. Per la realizzazione l'ex-Genesis si avvalse della collaborazione di artisti internazionali di musica tradizionale quali Youssou N'Dour, Billy Cobham e Nusrat Fateh Ali Khan. Ad esso si accompagna l'album 'Passion sources' il quale completa la colonna sonora e promuove gli artisti che hanno collaborato con Gabriel proponendo dei loro brani importanti, finora sconosciuti al grande pubblico.

Tuttavia, ad oggi, non è possibile affermare che in Arvo Pärt, fautore del ‘cambiamento e della trasformazione’ si possa trovare tutto questo; certo è che malgrado egli, come abbiamo fin qui appreso, è indubbiamente il riformatore e il continuatore della tradizione millenaria riversatasi nella ‘musica liturgica’. Per quanto egli rimanga ancorato alla ‘musica sinfonica’ e al gregoriano come ‘forma compiuta’ nei suoi componimenti, non esclude il fatto dell’aver trovato nela estensione sonora della ‘musica contemporanea’ il perno d’appoggio per le sue personalissime creazioni, col fare qua e là uso di determionate sonorità e di ricercate assonanze atonali, seppure utilizzate in maniera eccelsa. Non è per caso che Arvo Pärt è oggi il compositore più seguito e ascoltato dalle nuove generazioni, sulle quali approfondire e sviluppare ‘nuovi linguaggi’ sonori.Ma, in tutto questo bla-bla, sarebbe servito a poco se adesso non dicessi ciò che non ho ancora detto, cioè in che cosa mi trovo d’accordo col maestro: “..che la musica, macerie di tutte le idee, fa da sfondo ad un incendio che ancora non rischiara il mondo”.









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